Per i nati nella Generazione Y che hanno già vissuto consapevolmente USA 94, Euro 2000 è stata la conferma che non c’era niente di felice da aspettarsi dal mondo del calcio. Per chi non ricorda, USA 94 è stata la vera perdita dell’innocenza: il rigore di Baggio a Pasadena è stato sostituito dal golden gol di collo sinistro di David Trezeguet. Il nostro ricordo di quell’Europeo è imprigionato a quel singolo momento traumatico, che ha gettato una luce sinistra e confusa su tutto il resto. Ma Euro 2000 - per fascino, estetica e spettacolo - è stato più vicino a Francia 98 che allo squallore dei Mondiali del 2002. La ricordiamo come un’epoca di altissimo livello per il calcio europeo ma forse era solo la disorganizzazione che favoriva lo spettacolo. In ogni caso è stato un Europeo divertente che vogliamo celebrare scegliendone i gol migliori.
Zlatko Zahovic contro la Jugoslavia
Zlatko in sloveno significa miele, e il suo nome evocava la dolcezza del suo piede sinistro. Zlatko Zahovic col numero 10, giocatore culto di quegli anni. Dal valore indecifrabile e leggermente minore, con una carriera costruita nel campionato portoghese tra Porto e Benfica. Zahovic giocava col numero 10 ma era soprattutto una seconda punta. Col sinistro tirava più o meno come voleva, e se avesse aggiunto qualcos’altro al suo gioco, oltre alla sensibilità del piede e a un certo istinto per la porta, magari avrebbe fatto qualcosa in più.
Qui fa un gol difficilissimo di testa. Forse non il più bel gol di Euro 2000 ma un gol che abbiamo premiato perché poco ortodosso e quasi unico nella sua dinamica. Zahovic colpisce appena nell’area di rigore un pallone basso che forse avrebbe potuto provare a controllare. Anche perché è solo. Invece decide di prenderla di testa, ma per darle più forza deve buttarsi per terra come nei tuffi ironici in piscina. È un gol segnato alla Jugoslavia, poi, con la maglia della Slovenia, ed è il primo confronto diretto tra le due nazionali fra cui come immaginate non correva proprio un clima amichevole. Finirà 3-3, e prima che la Nazionale della Jugoslavia si sciolga definitivamente arriveranno altri due pareggi.
Antonio Conte contro la Turchia
Forse non è un gol davvero bello quello di Conte, forse addirittura lo è meno di quello di Fiore contro il Belgio o quello di Del Piero nell’ultima partita del girone contro la Svezia, ma il primo gol di un Europeo ha sempre un sapore speciale, soprattutto quando apre un Europeo speciale (almeno fino all’ultimo minuto della finale).
L’azione comunque è significativa, a partire dal calcio di punizione sulla nostra trequarti che qualcuno - probabilmente Nesta - calcia lunghissimo mentre intorno a lui non c’è nessuno, una scelta che sembra arrivare da un calcio di cento anni fa, e non di venti. Inzaghi riesce a spizzare appena il pallone che arriva a Stefano Fiore, che finta il tiro e poi con un delizioso tocco la passa di nuovo a Inzaghi. L’attaccante però non prova a tirare al volo e lascia scorrere la palla per tirare invece piuttosto male da un angolo impossibile, tanto che la sua conclusione diventa un cross. La palla sbatte sul calcagno di un giocatore della Turchia e si impenna.
Conte, che si era buttato verso l’area piccola, deve fermarsi, tornare indietro e improvvisare una rovesciata scombinata. Conte era questo tipo di giocatore, sembrava sempre fuori giri ma invece riusciva in qualche modo a controllare il gioco, non a caso in carriera ha segnato diversi gol spettacolari. Qui deve in pratica torcersi su se stesso, è anche fortunato perché nello slancio colpisce il pallone non con il piede, con cui probabilmente avrebbe schiacciato la conclusione, ma con il parastinco, che da quell’effetto fionda alla palla che si inarca diventando imprendibile per Rustu.
Luis Figo contro l’Inghilterra
«Credo che sia tutto innato», ha risposto Luis Figo quando gli è stato chiesto se aveva esercitato molto quelle finte che poi avrebbero fatto il suo successo. Figo è l’emblema del giocatore di classe che deve solo aspettare il momento opportuno per mettere in mostra i propri superpoteri, un uomo a cui viene tutto facile. Forse lo immaginiamo così perché è un bell’uomo, affascinante, e persino la sua etica professionale sembra una parte innata del suo carattere. Certe persone sembrano semplicemente fatte per il successo. Eppure non c’è niente di naturale nella sua carriera, a cominciare dal pasticciaccio tra Juventus e Parma (Figo aveva firmato con il Parma ma lo Sporting lo aveva venduto alla Juve) per cui poi è finito al Barcellona. Era il 1995 e cinque stagioni dopo avrebbe compiuto il grande tradimento, passando al Real Madrid, e pochi mesi dopo avrebbe vinto il Pallone d’Oro. L’estate prima, però, avrebbe portato il Portogallo in semifinale a Euro 2000.
Il Portogallo era finito in un girone durissimo, con Inghilterra, Romania e Germania, ma ha vinto tutte e tre le partite segnando 7 gol. All’esordio con l’Inghilterra, però, era andato sotto di 2 gol nei primi 18 minuti e a scuoterlo è stato proprio questo gol di Luis Figo, l’unico del suo Europeo. La cosa interessante che rende speciale questo tiro è la combinazione tra onnipotenza - Figo prende palla a centrocampo, avanza finché può e poi scaglia la palla dritta per dritta sotto l’incrocio dei pali - e il male di vivere che sembra avere addosso. Le spalle curve nella maglietta larga, il passo strascicato da ventottenne che se ne sente quaranta. Persino la decisione di tirare, quando ormai aveva l’uomo addosso, e la meccanica del tiro con i gesti ampi e lenti, sembravano quelle di un uomo disperato, che si riduce a provare il tutto e per tutto.
Probabilmente Figo non è nessuna delle cose elencate in questi paragrafi. Non è uno a cui viene tutto naturale, né onnipotente, ma neanche una persona col peso del mondo sulle proprie spalle, un Don Draper bello e tormentato. In questo gol c’è il carisma e il senso della responsabilità di Figo, che riapre la partita preparando una delle più grandi rimonte del torneo (finirà 3-2). Forse anche in quell’estate che preannuncia mesi e anni complicati e per certi versi bellissimi, Luis Figo è solo uno che fa il lavoro che è nato per fare, impermeabile alle pressioni esterne.
Cristian Chivu contro l’Inghilterra
Nell’estate del 2000 le magliette dell’Adidas sono ancora larghe, Chivu ha vent’anni e ha appena concluso la sua prima stagione all’Ajax. La Serie A ancora non conosce le sue punizioni a giro sopra la barriera, l’eleganza con cui faceva uscire il pallone dalla difesa giocando sulle punte, come se stesse ballando un valzer - Euro 2000 è la prima occasione in cui il grande pubblico può apprezzarlo.
Chivu apre le marcature nell’ultima partita della fase a gironi contro l’Inghilterra, decisiva per il passaggio del turno, che segnerà la sorprendente qualificazione della Romania proprio a scapito della Nazionale britannica. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo confuso raccoglie palla vicino all’angolo destro, spalle alla porta, seguito a distanza da Phil Neville. Sembra una situazione difficile da cui ricavare qualcosa, ma il centrale romeno con un controllo orientato di sinistro degno di un grande trequartista si apre una finestra temporale in cui può girarsi verso un’area piccola densa di uomini e mettere la palla in mezzo.
Phil Neville sembra sorpreso, gli lascia lo spazio per il cross, che esce alto e profondo. Si capisce subito che può diventare qualcosa di pericoloso, anche se è improbabile che quel qualcosa fosse un tiro già nella mente di Chivu. Al di là di come la pensiate sui gol involontari, la bellezza di questa rete sta nella sensibilità tecnica con cui Chivu disegna la traiettoria del pallone, che se non fosse finita in porta sarebbe stata trasformata comunque in rete da Moldovan, che era lì ad aspettare la palla sul secondo palo. Il fatto che Chivu fosse riuscito a vederlo senza aver mai alzato la testa, che fosse di fatto riuscito a trovarlo dopo un controllo orientato, ci dice molto del tipo di difensore che era - cioè un difensore moderno molto prima che avesse l’accezione che oggi diamo a questo termine.
Emile Mpenza contro la Svezia
Emile Mpenza incarna la figura del centravanti scarso che compariva nelle nostre vite ogni due estati per guidare nazionali di medio livello. Di lui si ricorda poco, qualche stagione allo Schalke, un improbabile passaggio al Manchester City, ma soprattutto il fatto che in nazionale c’era anche il fratello Mbo.
Oggi che il Belgio è pieno di talento è strano pensare che il suo attaccante titolare fosse Mpenza, un attaccante tecnicamente limitato. Eppure questo bel gol è come mi immagino tutti i gol di Mpenza, un misto di potenza, tecnica e follia.
Mpenza riceve un passaggio strano dalla trequarti, d’esterno, mezzo scucchiaiato, che gli arriva davanti al corpo, ma invece di farla scorrere - sarebbe stato un errore - lo controlla protraendo la spalla sinistra in avanti in maniera prodigiosa (un movimento così repentino che un difensore della Svezia protesta istintivamente per chiedere un fallo di mano). A quel punto si ritrova un pallone a “rimbalzella” appena dentro l’area di rigore e come se fosse la cosa più naturale del mondo, Mpenza lo calcia di collo esterno fortissimo sul palo più vicino. Mpenza colpisce il pallone come nei sogni, d’esterno eppure pieno, una conclusione che parte così violenta che il portiere si butta solo perché è il suo lavoro dopotutto.
Frank de Boer contro la Francia
Frank de Boer sembrava un impiegato della City anche quando giocava. Se penso che in questo gol aveva appena 30 anni mi vengono i brividi. Come si fa a incarnare così tanto la disperazione di un uomo di mezza età ad appena 30 anni, al culmine della propria carriera?
Scusate se questo non c’entra niente col grande gol di Frank de Boer: una stecca che parte improvvisa in uno di quegli angoli della porta in cui al portiere sembra fisicamente impossibile prenderla. De Boer tira all’improvviso come uno che sta fregando la punizione agli altri. Bergkamp è sulla palla, Davids gli cammina davanti distratto a testa bassa, e così mentre il mondo guarda da un’altra parte de Boer tira in modo preciso e violento. Poi esulta gridando con una faccia cattiva molto poco credibile da impiegato della City, appunto, che esprime un sentimento autentico per la prima volta nella sua vita. È il gol del pareggio contro la Francia campione del mondo: un gol importantissimo a cui seguirà il 3-2 di Zenden. Olanda a punteggio pieno nel girone e qualificata ai quarti, dove distruggerà la Jugoslavia. In semifinale incontrerà l’Italia, qualcuno sa come andò a finire?
Marc Overmars contro la Jugoslavia
Olanda-Jugoslavia è stata la partita della grande illusione per i padroni di casa prima dell’infernale semifinale con l’Italia: sotto il grigio cielo di Rotterdam i sei gol degli Oranje contro una squadra che comunque poteva vantare tra le sue fila giocatori come Mihajlovic, Jugovic, Mijatovic e Milosevic sembravano spianare la via verso il trionfo casalingo tra il tripudio delle infinite magliette arancioni sugli spalti. E tra tutti i gol segnati dall’Olanda nessuno come quello di Overmars sembra simboleggiare di più questo senso di piena fiducia nel futuro: un tiro al volo, da fuori area, con il pallone colpito di collo pieno dopo un perfetto stop di piatto. Overmars era all’apice della sua carriera: quell’estate sarebbe passato dall’Arsenal al Barcellona, dove avrebbe cristallizzato nell’immaginario di tutti il suo gioco di finte e controfinte, di spunti, di accelerazioni, di terzini fatti impazzire a forza di dribbling. Nel momento in cui il tiro perfetto di Overmars è entrato in porta, portando il risultato sul momentaneo 5-1, era difficile pensare che quell’Europeo potesse riservare un dispiacere così grande all’Olanda, che in futuro sarebbe ricordato con dolore. Forse ci si sarebbe dovuti soffermare sull’unica imperfezione - l’incredibile riflesso di Ivica Kralj, che con la mano destra riesce a sporcare la traiettoria del tiro senza però impedire alla palla di entrare in porta. È il dettaglio che interrompe l’incredibile fluidità da sogno che contraddistingue questo gol di Overmars, che ci ricorda degli spigoli acuminati della realtà.
Zinedine Zidane contro la Spagna
Dopo la finale di Euro 2000 le critiche di Silvio Berlusconi alla marcatura di Zidane portarono alle dimissioni Dino Zoff. Questo era il livello di influenza di Zidane sul calcio nel 2000, un giocatore che camminava sulle acque e creava crisi politiche con la sua sola presenza. Quando indossava la maglia della Francia, Zidane diventava ancora più decisivo, ancora più forte se possibile. Con la Francia, per dire, in media segnava molto più spesso (in carriera ha segnato poco meno di un gol ogni 3 partite con la Nazionale, uno ogni sei con i club).
Zidane ha segnato pochissimi gol su punizione in carriera e soprattutto in Francia con le maglie del Cannes e del Bordeaux. Sia alla Juventus che al Real Madrid spesso erano altri a tirare. I suoi gol sono tutti piuttosto simili a questa punizione segnata alla Spagna e viene da chiedersi perché calciava così di rado. Zidane colpisce il pallone quasi scappando, la postura del corpo non è certo quella che ti insegnano alla scuola calcio. Lo colpisce come farebbe un dito con una schicchera a una pallina di carta, tirando sopra la barriera ma forte, a giro ma secco. Zidane colpisce così bene il pallone che gli uomini della Spagna in barriera dopo essere stati superati si girano tutti per assistere inermi al loro destino.
Il cucchiaio di Totti
Può un rigore essere anche un bel gol? Alcuni rigori, in realtà, sono molto di più. Diventano centri di narrazioni intere, generano mondi. Sul cucchiaio di Totti c’è tutta una letteratura, fatta di aneddoti, frasette e metafore larger than life. E però, è un grande gesto tecnico e un grande momento sportivo anche riguardandolo nelle immagini televisive venti anni dopo.
La prima cosa da notare è l’espressione serissima di Totti mentre si avvicina sul dischetto, si vede che qualche anno dopo farà l’attore. Le fossette sono quelle di uno che si morde le guance per non ridere in una foto ufficiale e mentre sposta il pallone non alza mai la testa per guardare van der Sar. Poi parte con la rincorsa e il gesto davvero geniale è il movimento del braccio sinistro quando rallenta di colpo: il braccio dice che sta caricando un tiro forte in diagonale - e da quel lato si butta van der Sar - e il resto del corpo frena per tamponare la palla e darle giusto giusto la forza per arrivare in porta.
Totti allarga le braccia, Pizzul esulta dicendo: «Totti ha rischiato» e poi di nuovo le telecamere inquadrano Totti che prende a pugni l’aria come se quel rigore fosse stato l’ultimo (e in effetti è l’ultimo segnato dall’Italia, Maldini ha sbagliato quello successivo) o come se il significato di quel rigore fosse stato anche più grande di una semifinale.
Che Totti fosse consapevole che un giorno quel rigore sarebbe stato ricordato come uno dei momenti più belli della Nazionale italiana non c’è nessun dubbio, d’altra parte oltre alla leggerezza e alla follia dietro quella scelta c’è anche l’istinto teatrale di un calciatore narcisista, che viveva per sedurre quante più persone possibile grazie al proprio talento.
Il golden gol di David Trezeguet
Scorrendo questa lista temevate di arrivare a questo punto. Magari speravate che non l’avremmo inserito; che avremmo considerato più degno un altro gol. In fondo c’era quel tiro da fuori di Fiore, anche il gol di Delvecchio è reso un bel gol dal third pass di tacco di Totti. Ma bisogna ammettere che il gol di Trezeguet è molto bello e racchiude quell’estetica da centravanti che gli era propria. Riguardando gli highlights della partita indugiamo su tutti quei dettagli che potevano prendere una piega diversa e darci quella vittoria. Se Del Piero avesse sfruttato almeno una delle due occasioni; se Toldo avesse messo il piede su quel tiro non irresistibile di Wiltord…
In questo gol di Trezeguet tutto ci sembra ineluttabile, stanno infierendo su una squadra già morta. Riguardando il video Albertini fa una figuraccia su Pires. Ma eravamo ai tempi supplementari di una finale devastante, sarebbe disonesto dargli qualche colpa. La discesa di Pires sulla sinistra, calma ed elegante, è bella quanto la girata di Trezeguet, che tira facendo perno sul destro e ruota su se stesso. La palla finisce sotto la traversa. L’ultimo gol di Euro 2000, quello che ci ha inchiodato alle sedie e ai divani da cui eravamo pronti per alzarci per andare a festeggiare.