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Erling Haaland può fare come gli pare
24 ott 2024
24 ott 2024
Il gol segnato ieri contro lo Sparta Praga è un anti-manifesto.
(articolo)
7 min
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IMAGO / Sportsphoto
(copertina) IMAGO / Sportsphoto
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“Haaland ma che hai fatto?!”. Quando la stampa italiana ricorre a questo tipo di formule significa che ha finito le parole. Che non saprebbe che altro dire, che non vuole andare più a fondo. Un po’ per pigrizia, un po’ perché si trova di fronte a qualcosa di così grande da rientrare nella categoria kantiana del sublime, un evento naturale che ci fa sentire piccoli, confrontati a qualcosa che persino la nostra immaginazione fatica ad afferrare. È l’equivalente positivo dell’“Haaland ma che combini?!” che verrebbe usato in caso di errore. Segno di uno slittamento di pochi centimetri dal paternalismo quotidiano a un’estasi eccezionale, riservata a pochi gesti davvero speciali.

Ma il gesto di Haaland contro lo Sparta Praga è anticonvenzionale persino all’interno di questa categoria di giocate tecniche rare. Difficile rendere con le parole quello che davvero lo distingue. Dunque, vediamo. È un colpo di tacco volante. Ok, fin qui ci arrivano tutti. Ma è anche un colpo di tacco volante, schiacciato a terra. Cioè Haaland non colpisce, come sarebbe stato più “normale”, la palla con il tacco per deviarla sul secondo palo, ma la schiaccia a terra facendola entrare sul primo palo lentamente.

È questa traiettoria a prendere in controtempo il portiere dello Sparta Praga, Peter Vindahl-Jenen, che non può spingere sulle gambe e viene scavalcato dal rimbalzo. Haaland toglie la terra da sotto i piedi del portiere che, se si ferma il replay frontale nel momento in cui Haaland colpisce la palla, è a bocca aperta con gli occhi sgranati, quasi terrorizzato. Quindi è anche un colpo di tacco volante, schiacciato a terra, che scavalca il portiere col rimbalzo.

Poi c’è la questione della scelta. Ovvero: quanto è controintuitivo, persino per uno come Erling Haaland colpire quella palla in quel modo? Allora per capirlo bisogna soffermarsi su un aspetto: Haaland colpisce il pallone dando le spalle alla porta. Salta per aria - secondo Sky Sport a 1 metro e 70 di altezza, anche se il difensore che Savinho scavalca con il cross, capitan Panak, è alto 1.87 - e, in aria, si gira di schiena.

Il paragone che è stato fatto per questo gol è con un altro colpo anticonvenzionale di Haaland, quello realizzato contro il Borussia Dortmund, su cross di trivela di Joao Cancelo. In quel caso Haaland colpisce sempre con il suo piede preferito, il sinistro, ma con l’esterno del piede. Un esterno vicino al tacco, ma pur sempre una parte del piede più sensibile rispetto a quella che sceglie di usare stavolta: il tacco vero e proprio, il tallone, usandolo come un martello.

Se guardate il movimento della gamba sinistra di Haaland, sempre spezzarsi in due a mezz’aria per colpire la palla proprio come voleva lui. Non si tratta, qui, di intercettare il cross e cambiargli direzione, dandogli magari un po’ di forza, quanto basta mandarla in porta, no, qui deve proprio calciare la palla. E lo fa con una forza sufficiente a farla rimbalzare in terra in modo che poi scavalchi il portiere.

Allora forse il paragone più giusto, al di là della sciatteria solita dei confronti, è quello con il gol di Zlatan Ibrahimovic all’Italia, nell’Europeo del 2004. Il gol che, in un certo senso, ha annunciato il talento di Zlatan al mondo, come a dire: preparatevi a questo genere di cose per i prossimi quindici (quasi venti) anni. Quella stranezza a cui poi ci siamo abituati, quella creatività che fino a un certo punto ci è sembrata frutto del caso, o della sua unicità fisica e culturale - un calciatore di un metro e novanta flessibile come una canna di bambù, con un background nelle arti marziali, un coatto arrogante ma anche poetico, a suo modo - ma che poi, a guardarla da qui, mettendo in fila tutte le cose strane, appunto, uniche, che ha fatto Zlatan, riconosciamo come frutto di una visione più generale, di una strategia, di un modo per imporsi.

Il gol contro l’Italia è un mix di opportunismo e genialità, con Buffon in uscita e Vieri sulla riga di porta, scavalcato dalla traiettoria che Zlatan ha dato al pallone con grande sensibilità, usando l’esterno del piede. Come dicevo: a guardarlo oggi è un gol molto più premeditato di quanto ci è sembrato allora, che non conoscevamo Zlatan. La differenza con il gol di Haaland, e più in generale tra Zlatan e Haaland, sta tutta qui: bene o male Zlatan ha eseguito dei gesti “classici”, magari dandogli una sfumatura violenta tutta sua, ma che ancora potevano essere definiti colpi di tacco, o rovesciate - anche se contro l’Inghilterra, nel gol famosissimo da centrocampo, ha portato la rovesciata al limite con qualcosa che non ha un nome.

Persino quello che chiamiamo scorpione, con cui Zlatan ha segnato contro il Bastia in Ligue 1, è un gesto che possiamo definire ancora tecnico, per quanto originale, difficile, persino barocco. È un gesto così codificato, il colpo di tacco esterno al volo, che i francesi hanno un modo per chiamarlo: aile de pigeon, ala di piccione (più specifico dello scorpione che usiamo noi per qualsiasi colpo eseguito più o meno dietro la propria schiena). Zlatan stesso aveva provato una cosa simile poco tempo prima (a dicembre 2012, il gol contro il Bastia invece è dell’ottobre 2013) improvvisandola totalmente, per aggiustare un cross che il terzino gli aveva fatto troppo indietro rispetto alla sua traiettoria di corsa. Meno di un anno dopo, quando ne ha avuto occasione, Zlatan ha aggiustato quel gesto, passando dalla bozza all’opera d’arte definitiva.

Questa consapevolezza formale nei gesti di Zlatan non c’è in Haaland. In cui c’è, invece, una consapevolezza più assoluta, una fiducia nei propri mezzi al di fuori di ogni categoria estetica. Zlatan, voglio dire, era comunque elegante, armonioso, mentre Haaland è (si direbbe volutamente) brutto, antiestetico, apparentemente scoordinato, quando di coordinazione ce ne vuole molta per eseguire quella cosa.

È una differenza che secondo me si ritrova anche nei due caratteri e nelle storie che si portano dietro. Zlatan si è inserito in una tradizione preesistente a modo suo, è entrato con difficoltà nel mondo del calcio, ha faticato per ottenere il posto che meritava e per mostrare le sue qualità così originali. Non ha mai perso la sua rabbia originale ma ci teneva ad essere riconosciuto per il grande talento che era, anzi si può dire che sia diventato così grande per paura di non essere visto. Perché l'estetica è un modo per farsi accettare (ci vestiamo "bene" per questo, no?). Haaland è una specie di bambino prodigio ipercompetitivo che a cinque anni ha fatto il record del mondo per il salto in lungo da fermo e che a quindici anni segnava già più di un gol a partita tra i professionisti.

Haaland non ha bisogno dell'estetica, può permettersi di essere brutto. Di fottersene fino in fondo delle convenzioni e di quello che gli altri si aspettano da lui. Perché sa, nel profondo di sé, di cosa è capace. Anche se non saprebbe esattamente dire di cosa si tratta. Haaland ha in sé una carica sovversiva, che va contro quello che fino ad oggi i grandi atleti di successo hanno sempre fatto: cercare di essere anche belli, di piacere.

Per non allargare troppo il discorso farò solo un esempio. Prendiamo Michael Jordan, forse l’atleta più straordinario del secolo scorso, arrivato ai nostri giorni sotto forma di un logo. Il logo Jumpman possiede una grazia che trascende l’eccezionalità atletica che rappresenta (e infatti la foto alla base non è di una partita ma viene da un servizio fotografico in cui era stato chiesto a Jordan di eseguire un salto di danza). Provate a disegnare un logo da quello che ha fatto ieri Haaland, invece.

Haaland piegato in due come se stesse seduto un gabinetto immaginario a mezz’aria, con le gambe larghe, la testa piegata, un braccio teso e l’altro che sembra spezzato. Che roba mostruosa è? Come si insegna questa roba, che backround richiede?

Il gol di Haaland non viene da nessuna parte. Neanche da Zlatan, mi dispiace. Haaland sembra rifiutare quel poco di accettabile c’era in Ibrahimovic: la sua tecnica, la sua eleganza. Come fossero stati tratti puerili, di qualcuno bisognoso delle attenzioni di chi ha intorno. Haaland non ha interesse in quello che ha intorno, o almeno così sembra. E non ha neanche bisogno di usare la tecnica tradizionale, le parti del corpo che gli altri usano, nel modo in cui le usano. Come se la tecnica, quella con cui si nasce e che poi si migliora, fosse un’illusione, una truffa da prestigiatori. Come se tutto quello che è stato fatto nel calcio fino ad oggi non avesse senso, fosse inutile.

Erling Haaland può fare come gli pare. Il calcio d’élite gli ha aperto le porte del proprio salotto; l’allenatore più raffinato al mondo, il più intellettuale, lo ha invitato a sedersi sul divano e discutere con lui di tattica, di filosofia, di arte: Erling Haaland si è sdraiato comodo, ha messo le sneakers puzzolenti sui cuscini, e ha mollato una sonora scorreggia.

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