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Classico Cantona
30 ago 2019
5 spunti dal discorso di Cantona.
(articolo)
12 min
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(ON)

1. Eric Cantona non è impazzito

O meglio, di certo non è salito sul palco allestito dalla UEFA a Monaco, per ricevere un premio alla carriera durante l’istituzionale sorteggio dei gironi della Champions League, edizione 2019/’20, senza sapere quello che avrebbe detto e come sarebbe stato preso. Il che significa che Eric Cantona sapeva che non sarebbe stato preso sul serio, anche se tra le cose che ha detto alcune sono molto serie (per questo, secondo me, sbaglia chi dice che Cantona si è costruito una figura “profetica”).

Il discorso (che provo a interpretare al punto 5) è in perfetto stile Cantona, una sintesi del suo umorismo surreale, della sua autoironia, ma anche del suo desiderio di comunicare in modo autentico e sempre provocatorio. Di tagliare corto con le stronzate, le frasi fatte, le convenzioni. Forse lui parlerebbe di artisticità, in ogni caso si tratta del compromesso tra quell’intensità che Cantona aveva a 20 anni e la necessità di crescere, di comportarsi da uomo maturo a 53 anni. In questo senso è paradossale che qualcuno possa pensare che si sia già rincoglionito.

Per capire questo discorso bisogna fare uno sforzo in più, bisogna provare a capire Cantona. Questa è la prima chiave con cui interpretare il video: Eric Cantona ha detto qualcosa che non può essere decontestualizzato, che non potrebbe uscire dalla bocca di nessun altro se non di Eric Cantona stesso. È anzitutto una rivendicazione della propria personalità, della propria unicità.

È un messaggio fin troppo coerente con la sua vita e con le sue dichiarazioni passate. Dopo aver segnato all’esordio con la Nazionale maggiore, a Berlino contro la Germania, Cantona ha rilasciato un’intervista all’Equipe direttamente in aereo, anche se forse sarebbe meglio dire che ha lasciato che un giornalista gli facesse delle domande e lo ascoltasse parlare a ruota libera. A un certo punto Cantona dice: «Il calcio conta troppo poco nella mia vita perché mi prostituisca». Era il 1987, Cantona aveva 21 anni.

Ecco: la dichiarazione di giovedì sera è la dichiarazione di un uomo di 53 che a 21 diceva che non voleva che il calcio lo prostituisse. Adesso, Cantona si è reso ridicolo e non c’è sito o giornale che oggi non abbia definito il suo discorso “criptico”, “strano”, “allucinato”. Siete liberissimi di liquidarlo come non-sense, ma io penso che sia interessante tenere conto che tra le intenzioni di Cantona ci fosse quella di far fare a Messi e Ronaldo, con tutto quello che rappresentano, la faccia da scemi (che è la faccia che hanno fatto).

La reazione del pubblico è una parte integrante di ogni performance artistica.

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2. Altri video per provare a capire Eric Cantona

Qualche anno fa ho scritto un libro su Cantona (ovviamente alcune cose di cui parlo qui erano citate anche lì) e per l’occasione oltre ad aver letto moltissime dichiarazioni come quella citata dell’87 ho guardato moltissimi video in cui Cantona era strano, incomprensibile, o forse semplicemente se stesso. Ed è vero che c’è stato un periodo in cui Cantona voleva assolutamente essere preso sul serio, ma paradossalmente più Cantona pensava che essendo sincero e trasparente sarebbe stato compreso meno è stato capito.

Nel 1995, ad esempio, Cantona ha incontrato Diego Armando Maradona che in quel periodo parlava di istituire un sindacato di calciatori.

Cantona fuori dal campo era già una versione più buffa del re che dava l’impressione di camminare un metro più in alto dei propri colleghi, con una scoppola bordeaux gigantesca e un doppiopetto al tempo stesso troppo elegante (soprattutto rispetto al maglione psichedelico di Maradona) e rustico. Cantona mastica la gomma e dice di essere pronto a mettersi in gioco “purché ci sia tu a gestire tutti quanti, perché ho grande rispetto e mi fido molto di te”, che fa ridere perché penso che quella sia una delle pochissime volte che si sono visti, forse la prima in assoluto.

Ovviamente del sindacato non se ne sarebbe fatto niente, ma qualcosa mi dice che non è stata colpa di Cantona, che tra i due il più serio sul farlo era lui, anche se in teoria era Maradona che gli stava chiedendo aiuto per un progetto suo.

Nel 2010 ha circolato per un po’ un video in cui Cantona si scagliava contro il potere delle banche e arrivava a ipotizzare che se tutti i cittadini, simultaneamente, avessero ritirato i loro risparmi, il sistema sarebbe crollato. Oggi sappiamo che sono frasi ingenue se non da complottisti un po’ sempliciotti, ma alla base c’era una sensibilità autentica. Quella gli fa dire, con aria assolutamente infelice, che non si può essere felici “vedendo la miseria che ci circonda”. In quel caso si scomodò persino l’allora il Ministra francese dell’Economia, Lagarde, per dire che era finito in territori non di sua competenza, ma la cosa finì con un nulla di fatto: Cantona scelse un giorno per il ritiro e si diresse in banca, ma in realtà si limitò a una cifra simbolica.

Sempre in quegli anni Cantona ha partecipato a un libro fotografico per scopi benefici e il giorno della presentazione ha rilasciato un’altra dichiarazione piuttosto sentita e, in questo caso, per niente assurda: «Cos’è l’identità nazionale? Parlare francese, cantare la Marsigliese, leggere La Lettera di Guy Moquet? Questo è essere stupidi. Per me essere francese significa essere rivoluzionario».

Poi c’è il video del 1995, che ieri sera è venuto in mente a chiunque conosca un minimo la storia di Cantona, quello in cui parla di gabbiani e pescherecci. Anche in questo caso però per capire Cantona bisogna tenere conto del contesto e del suo desiderio di distinguersi, di non stare al gioco dei media. Quella era la sua prima dichiarazione pubblica dopo aver colpito con un calcio volante un tifoso che lo insultava (tale Matthew Simmons, che poi si scoprì essere un razzista che aveva anche rapinato una pompa di benzina, picchiando l’impiegato dello Sri Lanka con un bastone).

Cantona si è seduto davanti a un plotone di macchine fotografiche e nessuno aspetta che venga dato un ordine per premere il grilletto. “Quando i gabbiani seguono il peschereccio”, dice, “È perché sanno che verranno gettate in mare delle sardine”. Nel mio libro ho espresso le mie perplessità riguardo la spontaneità della frase, che Cantona ha detto di aver improvvisato, perché la metafora tra i media che si nutrono di rifiuti e i gabbiani che inseguono i pescherecci è semplicemente troppo esatta.

Anche in quel caso, però, lo scopo di Cantona era principalmente quello di provocare un mondo che sentiva ostile, che non lo avrebbe mai capito. Lo scopo era fargli chiedere: “E questo che significa?”.

Ma il gusto di Cantona per le metafore, per i collegamenti lontani, spesso con il mondo delle arti visive o con la letteratura, viene da lontano. In un video di quando aveva vent’anni e giocava nell’Auxerre apre la porta di casa alle telecamere e si fa filmare mentre dipinge, mentre fa yoga e mentre legge una poesia alla moglie. Il tema della poesia è tipico di Cantona: “In questo mondo dove la gente tace / se per disgrazia la ragione è in pace / che il grido dei disperati si faccia sentire / anche se nessuno li potrà capire / non c’è follia / non ci sono limiti alla follia del tempo / quando la felicità ci coglie di sorpresa”.

Qualche anno dopo, per offendere davanti a una telecamera l’allenatore della Nazionale, cita Mickey Rourke: «Ho letto che Mickey Rourke, uno che mi piace molto, dice che a occuparsi degli Oscar sono dei pezzi di merda. Ecco, credo che Henri Michel non ci vada molto lontano».




3. Qualcuno però lo ha capito

Una sintesi positiva si è avuta nel 2012, quando ARTE lo ha coinvolto nella miniserie di documentari Les Rebelles du Foot. Cantona ha presentato con brevi monologhi le vite di alcuni calciatori che hanno provato a spendere la loro fama in tematiche sociali e politiche (Didier Drogba, Pedrag Pasic, Carlos Caszely, Socrates). Quando in quel contesto dice: «Essere un idolo non impedisce di guardare la realtà in faccia», ha tutto un altro suono.

Nel 2009 poi lo hanno capito bene Ken Loach e il suo sceneggiatore, Paul Laverty. Quest’ultimo, in un’intervista al Guardian ha detto che c’erano due condizioni affinché fosse possibile lavorare insieme a Cantona in Looking for Eric: la prima che provasse qualcosa per il protagonista del film (un postino depresso) e la seconda che «Fosse disposto a prendersi in giro».

Senza però rinunciare alle proprie responsabilità. In Looking for Eric non è celebrato lo sport come ispirazione per le persone comuni, ma semmai come una metafora incarnata di quella solidarietà che può servire da via di uscita all’oppressione sociale (Ken Loach è un regista politico). Il postino protagonista del film deve trovare il coraggio di parlare all’ex moglie e al tempo stesso tirare fuori il figlioccio dalla sfera di influenza di uno spacciatore, e a un certo punto inizia ad avere le visioni, vede Cantona che gli parla per parabole. La soluzione pratica, però, reale, della vicenda, è cercare il sostegno e la comprensione degli amici e colleghi che gli sono vicino in carne e ossa (la solidarietà è prima di tutto di classe).

Forse nasce proprio qui il personaggio profetico di Cantona ma, come detto, quel personaggio era una presa in giro del potere che i calciatori finiscono per avere sui tifosi. Nello sport c’è anche la solidarietà e gli sportivi comunicano, o dovrebbero comunicare, un messaggio di questo tipo.

Poi ognuno prende quello gli pare dai film o dalle dichiarazioni assurde di Cantona. Zlatan Ibrahimovic, ad esempio, sembra aver preso alla lettera la parte spaccona di Cantona, e recita quelle stesse battute del film di Loach («I am not a man, I am Cantona») senza nessuna autoironia. Il resto dei calciatori invece sembra dare molto importanza al proprio potere motivazionale. Comunicando continuamente, direttamente via social, quanto sia importante combattere e lottare, lavorare sodo anche di domenica, se poi dietro c’è un brand da pubblicizzare, meglio.

E la solidarietà? Quella se la ricordano in pochi (soprattutto quando c’è da pagare le tasse).


4. Cantona ha scritto un libro pieno di battute assurde, strane e allucinate

Il libro si chiama Mon Carnet ed è fatto di scarabocchi derisori. Tipo un uomo con un braccio dietro la schiena, con la scritta “Niente da nascondere, mi prude il culo”.

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Oppure un uomo in piedi su una linea retta che dal testo si capisce essere un mare, con sotto due uomini in orizzontale. La battuta è: “Ho saputo camminare sulle acque”, e io la leggo come una provocazione a chi calpesta le altre persone e poi dice di fare miracoli.

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Certo, Cantona è anche miliardario, ha prestato il suo volto e la sua autoironia praticamente a qualsiasi prodotto vi venga in mente (persino alla Pepsi e ai rasoi Bic), ma ci tiene a ricordarci che è sempre il cazzone che era a vent’anni. E mi sembra un messaggio comunque migliore di: «Non avere dubbi in mente, né forfora in testa».


5. Che voleva dire

Anche se Cantona non voleva dire qualcosa di unico e chiaro, nel discorsetto di ieri sera ci sono cose interessanti. Tutti hanno notato la citazione citazione del Re Lear: «As flies to wanton boys are we to the gods; They kill us for their sport». Che tradotto diventa: “Siamo per gli Dei come mosche per i monelli; ci uccidono per il loro spasso”, perdendo il doppio senso della parola “sport”. Ma il punto è: se Cantona parla in quanto calciatore, e in quanto uomo, gli Dei di Shakespeare chi sono? (Non è mia intenzione interpret

Mi viene in mente che anni fa in una trasmissione francese è stata l’attrice Rachida Brakni, moglie di Cantona, a citare un poemetto di Shakespeare per descriverlo: «L’uomo ha un’anima di marmo e la donna un’anima di cera che prende le forme che il marmo le chiede. Ecco, Eric ha un’anima di marmo e un ’anima di cera. È un uomo, è virile, è un animale ferito che può tirare fuori le unghie, ma è anche un bambino, qualcuno di vulnerabile che... ed ecco, credo che le persone che lo amano, i tifosi, sentono questa forte opposizione».

Questo per ribadire che l’arte e la letteratura fanno parte del mondo di Cantona, che quando cita Shakespeare non è come se Cassano all’improvviso citasse Virgilio. Io ho avuto la fortuna di vederlo in persona alla fiera internazionale dell’arte di Parigi, FIAC, camminare tronfio con un bastone da passeggio in mezzo a galleristi e artisti. O il bastone l’ho inventato io nei miei ricordi, un’aggiunta materiale a un portamento regale su cui, questo no, non posso sbagliarmi neanche a distanza di anni? Poco importa: se c’è un calciatore che può citare Shakespeare è proprio Cantona. E se oggi prendiamo per il culo Cantona, dopo aver preso sul serio, giusto l'altro ieri, Cassano seduto come un giullare nella corte di una trasmissione tv, forse il problema è nostro.

Ad ogni modo, Cantona continua: «Presto la scienza non sarà solo capace di rallentare l’invecchiamento delle cellule, presto la scienza sarà capace di fermarlo. Quindi diventeremo eterni». Una frase provocatoria in quel contesto (che c'entra, si saranno chiesto qualcuno, prima ancora di chiedersi che cosa volesse dire), che dubito avrebbe detto anche la versione più stupida di Cantona, ma che ha un fondo “non stupido”, per così dire.

Ad esempio, anche andando oltre la teoria di Aubrey de Grey (Cantona lo conosce? Fa come quegli studenti che vanno in fissa con un autore e lo infilano nel tema in classe a tutti i costi?), nella Silicon Valley stanno davvero cercando il modo di raggiungere l’immortalità.

Quella frase gli serve soprattutto per dire quello che viene dopo: «Solo gli incidenti, il crimine, le guerre, ci uccideranno. Ma sfortunatamente il crimine e le guerre si moltiplicheranno».

Anche questo non va preso alla lettera, quanto piuttosto come un modo artistico, da performer appunto, di ricordare che il progresso scientifico, tecnico, ormai non si accompagna più al bene sociale. Che a guadagnarci sono pochi Dei, appunto.

Non voglio dare un'interpretazione troppo stretta di quello che dice Cantona, ma come abbiamo visto è un tema ricorrente in molte sue invettive, quello delle persone comuni vittime del potere, e degli sportivi che non dovrebbero chiudere gli occhi su quello che li circonda. Potrà essere banale e ingenuo, consolatorio quanto volete, ma la sensibilità di Cantona è questa.

Insomma una sua coerenza il discorso ce l’ha e non è difficilissimo vederlo. Ha anche una sua ironia manifesta, grazie alla chiosa finale «Amo il calcio» che mi pare una sfacciata presa per il culo di quei calciatori che non fanno altro che parlare di quanto sia bello essere calciatori, che sono parte di quello stesso mondo che lo sta premiando, cioè. Un mondo di gente in completo lucido di fronte a cui si è presentato con il basco e una camicia di lino rossa stropicciata.

Insomma, tipico Cantona.




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