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Essere il migliore
05 feb 2015
Cristiano Ronaldo compie 30 anni, spesi quasi per intero a cercare di diventare il migliore al mondo.
(articolo)
18 min
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CR7 fa trent’anni, venti dei quali trascorsi a giocare a calcio. Il calciatore più forte del mondo è anche il figlio più piccolo di Maria Dolores e José Dinis, nato a Funchal, un'isola che fa parte dell’arcipelago vulcanico di Madeira (che la leggenda dice appartenesse al regno di Atlantide). In mezzo all’Oceano Atlantico, cinquecento chilometri al largo della costa africana, circa il doppio da quella europea. Nelle sue vene c’è un po’ del sangue capoverdiano della bisnonna. Tutti sanno che si chiama Ronaldo perché al padre piaceva Ronald Reagan (come attore), Cristiano, come tutti lo chiamano, perché il nome piaceva a una sorella della madre. A Funchal divideva la camera con un fratello e due sorelle, nella piccola casa di una famiglia piuttosto povera.

Ha tirato i primi calci al pallone per le strade di Santo António, il suo quartiere, e tornava sempre troppo tardi per cena, fino a quando un cugino più grande gli ha chiesto se avesse mai giocato in una squadra. La sua prima è stata il Clube de Futebol Andorinha de Santo António, il piccolo team locale al quale il padre dava una mano come giardiniere, magazziniere e accompagnatore. A dieci anni il Nacional (club di Madeira attualmente nella Primeira Liga) lo ha messo sotto contratto in cambio di due divise nuove. Maria Dolores racconta di un CR7 che piangeva spesso per colpa del pallone, perché era un ragazzino che non sapeva perdere: piangeva addirittura quando passava la palla a un compagno e questo sbagliava il goal. Era un bambino innamorato del pallone ma non della scuola, un ribelle, benvoluto dai compagni e meno dagli insegnanti. Così quando lancia una sedia a una maestra che gli aveva mancato di rispetto, la sua carriera scolastica a Funchal si conclude con l’espulsione dall’istituto che frequenta.

Scegliere il calcio

La carriera calcistica invece comincia proprio in quel momento, in classe, con una sedia lanciata ad un'insegnante, quando la madre ci parla e si rende conto che forse non vale la pena dare troppo importanza alla scuola. Lui vuole giocare a pallone e lei lo accontenta. CR7 non ha mai nascosto il viscerale amore per la madre, che considera la persona più importante per lui, quella che l’ha sempre incoraggiato e quando lui le dice che tra la scuola e O futebol preferiva il secondo, lei risponde che va bene, se è quello che vuole. Il contrario di quello che un genitore dovrebbe dire, magari, ma il primo passo di Cristiano per diventare il più forte al mondo è stato questo.

Quando a 11 anni ha fatto un provino con lo Sporting Lisbona è stata la madre ad accompagnarlo nella capitale. È salito per la prima volta su un aereo, mentre suo fratello Hugo piangeva, e Cristiano racconta di essere stato molto teso, di non aver dormito la notte precedente e di aver sbagliato il controllo al primo pallone toccato. Poi però, alla terza o quarta palla giocata, ha iniziato a incantare, e a fine partita era sicuro che l’avrebbero preso. La madre lo ha sostenuto in seguito, quando al telefono da Lisbona il figlio le diceva di voler lasciare l'Academia Sporting e tornare a casa.

Inoltre il piccolo Cristiano soffriva di tachicardia, tanto che a Maria Dolores viene chiesta l’autorizzazione per farlo operare al cuore. Tutto va per il meglio e un anno dopo l’operazione Cristiano si allenava già con Jardel e Cesar Prates. Solo un paio di stagioni più tardi è diventato il primo giocatore nella storia dello Sporting a giocare nell’Under-16, Under-17, nella seconda e nella prima squadra in unica stagione.

Ha esordito in una gara ufficiale nel terzo turno preliminare della Champions League 2002/03, contro l’Inter. La Juventus, il Liverpool e il Manchester United erano interessate al ragazzo: a quel punto, quando aveva ancora diciassette anni, era già evidente che sarebbe stato la prossima next big thing del calcio mondiale. L’estate successiva era stata organizzata un’amichevole tra Sporting e United in occasione dell’inaugurazione del nuovo Stadio Alvalade: secondo il procuratore di CR7 Ferguson seguiva il ragazzo già da un po’ e i due si erano incontrati già prima del match. Cristiano fa un figurone e i portoghesi vincono 3-1. Dopo la partita Jorge Mendes gli dice di preparare le valigie.

Cristiano Ronaldo, diciotto anni, con la maglia numero 28 fa impazzire il Manchester United.

L’investitura

A diciotto anni è atterrato a Manchester come il teenager più pagato nella storia della Premier. Chiede la maglia numero 28, ma Ferguson decide di investirlo della 7, la stessa di Bryan Robson, Eric Cantona, George Best e David Beckham. Il debutto in campionato è avvenuto nella sfida casalinga contro il Bolton, subentrando a mezz’ora dalla fine al posto di Nicky Butt. Dopo aver visto quella partita è stato proprio uno degli storici numeri 7 dei Red Devils a incoronarlo suo erede: per George Best quello di Cristiano Ronaldo contro il Bolton è stato l'esordio più esaltante che abbia mai visto. E aggiunge: “C’è stato qualche giocatore descritto come ‘il nuovo George Best’ nel corso del tempo, ma questa è la prima volta che è stato un complimento per me”. Solo un anno più tardi, dopo l’exploit all’Europeo, CR7 dirà: “Voglio diventare uno dei migliori giocatori in circolazione nel giro di due o tre anni. Sarei orgoglioso se un giorno venissi considerato alla stregua di George Best o David Beckham”.

Il primo pallone che tocca a centrocampo lo perde, al secondo arriva il primo boato del pubblico dell’Old Trafford.

Gli Europei giocati in casa lo fanno conoscere a chi ancora non sapeva chi fosse. Gioca con la 17 (la 7 è di Luis Figo) e non parte tra i titolari. Segna all’esordio contro la Grecia, entrando dalla panchina, e poi, alla terza partita del girone, Felipe Scolari si convince che merita un posto da titolare. Finisce il torneo con due goal di testa su angolo e due assist vincenti.

Ma la sua prima grande delusione è dietro l’angolo: il sogno lusitano svanisce nella finale di Lisbona contro la Grecia. Cristiano gioca titolare e nel finale sbaglia a tu per tu col portiere il goal che poteva valere il pari. Dopo il fischio finale scoppia a piangere come quando era bambino. È lì che CR7 capisce che deve migliorare sotto porta, deve diventare un giocatore più concreto.

Al minuto 2:50 del video si vede l’occasione. Cristiano sbaglia lo stop e a quel punto il portiere greco lo chiude. Poco dopo sbaglia grossolanamente un tiro al limite dell’area e finisce la partita molto nervoso.

Il processo di maturazione di Cristiano e del Manchester costruito da Fergie non è ancora concluso. Nei primi tre anni allo United CR7 porta a casa appena una FA Cup e una Football League Cup. Il 2005 non è stato un anno facile per il portoghese. A settembre il padre muore di problemi al fegato legati all’alcolismo e il mese seguente Cristiano finisce in galera accusato di aver stuprato una donna in un hotel di Londra, lo hanno rilasciato su cauzione e infine prosciolto per insufficienza di prove. A dicembre lo United è uscito dalla Champions League perdendo in casa contro il Benfica, e in quel momento erano 10 anni che il Manchester non si qualificava per la fase a eliminazione diretta. Tutto lo stadio lo fischiava, lui dopo aver litigato con arbitro e avversari è stato sostituito, uscendo ha portato l’indice davanti alla bocca e una volta fuori dal terreno di gioco ha mostrato il dito medio al pubblico di casa.

Anche il 2006 non è iniziato nel migliore dei modi: a gennaio si è fatto espellere per un calcione all’ex Red Devil Andy Cole. Nello stesso periodo, ha litigato con van Nistelrooy durante un allenamento. Per l’olandese Cristiano voleva mettersi troppo in mostra e in generale non era il solo a considerarlo egoista, vanitoso, arrogante, in quei primi tempi (su Slate hanno provato a ricostruire le motivazioni dell'antipatia che parte del pubblico prova nei suoi confronti).

Si è guadagnato buona parte di questa sua cattiva fama nel 2006, durante i Mondiali in Germania in cui ha guidato il Portogallo al quarto posto. Nei quarti di finale contro l’Inghilterra ha provocato Rooney (suo compagno di squadra) da prima del calcio d’inizio, con una specie di testata, poi quando l’inglese ha reagito a un’entrata da dietro di Carvalho, CR7 è corso dall’arbitro chiedendo che venisse sanzionato: dopo il cartellino rosso la telecamera ha inquadrato Cristiano mentre faceva l’occhiolino. La partita è finita ai rigori, come due anni prima agli Europei, e Cristiano ha segnato l’ultimo, diventando quella sera uno dei giocatori più odiati d’Inghilterra.

La BBC parla di un Ronaldo che tradisce un amico e ne provoca l’espulsione. Per Alan Shearer, quando Rooney ritroverà CR7 in allenamento non gliela farà passare liscia.

Diventare il migliore

È un altro punto di svolta: finora il talento di Funchal era considerato un acerbo, dal carattere difficile, ma dalla grande personalità in campo. Dopo i Mondiali scopre di non piacere alla gente e nemmeno ai compagni (almeno a quelli del Manchester), né tantomeno agli avversari. Per continuare a giocare con quel carattere non può permettersi di abbassare la guardia, non può mostrare debolezze, deve per forza di cose diventare il migliore al mondo.

In compenso, chi lo ha sempre amato e continua ad amarlo sono i suoi allenatori. La situazione era talmente brutta che si parlava di un Cristiano Ronaldo che non poteva tornare a Manchester, mentre il Real Madrid cominciava a fargli la corte, ma Fergie voleva tenerlo a tutti i costi, e portare al termine la sua maturazione, sentiva di essere vicino a raccoglierne i frutti.

È sopratutto dal punto di vista realizzativo che Cristiano doveva migliorare, così Sir Alex lo ha consegnato nelle mani di René Meulensteen: l’olandese ha studiato degli allenamenti specifici con l’obiettivo di farlo diventare più imprevedibile nei movimenti e più concreto: deve imparare a segnare anche goal brutti. Cristiano ha capito che da buon giocatore, ottimo persino, poteva diventare il più forte di tutti, lo ha capito nell’anno in cui ogni stadio inglese lo fischiava. Da lì qualcosa è cambiato e CR7 ha iniziato quel processo che lo porterà a diventare quello che gli inglesi chiamano Goal scoring machine. Finisce la stagione 2006/07 con 23 goal segnati in 53 partite, quasi il doppio delle reti realizzate nella stagione precedente.

I Red Devils dalla stagione 2006/07 vincono tre Premier di fila, una Football League Cup, due Community Shield, ma soprattutto la finale di Champions League contro il Chelsea. Quando CR7 segna di testa sembra il coronamento di una stagione strepitosa, anche se poi Lampard pareggia e si finisce ai rigori. Cristiano Ronaldo lo sbaglia, ma i suoi vincono comunque. Il portoghese non resiste alla tensione e finisce in lacrime. Arriva il primo Pallone d’oro, per tutti è senza dubbio lui il più forte. Secondo van der Sar, CR7 non è l’unico giocatore ad aver detto che voleva essere il migliore al mondo ma quello che ha lavorato veramente per farcela.

Il futuro era suo, ma avrebbe dovuto faticare più di quanto non pensasse il giorno in cui ha alzato la sua prima Champions League?

Sembrava l’inizio di un lungo periodo da protagonista assoluto del calcio mondiale, ma a quel punto è emerso un altro campione capace di rubargli lo scettro: Leo Messi. La parte centrale della carriera di Cristiano è stata caratterizzata dalla rivalità con l’argentino. Se i sostenitori di Cristiano hanno sempre sostenuto che fosse il più forte al mondo, in molti riconoscono Messi addirittura come il più forte di tutti i tempi.

Dopo aver vinto la terza Premier League consecutiva, alla fine della stagione 2008/09 Cristiano si trasferisce a Madrid e comincia così il periodo dei Clásicos in cui il confronto con Messi si fa ancora più forte. I primi, però, sono tutti di marca blaugrana e CR7 a quel punto pare destinato al ruolo di eterno secondo.

Nonostante entrambi viaggiassero a ritmi da record era la "Pulce" a racimolare più successi, sia di squadra che individuali. Dalla stagione 2008/09 Messi ha portato a casa quattro campionati spagnoli, due Champions League, quattro Supercoppe di Spagna, due Supercoppe Europee e due Mondiali per club. Nello stesso periodo Cristiano è finito per quattro volte di fila secondo nel Pallone d’Oro, ovviamente dietro all’argentino.

Nella finale di Champions persa contro il Barcellona nel 2009, il portoghese reagisce a Puyol e la sua frustrazione è sotto gli occhi di tutti. Fragilità e insicurezza, le lacrime di quando era bambino erano pronte a scendere di nuovo e stava iniziando un altro periodo difficile, quello in cui dare il massimo non sarebbe bastato più, perché c’era qualcuno più bravo di lui. Prima di quella finale Cristiano aveva dichiarato che pensava di essere ancora lui il numero uno, non sembrava capace in quel momento di accettare che qualcuno potesse essere migliore di lui, nemmeno davanti all'evidenza. Ma in fondo chi l’ha detto che bisogna saper perdere e andare bene a scuola?

Se la rivalità tra Messi e Cristiano Ronaldo è uno dei duelli sportivi più belli di sempre (per quanto lo possa essere in uno sport di squadra) lui non deve averla vissuta benissimo, almeno fino ad un paio di anni fa. Borg-McEnroe, Federer-Nadal, Senna-Prost, Ali-Frazier, Messi-Ronaldo, sono tutti duelli in cui non si può fare il tifo per entrambi, e il portoghese non ha mai brillato per simpatia.

Cristiano l’antipatico deve vedersela con la sua fama: persino Blatter dice pubblicamente di preferire Messi tra i due: l’argentino è “un bravo ragazzo”, mentre Ronaldo è “un dittatore in campo”. Paradossalmente, nelle prime quattro stagioni a Madrid il suo rendimento sotto porta è cresciuto ma i successi a livello di squadra sono stati meno di quelli raccolti a Manchester. Se si escludono i trofei vinti nella passata stagione, il portoghese è riuscito a vincere “solo” una Liga, una Copa del Rey e una Supercoppa di Spagna nei precedenti quattro anni con le Merengues.

Semifinale di Champions League 2010/11: uno dei momenti in cui Messi è sembrato di un altro livello rispetto al portoghese. La differenza a livello di squadra non è comunque un fattore da dimenticare.

I predestinati di solito non sono insicuri, non sentono pressione. Messi non è insicuro. E se la si guarda da questo punto di vista, l’arroganza di Cristiano assume un altro significato. Diventa un’ostentazione di forza di fronte alle critiche, il bisogno di dimostrare il proprio valore di fronte al mondo intero. Magari un pensiero infantile e superficiale, da film di serie B, d'altra parte il suo idolo è Jean-Claude Van Damme e anche una volta diventato il più famoso calciatore al mondo, più famoso di Van Damme sicuramente, ha continuato a scrivergli. Le frasi fatte che escono dalla bocca dei calciatori sembrano sincere dette da lui, sincere in modo artificiale, certo. In un documentario realizzato da ITV4 a un certo punto dice: “La mia forza? Fare le cose giuste. Mangiare bene, dormire bene per allenarmi bene”. Per Jorge Valdano il portoghese ha messo in mutande i suoi detrattori: “Quelli che dicevano fosse solo uno che va di discoteca in discoteca. Cristiano va di allenamento in allenamento”. È lo stesso Valdano a dire: “è ossessionato dal voler essere il migliore”.

Da quando è esploso Messi, la passione del portoghese per il calcio, la sua voglia di dimostrare di essere il migliore, hanno assunto i contorni di una vera propria malattia. E Cristiano la cura nell’unico modo che conosce: allenandosi. Per Ferguson, Mourinho e Ancelotti, gente che di fenomeni ne ha visti parecchi, Cristiano Ronaldo è il più grande professionista che abbiano mai allenato, non solo un campione. Lo Special One ha detto: “Ama giocare, ama allenarsi. Ho avuto molto giocatori in love with the game, ma nessuno più di lui.”

Tuttavia, nell’anno solare 2012, Messi batte il record di goal di Gerd Müller, 85 reti, alzando l’asticella di sei marcature. Sono gli anni in cui statistiche che parevano impossibili anche nei videogiochi diventano la normalità, sia per Messi che per Cristiano Ronaldo. Ma se la distanza tra i due si misura in successi, si finisce per dimenticare che anche il portoghese stava facendo cose straordinarie: semplicemente, vinceva poco. In quella stagione, ad esempio, CR7 ha segnato al Camp Nou in semifinale di Copa del Rey il suo sesto goal consecutivo in un Clásico, portando il Madrid in finale.

Restare il migliore, per sempre

Per essere sempre al top bisogna essere campioni di continuità, fare una vita sana e avere sempre le motivazioni giuste. In un’intervista alla CNN, quando gli viene chiesto quale sia la sua ambizione, Cristiano risponde: “La mia ambizione è lavorare sodo e credere in me stesso”. Rispetto al mito del campione genio e sregolatezza la sua è un'idea meno romantica di calcio, ma è l’unica possibile per essere il numero uno in questi anni.

Le sue frasi sono banali, perché non ha studiato molto, o perché il calcio sia un gioco semplice: “Lavoro duro, provo sul serio a credere ai miei sogni”.

Siamo agli antipodi del mito del predestinato, il campione a cui il successo è piovuto come un dono dal cielo. E una delle ragioni della sua insicurezza probabilmente è stata vedere che l’amore per quello che fa, e l’impegno che ci ha messo, non sono sempre bastati per essere i migliori. Quando CR7 dice che odia perdere si capisce che davvero odia la sconfitta più di una persona della sua età: la odia come un bambino. La mentalità di Cristiano Ronaldo a 30 anni è la stessa del ragazzo dei primi anni di Manchester, solo mitigata dai successi ottenuti. È stato il numero uno, è stato il numero due, adesso è di nuovo seduto sul trono, ma non può sbagliare un colpo.

In un video prodotto in collaborazione da Castrol, un team di scienziati ed esperti in diverse discipline, ha studiato le sue caratteristiche fisiche e mentali. È un commercial, quindi si sentono frasi ad effetto del tipo: “La sua percentuale di grasso è inferiore a quella di una top model”, e per lo spettacolo gli fanno sfondare vetri a pallonate per misurare la velocità dei suoi tiri. Ma c’è qualcosa di interessante nel ritratto di CR7 che ne emerge. Tutti sappiamo che le sue caratteristiche fisiche sono fuori dal comune in termini di velocità, elasticità e potenza. Ad un certo punto però, lo fanno concludere a rete su dei cross dalla destra, spegnendo la luce appena la palla viene calciata. Lui la butta dentro comunque: prima in tuffo di testa, poi di controbalzo col destro e infine di spalla. Il team che lo sta analizzando è sbalordito. Spiegano che la sua capacità di lettura delle situazioni di gioco è inconscia, basata sulla stratificazione delle sua esperienza di gioco.

Gli allenamenti svolti gli permettono di valutare tutte le variabili e di prendere decisioni una frazione di secondo prima degli avversari, indipendentemente dal fatto che sia comunque più veloce di loro. O, addirittura, al buio.

“He is effectively a scholar of football”. Solo che la sua scuola è stata il campo di allenamento.

Trent'anni per molti giocatori rappresentano l’apice della carriera. Se ci arrivano senza troppi infortuni e una vita da professionisti alle spalle, la maturità mentale è sostenuta da una buona condizione fisica. Spesso, però, chi raggiunge il top corre il rischio di perdere la fame, ma almeno da questa malattia Cristiano sembra immune. Il dualismo con Messi l’ha a tratti esasperato ma è stato il combustibile della sua voglia di migliorare. Ci sono molti modi di girare la boa dei trenta, i brasiliani Ronaldinho e Ronaldo ad esempio (due che con CR7 hanno in comune talento e nome) ci sono arrivati che erano quasi irriconoscibili. Cristiano ci è arrivato andando a letto presto la sera e curando il proprio fisico in maniera maniacale. Ci è arrivato difendendo la sua privacy e la sua immagine fuori dal campo, tanto da essere risarcito dal Daily Mirror e dal The Sun per diffamazione. Il Mirror aveva scritto che era ubriaco in discoteca mentre recuperava da un infortunio ai tempi di Manchester, lui sostiene di essere astemio e ha vinto la causa dando i soldi in beneficenza. Nonostante le belle donne, il successo e i soldi, la sua testa è sempre stata lì, al campo di allenamento. Anche quando il padre morì mentre lui era via con la Nazionale: fu Scolari a dirglielo, gli chiese se voleva tornare dalla sua famiglia, ma lui decise di rimanere, senza bisogno di chiamare la madre stavolta.

Per Cristiano Ronaldo questa è la tredicesima stagione da professionista, la sesta al Real Madrid, dopo le sei al Manchester United e quella d’esordio in prima squadra con la maglia dello Sporting Lisbona. Quando un giocatore esplode in giovane età e diventa tra i più forti al mondo può arrivare a giocare fino a 60 partite all’anno solo per il suo club. Tuttavia, come le automobili, gli atleti hanno un chilometraggio limitato, a un certo punto il motore non va più e la macchina si ferma. Anche se è ancora in ottima forma Cristiano ha già più anni alle spalle di quelli ancora a venire, nel calcio conta già da più di una decade.

In questi ultimi due anni è riuscito a riprendersi lo scettro di migliore al mondo e sembrava cresciuto, più maturo, che soffrisse meno il confronto con Messi. In due settimane però è tornato a essere più antipatico che mai, con due gesti infantili uno di seguito all'altro: l’esultanza alla consegna del FIFA Ballon D’Or 2014 e la reazione violenta che gli è valsa due giornate di squalifica in Liga. Cristiano Ronaldo non è in pace con se stesso neanche quando vince, la sua ossessione è troppo grande. Cosa succederà quando qualcuno dovrà dirgli che nessuno, neanche lui, può giocare per sempre? Quando, magari, al Real Madrid non ci sarà più posto per lui (almeno come giocatore)?

Una piccola consolazione l'avrà di sicuro: anche quando non sarà più professionista, niente gli vieterà di continuare ad allenarsi come ha sempre fatto, e cercare di essere sempre migliore. Se non il migliore in assoluto, almeno la migliore versione possibile di se stesso.

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