
È da più di un decennio che le partite degli Charlotte Hornets non offrono grandi spunti d’interesse. Da quando non si chiamano più Bobcats, cioè da undici anni, la squadra ha raggiunto i playoff una sola volta, nel 2016, quando fu eliminata al primo turno; e da allora, ha ottenuto una serie di piazzamenti tra bassi e bassissimi fondi della Eastern Conference: undicesima, decima, due volte nona e altre due decima (fuori al Play-In), fino al terzultimo posto del 2023 e al penultimo del 2024, da cui non ci si allontanerà nella stagione corrente.
Eppure, facendo zapping su NBA League Pass può capitare di fermarsi per qualche possesso su una partita degli Hornets, e restare sintonizzati fino alla fine. Non sapendo bene perché, senza quasi rendercene conto. D’accordo, LaMelo Ball è sempre divertente da vedere (infortuni permettendo), e c’è chi può appassionarsi al suo processo di crescita, a quello di Brandon Miller e del giovane nucleo allenato da Charles Lee; ma al di là di tutto questo, che evidentemente non basta per farci preferire con regolarità una partita di Charlotte a qualsiasi altra, da cosa siamo calamitati? Se siete tifosi della franchigia (una rarità dalle nostre parti) o irriducibili “League Pass watchers” (eroi contemporanei che sfidano il fuso orario per una dose giornaliera di NBA), sapete già la risposta: la voce di Eric Collins.
Ogni gara allo Spectrum Center è una buona occasione per passare un paio d’ore con il suo commento in sottofondo. E sono in tanti, che ci crediate o meno, a lasciarsi trascinare dal suo trasporto e non cambiare canale, pur in assenza di un reale interesse per quanto stiano combinando gli Hornets sul campo. Le montagne russe su cui ci porta il play-by-play più divertente, coinvolgente e fuori dagli schemi dell’NBA, d’altronde, sono uno spettacolo irresistibile.
In una stagione che sta regalando soddisfazioni col contagocce a “Buzz City” (19 vittorie e 59 sconfitte a oggi), uno dei rari momenti di entusiasmo è stato nel finale della partita di febbraio contro San Antonio. Con otto secondi sul cronometro e sotto di due punti, LaMelo Ball attacca il ferro e trova in angolo Miles Bridges per la tripla del sorpasso; Eric Collins urla come un pazzo, al solito, stava urlando da tutto il quarto periodo, ma aveva ancora fiato per il game winner. Eccome se ne aveva.
Ogni game winner meriterebbe una telecronaca del genere.
«Corner threeeee… Yeeeeees!», è esploso con il solito, contagioso entusiasmo, che sembra in qualche modo portarci tutti dalla sua parte. «Good golly, Miss Molly», ha aggiunto, con la sua classica frase a effetto nel momento di maggior concitazione, un marchio di fabbrica. Che in questo caso è una citazione di Little Richards (sfoggiata in più di un’occasione), ma potrebbero capitarvi metafore improbabili, menù di fast food, giochi di parole, dichiarazioni d’amore, personaggi di film e videogiochi. Di tutto e di più, tanto che qualche anno fa su Sports Illustrated era stato pubblicato un “power ranking” delle sue similitudini più curiose: “duro come il becco di un picchio”, “confuso come una capra su un prato sintetico”, “più rifiuti (stoppate, ndr) che nella facoltà di legge di Harvard”.
Con il suo stile inimitabile e l’atmosfera intima che sa creare, e soprattutto grazie alla scarica di adrenalina che porta in dote anche alla serata più piatta di regular season, Eric Collins è da tempo un innegabile traino per l’audience delle gare degli Hornets. Da questa parte dell’oceano è un nome poco noto, anche se qualche clip sul “commentatore pazzo di Charlotte” è circolata sui social; negli Stati Uniti invece, e soprattutto in North Carolina, la sua popolarità è cresciuta di anno in anno, al netto di un rendimento di squadra non proprio d’aiuto.
A costruirne la reputazione sono soprattutto gli highlights sui social, e non potrebbe essere altrimenti: un video di 13 minuti con i suoi momenti migliori, diciamolo, è quello di cui avremmo bisogno tutti i giorni mentre facciamo colazione. Ma guardare una partita in compagnia di Eric Collins - ed è questa la sensazione: averlo a fianco sul divano - «è davvero più divertente». Lo ha detto Kevin O’Connor in un recente episodio del suo podcast con Tom Haberstroh, che è iniziato così: «Prima di tutto il resto, possiamo parlare di quanto è bravo Eric Collins? Lo amo, è elettrizzante, rende davvero le partite più divertenti».
ESSERE ERIC COLLINS
Eric Collins, 55 anni, è la voce play-by-play dell’emittente locale di Charlotte, FanDuel TV Southeast (ex Bally Sports). Gli utenti NBA League Pass di tutto il mondo sono abituati ad ascoltarlo in streaming grazie all’opzione “home” (o “away”, quando si gioca in trasferta), dove lo trovano insieme all’inseparabile spalla, Dell Curry. Sì, l’ex giocatore NBA (nove stagioni all’attivo da queste parti), il padre di Steph (e Seth, che dalla trade deadline 2024 gioca proprio in maglia Hornets).
Eric Collins è nato in Ohio - a proposito: non è un mistero che tifi Cavs - ed è cresciuto a Chicago, lavorando a stretto contatto con i Bulls, come sideline reporter. Nel 2016, però, si è trasferito a Charlotte per raccogliere un’eredità pesante: il posto di Steve Martin, volto storico per l’organizzazione e per la comunità cestistica locale. È bastato poco, comunque, perché Collins riuscisse a colmare quel vuoto in telecronaca, rendendo le partite degli Hornets il suo show. E da allora, per “Buzz City” è un quotidiano compagno di disavventura - non certo silenzioso, anzi, nonostante una squadra che non gli ha mai regalato una serie playoff (un delitto, a ben pensarci).
Quando la partita vive un momento di pathos, Eric Collins ha sempre pronto il coniglio nel cilindro. E il suo termometro emotivo tende perennemente al torrido, di pari passo con i decibel della sua voce. Che si tratti di un ultimo possesso decisivo o di un parziale nel terzo quarto per tornare sotto la doppia cifra di svantaggi; il tutto, a prescindere dal momento, in partite determinanti solo per qualche frazione decimale di percentuale nella Draft Lottery.
La rumorosa combinazione di due tratti distintivi: la passione per le schiacciate di Miles Bridges e la “chicken salad deluxe”.
Dell Curry ha raccontato quanto fosse strano, all’inizio. «Ricordo che dopo due minuti dall’inizio della prima partita insieme, Eric si alzò dalla sedia per una schiacciata, urlando, e io pensai: ma così non è troppo?». E non era il solo, né il primo a reagire in questo modo, anzi. Lo stesso Collins ha raccontato che al suo debutto assoluto, in una partita di basket liceale a Chicago, “il produttore venne da me e mi disse che il mio commento era stato fantastico, ma che dovevo ricordarmi di accrescere la tensione un po’ alla volta. Io gli risposi di no, che non dovevo”. Ed è proprio questa la filosofia - ogni secondo conta, ogni emozione va trasmessa senza filtri e amplificata finché può apparire spontanea - che l’ha portato su FanDuel TV Southeast, su NBA League Pass e soprattutto nei nostri cuori. E sulle labbra di tanti appassionati del North Carolina, che lo imitano quando giocano al campetto con gli amici, prendendo in prestito le sue iconiche esclamazioni.
ALLA SUA MANIERA
La sua straordinaria capacità di non suonare mai forzato, costruito, lo rende diverso da quasi tutti i telecronisti-tifosi, a qualsiasi latitudine e sport. Il modo in cui dà voce alle emozioni ci sembra sempre così candido e spontaneo, tanto che viene difficile pensare non sia un tifoso Hornets dalla nascita. «Sapevo che il mio posto era lavorare per una singola franchigia», ha raccontato in una recente intervista, «e per farlo avrei accettato qualsiasi squadra». È bello e abbastanza insolito, almeno per noi, sentirne parlare con questa trasparenza: vi immaginate la reazione del pubblico se a dirlo fosse Maurizio Suma (Milan TV), Roberto Scarpini (Inter TV), o chi per loro? «Per me ci sono 30 posti di lavoro in NBA», continua, «e io semplicemente ne volevo uno, non mi importava quale. Se fosse stato con i Grizzlies, con i Jazz, oppure a Brooklyn, a Denver, a Phoenix, sarei andato ovunque. Se avessero creato un’expansion team a Timbuctù, mi sarei candidato anche per quella posizione».
Proprio con premesse del genere, il legame che ha stabilito con la fanbase (prima locale, poi nazionale e globale), e la credibilità che ha sempre mantenuto, sono qualcosa di unico. Che affonda le radici in due semplici presupposti: primo, ed è un dato di fatto, parliamo di un fenomeno del mestiere; e secondo, perché evidentemente quello che sentiamo è il suo vero stile, il modo in cui vive l’evento sportivo e professionale. Ed è qui il segreto della naturalezza con cui va sistematicamente sopra le righe; paradossalmente, ma neanche troppo, suonerebbe più artificioso se gli fosse richiesto di non assecondare ogni vibrazione e flusso di pensieri, in favore di una cronaca più sobria e convenzionale (pur negli standard del commento di parte).
Una storia per ogni occasione.
Sembra che Eric Collins sia semplicemente sé stesso davanti al microfono. Per 48 minuti, ininterrottamente. O per 60 minuti se il contesto è una partita di college football, come capita talvolta, anche se meno frequentemente che in passato. Il suo stile è sempre quello, e funziona, a prescindere dallo sport (compreso il baseball). Tanto per giocate decisive nel clutch time, quanto per un fumble qualsiasi prima dell’intervallo.
Uno di quei momenti di pura adrenalina, in un finale punto-a-punto, in cui il vero “instant classic” è di Eric Collins.
GREATEST HITS
Alcune uscite di Eric Collins stanno raggiungendo lo status istituzionale dei “bang!” di Mike Breen e degli ”yes!” di Marv Albert, pur in una dimensione completamente diversa. Oltre alle già citate «chicken salad deluxe» e «Good Golly, Miss Molly», e oltre ai più tradizionali "yeeeeeees”, “wow”, “oh my goodness” e “are you kidding me?” (in cui comunque è insuperabile), i due trademark più apprezzati sono:
- “Hum-Diddly-Dee”, ormai uno slogan in città: tutto ha origine da una canzone degli anni ‘90 legata a ricordi di gioventù di Eric con i suoi amici, come ha raccontato lui stesso in un vecchio episodio del podcast di Zach Lowe; oggi usa questa espressione per schiacciate, giocate intense in difesa e canestri decisivi nel finale - se tutte queste cose insieme, meglio.
- “How do you do”, altro ritornello, con la stessa musicalità e il solito mood (a squarciagola); per i “League Pass watchers” è la fisiologica colonna sonora dei migliori clutch moments di Miles Bridges - soprattutto quando vola al ferro da un assist di LaMelo, o dopo aver rubato palla.
Se poi capita una giocata del genere, anche se fosse fine secondo quarto, il microfono è in pericolo.
Il mix di incredulità (può toccare apici espressivi esilaranti), disperazione e ammirazione per le giocate degli avversari, poi, è un’altra componente da non sottovalutare. Sarà che con gli Hornets si è dovuto adattare a commentare più imprese altrui che proprie, fatto sta che per conservare un bel ricordo non c’è squadra NBA migliore contro cui mandare a referto un career-high (ricordate i 62 punti di KAT?), un buzzer beater (chiedere a Zach LaVine) o qualsiasi giocata decisiva nel clutch time (ad esempio questa tripla di Evan Mobley).
Il confronto è difficile da reggere per qualunque collega, anche quando la giocata è sfavorevole agli Hornets.
Il suo meglio, comunque, è nei momenti di gioia (“ecstasy!”) dello Spectrum Center. Quando vale tutto, anche urlare “weak!” a un avversario che viene stoppato due volte, “amo i tuoi capelli!” a Kai Jones, “I love Leaky” (Black), “l’apertura alare di un condor” di Mark Williams. Quando Dennis Smith Jr si prende la sua personale rivincita sui Mavs (due volte), e quelle sere in cui “quando piove, diluvia, e io sono fradicio al momento!”, o in cui c’è da soffrire come se fosse una gara 7.
Cos’è successo? *Eric Collins*, ecco cos’è successo.
Questo articolo è per voi, “League Pass watchers”. E per chi non conosceva Eric Collins, benvenuti nel club. In futuro magari vi capiteranno davanti altri reels - anche in primavera, auspicabilmente - sul “cronista degli Hornets che impazzisce”: ora sapete di chi è quella voce. Di Eric Collins, e come direbbero oltreoceano: put some respect on his name.