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Enzo
01 dic 2016
I primi 45 minuti di Enzo Zidane, figlio di Zinedine.
(articolo)
6 min
(copertina)
Foto di Franck Fife/Getty Images
(copertina) Foto di Franck Fife/Getty Images
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Se è vero che le colpe dei padri ricadono sempre sui figli, quelle di Enzo Zidane occupano almeno un attico di 300 metri quadri affacciato su Puerta del Sol. Tra tutti i figli di, il figlio di “Zizou” è quello che porta stampate sulla schiena le lettere più pesanti del calcio moderno (almeno fino a quando i figli di Messi e Cristiano Ronaldo non saranno abbastanza grandi). La signature Zidane va oltre i trofei vinti, colpisce direttamente la parte del nostro cervello dedicata al sogno: per tutti noi il cognome Zidane è indissolubilmente legato alla magia. In una situazione che sfiora il paradossale, Enzo è anche nella stessa società di cui il padre è capo allenatore, sommando al problema del nome quello del privilegio.

Con tutte queste situazioni irrisolte, e senza voler contare quelle private tra padre e figlio che da sole possono schiacciare una montagna, ieri Enzo ha esordito con la prima squadra del Real Madrid, mandato in campo dal padre per sostituire Isco ad inizio del secondo tempo della sfida di Copa del Rey - oramai chiusa - contro il Cultural Leonesa. Se Luca Zidane è scappato dal peso scegliendo la clausura della porta, Enzo - primogenito - è caduto nella facile tentazione dell’imitazione allenandosi ad occupare, in una versione moderna, gli stessi spazi del padre con un coraggio che solo il tempo ci dirà se sensato.

Eppure sono bastati quarantacinque minuti per mettermi nella comoda posizione di usare ogni pallone toccato da Enzo per valutare affinità e divergenze tra lui e il padre.

La ruleta

L’incoscienza non è la caratteristica principale per un calciatore, però se lo fosse basterebbe questa giocata a rendere Enzo tale. Se infatti è diritto di ogni calciatore provare la ruleta (o in francese: la roulette), questa ha tutti altri piani di lettura se provata da un Zidane. Laruleta è il gesto più iconico del padre di Enzo, che l’ha trasformata dall'essere un tipo di dribbling a un gesto personale, riconoscibile e unico come una pennellata di Van Gogh. L’averla tentata al secondo pallone toccato fa pensare che anche Enzo odi il padre, oppure che lo ami al punto da tentare un’identificazione che da fuori ci sembra malata. Una scelta che grida "Io sono mio padre", e forse anche "aiuto". Ovviamente prima della partita c’è stata una cerimonia sacra nel giardino di casa Zidane in cui Zinedine ha passato al figlio la possibilità di farla.

Il tocco

Zidane riceve il pallone una prima volta spalle alla porta. Il modo in cui si gira e lo porta avanti è chiaramente un calco del padre. Come abbassa la spalla destra mentre tocca il pallone con l’esterno destro, come a volersi caricare, è lo stesso modo in cui si girava il padre in occasioni simili. Le ipotesi qui sono due: o è il sangue, e ci puoi fare poco se il DNA ti costringe a muoverti come tuo padre, oppure Enzo ha passato una parte importante della sua vita a guardare video del padre e provare a riprodurli. Oppure, e includo una terza ipotesi, c’è in Enzo un meccanismo inconsapevole di riproduzione del padre come se in quanto figlio di un’epoca postmoderna non potesse far altro che citare perennemente il padre senza mai raggiungerlo. Questa ultima ipotesi sarebbe davvero grave, ma è anche la più credibile. Enzo Zidane come zeitgeist di un'epoca che non sa guardare avanti. Ma andiamo avanti.

Controllo

In questo controllo sbagliato intravediamo una prima crepa nell’identificazione tra il padre e il figlio. Semplicemente il padre non sbagliava il primo controllo, quindi possiamo solo immaginare che tipo di angoscia possa provare Enzo a mancare così clamorosamente l’eredità paterna. Deve essere orribile per lui pensare: "Ah no, non sono mio padre". Orribile ma forse liberatorio, forse più sano.

Il recupero

Non sappiamo come Enzo viva questa continua tensione tra sé stesso e il padre, se è possibile vivere bene una cosa di questo genere. Se provava tensione durante la partita l’ha dissimulata bene, anche perché il risultato era così poco in bilico da permettere al padre di tenere James Rodriguez in campo per tutti i 90 minuti. La sua è stata una prestazione completa, molto solida, nella quale spicca questo recupero come dimostrazione che il bagaglio qualitativo di Enzo sia molto più completo di quello che ci si aspetterebbe, e di come sia ancora possibile costruirgli un futuro in cui i riferimenti siano centrocampisti più umili e geometrici e non un’icona pagana come il padre.

L’eccesso

L’ultimo gesto di quella che potrebbe anche essere l’ultima apparizione di Enzo Zidane con una maglia indossata anche dal padre, ma anche con una maglia così prestigiosa, è la riproduzione in 3D di tutte le questioni ancora non risolte in Enzo. Potrebbe persino essere l’estremo tentativo di dimostrarsi all’altezza di tutto questo contesto. Non è infatti una giocata naturale, ancor prima che sbagliata, come naturale poteva esserlo nei piedi del padre. Questo sembra il capriccio di un bambino che deve imitare quello che fanno i grandi: la sovrapposizione dell’esterno poteva premiarla dopo essersi girato verso l’esterno con il corpo, scegliere quella soluzione è un atto di pigrizia che solo i talenti più puri possono permettersi e qui ha dimostrato più di essere un cattivo imitatore che un ottimo talento.

Ma questa interpretazione ovviamente ha una sfumatura maligna che magari sta solo nei nostri occhi. Per quanto ci sforzeremo di rimanere il più possibile oggettivi, ieri abbiamo tastato per la prima volta quanto sarà difficile non sovrapporre l’immagine di Enzo Zidane al nostro ricordo del padre. Certo, lui i paragoni se li cerca.

Da Zidane a Zidane, il sogno bagnato di ogni regista

Chi si è veramente avvantaggiato della narrazione “Zinedine Zidane manda in campo il figlio Enzo” è stato il regista della partita. Non vorrei fare un torto a chi fa un mestiere sempre troppo poco considerato, ma credo che tra tutti i tipi di regia sia una delle meno adatte a sperimentazioni e grammatiche particolari. Avere quindi una narrazione extra-calcistica così forte ha permesso al regista - per una volta - di sbizzarrirsi con stacchi e inquadrature che da sole raccontavano una storia nella storia ben più interessante della partita.

Già al momento dell’ingresso in campo, con uno stacco fortunato, il regista concentra tutta la tensione di casa Zidane. Nel passaggio dalla faccia segnata dal tentativo di rimanere imperturbabile del padre al simulato disinteresse del figlio, il regista ci dice chiaramente che i prossimi quarantacinque minuti non saranno normali né per noi che guardiamo da casa, né per Zizou ed Enzo.

Nei momenti fondamentali della partita di Enzo c’è sempre un passaggio dal padre al figlio o viceversa. Qui, dopo che Enzo ha provato la ruleta, il regista lo trova con un primo piano di spalle mentre torna indietro un po’ imbronciato e sputa. Stacco. Inquadratura del padre, anche lui di spalle, che mastica una gomma, fa due passi indietro come a volersi tirar fuori da questa situazione. Ci prova anche dopo il gol di Enzo, ma Zizou è abbastanza lucido da mantenere il suo contegno da allenatore che non può esultare dopo il quarto gol ad una squadra della terza serie.

Per sua fortuna il regista è abbastanza bravo da evidenziare l’unico momento in cui i due si tradiscono: uno sbaglia perché fa il figlio invece di fare il calciatore, l’altro si tradisce al riparo della panchina perché fa il padre invece di fare l’allenatore, ma va bene così, è quello che sono.

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