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L’equilibrio spezzato tra i giocatori NBA e i tifosi
01 giu 2021
I quattro episodi di abusi nei confronti dei giocatori in una settimana aprono una serie di questioni irrisolte per la NBA.
(articolo)
8 min
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La narrazione un po’ sbrigativa del mondo sportivo statunitense, almeno tra i professionisti, vuole che il pubblico si presenti sugli spalti delle arene “per assistere a uno spettacolo più che per tifare”. Per carità, c’è sicuramente un tipo di partecipazione all’evento diversa rispetto a quella a cui siamo abituati qui in Europa, ma come tutti gli stereotipi si rischia di perdere di vista anche altri aspetti del mondo sportivo USA — tornati prepotentemente alla ribalta nell’ultima settimana di playoff NBA.

Il primo episodio è avvenuto a Philadelphia, quando un tifoso dei Sixers ha svuotato un pacchetto di popcorn dall’alto su Russell Westbrook mentre stava uscendo dal campo imboccando il tunnel degli spogliatoi. La stessa sera a New York un tifoso dei Knicks a bordo campo ha sputato addosso a Trae Young. Dopodiché a Salt Lake City tre tifosi hanno riempito di insulti razzisti e sessisti i genitori di Ja Morant. Ed a Boston un tifoso dei Celtics ha lanciato una bottiglietta d’acqua a Kyrie Irving mentre usciva dal campo, mancandolo di poco. Infine a Washington un invasore di campo è arrivato a toccare il tabellone prima di essere placcato in bello stile da un addetto alla sicurezza. Il tutto dopo un periodo in cui il calcio europeo guardava con invidia quanto accadeva negli USA, preso anche per il tipo di atteggiamento avuto nei confronti dei protagonisti in campo.

https://twitter.com/ShamsCharania/status/1399359742451978242

Tutti i protagonisti di questi episodi sono stati immediatamente allontanati (quello di Boston addirittura arrestato), i loro abbonamenti sono stati revocati e sono stati banditi dall’arena — anche per gli eventi non cestistici — per il resto della loro vita. In tutti i casi sono state proprio le squadre e i responsabili delle arene a scusarsi per quanto successo con i diretti interessati. Il ritorno nelle arene dei tifosi, atteso per un anno e mezzo dopo la pandemia e accolto con gioia in primis dai giocatori, è cominciato con il piede sbagliatissimo, e questo apre una serie di riflessioni da dover fare.

Non il solito “pubblico caldo”

Da un certo punto di vista, la tentazione di minimizzare quanto successo, di derubricarla a “solo” una serie di casi isolati di una sparuta minoranza (d’altronde stiamo parlando di sei persone a fronte di migliaia di altri tifosi che si sono comportati bene), può essere forte. «Sfortunatamente un seme marcio non significa che l’intero frutto sia velenoso» ha detto Marcus Smart dei Boston Celtics, sottolineando come gli altri tifosi siano stati grandi e che «abbiamo solo avuto una testa di… che ha fatto una cosa da testa di… ed è stato immediatamente gestito, cosa di cui siamo felici». Lo stesso Ja Morant, parlando di quanto accaduto ai suoi genitori, ha sottolineato come con altri tifosi seduti attorno a loro le interazioni fossero state accese per via delle partita ma divertite, arrivando anche a comprarsi da bere a vicenda.

Dall’altra però è anche vero che cinque episodi uno in fila all’altro rappresentano una grossa deviazione rispetto alla normalità, nonché un danno di immagine non indifferente per la NBA. Tutti sanno che durante i playoff l’atmosfera si scalda — a New York i cori contro Trae Young sono cominciati prima ancora che si alzasse la contesa di gara-1 e sono proseguiti copiosi ogni volta che toccava palla —, ma in questa prima settimana si è andati decisamente oltre. E per quanto l’atmosfera ostile faccia parte della narrazione sportiva NBA da sempre (basti pensare a Reggie Miller contro Spike Lee negli anni ’90 o a quanto vengano magnificati i “palazzetti caldi” del passato), non si era mai arrivati a questi livelli e a questa frequenza. Allora perché sta accadendo proprio adesso? Kevin Durant ha dato una sua interpretazione: «I tifosi a un certo punto devono crescere. So che rimanere a casa per un anno e mezzo con la pandemia ha portato molta gente al limite e allo stress, ma quando vieni a queste partite devi capire che queste persone sono esseri umani. Non siamo animali, questo non è il circo».

Il paragone con gli animali è stato utilizzato spesso dai giocatori in questi giorni per descrivere il modo in cui si sentono trattati quando scendono in campo e vengono presi di mira dai tifosi, e non aiuta il fatto che tutte le vittime dei comportamenti dei tifosi (in maggioranza bianchi) siano afroamericani — in un momento storico in cui la tensione razziale, per quanto non alla ribalta come lo scorso anno, non si è per niente risolta negli Stati Uniti (se mai lo è stata). Durant aggiunge anche il fattore “pandemia” all’equazione, che può sicuramente avere un suo peso: il mondo di oggi è molto diverso rispetto a quello che avevamo lasciato 15 mesi fa, molte persone hanno perso il lavoro (anche se difficilmente una persona non benestante può permettersi un biglietto di una partita di playoff NBA) e gli effetti sulla salute mentale provocati dalla pandemia — oltre alle quasi 600.000 persone negli USA che hanno perso la vita a causa del Covid-19 — sono ancora tutti da analizzare e osservare, e potrebbero volerci anni.

Il peso della pandemia sul pubblico di oggi

Secondo quanto scritto dal Washington Post, anche i resoconti dei primi anni ’20 dopo i 50 milioni di morti per via dell’influenza spagnola parlano di un periodo successivo alla pandemia di grande violenza e xenofobia negli Stati Uniti, come se la crisi economica e sociale e l’isolamento abbiano avuto l’effetto di esacerbare i sentimenti delle persone (che, almeno in epoca odierna, erano già da tempo sempre più polarizzati prima ancora dell’arrivo della pandemia). Se si aggiunge il moltiplicatore dovuto al mondo comunicativo contemporaneo, in cui ogni evento viene registrato e dato in pasto ai social media nel giro di pochi secondi, e si considera anche come il comportamento sui social stia diventando sempre più violento verbalmente nei confronti dei protagonisti in campo (basti pensare alle battaglie della Premier League in questo senso), con in più una spruzzata di mitomania e di voglia di prendersi quel “quarto d’ora di celebrità” che spetta a tutti, ecco che il cocktail che ne esce fuori diventa esplosivo.

Kyrie Irving prima di gara-3 contro i Celtics, al suo primo ritorno da avversario a Boston con il pubblico sugli spalti, aveva chiesto di tenere la questione “strettamente legata al campo”, facendo esplicito riferimento al “razzismo sottile” che spesso in passato era stato riversato sui giocatori avversari (come ad esempio DeMarcus Cousins nel 2019) proprio a Boston. Parole che avevano provocato la reazione un po’ naïve di Danny Ainge («Mai sentito niente di razzista in 26 anni che sono qui») e quella invece di conferma di Marcus Smart («Sì, ho sentito epitomi razzisti contro gli avversari in passato»), ma soprattutto la replica di Jaylen Brown.

https://twitter.com/NBCSCeltics/status/1398424228999925760

L’equilibrio perso tra giocatori e tifosi

Sicuramente quello che è si è perso è l’equilibrio. Penso che tutti abbiano avuto un po’ di spaesamento davanti alle prime immagini dei tifosi tornati in massa sugli spalti, come se venissero da un mondo che pensavamo non sarebbe mai tornato e invece ora è (per fortuna!) di nuovo la nostra realtà. Poter godere nuovamente della libertà di poter uscire, aggregarsi e socializzare non significa però potersi arrogare ogni libertà che prima ci è stata preclusa pensando che non ci siano conseguenze. Dopo l’episodio di Philadelphia, Russell Westbrook arrabbiatissimo aveva detto: «La mancanza di rispetto e il fatto che i tifosi possano fare il c… che vogliono è fuori controllo. Ci sono certe cose che superano il segno. Se uno venisse da me per strada e mi lanciasse dei popcorn in testa, sapete che cosa succederebbe. Ci sono stati tanti episodi in passato con i tifosi a cui è permesso di dire quello che vogliono, si sentono intoccabili. Arrivare a gettarmi addosso del cibo è una str… Ovviamente ho imparato a guardare dall’altra parte, ma solo fino a un certo punto. Non si può farlo per sempre».

Già solo il fatto che Westbrook abbia dovuto “imparare a guardare dall’altra parte” ci dice che qualcosa è andato storto in tutto il percorso, e ora sta alla NBA fare in modo che questi incidenti vengano presto fatti passare in secondo piano — specialmente ora che la stagione sta arrivando al suo momento culmine. Come detto dal commissioner Adam Silver in epoca di pandemia, i botteghini rappresentano il 40% degli introiti totali della lega, perciò la presenza dei tifosi sugli spalti è assolutamente imprescindibile per la sostenibilità economica dell’associazione, ma non può essere accompagnata da un aumento così sensibile di episodi contro i protagonisti in campo.

https://twitter.com/NBAPR/status/1397944294678450177

«Il ritorno dei tifosi nelle arene ha portato grande entusiasmo ed energia ai playoff, ma è cruciale che tutti mostrino rispetto per i giocatori, arbitri e gli altri tifosi» ha scritto la lega in un comunicato, sottolineando come un codice di condotta per i tifosi verrà fatto rispettare con maggiore vigore per assicurare la sicurezza per tutte le persone coinvolte.

Di sicuro è una questione delicata da gestire in un periodo storico in cui il rapporto tra la lega e i suoi giocatori è fondamentale per far progredire il gioco a seguito della crisi economica dovuta alla pandemia. La NBA non può permettersi di diventare la lega in cui i tifosi (bianchi) possono dire e fare quello che vogliono ai giocatori (neri), e con ogni probabilità dovrebbe pensare anche a qualche sanzione più pesante nei confronti dei tifosi che non siano la semplice inibizione a entrare nelle arene, visto che fino a questo momento non li hanno fermati dal comportarsi in questa maniera.

https://twitter.com/Money23Green/status/1397970755573325828

La domanda di Green centra il punto, e fa eco a quanto scritto anche qualche giorno prima da LeBron James: cosa sarebbe successo se fosse accaduto il contrario? E no: Kyrie Irving che calpesta il logo dei Celtics a centrocampo non è la stessa cosa che rischiare di essere colpito da una bottiglietta in testa.

L’uscita dalla bolla di Orlando e il ritorno alla vita reale è stato difficile per tutti i protagonisti della NBA, arrivati stremati al termine di una regular season che è stata contemporaneamente sia lunghissima che cortissima. Ora il ritorno dei tifosi in massa sugli spalti apre un nuovo capitolo del lungo percorso alla ricerca di una nuova normalità che sembra sempre più complicata da ritrovare.

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