https://twitter.com/dinamo_sassari/status/668074279913848832
Quando questo tweet è apparso sulle timeline dei nostri social network, ha lasciato sbigottiti in tanti. E la reazione d'istinto di chi lo ha letto—come si può vedere nei commenti—è stata più o meno comune a tutti, e possiamo sintetizzarla in “Ma cosa diavolo state facendo?”. Ovvero: perché esonerare l'allenatore che ha fatto per davvero la Storia del club, portandolo prima in Serie A e poi al vertice incontrastato del basket italiano, costringendo la bacheca nella sede a continui lavori di ampliamento per far spazio ai trofei di Supercoppa, Coppa Italia e Scudetto della scorsa, irripetibile annata?
La risposta, diciamolo subito, non può che essere parziale, perché mancano degli elementi che solo chi è dentro la società conosce alla perfezione. Sicuramente non va cercata nei risultati, perché qui il basket giocato viene dopo. È vero: Sassari è 4-3 in campionato e 0-6 in Eurolega, mentre l'anno scorso di questi tempi era 6-1 e 1-5, quindi in una situazione migliore. In più si era ormai perso il conto delle volte in cui Sacchetti, sin dalla Supercoppa, si è presentato in sala stampa lamentandosi dell'atteggiamento passivo, rinunciatario e dannoso dei (non più) suoi.
Non avendo nessun riscontro reale e oggettivo su un “giocare contro” del roster 2015-16, è possibile trovare la differenza sostanziale con la squadra tricolore nel fatto che quella aveva i giocatori mentalmente ideali per la filosofia di basket di Sacchetti, con briglia allentate, grandi responsabilità nelle scelte offensive e buona (se non ottima) capacità di creare nell'1 vs. 1. Questa, invece, ha giocatori—soprattutto tra le guardie—maggiormente bisognosi di essere inseriti in un sistema magari non proprio ferreo, ma comunque più regolato, senza dimenticare che il non-impatto di Varnado e soprattutto Petway è stato a dir poco deleterio.
Ma al di là dei freddissimi numeri e delle analisi tecniche, c'è un altro dato da prendere in considerazione, e ce lo indica lo stesso presidente Sardara nella conferenza di saluti: «L’equipaggio non è più in sintonia. C’è bisogno di aria nuova e nuovo entusiasmo. È necessaria una sterzata e questa non può essere fatta cambiando uno o due giocatori».
È mancata dunque la fiducia che questa volta l'allenatore sarebbe riuscito a invertire la rotta negativa. Ed è facile inoltre ritenere che il rapporto tra Sacchetti e Sardara fosse ormai logoro, giunto ben oltre il limite di sopportazione reciproca. Già lo scorso 26 aprile, nei minuti successivi al ko in casa della Pasta Reggia Caserta—quinta sconfitta consecutiva con conseguente crollo in classifica a due giornate dalla fine della regular season—, l'esonero sembrava cosa fatta, dopo una profonda discussione tra presidente e allenatore.
Confronti schietti e diretti, ma pur sempre nei limiti. Probabilmente il credito della Coppa Italia, vinta in bello stile due mesi prima, aveva avuto il suo peso nello scegliere in quel momento di andare avanti insieme. E questa scelta è stata premiata fino alla conquista del tricolore nella sudatissima serie finale contro Reggio Emilia.
“Festa di Piazza” non rende neanche vagamente l'idea.
Le celebrazioni al PalaBigi, in pullman, in aereo e infine in piazza, con tutta la città impazzita per quei ragazzi e per quel coach capaci di portare Sassari lì dove, sportivamente parlando, non solo non era mai stata, ma non si era mai neanche avvicinata nello sport maschile. Poi, a bocce ferme, a festa finita, il faccia a faccia per decidere cosa fare. Con una premessa: Sacchetti aveva, e ha tuttora, un contratto fino al giugno 2018 firmato nel 2013. E in un'intervista al Corriere dello Sport in edicola il 28 giugno precisava: «Io non ho ricevuto offerte da altri club. Ho un contratto, è vero, ma Sardara magari ha altre idee, magari crede che sia finito un ciclo. Anzi, poco tempo fa l'ha già detto che è finito un ciclo». Poi, nel pomeriggio dello stesso 28 giugno, l'annuncio a Radio Sportiva: «Ho appena stretto la mano al presidente: resto ancora qui».
Ed ecco la sliding door biancoblù: le premesse per l'esonero nascono con tutta probabilità qui. Nascono nell'incontro in cui presidente e allenatore si sono «sputati in faccia le cose da dire», (Sacchetti dixit, con una metafora che rende l'idea di quanto i due siano persone a cui piace parlare chiaro) e nel quale è stato trovato, non sappiamo con quanta fatica, un punto di contatto su come proseguire insieme. Con il senno di poi è facilissimo ritenere che la cosa migliore fosse chiudere lì, stringersi la mano, dirsi grazie di tutto e andare ognuno per la propria strada.
Una vicenda simile che viene in mente è ciò che è accaduto tra la Juventus e Antonio Conte: anche lì, per motivi molto diversi, il legame era ormai spezzato, ma si è deciso comunque di andare avanti fino a che il tecnico ha salutato la compagnia il secondo giorno di ritiro estivo. Ma è lo stesso Sardara ad ammettere sulla propria pagina Facebook che: «Siamo stati troppo romantici e poco razionali ed essendo il presidente che ha dato a Meo il contratto più lungo della sua carriera, pensate non sarebbe stato più facile anche per noi chiudere a giugno?».
Ecco allora che tutta la vicenda assume ben altra sostanza. E piuttosto che essere sorpresi per l'esonero—sorpresa confessata dallo stesso Sacchetti—, c'è quasi da meravigliarsi per il fatto che siano state ben sei le stagioni con il nativo di Altamura sulla panchina della Dinamo: un fatto molto più che inusuale nel nostro basket e nel nostro sport.
Evidentemente i meriti sul campo di Sacchetti sono stati più forti delle incomprensioni e dei contrasti: non piacerà a tutti il suo modo di allenare e di far giocare le sue squadre, ma oggettivamente è impossibile non ammettere che si sia trattato di uno splendido, oltre che vincente, “esperimento” di una pallacanestro decisamente atipica per i nostri canoni. E tanto, tantissimo ha fatto l'unione di intenti e di vedute con il direttore sportivo Federico Pasquini. La Sassari sacchettiana resta dunque ben salda nella storia della pallacanestro italiana, non solo per aver scritto il proprio nome nell'albo d'oro di tutti i trofei nostrani, ma per il modo in cui quelle coppe sono sbarcate in Sardegna.
Archiviato il periodo d'oro con Sacchetti, la scelta della società è ricaduta su Marco Calvani. Chi scrive ha un'enorme stima per l'uomo prima ancora che per l'allenatore ed è naturalmente ben contento che, dopo le esperienze travagliate a Barcellona Pozzo di Gotto e soprattutto Napoli, il tecnico romano abbia di nuovo una panchina ad alto livello con tanto di esordio ufficiale a Mosca contro il CSKA, prima volta assoluta per lui in Eurolega.
«Non potrei mai scimmiottare Sacchetti perché non ne sarei capace» e «Non sono un sergente di ferro, semplicemente chiedo ai giocatori di fare il loro lavoro come io credo sia giusto venga fatto: se qualcuno non ha voglia di lavorare con me fa fatica» le frasi più significative della conferenza stampa di presentazione. Che possa essere l'uomo giusto per dare una sterzata alla squadra sarà ovviamente il campo a dirlo e altrettanto ovviamente non avremo una risposta a stretto giro di posta.
Gara-5 finale scudetto 2013: Roma - Siena, l'ultima di Marco Calvani in Serie A.
Dato che la sua stagione è già quasi certamente finita (per regolamento non può allenare nessun club italiano), per Sacchetti si apre adesso un periodo di riposo, ma anche di riflessione, studio e aggiornamento—come accade per qualunque allenatore esonerato. Ma come il già citato Conte era il nome caldissimo per la panchina dell'Italia una volta lasciata la Juve, è inevitabile che si pensi a Meo come possibile futuro commissario tecnico della Nazionale dopo la parentesi Messina, sempre ammesso che Petrucci non riesca a convincere l'attuale CT a proseguire il rapporto oltre l'estate 2016.
Qui le opinioni sono giocoforza divergenti perché Sacchetti non è, come abbiamo detto, allenatore che unisce, anzi: il suo procuratore, Virginio Bernardi, ha dichiarato che per il futuro gli consiglierebbe l'estero e in particolare la Germania, dove un altro suo assistito, ovvero Andrea Trinchieri, ha ottenuto e sta ottenendo gloria con il Bamberg.
«Ho un contratto, non posso fare altro che restare a disposizione, non vedo davvero altre squadre nel mio futuro. Togliersi la Dinamo dalla pelle per me è impossibile, a maggior ragione dopo quello che abbiamo costruito e vinto insieme» è un passaggio della sua lettera di saluto ai tifosi. Vedremo se sarà davvero così. Di certo, ovunque andrà, qualunque squadra allenerà, per Sacchetti ritrovare gli ingredienti per ricreare la magia nata in quell'angolo di Sardegna sarà forse l'impresa più grande della carriera.