Al 28esimo del primo tempo Roma e Napoli sono ferme sull’1-0, in attesa che l’arbitro permetta alla squadra di Ancelotti di battere una pericolosa punizione vicino all’angolo destro dell’area di rigore. Sul pallone c’è Insigne, l’aria è densa dei fischi del pubblico.
Dopo una prima metà dominante, culminata nel gol di Zaniolo e nel rigore poi fallito da Kolarov, la Roma aveva subito il ritorno del Napoli e stava iniziando a temere che l’errore del terzino serbo avrebbe chiuso una porta che non si sarebbe mai più riaperta. Nell’area di rigore giallorossa ci sono tutti i principali saltatori avversari – Milik, Koulibaly, Manolas – ma la palla di Insigne è lunga e li supera tutti. Il cross va a cercare Di Lorenzo, l’unico ad andare sul secondo palo, alle spalle proprio di Kolarov. Una traiettoria talmente precisa che il terzino del Napoli può saltare dentro l’area piccola, a pochi metri dal palo coperto da Pau Lopez, e rimettere il pallone al centro. Il colpo di testa di Di Lorenzo, però, va direttamente in porta e anche i suoi compagni si fermano aspettando solo che rotoli in rete. Proprio nell’attimo in cui sembra che il pallone stia per superare la linea Smalling si stacca dalla marcatura di Manolas, con cui aveva ballato una specie di valzer sino al limite dell’area piccola ritrovandosi spalle alla porta, si gira con una piroetta che sembra perfettamente naturale, e stendendosi riesce ad alzare il pallone con il sinistro, impedendo che si trasformi in gol. I fischi si trasformano in un’esultanza calorosa ma contenuta, che somiglia davvero a un sospiro di sollievo.
Dopo quell’intervento, il Napoli creerà almeno altre due chiare occasioni da gol e prenderà anche due pali nella stessa azione senza mai riuscire a segnare, come se la spazzata di Smalling avesse ormai inclinato la storia dalla parte opposta.
Alla fine di quella partita, che si chiuderà con il risultato di 2-1, Roma e Napoli hanno preso strade molto diverse nelle proprie stagioni. La squadra di Fonseca è diventata definitivamente una seria contendente per il raggiungimento del quarto posto, seppur con frequenti inciampi (come le due recenti sconfitte in casa contro Torino e Juventus). Il Napoli invece è entrato in una crisi senza fine culminata con l’esonero di Ancelotti, che però non ha risolto granché le cose.
Emergere naturalmente
Smalling sembra avere un talento speciale nel capire in anticipo e assecondare il corso della storia, nel portarla dalla propria parte in maniera naturale senza l’ambizione di volerla cambiare con la pura forza di volontà, come molte narrazioni del calcio contemporaneo sembrano volerci raccontare.
Il difensore inglese ha raccontato al sito della Roma il momento in cui è stato escluso dalle giovanili del Millwall perché la madre non aveva la patente e non poteva permettersi di pagargli i biglietti dell’autobus per andare agli allenamenti con regolarità: «Sono stato escluso perché stavo crescendo troppo lentamente. L’ho vissuta come un’opportunità sprecata, ma poi sono andato a giocare in una squadra locale e ho solo pensato a divertirmi giocando a calcio».
Dopo essere stato escluso dal Millwall, Smalling è andato a giocare per il Maidstone United, una squadra semi-dilettantistica del Kent, che allora giocava in Non-League Football, il campionato inglese che raccoglie le squadre al di fuori della piramide professionistica. È il momento che avrebbe potuto mettere fine prematuramente alla sua carriera professionistica, ma Smalling lo ricorda senza alcun senso di rivalsa. Anzi, sembra quasi che stesse serenamente accettando l’idea di avere una vita fuori dal calcio. «Stavo andando avanti con gli studi e già pensavo all’Università», dice Smalling «In termini calcistici, a me andava bene allenarmi due o tre volte alla settimana con una squadra semi-professionistica, vedere poi come stavo, quanto mi divertivo e che impegno mi avrebbe richiesto. Tuttavia, ero molto più concentrato sui libri di scuola».
«Quando giocavo nel Maidstone e nella Nazionale Scolastica [la Nazionale inglese dei giocatori non professionisti, ndr] pensavo più a quale Università e quale corso di studi avrei frequentato. Pensavo perlopiù a far bene a scuola e, dopo gli esami finali, sono stato chiamato per due provini».
Le due squadre che si fanno avanti sono il Fulham e il Middlesbrough, e sono allenate da quelli che di lì a poco diventeranno i successivi due CT dell’Inghilterra, e cioè Roy Hodgson e Gareth Southgate (se si esclude il breve interregno di Allardyce; siamo nel 2008). Smalling sembra dare la sua parola al Middlesbrough, ma poi alla fine viene convinto da Hodgson a firmare per il Fulham, forse anche perché affascinato dall’incredibile coincidenza che anche lui da giovane fosse stato per un periodo un giocatore del Maidstone United. «Non lo ha nemmeno menzionato quando abbiamo parlato», ha detto Smalling al Guardian ricordando quel momento «è stato abbastanza surreale, non conoscevo molte altre persone che avevano giocato per il Maidstone».
Dopo essere stato tesserato dal Fulham, la carriera da professionista di Smalling è entrata in un ascensore che lo ha portato nell’élite del calcio mondiale in maniera incredibilmente veloce, passando per poche e significative tappe: il passaggio al Manchester United nel gennaio del 2010, dopo appena tre partite da titolare con il Fulham (lo United deciderà comunque di lasciarlo a Londra fino al termine della stagione); la titolarità nella seconda parte della sua seconda stagione a Craven Cottage (una stagione culminata con una finale di Europa League, persa ai supplementari con l’Atletico Madrid, in cui però Smalling non era presente); il primo titolo vinto con Ferguson nel 2011. In tre anni Smalling è passato da non essere un professionista a diventare il centrale titolare della squadra più forte d’Inghilterra, come se nulla fosse.
Smalling è entrato nel calcio ad altissimi livelli senza sforzo apparente, e ci è rimasto senza mai apparire davvero inadeguato, come se fosse nella sua natura giocare a calcio a quel livello. E di fatto, da quando è entrato nell’undici titolare del Manchester United non ci è più uscito, salvo per infortuni o altre indisponibilità, giocando con continuità con alcuni degli allenatori più esigenti del calcio contemporaneo, come Ferguson, Van Gaal e Mourinho. La presenza in campo di Smalling con la maglia del Manchester United è in qualche modo diventata un dato di fatto senza che nessuno se ne accorgesse, infilandosi nella realtà dei “Red Devils” come un palazzo entra a far parte di un panorama. E questo per otto anni di fila, calcisticamente un’eternità: il suo primo compagno di difesa è stato Nemanja Vidic, l’ultimo Phil Jones.
Quest’estate Smalling ha dimostrato ancora una volta di capire la storia in anticipo. Il Manchester United ha deciso di spendere 90 milioni di euro per Maguire, dimostrando in maniera molto chiara di non voler puntare su di lui in difesa, e Smalling ha quindi preferito assecondare il corso della storia anziché opporsi, come ha sempre fatto. Andandosene così com’era arrivato, senza che nessuno se ne curasse troppo.
Smalling gioca come vive
Se ho citato brevemente la storia di Smalling è perché è in grande assonanza con il suo modo di giocare, rispettando a pieno la massima per cui si gioca come si vive. Il suo gioco è espressione di un minimalismo estremo in cui l’importanza delle letture e del posizionamento è tale che a volte ci si accorge della sua presenza solo quando sbaglia clamorosamente. Il gioco difensivo di Fonseca, in questo senso, è un ottimo prisma attraverso cui vedere le sue qualità, anche perché senza quest’ultime la Roma probabilmente non potrebbe difendere in maniera così ambiziosa - e questo lo si è visto a occhio nudo anche nelle prime giornate, quando la Roma, senza di lui, sembrava sempre in balia degli avversari.
Il tecnico portoghese chiede alla sua squadra di difendere con un 4-4-2 molto alto e compatto sul campo che ha l’obiettivo sia di proteggere il centro che di comprimere il più possibile lo spazio tra le linee. Difensivamente, il riferimento è sempre la palla: si scala aggressivamente in avanti solo quando quest’ultima viene mandata dagli avversari verso le corsie esterne, mentre quando rimane al centro la Roma avanza in maniera più lenta e graduale (a meno che non ci sia un retropassaggio verso il portiere), mantenendo la struttura posizionale originaria. L’obiettivo di questo atteggiamento difensivo è di costringere l’avversario a lanciare lungo o ad andare sugli esterni, dove il recupero palla è facilitato naturalmente dalla linea del fallo laterale; togliergli pian piano lo spazio e facilitare quindi il recupero del pallone nel caso in cui tentasse una ricezione tra le linee.
Per i difensori è un esercizio di concentrazione estrema perché le variabili da tenere sotto controllo sono moltiplicate: quando i centrali avversari sono in possesso, bisogna tenere altissima la linea del fuorigioco e contemporaneamente tenere d’occhio gli uomini tra le linee, e scattare in avanti in caso di ricezione, oppure capire fino a quando assorbire i movimenti in profondità degli attaccanti; quando invece la palla va sugli esterni non bisogna sbagliare le scalate orizzontali, e contemporaneamente trovare il giusto equilibrio tra l’altezza della linea del fuorigioco e la copertura della profondità. Fonseca chiede una compattezza estrema sia orizzontalmente che verticalmente, oltre a un baricentro molto alto, e per ottenere questo l’intera squadra deve essere molto attenta sia alla difesa dell’ampiezza che a quella della profondità. E se tutto questo per lunghi tratti è passato inosservato, se vi è sembrato naturale difendere così, come una sorta d’esercizio difensivo passivo è principalmente per le grandi qualità difensive di Smalling.
Questo è un esempio di un’azione nella partita contro l’Inter - probabilmente la sua migliore fino ad adesso in Italia - finita nel dimenticatoio anche grazie al grande lavoro del difensore inglese. La Roma rimane alta, con la difesa fino alla trequarti, nonostante Skriniar abbia superato con il pallone la linea del centrocampo. Smalling tiene la linea guardando il pallone, ma contemporaneamente deve stare attento a Lukaku, che accenna un taglio in profondità a uscire.
Skriniar, invece di andare lungo, però, decide di cambiare gioco verso Candreva, costringendo la linea della Roma a una veloce scalata orizzontale verso destra. Smalling velocemente riposiziona il corpo e va a marcare Vecino, che prima era stato preso in consegna da Kolarov. La squadra di Fonseca è ancora relativamente alta sul campo, appena fuori dall’area di rigore, ma il centrale inglese non ha nemmeno il tempo di pensare al fuorigioco che sta già scappando in profondità per assorbire il taglio del centrocampista uruguaiano.
Smalling chiude Vecino fino alla linea del fallo laterale, togliendogli ogni possibilità di giocata a parte un banale retropassaggio indietro a Candreva, che, isolato sull’esterno e chiuso da Kolarov, spegnerà definitivamente l’azione mandando il cross tra le braccia di Pau Lopez.
È un’azione che sembra rientrare nell’ordinaria amministrazione, ma che in realtà nasconde quanto la Roma faccia dipendere la propria solidità difensiva sulla concentrazione del suo miglior difensore. E questo lo si può dimostrare anche in negativo, nelle rare volte in cui una sua sbavatura o un avversario all’altezza mette in mostra tutta l’ambizione del sistema difensivo di Fonseca.
In quest’altra azione, sempre presa dalla stessa partita, l’Inter va direttamente in verticale sulle sue due punte per cercare di bypassare il tentativo di pressing alto della Roma. Skriniar lancia lungo per la testa di Lautaro, che spizza il pallone su Lukaku, che è già braccato alle spalle da Smalling. Il difensore inglese è di fatto l’ultimo uomo giallorosso, ed è a due passi dal dischetto del centrocampo.
In questo caso, però, Lukaku riesce a difendere il pallone con il corpo e a girarlo verso Vecino, prima di scappare subito in profondità, verso la porta di Pau Lopez. Invece di ripiegare e coprire il movimento in profondità di Lukaku, Smalling decide di continuare la scalata in avanti, andando verso il pallone, ma è ovviamente in ritardo. Il centrocampista ha quindi tutto il tempo per servire il compagno in profondità, lasciato libero dall’uscita di Smalling, e servirà una diagonale miracolosa di Spinazzola per salvare un gol praticamente fatto.
Oltre all’ambizione tattica di Fonseca, sulle spalle di Smalling grava anche la forma fisica sempre più altalenante di Kolarov, che a volte costringe il difensore centrale a coprire una porzione di campo che è praticamente la metà esatta del fronte difensivo in orizzontale.
Nell’ultima partita contro la Juventus, su questo lancio di Douglas Costa, coperto pigramente proprio dal terzino serbo, Smalling deve addirittura gestire un due contro uno in fascia, riuscendo a chiudere la progressione di Cuadrado in progressione con un tackle in scivolata dal tempismo perfetto che finisce per far annodare le gambe dei due in qualcosa che assomiglia a una presa di judo. Proprio come un judoka, Smalling sa usare il corpo in maniera magistrale per manipolare le intenzioni dell’avversario e per ritagliarsi lo spazio d’intervento negli uno contro uno, fondamentale nel quale il suo talento difensivo risplende di maggiore luce. Dei 16 contrasti tentati in Serie A, solo due hanno visto il difensore inglese uscire sconfitto, e nessun altro giocatore della Roma ha vinto più intercetti e duelli aerei di lui.
Anche per la gestione estremamente sicura e conservativa del possesso, Smalling sembra insomma un difensore venuto da un’altra epoca, in cui la costruzione dal basso non aveva ancora l’importanza che ha oggi e dietro bisognava pensare quasi esclusivamente a recuperare il pallone. Che anche un allenatore così moderno e proattivo come Fonseca lo abbia posto alle fondamenta della solidità della propria squadra, è indicativo non solo dell’identità ibrida del tecnico portoghese ma anche di quanto paghi avercelo in campo, nonostante tutto.