Viviamo in piena epoca d’oro delle serie tv: a tavola, quando la conversazione comincia a perdere mordente, esce sempre fuori qualcuno che chiede consigli sull’iniziare Narcos o se Black Mirror sia davvero quella gemma nascosta come si racconta. La NBA, con la sua natura episodica, si presta in modo perfetto ad avere lo stesso rapporto con il pubblico di una serie TV — e senza nascondersi affatto, la Lega e gli opinionisti stanno cavalcando la cosa caricando di aspettative da settimane (e forse come non mai) lo scontro tra le due squadre dominatrici della Lega in questo momento: i campioni in carica che inseguono il record storico guidati dall’MVP in carica contro gli sfidanti designati guidati dal regnante Miglior Difensore dell’Anno. Anche gli appassionati hanno accolto con favore l’idea di vedere in “Warriors vs Spurs: La Serie”, uno scontro a puntate dal carattere storico, che se dovesse andare come tutti sperano — 11 puntate divise tra prima parte in regular season e seconda parte in finale di conference — potrebbe anche avere un impatto superiore nelle conversazioni a tavola di True Detective. Anche perché ci saranno meno monologhi da dover seguire attentamente, Draymond Green permettendo.
Pilot s01e01
Non ci possiamo lamentare affatto dell’episodio pilota di ieri notte, che per prima cosa ha risolto il dibattito su quanto sia opportuno per coach Popovich “nascondere” la propria strategia — cosa che ha preso forza vista l’assenza di Duncan per infortunio. La partita ha mostrato una soluzione semplice alla questione: prima di avere il lusso di nascondersi contro la squadra più forte della Lega, gli Spurs hanno deciso di raccogliere più dati possibili su loro stessi e sugli avversari, testando le diverse opzioni a loro disposizione sia in attacco che in difesa. Giustamente, pensando di dover affrontare potenzialmente altre 7 volte gli avversari, per prima cosa ci si butta in acqua per capire quanto è profonda e quanto a fondo si è in grado di arrivare con un tuffo. Si testano gli aggiustamenti basilari, magari senza badare troppo al risultato immediato, pensando molto di più ai temi che la gara può sviluppare in vista di una serie. Ragionando sul lungo periodo, insomma. Anche a costo di guardare il tabellone a fine partita e leggere “120-90”.
Allo stesso tempo è importante non prendere sotto gamba quello che la partita ha mostrato: si ragiona sul lungo periodo sulla base delle informazioni a disposizione, come la difficoltà da parte degli Spurs nel difendere Steph Curry. Popovich durante la gara ha provato quattro difensori differenti sul fenomeno con il 30, un po’ perché lo chiedeva la partita — Tony Parker ha chiuso con 138.6 di rating difensivo, costringendo gli Spurs a “nascondere” la propria pg nei 18 minuti passati in campo —, un po’ per capire quale potrebbe essere il modo migliore in futuro per limitarlo. In futuro, perché in questa partita non è esistito un modo per limitare Curry, che ha chiuso con 37 punti in tre quarti con un 75% di percentuale “effettiva” (ovverosia aggiustata per dare il giusto peso ai canestri da tre punti). Non ha funzionato su di lui la difesa dinamica di Patty Mills, né quella fisica di Simmons, e addirittura neanche quella del migliore della Lega in questo aspetto, Kawhi Leonard.
Credo che il commento migliore sia ad opera di Ethan Sherwood-Strauss di ESPN: “Se Kawhi Leonard non è la risposta, [quella su chi può difendere Curry] è una bella domanda”
Pensare che Steph non ha neanche iniziato con il solito fuoco agli occhi — anzi, ha placidamente lasciato a Klay Thompson le prime azioni della partita avendolo visto aggressivo e soprattutto perfetto per il piano gara della sua squadra. Già, perché con tutti gli spettatori concentrati nel discutere sulla strategia degli Spurs per fermare gli Warriors, è quasi passato in secondo piano quale possa essere la strategia degli Warriors per vincere. Una strategia basata sull’accettare quello che la partita propone e fare qualsiasi cosa pur di mantenere la fluidità intatta: correre appena se ne ha l’occasione e tenere il controllo della partita, nei tempi e nella strategia.
Gli Warriors prima di tutto hanno voluto imporre l’idea di essere loro i padroni della situazione. Pur di non far ristagnare l’attacco, la squadra di Kerr si è mossa continuamente, punendo il piano difensivo di Popovich — che aveva concentrato molte energie sulla difesa del tiro da tre e del pick and roll con Steph portatore di palla — con continui tagli in back door per attaccare il canestro o l’utilizzo costante della linea di fondo per giocare dietro la difesa. Proprio da un taglio in back door di Thompson su assist di Bogut sono arrivati i primi punti della partita — due punti che sono stati anche un attestato di quanto sia superficiale dipingere i Warriors come una squadra monotematica. La squadra di Kerr, al contrario, ha un attacco così devastante proprio perché è in grado di adattarsi ad ogni difesa, imponendo lei per prima il tema tattico della gara.
Il primo canestro rende l’idea di come i Warriors vogliono andare a segnare
Nel vortice della Oracle Arena
Il saper annullare la strategia offensiva del rivale per portare ogni squadra sul proprio terreno preferito è il punto di forza della difesa degli Spurs, ma è proprio in questo che ha fallito la squadra di Popovich: l’impossibilità di fermare Steph Curry quando è in giornata vale per ogni squadra sul pianeta (ha chiuso il primo quarto con 15 punti sui 29 di squadra), ma la difficoltà nell’impedire agli Warriors di eseguire con costanza i continui tagli è stato il punto focale della distanza accumulata tra le due squadre.
Mentre i texani sono stati risucchiati in un vortice di palle perse non forzate e tentativi di post-up continui, gli Warriors hanno raccolto quanto seminato capitalizzando sulle palle recuperate e sfruttando Curry lontano dalla palla, fino a quando al minuto 5 è finalmente arrivato il turno di vedere Leonard su di lui.
I tentativi di post-up sono un tema fondamentale che gli Spurs hanno portato avanti con costanza, facendo andare sempre almeno tre giocatori a turno in post: Aldridge, Leonard e West o Diaw, a secondo di chi fosse in campo dei due. Lo stesso Leonard è andato ad operare dove solitamente si muove Duncan, facendo capire bene quanto fosse una scelta ricercata. I tentativi frustrati di Aldridge su Green vanno sottolineati: Green, pur non arrivando ai due metri, è riuscito ad entrare sotto pelle al giocatore degli Spurs, muovendosi prima, giocando in modo fisico, probabilmente riempiendolo di trash talking… Fatto sta che Aldridge ha giocato “al contrario” per tutta la partita, chiudendo con soli 5 punti a coronare un misero 83 di Offensive Rating con lui in campo. Nell’intervista a metà gara l’assistente di Kerr Jarron Collins ha rivelato che le parole di Green entrando negli spogliatoi sono state “I won him”, l’ho battuto. La gara di Green è stata tutta concentrata nel mantenere la strategia offensiva di correre appena possibile, giocare sui tagli a difesa schierata e di annullare l’avversario diretto quando in difesa: il risultato è un assurdo 72.1 di rating difensivo da parte sua.
In fase di preview si pensava che gli Spurs avessero un vantaggio grazie alla loro panchina, fino ad ora la migliore della Lega. Invece nei minuti in cui Steph si è riposato, gli Warriors hanno incrementato il vantaggio, anche perché gli Spurs non sono riusciti a trovare un modo affidabile per attaccare che non fosse attaccare spalle a canestro, vista l’imprecisione degli esterni (Ginobili ha chiuso con 1/6, Mills 1/5), mentre gli Warriors hanno risposto anche grazie a un grande Shaun Livingston, che da solo ha segnato più di tutta la second unit texana (9 punti contro 7).
La hybris di Steph
Le tante perse degli Spurs non sono facili da gestire per la difesa dei texani, che non è abituata a subire così tanta transizione, e con il ritorno in campo di Steph Curry dopo il meritato riposo il solco si è fatto enorme sia sul punteggio (sfiorati i 20 punti di distacco) che nel linguaggio del corpo delle due squadre, con gli Warriors sospinti anche da un’arena esaltata dal momento di assoluta hybris di Curry. Il 30 per qualche azione ogni gara raggiunge un livello di tracotanza che solo gli eroi raccontati da Omero prima di lui: non solo gli riesce tutto, ma lui stesso sembra incontentabile nel provare cose ancora più impensabili, con festeggiamenti poco attenti allo stato d’animo dei rivali.
Per quanto possa avere una valenza negativa per i tifosi avversari, la tracotanza di Curry trascina sia i compagni che i tifosi di casa in un momento di totale estasi contemplativa dato dallo stupore per quanto si sta vedendo e dalla accettazione dell’incoscienza del 30. Per pochi minuti 20.000 persone sono in totale riverenza di fronte al genio, capace di farsi beffa di ogni cambio difensivo e ogni distanza dal canestro. Un tiro da 8 metri che vale il +20 viene preso con totale leggerezza e sicurezza, tanto sa di poterlo tentare nuovamente all’azione dopo e venire osannato comunque da tutti pur sbagliandolo — perché anche il solo tentativo getta la difesa avversaria nel mezzo del flusso degli eventi, marcando il ritmo della gara indipendentemente dal risultato.
La botta del Momento di Totale Onnipotenza di Steph Curry ha chiaramente minato ancora di più l’esecuzione già fragile degli Spurs, con la palla che anche ad occhio si è vista girare in modo meno fluido del solito, ad esempio quando Aldridge ha finito per sprecare due possessi con un passaggio sbagliato e una violazione dei 24 secondi, 17° persa dell’incontro con ancora 5:17 minuti sul cronometro del terzo quarto. Se anche Ginobili e Mills finiscono per forzare conclusioni in solitaria è perché l’imbarcata che hanno subito gli Spurs ha avuto chiaramente un effetto tangibile su tutti i giocatori in campo.
Il 6/8 al tiro di David West, frutto di isolamenti spalle a canestro, è indicativo del fatto che, abbandonandosi l’idea di voler segnare attraverso la circolazione di palla, in realtà si premia la difesa degli Warriors, che può decidere su chi mandare i raddoppi e chi lasciare invece spalle a canestro, consapevoli che difficilmente lascerà andare la palla per cercare un assist al compagno. Con 3 minuti nel terzo quarto gli Spurs avevano subito già gli 89 punti che rappresentano la media di punti subiti stagionale. Di positivo ovviamente c’è stato che, se di partita per tastare le acque si trattava, Popovich ha potuto approfittarne per mettere Jonathon Simmons su Curry e testarne una difesa fisica che magari potrà tornare utile in primavera.
Di negativo però c’è che la partita per Kerr si è potuta considerare conclusa a fine terzo quarto, vista la distanza di punteggio tra le due squadre (89-65), con i titolari seduti in panchina negli ultimi 12 minuti a osservare il gigante Boban Marjanovic (alla vigilia pensato come possibile arma tattica) per constatare la sua capacità di andare a rimbalzo offensivo pur nel garbage time.
Il prologo della nostra futura serie preferita ha mostrato quindi come i due protagonisti si trovino in situazioni diverse: Kerr può rassicurarsi della facilità con cui la sua squadra ha difeso il dominio sulla partita, mentre Popovich — pur avendo sulla carta tutti gli ingredienti a disposizione per giocarsela alla pari contro i Warriors — ha utilizzato la prima gara per farsi un’idea su quale possa essere la ricetta giusta per battere Steph e soci, avendo più chiare le dosi (quanto minutaggio dare a Parker sembrato in difficoltà? Quanti a Simmons per difendere su Curry? Che rotazione adottare per la second unit?) e il procedimento da adottare (le marcature e come muoversi sul pick and roll in difesa, quanto attaccare in post in attacco). I Warriors sono ancora la squadra da battere, ma il finale della serie non è di così semplice previsione.