Da mesi, ogni volta che le cose volgono al peggio per il Manchester United, si torna a discutere di una frase pronunciata da Erik ten Hag alla fine della scorsa stagione. «In questo momento non siamo nella posizione per competere per il primo o il secondo posto [in Premier League]». Era il 27 aprile, mancava meno di un mese all’unica, non irrilevante, gioia della scorsa stagione (la vittoria della FA Cup in finale contro il Manchester City), il Manchester United si preparava a una partita contro il Burnley con un distacco dal quarto posto che ammontava già a 13 punti. Ma ten Hag stava già pensando a come avrebbe fallito la stagione successiva. Ovviamente era una semplice constatazione logica per chiunque l’avesse visto giocare, il Manchester United. La sua rosa, i suoi recenti movimenti societari, ma anche le sue vicende negli ultimi, terribili dieci anni: una squadra che non può competere per il titolo con squadre come il Manchester City, l’Arsenal e il Liverpool. In bocca a ten Hag, però, quella frase è diventata significativa - quasi una resa all’evidenza per una squadra che non riesce più a sopportare la propria grandezza.
Cristiano Ronaldo l’ha ritirata fuori all’inizio di questa stagione, quando si è iniziato a capire che ancora una volta sarebbe stata terribile. «Se sei l’allenatore del Manchester United non puoi dire che non combatterai per vincere il campionato o la Champions League», ha detto a metà settembre in un’intervista con Rio Ferdinand, che sembrava essere piuttosto d’accordo con lui. Cosa si prova a sentirsi dire da due delle più grandi leggende del club che quello che hai detto solo pochi mesi fa non andava detto? Ovviamente il senso di ciò che aveva dichiarato ten Hag era leggermente diverso (non che non ci proverà, ma che al momento è improbabile che ci riuscirà, a vincere il titolo), ma ciò che intende Cristiano Ronaldo è chiaro: l’allenatore non è il primo uomo che passa, un commentatore come un altro, e ciò che dice non è ininfluente, ha un peso effettivo su ciò che potrebbe essere e quindi su ciò che sarà. Un allenatore, insomma, non è solo un allenatore ma è anche l’immagine vivente del club, la sua prima incarnazione, quella che la stragrande maggioranza delle persone ha davanti agli occhi settimana dopo settimana. Ha il dovere, dice CR7, di guardare oltre il presente, offrire un orizzonte di speranza per chi ascolta le sue parole alla ricerca di rassicurazioni. L’impressione, per lo meno, che dietro le quinte le cose si stiano davvero muovendo per il meglio.
Quando hanno riportato a ten Hag le parole di Cristiano Ronaldo, però, l’immagine di fronte agli occhi di chi segue il Manchester United era quella che era. Un uomo in tuta che si guarda intorno circospetto, come un padre appena sceso nella sala comune dell’hotel a fare colazione. Il sorriso sarcastico, le rughe sulla fronte sempre più profonde, lo smarrimento di chi sembra non capire cosa gli sta succedendo intorno. L’allenatore olandese, per rispondere al commento di Cristiano Ronaldo, ha deciso ancora una volta di prendere la strada della constatazione razionale, quella a cui gli olandesi proprio non riescono a resistere: «Chiunque ha diritto di avere un opinione, vedremo a maggio dove saremo, adesso è troppo presto».
L’immagine che restituisce ten Hag davanti a un microfono è parte del senso di inadeguatezza che molti tifosi dello United percepiscono quando lo sentono parlare. La totale mancanza di ironia, la dura cadenza germanica, l’eloquio pomposo, dovuto a una conoscenza dell’inglese stranamente imperfetta per un olandese. Una durezza ostentata che diventa comica, a tratti ridicola. Le sue dichiarazioni sono spesso così strane che una pagina Instagram si è inventata un quiz per i tifosi che stanno per entrare a Old Trafford: “Chi l’ha detto: Erik ten Hag o gli Oasis?”.
Alla fine della scorsa stagione la prospettiva che l’allenatore olandese potesse rimanere sulla panchina del Manchester United ci sarebbe sembrata implausibile. Anzi, più che implausibile: un disastro. Avevamo fresche queste sue strane risposte, il senso d’impotenza che lasciano quando vengono rilasciate. Il club inglese aveva da poco cambiato la parte sportiva del proprio organigramma societario, la squadra veniva da una stagione conclusa all’ottavo posto dopo un’altra - l’ennesima - sfilza di umiliazioni in campionato. Come si poteva non cambiare allenatore? Il Manchester United forse ci ha provato. Si è parlato di Tuchel, di McKenna, di De Zerbi, a quanto pare persino di Simone Inzaghi. Più si andava avanti, però, e più i rumor non si concretizzavano, e più non si concretizzavano e più l’ipotesi che ten Hag potesse rimanere sulla panchina sembrava non solo più probabile, ma anche più accettabile. Alla fine l’ufficialità è arrivata e ten Hag è sembrato voler cambiare strada con la stessa esaltazione che prende Napoleone quando riesce a scappare dall’isola d’Elba e vede che i soldati francesi lo seguono ancora.
E così da questa estate ten Hag ha continuato a ripetere un mantra: con me alla guida, il Manchester United è il secondo club inglese ad aver vinto di più negli ultimi due anni. Un’altra constatazione razionale, statisticamente vera (se alla FA Cup si aggiunge la Coppa di Lega vinta nella stagione 2022/23), ma che suona ridicola se si pensa a tutte le sue implicazioni, prima fra tutte il fatto che questa frase è vera solo perché è da due anni che il Manchester City vince tutto ciò che si può vincere. Non una squadra qualsiasi: il Manchester City. Eppure ten Hag la ripete, non sappiamo se nel disperato tentativo di richiudere il vaso di Pandora scoperchiato alla fine della scorsa stagione, o come goffa affermazione da maschio alpha in un mondo di maschi alpha. In ogni caso la ripete. La ripete subito dopo aver rinnovato il proprio contratto con lo United, a luglio, davanti alle telecamere del canale ufficiale della società. La ripete in estate, alla vigilia della prima amichevole del club, contro il Trondheim, e poi durante il tour estivo negli Stati Uniti. La ripete a ferragosto, prima dell’esordio in campionato contro il Fulham, pochi giorni dopo aver perso il Community Shield proprio con il Manchester City. E poi il primo settembre, dopo aver preso tre gol a Old Trafford dall’odiato Liverpool, e aver litigato con il giornalista che lo intervistava. Insomma, la ripete talmente tante volte che The Athletic ha deciso di farci un pezzo intero, su questa frase. La chiama la Ten Hag’s ‘two trophies’ line. E non so se esiste un modo peggiore per scavarsi la fossa da soli.
Oggi l’esonero di ten Hag sembra di nuovo imminente ma come l'ultima volta, alla fine della scorsa stagione, sembra non arrivare mai. Nelle scorse ore si è parlato insistentemente di una riunione societaria per decidere sul da farsi, dell'ombra sempre più lunga di Thomas Tuchel. Erik ten Hag, però, è ancora lì, e un'altra volta il tempo sembra giocare a suo favore. Che cos'è che sta frenando di nuovo il Manchester United? Che rende così difficile esonerarlo?
A giugno le motivazioni per tenere l’allenatore olandese esistevano e, va detto, non erano completamente campate in aria. Non era solo la vittoria della Coppa di Lega e della FA Cup, per quanto quest’ultima sia di gran lunga la coppa nazionale più sentita d’Europa, e nonostante un percorso che, ancora prima della vittoria in finale contro il Manchester City, aveva visto il Manchester United vincere in maniera ancora più emozionante contro il Liverpool ai quarti, con il decisivo gol del 4-3 segnato al 121’ da Amad Diallo dopo una partita assurda finita ai supplementari (il tipo di partite dopo le quali un tifoso del Manchester United ripenserà ad Alex Ferguson). Non erano solo i trofei, quindi, ma più che altro l’impressione che, se oggi un top club europeo ha bisogno di un allenatore capace di donargli un’identità di gioco attraente, non ce n’erano di molti migliori o più pronti di ten Hag, che alla fine rimane il tecnico ad aver messo in campo il calcio più bello in Europa più o meno nell’ultimo decennio. Se l’alternativa era fare una scommessa su allenatori giovani come De Zerbi o McKenna, l’ennesima a Old Trafford, perché non dare una seconda chance a ten Hag, insomma? Era un dubbio che aveva senso, soprattutto alla luce del fatto che a livello societario il Manchester United aveva da poco cambiato pagina, con l’affiancamento degli uomini Ineos ai Glazer in società. Con dirigenti più capaci, si pensava, forse vedremo finalmente ten Hag diventare ciò che ci aspettavamo qualche anno fa.
È possibile che sulla sua permanenza abbiano pesato anche pensieri più irrazionali di questo. Per esempio il sempiterno fantasma di Alex Ferguson, la storia per cui abbia avuto bisogno di sette stagioni prima di vincere la sua prima Premier League. «Aspettare perché Alex Ferguson ha avuto tempo e quindi tutti gli allenatori dello United devono avere tempo», come ha scritto Jonathan Liew sul Guardian. Oppure i due gol segnati in finale di FA Cup da due prodotti del vivaio, Alejandro Garnacho e Kobbie Mainoo, il miraggio per cui si fosse all’alba di qualcosa di per lo meno paragonabile alla classe del ’92 o ai “Busby babes”.
Quale sia stato il motivo, rimane il fatto che il Manchester United è stata una delle poche squadre inglesi ad aver speso molto sul mercato quest’estate, quasi 215 milioni di euro solo in cartellini. L’idea era quella di presentare il gruppo Ineos come la realtà in grado di dare un nuovo futuro al Manchester United e allo stesso tempo di dimostrare che la fiducia in questa seconda chance data al tecnico olandese era solida. Così, il mercato si è retto in equilibrio tra l’acquisto di alcuni dei migliori talenti giovani dei campionati esteri (Leny Yoro, Joshua Zirkzee e Manuel Ugarte) e il tentativo assecondare le idee del proprio allenatore che, con l’arrivo di De Ligt e Mazraoui (complessivamente 60 milioni al Bayern Monaco), ha finito per ricomporre per tre quinti la retroguardia dell’Ajax 2018/19. Non era però chiaro il progetto tattico dietro queste scelte e alla fine l’unico filo rosso che è sembrato seguire il Manchester United sul mercato è stato quello di prendere giocatori giovani e senza alcuna esperienza in Premier League. Una squadra quindi pensata per avere molto tempo di fronte a sé (Omar Berrada, nuovo amministratore delegato dello United, ha detto ai suoi collaboratori che l’obiettivo è vincere il campionato entro il 2028, anno del 125esimo anniversario della fondazione del club), ma affidata a un allenatore che doveva subito dimostrare di essere sulla strada giusta. Obiettivamente, come poteva funzionare?
Certo, era difficile immaginare un inizio così negativo, il peggiore nella storia della banter era del Manchester United per punti, e il peggiore in assoluto dalla stagione 1989/90 (allora la squadra di Ferguson concluse il campionato al 13esimo posto). In sole sette partite sono già arrivate due sconfitte piuttosto pesanti (0-3 contro Liverpool e Tottenham), il maggior numero di Expected Goals subiti in una singola partita dal 2017 (contro la squadra di Postecoglou, che ha creato 4.59 xG, per Opta), una serie di statistiche imbarazzanti che solo il Manchester United nei suoi momenti peggiori sembra poter raggiungere. Il numero più basso di gol segnati nelle prime 7 giornate dalla stagione 1972/73 (anno in cui il Manchester United sfiorò la retrocessione); il numero più alto di punti sprecati da posizione di vantaggio nelle coppe europee dalla scorsa stagione, perché a questa via crucis bisogna aggiungere anche i due surreali pareggi ottenuti in Europa League (1-1 contro il Twente, 3-3 contro il Porto), l’ultimo con la provvidenza che ha preso la strana forma di un colpo di testa di Maguire al 91’.
Dopo questo periodo terribile, nell’ultima di campionato, contro l’Aston Villa, si è visto un Manchester United tremebondo, che ha messo in scena la partita con meno xG complessivi da un anno a questa parte in Premier League (appena 1.05 se si sommano quelli di entrambe le squadre). Una partita in cui, comunque, la squadra di ten Hag stava riuscendo a subire gol nei minuti finali di partita, salvandosi solo per un salvataggio quasi sulla linea di Diego Dalot, leader tecnico e carismatico dell’apocalisse.
In altre condizioni questi risultati sarebbero davvero potuti essere considerati inciampi di un percorso di crescita. La squadra è giovane, piena di giocatori nuovi, in mezzo a un percorso che sta smaltendo alcune delle scelte sbagliate del passato (come quella di puntare su Casemiro, autore di una prestazione indecorosa nello 0-3 subito dal Liverpool). Ma era impossibile pensare che anche con ten Hag si ricominciasse da zero, e che non si giudicasse il suo lavoro anche alla luce delle due stagioni passate. E così, anche se forse è ingeneroso, bisogna notare che non sembra esistere nessun percorso.
Il Manchester United continua a fare male quasi tutte le fasi di gioco. Non è efficace in pressing ma nemmeno quando prova a difendersi nella propria metà campo, non ha un grande gioco di possesso e allo stesso tempo le sue transizioni sono affidate allo stato di forma individuale dei suoi uomini offensivi. Recentemente ten Hag ha provato a buttarla sull’efficacia dei suoi attaccanti e sulla trasformazione delle occasioni da gol, citando la statistica sugli Expected Goals in maniera imprecisa. In realtà i numeri non sono rassicuranti: secondo i dati StatsBomb, la differenza tra xG prodotti e subiti dal Manchester United è addirittura negativa e al di sotto della media della Premier League, in una posizione che lo pone tra il Nottingham Forest e il Brentford. In generale, come notato anche dal blog di Opta, il Manchester United non ha ancora un’identità precisa, che forse è il peccato più grave per un allenatore come ten Hag, più ancora dei risultati e delle figuracce.
La vita dell’allenatore del Manchester United deve essere dura se di fronte a questo ten Hag ha deciso di rispondere citando le sue due coppe. Forse l’intenzione era dimostrare che anche i poeti, come li aveva chiamati Mourinho, possono vincere qualcosa, ma alla fine è davvero così importante? Nel marzo del 2021, alla fine di una stagione che vedrà lo United secondo in campionato e perdente in finale di Europa League, Ole Gunnar Solskjaer aveva cercato di mettere in prospettiva la delusione. «Non basta un trofeo per dire: siamo tornati. È più importante la crescita graduale, che ti permette di essere costantemente in cima alla classifica o nelle fasi finali dei trofei. A volte una coppa può nascondere il fatto che stai ancora facendo fatica». Di lì a poco, il Manchester United prenderà la decisione autodistruttiva di riportare a casa Cristiano Ronaldo dopo 12 anni, facendo deragliare l’unico progetto tecnico che sembrava potesse mettere tutti i pezzi finalmente al loro posto.
Sono passati più di tre anni, il Manchester United è di nuovo all'inferno ed Erik ten Hag è ancora lì, in attesa che le cose facciano click. A volte si usa davvero questa espressione, perché è quello che sembra sia successo con Ferguson, in un modo in cui nessuno è riuscito ancora davvero a spiegare. Anni di sofferenze, gioco stantio, esperimenti che non hanno portato a nulla. Però, si dice, a un certo punto le cose hanno fatto click.