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L'esonero di De Rossi è l'ennesima mossa incomprensibile della Roma
18 set 2024
Una società nel caos.
(articolo)
17 min
(copertina)
Foto di IMAGO / Sportimage
(copertina) Foto di IMAGO / Sportimage
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L’ultima immagine è quella di Daniele De Rossi che corre sul prato del Ferraris. De Rossi che riceve il cartellino rosso e deve attraversare tutto il campo per guadagnare il tunnel degli spogliatoi, coperto dai fischi e dagli insulti, un po’ ingrassato, goffo ma sempre carismatico. La sua prima espulsione da allenatore è arrivata nello stesso stadio in cui ha ricevuto la sua ultima espulsione da calciatore. Quella volta aveva dato uno schiaffo in faccia a Gianluca Lapadula, così, dal nulla. Una reazione istintiva, “la vena ingrossata” si diceva a Roma, per descrivere quella condizione in cui Daniele De Rossi diventava la versione cattiva di sé stesso - irascibile e senza controllo. Stavolta aveva avuto un leggero bisticcio con l’arbitro, dopo che quello non aveva fischiato un contatto su Lorenzo Pellegrini. Nessuna vena ingrossata: un’espulsione dimessa, persino eccessiva, molto distante da quelle teatrali del suo predecessore. Un’uscita di scena goffa e fuori tempo, sicuramente in linea con questa esperienza di De Rossi da allenatore della Roma.

Con De Rossi già negli spogliatoi, la Roma subisce il gol che lo condanna all’esonero.

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De Rossi allenatore di prospettiva

Il pomeriggio del 18 aprile la Roma comunica che Daniele De Rossi sarebbe stato l’allenatore della squadra anche per la stagione successiva. La formula era ambigua, visto che non veniva comunicato nessun rinnovo di contratto ufficiale, nessuna cifra, nessun dettaglio; ma non era ambiguo il tempismo. Poche ore dopo la Roma avrebbe giocato i quarti di finale di ritorno di Europa League contro il Milan e il messaggio era chiaro: indipendentemente da come finirà questa partita De Rossi sarà ancora l’allenatore della Roma. Il club sembrava voler cambiare visione, ragionare su un progetto sportivo di lungo periodo, e per questo dare più importanza alla forma rispetto al passato.

Non contavano solamente i risultati, ma come arrivavano. La partita d’andata contro il Milan era sembrata sufficiente a rassicurare i Friedkin sul fatto che Daniele De Rossi fosse più di una leggenda carismatica.

La Roma non ha solo battuto il Milan a San Siro, ma lo ha fatto mostrando una faccia nuova. Aveva sofferto, certo, ma aveva anche mostrato idee, controllo tecnico, una freschezza rassicurante. De Rossi ha avuto l’idea di bloccare la catena di sinistra del Milan schierando Stephan El Shaarawy su quel lato. Viene celebrata come un mossa geniale, nonostante il tecnico stesso voglia normalizzarla. Ma siamo al picco di credibilità di Daniele De Rossi allenatore, nel momento di maggiore innamoramento dell’idea di lui come allenatore della Roma.

La sua Roma si è tolta finalmente la camicia di forza mourinhana per giocare un calcio più libero e contemporaneo. Una squadra che vuole tenere il pallone e riconquistarlo alto, costruire a 3, ruotare le posizioni, essere flessibile. Tutte belle idee, ma avere belle idee è facile mentre saperle applicare ad alti livelli è un altro discorso. Il fallimento di Pirlo da allenatore era un precedente inquietante. De Rossi però sembra avere qualcosa di diverso. Sembra capace di smentire i luoghi comuni che lo circondano - perché avere un passato da grande calciatore ti mette in una strana posizione: devi fare meno gavetta ma tutti ti prenderanno come un raccomandato.

***

La sera dell’annuncio del rinnovo i giallorossi battono di nuovo il Milan, in una partita che rappresenta l’apice di speranza di quella Roma. Sembrava l’inizio di qualcosa di bello, invece era già la sua fine. L’ultimo momento di felicità di una squadra che da quel momento vedrà una progressiva decadenza delle prestazioni e dei risultati.

Da quel giorno la Roma ha giocato altre 13 partite ufficiali e ne ha vinte solo due, contro Udinese e Genoa, il 19 maggio scorso, giorno dell’ultima vittoria della Roma. Nell’ultima parte di stagione c’è un declino visibile, di intensità e prestazioni. La Roma perde alcune partite pesanti, vede svanire l’obiettivo della qualificazione in Champions League, nonostante i cinque posti a disposizione. Perde contro il Bologna, perde contro l’Atalanta, viene eliminata dal Bayer Leverkusen. Tutte sconfitte nette e inequivocabili.

Per qualcuno è il fisiologico crollo dopo le grandi prestazioni iniziali - a De Rossi sono servite 7 gare in meno per fare gli stessi punti di Mourinho in campionato. Altri invece hanno usato quel periodo di flessione per mettere sotto un’altra luce anche i momenti positivi. La media punti iniziale, allora, non era il merito delle nuove idee di De Rossi ma l’effetto emotivo dell’esonero del vecchio allenatore. Come già per il Manchester United, non c’è squadra più forte di quella che ha appena esonerato José Mourinho. De Rossi, allora, come un allenatore inesperto e dalle idee naïf, col solo merito di aver scosso mentalmente la squadra. Un allenatore, però, la cui inconsistenza è venuta fuori non appena l’effetto di rimbalzo si è spento, e si è arrivati in un territorio in cui conta il lavoro.

Ho messo in fila questi fatti per provare a dimostrare una tesi a cui non credo nemmeno io, e cioè che l’esonero di Daniele De Rossi, arrivato brutalmente questa mattina, non è assurdo come sembra.

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È una tesi a cui si può credere solo ignorando tanti pezzi del contesto, ma soprattutto una premessa fondamentale, e cioè che scegliendo Daniele De Rossi la Roma aveva accettato di iniziare un progetto a lungo termine. Aveva accettato di essere paziente e quello che ne consegue: i fisiologici passaggi a vuoto, gli errori di inesperienza, un po’ di confusione. Invece sono bastate quattro partite senza vittorie nel nuovo campionato per provocare l’esonero. Ieri i Friedkin erano arrivati a Roma e De Rossi non sembrava a rischio. «Fiducia a De Rossi» titolavano i giornali. Stamattina la notizia dell’esonero.

Sono trascorsi meno di tre mesi dall’ufficialità del rinnovo di contratto per tre anni - poi arrivata il 25 giugno - che sembrava preannunciare questo progetto a lungo termine. In una città che non concede tempo a nessuno, se c’era una persona che aveva diritto al tempo era Daniele De Rossi, leggenda del club che pochi mesi fa aveva accettato una panchina per lui molto scomoda e rischiosa. (Si è detto troppo poco, che De Rossi aveva tutto da perdere da questo incarico - e ora come riuscirà a ripartire la sua carriera? C’è ancora un punto d’arrivo, per lui, dopo aver fallito da allenatore della Roma?).

In estate la scelta del DS Florent Ghisolfi sembrava coerente con questo progetto. La Roma non vuole più comprare giocatori prestigiosi a fine carriera, ma giovani che in giallorosso possono dimostrare il loro valore. Non vuole più una squadra che brucia in fretta nelle notti europee, ma una che finalmente può risalire le gerarchie della Serie A. Ghisolfi dice esplicitamente di voler costruire la squadra per le idee dell’allenatore. È stato un calciomercato complicato, pieno di imprevisti e fatto con tempistiche sbagliate. In parte è inevitabile, per una squadra che deve rivoluzionare la rosa, ristrutturare il monte ingaggi su un tetto più gestibile. In più ci si mette l’impiccio con Kevin Danso, che non supera le visite mediche per problemi cardiaci e costringe la Roma a pescare dal mercato degli svincolati per sistemare la difesa.

La Roma completa il mercato il 4 settembre con l’arrivo di Mats Hummels, tre giorni prima c’era stato quello di Mario Hermoso. Sono acquisti importanti che sembrano segnalare una svolta anche tattica. La Roma è una squadra, a quel punto, ricca di soluzioni e con un patrimonio tecnico interessante e tutto da esplorare. Ma è anche una squadra costruita all’ultimo minuto, con alcuni problemi evidenti: la mancanza di un esterno sinistro che salti l'uomo, di un terzino destro, di un vice-Dovbkyk, ancora lenta tra centrocampo e difesa e con Paulo Dybala da gestire. La sua permanenza a sorpresa diventa un problema tutto per De Rossi: come farlo quadrare nel 4-3-3 insieme a Soulé? Prova il 3-4-2-1 ma i due si pestano i piedi anche lì. Nel 3-5-2 visto a Genoa Soulé finisce poi direttamente in panchina. Se De Rossi non sa far giocare insieme Dybala e Soulè allora non è un grande allenatore, si affrettano a dire i tifosi più polemici.

Insomma, è una squadra interessante ma piuttosto informe. La forma la deve dare De Rossi, ma è in grado di farlo? Quanto tempo gli serve? Soprattutto, la domanda diventa: quanto tempo avrà a disposizione?

Nelle prime quattro partite la forma della Roma cambia varie volte, assecondando problemi contingenti e il mercato in evoluzione. L’acquisto tatticamente più importante, Manu Koné, arriva il 30 agosto - e probabilmente solo grazie al fallimento della trattativa con Danso. De Rossi ci mette del suo ma i problemi sono inevitabili. La Roma segna un gol nelle prime tre partite, chiude il ciclo prima della sosta con una prima prestazione incoraggiante contro la Juventus. Una prova di grande concentrazione difensiva, che però rivela una coperta corta: come anche con Mourinho, se la Roma vuole difendere bene non può attaccare, e viceversa. Contro il Genoa un ottimo primo tempo, il migliore di questo inizio di stagione, con idee finalmente brillanti col pallone, ma poi un secondo tempo terribile in cui la squadra si abbassa, soffre l’intensità degli avversari, il loro impatto fisico. Li soffre perché non ha la calma col pallone che vorrebbe avere. La Roma non ha mai imparato a costruire dal basso, un po’ per caratteristiche dei difensori, un po’ perché non sembra sufficientemente allenata per farlo. In più è una squadra che non riesce nemmeno a sostenere fasi di pressing e riaggressioni consistenti, un po’ per caratteristiche dei giocatori, un po’ perché non sembra sufficientemente allenata per farlo.

La partita più inquietante di inizio stagione.

Tutti questi problemi tattici sono evidenti a chi ha seguito la Roma, ma non bastano a giustificare l’esonero di De Rossi dopo quattro giornate di campionato. Bisogna ricordarsi la premessa: il progetto a lungo termine. È questa premessa che rende accettabile un mercato rivoluzionario ma incompleto e ritardato. È questa premessa che deve far accettare gli inciampi di De Rossi, dargli tempo per capire che forma dare alla squadra. In fondo una stagione di transizione sembrava accettabile, e in qualche modo inevitabile, per provare a uscire dalle sabbie mobili del sesto posto. Se da tre stagioni la Roma fa esattamente gli stessi punti in campionato i problemi sono profondi e serve tempo per risolverli. È ironico che il detto "Roma non è stata costruita in un giorno" non valga mai a Roma, no?

De Rossi parafulmini

La decisione di esonerare De Rossi dopo quattro giornate di campionato smentisce la premessa fondamentale su cui si voleva costruire questa Roma. Il tempo non c’è, per nessuno, nemmeno per De Rossi. L’esonero finisce invece per confermare una narrazione in giro a Roma da mesi, che i più ottimisti cercavano di smentire: che De Rossi, cioè, fosse solo un parafulmini, l’ennesima scelta populista dei Friedkin, che in questi anni sono sembrati interessati soprattutto a dialogare con la pancia della tifoseria. De Rossi, insomma, scelto per placare la rabbia per l’esonero di Mourinho, e tenuto come unico referente della Roma. Ha finito per aver ragione Totti «Mourinho ci metteva la faccia. Però nessuno lo aiutava, nessuno parlava. Dopo è dura eh, mettersi contro sei milioni di persone. È dura, perché puoi essere chi vuoi, se non porti risultati, diventi il capro espiatorio. Ma Daniele ne è consapevole».

In un club cronicamente avvolto dal silenzio, De Rossi era l’unico a parlare, e dunque l’unico responsabile di fronte alle difficoltà. La persona che doveva occuparsi di mascherare un fatto comunque evidente, e cioè che la Roma non ha in realtà una catena di comando, una dirigenza. L’unica figura dirigenziale rimasta fuori dalla parte sportiva è quella, ambigua, di Lina Souloukou. Ex general manager dell’Olympiakos, in questi mesi ha parlato poco e licenziato molto. Come riportato da Gazzetta, a diversi licenziamenti nelle aree comunicazione sono seguite alcune cause legali. Nell’articolo si ricostruisce anche l’insofferenza all’interno della Lega Serie A verso la Roma per la scarsa comunicazione, e la gestione poco lucida di alcune situazioni. Il caso del sex-tape, il rinvio di Udinese-Roma e le conseguenti beghe di calendario, con richieste di rinvio della partita con l’Atalanta mai considerate. Scrive Gazzetta: «Mentre nella Capitale la Ceo ha conquistato il consenso di alcuni media locali, nelle stanze del calcio che conta qualcuno ha parlato di "dilettanti allo sbaraglio”». Il personale del club è stato spolpato al punto che per molti i Friedkin stavano, in realtà, preparando una cessione. Siamo sicuri che il tentativo di acquisto dell’Everton - poi sfumato - non andasse in quella direzione? E poi, chi prende decisioni sportive di ampio respiro nella Roma? Chi ha scelto, per esempio, Florent Ghisolfi come DS?

Per la ricerca, durata mesi e che ha portato una nomina in ritardo, la Roma si è servita dell’algoritmo statunitense Retexo - che aveva portato anche all’ingaggio di Thiago Pinto. Una società che nella propria comunicazione vanta collaborazioni con Real Madrid, Olympique Marsiglia o Athletic Club, anche se non è scritto in quali termini. Una società, insomma, di cui si sa pochissimo. Poi c’è il capitolo merch. A Roma quest’estate ci sono stati i tanti problemi con adidas: alcuni prodotti sono stati mal sopportati dalla tifoseria e la Roma e dall’azienda hanno risposto con comunicati imbranati. A luglio è uscita una tuta per metà azzurra (o verde acqua, a seconda della scala cromatica dei vostri occhi). I tifosi hanno lanciato una petizione per ritirarla dal mercato. L’azienda ha risposto dicendo che il colore era ispirato a un murales anti-inquinamento su Via Ostiense. Un uomo ha perso il posto di lavoro. Poi è arrivata la maglia away, con una strana macchia arancione sopra. Sempre ispirazione “dalla street art” di Testaccio. Pochi giorni fa qualche polemica anche sul nuovo cappello fatto in collaborazione con New Era, abbastanza impecettato da ricordare a qualcuno quello del tifoso romanista parodiato da Pippo Franco nel celebre film.

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Cose piccole, ma che segnalano uno scollamento crescente tra i tifosi e una dirigenza che aveva provato a presentarsi come “custode del romanismo”, anche per discontinuità con la gestione fredda di James Pallotta.

De Rossi non è un parafulmini, ma uno come un altro

In queste ore la domanda sull’esonero di De Rossi è quella più vaga: perché? Soprattutto: perché adesso?

Non si può rispondere senza avere chiaro il quadro generale, con i suoi contorni sfumati. Il pesce puzza sempre dalla testa, si dice. La notizia peggiore di questa storia è che i problemi della Roma vanno molto oltre l'allenatore, come del resto confermano queste ore successive all’esonero. Nell’immediato qualcuno ha pensato che l’esonero di De Rossi contenesse un accordo con un altro allenatore più esperto. Invece sono circolati nomi molto diversi tra loro: Terzic, Pioli, Tuchel e infine quello che è diventato praticamente ufficiale: Ivan Juric.

Difficile immaginare un allenatore più in contraddizione con le necessità della Roma.

Juric ha gestito con difficoltà le intemperie comunicative a Torino, dove viene da un’esperienza mediocre. A Torino, soprattutto, ha contribuito a frammentare il contesto ambientale con prese di posizione e interviste spesso ruvide. Si può discutere il suo lavoro tattico, ma De Rossi è stato un abile diplomatico per la Roma, navigando con maestria le acque torbide lasciate dall’addio di Mourinho. Juric, schietto e gelido, il tipo di personaggio poco amato in una città che adora gli incantatori, riuscirà a navigare le acque ancor più torbide di questo momento storico? Riuscirà a farlo senza una società alle spalle che ne protegga l’immagine? È difficile per ogni allenatore, ma sembra ancor più difficile per un tipo conflittuale come Juric.

Poi c’è il lato sportivo e il mercato estivo sembra tutto fatto per il contrario di una squadra di Juric. In carriera ha sempre valorizzato i giocatori atletici e ha combinato poco con quelli tecnici. La Roma, a generalizzare, si può dire sia una squadra tecnica ma con pochi valori atletici. Tutto il reparto offensivo sembra inadatto al suo 3-4-2-1, dove i giocatori devono sgobbare tanto in pressing. Dovbyk non sembra un centravanti buono per lui, che avrebbe bisogno di uno che fa tanto lavoro atletico in pressing e nella gestione dei lanci lunghi. Dybala, Le Fée, Pellegrini, El Shaarawy non sembrano avere il livello atletico adeguato. Il centrocampo sembra troppo compassato, così come gli esterni. La Roma è una squadra costruita per controllare i ritmi col pallone, e ora ha preso un allenatore che non vuole il pallone. Un allenatore che ama il caos, i lanci lunghi, i duelli aerei. Fabrizio Romano ha scritto che la Roma avrebbe scelto un allenatore “stile Gasperini” per valorizzare i giovani, eppure questo non è mai sembrato un punto di forza di Juric. Quanti giovani ha valorizzato nella sua carriera?

Quella di Juric sembra una scelta dettata dal panico, o nemmeno: una scelta qualsiasi. L’importante è arrivare vivi a fine stagione. Allora non valeva la pena concedere del tempo a De Rossi? Non era più onesto, o anche solamente più furbo da parte dei Friedkin? E poi, perché non è stato fatto in estate, e perché non almeno durante la sosta per le nazionali? Sono passate solo 4 partite!

Ancora una volta forse dobbiamo rivedere quello che pensavamo. Non solo De Rossi non è stato scelto come allenatore di prospettiva, ma nemmeno è stato usato davvero come un parafulmini, visto che l’esonero mette i Friedkin di fronte alle loro responsabilità, e a una contestazione che inizia a montare di fronte ai cancelli di Trigoria. Se fosse stato davvero un parafulmini sarebbe stato mantenuto in panchina, a pensarci bene. O sarebbe stato mandato via in estate, quando si poteva costruire con un ciclo più ragionato.

Viene da pensare che lo scenario più probabile, allora, è quello peggiore, e cioè che le scelte della Roma siano dettate solo dal caos, che non siano guidate da alcun principio. La Roma sembra arrivata al punto in cui esonerare o non esonerare De Rossi non è importante, scegliere Terzic o Juric non cambia niente. Non si segue nessuna visione, nessuno spartito che non siano gli impulsi contingenti. La Roma è un uroboro di scelte populiste che finiscono per divorarla.

***

Per tanti tifosi della Roma è stato un colpo al cuore, vedere una leggenda del club masticata e risputata senza premura. C’è però da dire che De Rossi in questi mesi è stato amato con qualche ambiguità, strana per un tifoso della Roma. Sono state apprezzate le sue doti comunicative, le sue conferenze brutalmente oneste, la vittoria nel derby, la sua corsa sotto la curva. Il suo equilibrio, la sua professionalità, nonostante tutto.

Però per molti c’era sempre la sensazione che no, Daniele De Rossi non era davvero un allenatore. L’ombra di Mourinho, come sempre, era lunga e ingombrante. Tanti tifosi continuano a non perdonare il suo esonero: lo avrebbero tenuto a vita, “Con Mourinho fino all’inferno”. Ogni partita, ogni statistica veniva usata per confrontare De Rossi e José e dimostrare una cosa: esonerare Mourinho è stato sbagliato. Una tesi fomentata anche in ambienti extra-romanisti, inserita nel calderone incandescente del discorso Allegri-Mourinho contro il nuovo nel calcio.

Oggi però sono tutti tristi, forse perché nessuno aveva realizzato che questa cosa potesse succedere davvero. Le critiche verso De Rossi venivano fatte con la sensazione che lui potesse reggerle. Ci era riuscito da giocatore, poteva riuscirci da allenatore. Poteva reggerle per il suo carisma, il suo carattere, la grande umanità, perché - come amano dire certi romanisti - “è il migliore di noi”. Però i romanisti non avevano forse ancora realizzato che potesse essere esonerato così presto, con questa violenza, perché avevano sottovalutato il caos interno alla Roma, entrata ormai in una fase auto-sabotante della presidenza Friedkin. Crollano le statue, i mercanti sono entrati nel tempio.

La Roma storicamente non ha vinto molti trofei ma è sempre stata attaccata ai propri simboli e alla propria storia. Anche in questi anni, emotivamente burrascosi, la squadra è stata circondata da un’aura speciale, soprattutto nelle notti europee allo Stadio Olimpico. Oggi sembra essersi aperta una voragine tra come la Roma vuole raccontarsi e come è realmente. Quella patina speciale sembra una facciata di cartapesta, messa in piedi per nascondere un cuore nero di scelte ciniche e poco razionali. Il patrimonio del club, e cioè il rispetto della propria storia e dei propri simboli, sembra avere meno valore di prima. Questo dice, fra le altre cose, l’esonero di De Rossi.

Oggi stringe un po’ il cuore ripensare a quella camminata da casa sua alla macchina, per andare a Trigoria, nel giorno in cui era stato nominato nuovo allenatore della Roma. Il giorno in cui Daniele De Rossi era stato nominato nuovo allenatore della Roma. Circola in queste ore un altro video in cui ripercorrre il tragitto al contrario, rientrando a casa mesto, con molte più occhiaie di prima. Sembrava troppo bello per fare lo sforzo di immaginare quanto male potesse finire.

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