Il viso di Sergio Reguilon è completamente trasfigurato: gli occhi strabuzzati, le mani sui capelli in disordine, la bocca piegata in un’espressione più di paura che di stupore. Persino il colorito tendente al cianotico ha qualcosa di inquietante. Reguilon non sembra in un momento di gioia: ha appena visto Erik Lamela segnare di rabona nel derby del nord di Londra contro l’Arsenal e per un attimo non è più un compagno di squadra di Lamela, è diventato un semplice tifoso, un appassionato di calcio che ha appena avuto il privilegio di assistere a un gesto tecnico incredibile da pochi centimetri. Dopo il gol lo segue nella corsa mantenendo una rispettosa distanza continuando a tenere le mani sulla testa come fosse un meme, o ad agitare la mano.
Reguilon ha naturalmente rappresentato la nostra reazione al gol di Lamela davanti al televisore, o davanti a un video che ci è arrivato su qualche gruppo whatsapp con la caption “WTF” - se avessimo avuto la cattiva idea di non guardare la partita tra Arsenal e Tottenham.
È il 33’ quando proprio Reguilon riceve un cambio di gioco e mette di prima la palla in area di rigore. Lucas Moura controlla col destro, ma ha due avversari attaccati e nessuna inerzia per tirare, quindi la scarica a Erik Lamela, che però è preso in controtempo. Stava correndo in profondità, mentre lo scarico del compagno è corto e lo costringe a tornare indietro, a quel punto però ha la palla sul destro, il suo piede debole. Sembra francamente una situazione spenta: su Lamela ci sono due giocatori dell’Arsenal e non c’è spazio per far niente. Lamela si avvicina alla palla in modo strano, quasi frontalmente, senza il preavviso di una conclusione; invece avvolge la gamba sinistra dietro la destra e col piede pizzica il pallone con uno schiaffetto leggero che imprime un effetto tipo palla da bowling curvata. Il tiro passa tra le gambe di Thomas Partey e si infila nell’angolo lontano. Un gol di rabona è più raro dell’aurora boreale, ma un gol di rabona a giro e rasoterra è qualcosa di semplicemente mai visto. Quando si calcia con un gesto così controintuitivo di solito la palla viene scavata - spesso per un cross - perché coprire il tiro col collo implica un gesto ancora più estremo a livello biomeccanico. Se avete giocato a calcio a qualsiasi livello e vi piace cazzeggiare nel riscaldamento magari vi sarà capitato di passare la palla rasoterra con la rabona, ma tirare, e tirare a quel livello, è un’altra storia. C’è un’immagine del tiro in cui la sagoma di Lamela sembra imprigionata in una posa plastica da danzatore di Matisse; non sembra sia impegnato in un’attività agonistica.
È uno di quei momenti in cui un’invenzione istintiva coincide con il gesto più efficace e il campo sembra sospeso qualche centimetro da terra in una nuvola di perfezione.
In un calcio perfezionista come quello contemporaneo la rabona sembra un lusso inutile; i suoi migliori interpreti oggi sono i giocatori che spingono la propria creatività a livelli artistici - come Neymar, che arriva a fintare la rabona - o che la coniugano con l’uso esclusivo di un piede - come Angel Di Maria, o appunto Lamela. Se guardiamo le compilation dei migliori gol segnati di rabona, ce ne sono alcuni davvero assurdi, il cui contesto minore però ne relativizza la bellezza. Altri invece hanno un sapore casuale. Diego Perotti segnò con la rabona in Europa League qualche anno fa, con una traiettoria che ha scavalcato il portiere a pallonetto, ma ha poi ammesso di non averlo fatto di proposito, che avrebbe voluto crossare. È interessante però che la maggior parte dei gol segnati di rabona li abbiano segnati i giocatori argentini, i suoi inventori. In un calcio dal vocabolario tecnico ormai globalizzato, in cui i calciatori sviluppano il proprio stile di gioco come mimesi di FIFA, è romantico pensare che esista ancora una cultura argentina del calcio.
Non è il primo gol che Lamela segna di rabona, ma sono passati sette anni dall’ultima volta. Lamela aveva ventidue anni, era arrivato al Tottenham l’anno prima e dopo una stagione di adattamento e infortuni sembrava poter riprendere il suo cammino verso l’élite del calcio mondiale. A novembre, nel contesto dimesso dell’Europa League, in una di quelle partite da over 3,5 contro l’Asteras Tripoli, aveva segnato con una rabona diversa da questa: leziosa, aristocratica, quasi irridente per gli avversari, che stavano già perdendo e dopo mezz’ora speravano solo che la partita finisse. La palla si alza e prende un giro come se avesse calciato di interno sul secondo palo; e anche in quel caso c’è un terzino sinistro, Ben Davies, che si mette le mani nei capelli. Un gol simile a quello provato da Mbappè qualche mese fa.
«Non stavo pensando a cosa fare, volevo solo segnare e quello era il modo più efficace per farlo. È qualcosa che ricorderò per sempre». Lamela aveva definito quello il gol più bello della sua carriera, Jan Vertonghen «Il gol più bello che ho mai visto». Secondo Gary Lineker non c’è confronto: quella del 2014 è più bella di quella segnata all’Arsenal, ma io non sono d’accordo: contro l’Asteras aveva segnato da più lontano, è vero, ma aveva meno pressione, ha avuto più tempo, la traiettoria del tiro è più morbida e comprensibile. In quello segnato ieri Lamela ha organizzato la conclusione in pochi attimi, aveva un vicolo di gambe strettissimo in cui far passare il pallone e la traiettoria del tiro, semplicemente, non dovrebbe essere quella di una rabona. Fredrik Ljungberg ha definito il gol “folle”: «È probabilmente il migliore che ho mai visto. La tecnica, la potenza, la capacità di tenerla bassa - è riuscito a darle persino una piccola curva a rientrare».
Quella contro l’Asteras, poi, aveva un significato diverso; era il gesto di un ragazzo di poco più di vent’anni che continuava a giocare come faceva a Buenos Aires. Lamela all’epoca non aveva troppi problemi a convivere con la pressione mediatica, con le aspettative che lo definivano il più grande talento calcistico argentino sin da quando aveva dodici anni, da quando, cioè, un servizio televisivo lo aveva ripreso mentre palleggiava per le strade di Buenos Aires. Aveva i capelli biondo cenere legati in una coda, diceva di essere nato per giocare a calcio. Dopo quel servizio viene messo sotto contratto dalla Nike e il Barcellona si interessa a lui, che scatta foto con Ronaldinho, firma autografi. Rimane al River e si trasferirà in Europa solo da maggiorenne, alla Roma. Nelle giovanili del River Lamela ha continuato a esprimere un talento cristallino e raffinato. Come racconta questo vecchio pezzo di Fabrizio Gabrielli, Lamela non riflette il mito argentino del pibe del barrio: non ha la faccia sporca né origini umili, ha i lineamenti fini e viene da una famiglia borghese. Eppure il suo modo di giocare riesce a esprimere comunque l’idea del calciatore argentino elegante e sensuale, del tanghero che danza nel caos del prato verde con uno stile nobile simile a quello di Redondo. Lamela tiene la testa alta mentre “pettina” il pallone con la suola e non sembra mai sacrificare l’estetica sull’altare dell’efficacia. La rabona è una sua specialità: un gesto tecnico che prende il nome dal movimento della coda (“rabo”) della mucca quando scaccia le mosche. C’è qualcosa che racconta meglio la creatività linguistica che gli argentini spendono sul calcio? La prima della sua carriera la aveva segnata in un campo senza spalti intorno, quando si annodava una treccina di capelli come Rodrigo Palacio. Un colpo forzato senza naturalezza, arrivato in area di rigore davanti al portiere, come se ci stesse pensando da prima, che avrebbe voluto segnare di rabona.
Oggi Lamela ha 29 anni e il suo gioco ha perso tutta la sua leggerezza. Anche nel ciclo dorato del Tottenham ha rivestito un ruolo minore, restando in disparte nella grande cavalcata in Champions League. Le stagioni da quando è arrivato in Inghilterra, ormai otto anni fa, si sono susseguite senza particolari picchi (tranne forse la terza), intervallati da un numero sterminato di infortuni e problemi personali. Suo fratello è finito sulla sedia a rotelle e dice che questo episodio lo ha aiutato a mettere in prospettiva la sua carriera, a relativizzare i propri infortuni; dice che è a Londra per giocare a calcio, e senza tornerebbe in Argentina. Nel 2017 è morto il suo cane, in un periodo particolarmente duro per lui, e secondo i tabloid non poteva giocare per la depressione seguita all’episodio. Un fatto che ha dovuto smentire con un comunicato, specificando che era a Roma per curare i suoi problemi fisici.
Quando è arrivato, dopo una grande stagione a Roma, era un giocatore da cui aspettarsi magia. Walter Sabatini, l’ex DS della Roma, ha dichiarato che cedere Lamela “lo ha ucciso”, per dire che tipo di giocatore fosse. Oggi ha i lineamenti più tagliati, lo sguardo più profondo; il suo gioco ha preso lentamente la forma dura e veloce della Premier League. Lamela gioca per la squadra, corre molto, è apprezzato per la disciplina e le doti difensive. Mourinho dice che è il tipo di giocatore che "adora", che gli piace "troppo", ma non lo fa giocare mai. Lamela entra dalla panchina, segna poco, ma la purezza del suo talento - custodito in una parte profonda e incancellabile - è ancora capace di togliere la ruggine dai suoi movimenti, e produrre momenti di luce come quello di ieri.
Dopo la rabona, il Tottenham si è lasciato rimontare dall’Arsenal e ha perso la partita. Erik Lamela, dopo una gomitata a Kieran Tierney a metà secondo tempo, è stato espulso per doppia ammonizione. Nonostante questo, stiamo comunque parlando tutti di quella rabona.