Paul Labile Pogba si allunga per recuperare una palla sputata dalla difesa della Svizzera. Sarebbe lunga per chiunque, ma lui ci arriva stendendo il piede destro e accarezzandola col collo come fosse un tentacolo. Lo sforzo forse è stato eccessivo persino per lui, soprannominato il polpo, visto che pare sbilanciarsi, raggomitolarsi in sé stesso, ma Pogba non perde mai l’equilibrio, al massimo ne sta inventando uno nuovo. Una quasi caduta quindi diventa una rincorsa e Pogba calcia con l’interno del piede. Il tiro a giro rappresenta una delle esecuzioni meno agonistiche del calcio, spesso è tutto un fattore di tempismo e improvvisazione; quando Pogba tira a giro, però, la palla assume un effetto alieno, pare posseduta, e quella finisce forte e veloce sotto l’incrocio dei pali. È uno di quei gesti tecnici così poco convenzionali che evocarlo a parole è complicato, facciamoci aiutare dalla tifosa che in tribuna ha visto la sua bocca spalancarsi per un riflesso incondizionato.
Dopodiché Pogba si esibisce in un numero tendente all’infinito di esultanze. Si congela sul posto a braccia conserte come Mark Bresciano, statua di sé stesso, lo sbuffo biondo sulla sua testa come la striscia sul muso di una fuoriserie. Annuisce e sorride, mentre i tifosi francesi gridano con le mani sulla testa. I compagni lo abbracciano e appena lo rilasciano, ricomincia a esultare. Indica qualcuno, poi mima di spararsi qualcosa sul braccio (una pera di ero? il vaccino come Gerard Moreno?) [edit: sta mimando l'ice in my veins con cui i giocatori NBA mostrano di avere il sangue freddo nei momenti importanti]; arriva Kimpembe - maestro Kimpembe - e fanno un balletto insieme. Quando quello se ne va Pogba fa un’altra esultanza incomprensibile, che cosa fa? Sta chiudendo una cassaforte? Sta virando il timone di una nave? È un segno massonico? Tornando a centrocampo qualche altra esultanza. Pugno sul cuore, poi la mano che diventa a tre dita e si indica la tempia. Sembra di essere sul suo TikTok. Quante esultanze possono essere legalmente tollerate dopo un gol?
Siamo a un quarto d’ora dalla fine e la Francia sembra aver impacchettato un ottavo di finale che una ventina di minuti prima era a un passo dal perdere. È avanti 3-1 e quel gol certificava la sua capacità di poter fare più o meno tutto in campo. Eppure poco prima aveva rischiato di essere sotto 2-0.
Dopo essere passata in vantaggio con un imperioso colpo di testa di Seferovic, la Svizzera a inizio secondo tempo si era guadagnata un rigore col generoso Steven Zuber. Aveva sterzato in area su Pavard, che lo aveva travolto, ma in una delle più evidenti espressioni della correttezza elvetica, quello si era rialzato. C’era voluto il VAR per assegnare infine il rigore alla Svizzera. Dal dischetto si è presentato Ricardo Rodriguez, e certo era strano. In campo c’erano Shaqiri e Xhaka, perché lui? Lloris tiene una posizione sbilanciata sul lato destro, quasi a invitarlo a tirare dall’altro lato, e Ricardo Rodriguez forse capisce il mindgame, perché tira alla destra di Lloris. È un rigore né troppo forte né troppo angolato, ma la parata di Lloris è notevole.
Chi ha familiarità con gli equilibri psicologici di una partita a quel punto sapeva che sarebbe stato molto difficile per la Svizzera difendere il vantaggio. Il sollievo del mancato pericolo della squadra più forte, contro i rimpianti di quella più debole. Come all’inizio delle puntate de La Signora in Giallo, stavamo solo aspettando l’omicidio.
Ci è voluta un’altra giocata sopra le righe, originale come il talento di certi giocatori francesi che sembrano artisti. Karim Benzema correva verso il cuore dell’area, mentre Mbappé gli ha servito una palla troppo arretrata. Lui - soprannominato “Il gatto” da Mourinho - ha arretrato la gamba sinistra ed è riuscito a intercettare il passaggio col collo del piede. Uno di quei primi controlli geniali che sembrano strillare Dennis Bergkamp. La palla gli è sfilata davanti, e Benzema ha anticipato il portiere con un tocco morbido con l’esterno sinistro. Qualche minuto dopo ha segnato il gol del vantaggio spingendo di testa una respinta di Sommer.
E, insomma, quando Pogba ha segnato il 3-1 gli argini parevano rotti.
In questo Europeo però succedono cose strane. Nel pomeriggio la Croazia aveva giocato una partita disastrosa, contro una Spagna autolesionista ma comunque in controllo assoluto. Poi aveva rimontato il risultato negli ultimi sette minuti. Il livello di dramma di questo torneo, l’emotività che mettono in campo certe squadre, che a volte è solo energia nervosa, la disperazione di non voler essere eliminati, riesce a pareggiare i valori tecnici, a rendere in sostanza tutto possibile in qualsiasi momento.
Queste rimonte sembrano sempre farne nascere altre. Come era successo nella Champions League di qualche anno fa: la rimonta della Roma ne aveva generata una quasi compiuta della Juventus. Come se qualcosa si diffondesse nell’aria. La squadra in vantaggio teme di potersi trovare dal lato sbagliato della storia, quella debole e in svantaggio pensa di potercela fare più di quanto la realtà suggerirebbe.
Succedono cose davvero strane.
È stato un Europeo in cui le squadre più forti, finora, sono sembrate meno forti del previsto. O almeno si può dire che il loro rendimento è stato ambiguo. Squadre come Germania, Belgio, o Portogallo in una partita mostravano la versatilità del proprio talento; in quella dopo le fragilità che nascondevano. La Spagna riesce a essere schizofrenica all’interno della stessa partita, alternando gioco brillante, imprecisione sotto porta e disastri difensivi.
La forza della Francia, però, sembrava al di sopra di tutto. Aveva battuto la Germania come potevamo aspettarci: facendo poco, ma abbastanza per battere una delle migliori squadre del mondo. Aveva vinto come al solito: ammassando il proprio talento offensivo in avanti in attesa che accada qualcosa; e dopo aveva deciso di non rischiare più nulla. Il problema era segnare il primo gol, e contro l’Ungheria non ci era riuscita, e contro il Portogallo aveva sofferto molto. Ma era normale, ci dicevamo. La Francia è questa: una squadra che gioca male, accetta persino di subire l’avversario, ma poi riesce a venir fuori dalle traversie del calcio grazie alle infinite possibilità e sfaccettature dei propri talenti.
Prima dell’Europeo circolavano molto sui social le formazioni alternative della Francia. Le France possibili come le Yugoslavie possibili. La squadra Under-21 avrebbe potuto fare serenamente i quarti dell’Europeo, dicevamo; quella degli esclusi forse avrebbe potuto vincerlo, pensavamo. La domanda allora era: come non si spreca la migliore generazione della storia del calcio francese? Facendo meno danni possibili, si era risposto Deschamps.
Dai Mondiali del 2018 il CT ha brevettato il suo personale patto col diavolo: linea difensiva composta da quattro centrali, Kanté a mettere una doppia mandata davanti a loro, un altro centrocampista iperdinamico e in grado di coprire molto campo (prima Matuidi, oggi Rabiot), poi Pogba a gestire i ritmi e a sperimentare, Griezmann a raccordare il gioco sulla trequarti, un riferimento offensivo centrale (prima Giroud, oggi Benzema) che liberi lo spazio per i tagli, con e senza palla, di Mbappé. Una sofisticata formula matematica di tutti i compromessi possibili, ma che alla fine badava alla semplicità.
La Francia è incredibilmente impacciata col pallone, e a volte sembra difendere per pura somma di corpi e di nervi. Una squadra ossessionata dal non correre i rischi, dall’annullare i possibili eventi di una partita di calcio e di un intero torneo. Pareva funzionare. In questo modo, un po’ italiano, aveva sfiorato l’Europeo del 2016 e aveva vinto il Mondiale del 2018. Con la stessa ossatura, e in più Benzema, pensava di vincere anche Euro 2020. Si è messa sulla riva del fiume e ha aspettato che l’Europeo gli arrivasse portato dalle correnti.
Il piano della storia si è inclinato quando Haris Seferovic ha preso posizione su Lenglet e ha colpito di testa il cross di Zuber per il gol dell’1-0. Due parole su Zuber, giocatore piuttosto brutto da vedere, 6 presenze da titolare quest’anno con l’Eintracht Francoforte. 4 assist a questi Europei, imprendibile per Benjamin Pavard. La Francia stava giocando peggio del solito. Durante il girone i suoi terzini erano caduti come mosche. Prima si era fatto male Pavard, poi Lucas Hernandez, poi Digne. Un contrappasso per aver lasciato a casa Theo Hernandez? Per questa partita Deschamps poteva decidere se schierare Rabiot terzino sinistro, come fatto col Portogallo, oppure cambiare modulo. Ha scelto di mettere una difesa a tre, con Rabiot esterno a tutta fascia, e davanti ha tenuto vicini Benzema e Mbappé. Lo aveva fatto altre volte in passato, ma raramente.
Senza i pochi riferimenti tattici che avevano, i giocatori francesi sembravano spaesati; la Svizzera invece è una squadra con una fase di possesso palla fluida, a volte persino brillante. Non ha fatto grande fatica a manipolare lo schieramento della Francia, sfruttando la superiorità numerica sugli esterni. In particolare la Svizzera costruiva sul lato sinistro, quello occupato da Manuel Akanji (maggior numero di palloni toccati della squadra dopo Xhaka). Zuber veniva incontro giocando all’indietro sul mediano, che poi trovava Ricardo Rodriguez a sovrapporsi nello spazio liberato. Su Zuber usciva Pavard e non Varane, per non lasciare due contro due i centrali con gli attaccanti della Svizzera, che potevano diventare anche tre. In questo modo però la squadra di Petkovic risaliva il campo facilmente.
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Se invece uscivano sia Pavard che Varane, prendendo Zuber e Rodriguez, si apriva uno spazio fra i due centrali della linea francese su cui la Svizzera poteva essere pericolosa.
In questo caso Rodriguez fa un colpo di tacco di prima di qualità per liberare Zuber.
Ad alzare il livello del possesso palla della Svizzera era soprattutto Granit Xhaka, autore di una partita memorabile. 87 passaggi - 20 in più di qualsiasi altro compagno - quasi sempre giocati in verticale dietro le linee, e di cui tre che hanno mandato al tiro un giocatore della Svizzera.
A fine primo tempo Deschamps ha annunciato ai microfoni della tv francese che avrebbe sostituito Lenglet con Coman, cambiando quindi modulo e tornando alla linea a 4. Sarebbe stato un 4-3-3 o un 4-4-2? Non era chiaro. La Francia ha recuperato un po’ di distanze in campo, e anche di certezze. Coman a sinistra è un giocatore buggato, che con i suoi dribbling ad andare sul fondo dava finalmente sfogo in ampiezza e aumentava la pressione offensiva della Francia. La Svizzera dopo il rigore sbagliato ha perso energie, si è abbassata, e la Francia ha rimontato grazie a una capacità impensabile di produrre momenti di grandezza su scala industriale.
Abbiamo detto del primo gol e del terzo, ma non abbiamo sottolineato per esempio l’incredibile colpo di tacco di Kylian Mbappé nel secondo gol della Francia, che ha smarcato Griezmann davanti a Sommer.
Al minuto 80, mentre la partita si stava trascinando alla fine, la Francia - per un brutto contrappasso - si è fatta trovare incredibilmente scoperta sul lato sinistro. Da un momento all’altro, Coman e Rabiot erano troppo stretti e Mbabu è rimasto completamente libero di crossare per il secondo gol di testa della serata di Seferovic (altra esultanza rabbiosa, come va di moda in questo Europeo tra i centravanti di origine balcanica).
Quando Gavranovic ha segnato il 3-3 in fuorigioco, la Francia pareva graziata. Cinque minuti dopo Pogba ha perso palla e Xhaka ha potuto alzare la testa e vedere i suoi compagni che correvano prendendo la Francia in contropiede. Ha servito un filtrante delizioso, corso a filo d’erba, sui piedi di Mario Gavranovic.
A 32 anni, verso la fine di una carriera modesta, Gavranovic non ha proprio l’aria dell’eroe. Ai tempi del Mainz, Thomas Tuchel aveva detto di lui: «È peggio come persona che come giocatore». Gavranovic ha un buon primo controllo e con un guizzo imprevisto mette a sedere Kimpembe - autore di un Europeo terribile - e segna incrociando il tiro.
Ora dobbiamo mostrarvi quel tifoso della Svizzera che si stava mangiando la maglia con aria tremebonda a un minuto dalla fine, e che dopo il gol del pareggio si sarebbe staccato persino la pelle di dosso per esultare. Un buon racconto auto-conclusivo di questa partita.
La quantità di cose successe ieri sera ha poco di spiegabile, e col senno di poi avevo dimenticato la traversa di Coman. A due minuti dalla fine Mehmedi ha ricevuto un lancio lungo, sempre di Xhaka, e se non avesse sbagliato il controllo di qualche centimetro, si sarebbe ritrovato solo davanti a Lloris. Sul ribaltamento di fronte, a un minuto dalla fine, Coman ha ricevuto in area un cross di Kanté, lo ha stoppato col petto e ha calciato di collo cogliendo la traversa.
Magari ci può sembrare la naturale inerzia fisica e psicologica, ad aver trascinato le squadre ai calci di rigore. Con un po’ di freddezza, però, è incredibile che la Svizzera, stanca, sia sopravvissuta per i trenta minuti dei supplementari contro la Francia. Più volte è andata vicina a crollare, ma alla Francia non è bastata neanche una delle serate di Pogba. Una di quelle in cui gioca a calcio in un modo in cui nessuno riesce, facendo delle cose uniche e mai viste nell’idea e nell’esecuzione. Ha chiuso la partita con 4 passaggi chiave, 5 dribbling completati e un gol pazzesco.
A 10’ dalla fine Mbappé prende finalmente il tempo a Elvedi, e Pogba lo serve con un filtrante che gli cade proprio davanti al piede. Di solito Mbappé da quella posizione incrocia il tiro col piatto destro, ma per qualche ragione stavolta la lascia scorrere. La palla gli finisce sul sinistro, ma la lascia andare troppo, e il tiro ritardato che prova a un certo punto, è osceno. Dopodiché si tocca la gamba come infortunato (una delle signature move di Cristiano Ronaldo dopo un errore, l’ha copiata da lui, dal suo idolo?).
Non è stato certo il primo errore della partita di Mbappé, autore di sei tiri, uno peggio dell’altro. Con la Francia ancora sotto aveva sbagliato un tiro a giro sul secondo palo - quello, per intenderci, che aveva segnato alla Germania in fuorigioco - di alcuni metri. All’inizio dei supplementari ha raccolto un assist di Coman dal limite dell’area, e col suo sinistro non è riuscito neanche a fare un tiro degno di questo nome. Ma soprattutto non sarà l’ultimo errore della partita di Mbappé.
Nel frattempo Deschamps aveva dovuto cambiare Coman per infortunio, e aveva inserito Giroud al posto di Benzema, preferendo qualche colpo di testa della disperazione nel finale a un altro rigorista. Lo schieramento con cui la Francia chiude la partita è psichedelia. Attacco a tre: Sissoko, Giroud, Thuram.
Dettagli memorabili dei calci di rigore. La strategia mentale di Lloris, che si avvicina alla riga di porta come chi sta andando a fare la fila alla posta: sembra stanco e scocciato, poi fa un paio di mossette. Il rigore di Pogba: ha calciato di interno così forte, e così dal basso verso l’alto, che sono rimasto scioccato che la rete non si sia rotta. La coolness del rigore di Schär (bella e a caso). Il tifoso francese molto piccolo e buffo, che cantava “Hugo! Hugo!” con le lacrime agli occhi, come se in cuor suo già sapesse.
I rumori sordi dei guanti di Sommer mentre aspettava il tiro (un rumore così forte dei guanti irretisce?).
Questi tre tifosi svizzeri che temono il peggio, quando un Mehmedi dall’aria particolarmente senile si presenta sul dischetto per l’ultimo rigore della Svizzera (e perché non Xhaka?!).
In questo teatro drammatico due momenti hanno definito il risultato. Il rigore del giovane Vargas, calciato con indecisione, ma che Lloris non è stato abbastanza deciso da respingere. Questa immagine, però, vi racconta quanto ci è andato vicino.
Che sensazione deve essere, sentire sulla propria mano la possibilità di diventare un eroe senza riuscirci?
E poi, naturalmente, il rigore di Kylian Mbappé. Quando si è presentato abbiamo cercato di individuare sul suo viso i segni di preoccupazione: veniva da una partita stracolma di errori, era davvero una buona idea mandarlo a tirare il quinto rigore? Un rigore calciato non così male, a essere onesti, forte e piuttosto alto. Yann Sommer, però, portiere e cuoco, compie un mezzo miracolo, parando con la mano di richiamo stesa in verticale. Mbappé che aveva sbagliato tutto in quella partita, e che in quelle prima aveva segnato solo in fuorigioco. Mbappé che prima dell’Europeo era sulla copertina di France Football, lui e la dichiarazione: «Voglio entrare nella storia». Ha chiuso il torneo con zero gol segnati e l’errore fatale per l’eliminazione.
Nella sua breve e già magnificente carriera, Mbappé ha brillato per una particolare capacità di prendersi i palcoscenici più importanti. Segnare gol decisivi, fare giocate decisive, nelle partite in cui aveva gli occhi di tutti addosso. Un uomo nato per la grandezza; quel tipo di magnetismo che, con un po’ di mistica, attribuiamo ai grandi campioni. O a quei giocatori speciali che sembrano avere, oltre al talento, un rapporto privilegiato col divino. Pochi potevano pronosticare per Mbappé una caduta così spettacolare.
Ci sono altre istantanee dell’incredibile serata di ieri che non dimenticheremo. I giocatori della Francia schiantati al suolo in mezzo a bottigliette di plastica vuote; Digne che consola Mbappé nel tunnel, ed è un momento equivoco tra due esseri umani che non sembrano davvero entrare a contatto. Granit Xhaka che beve Coca-Cola prima dei rigori, concedendo la chiusura del cerchio a uno dei meme più bizzarri di questi Europei. Ma soprattutto Xhaka al centro del cerchio dei giocatori della Svizzera, a parlare da capitano con l’enfasi dei capitani, di quei giocatori che si muovono bene nelle metafore della guerra con cui ci piace interpretare lo sport. Xhaka che a fine partita, mentre i compagni corrono compatti verso la curva, si stacca come un eroe omerico, e corre ad abbracciare Vladimir Petkovic. Xhaka premiato a fine partita come Man of the Match, e che poi ha regalato il premio al suo allenatore.
Ci sono stati pochi dubbi su chi avesse l’allenatore migliore in panchina. Tra i due, solo uno è riuscito a fare di undici uomini una squadra di calcio. So Foot ha scritto delle scelte di Deschamps come di una “Disasterclass”; lo ha descritto come un uomo debole e confuso, incapace di gestire i cambi, di tenere il polso fermo davanti alle bizze dei giocatori (Coman pare sia rimasto in campo infortunato per dieci minuti, convincendo per un po' il CT a non sostituirlo contro ogni evidenza). L’Equipeha titolato “Annientati”.
Ci sono poi quei venti minuti in cui la Francia aveva ribaltato il risultato, mostrando la supremazia e la qualità unica con cui il talento dei suoi giocatori poteva associarsi. Si può incorniciare tra i what if della storia del calcio, e come prova da mostrare a Deschamps: non si poteva fare meglio con questi giocatori? Abbiamo visto cosa poteva essere e non è stato. Ci sarà un mondiale in Qatar da giocare probabilmente con la stessa ossatura, ancora con Deschamps in panchina? Schierando la difesa a tre, Deschamps si è fatto eliminare andando in parte contro sé stesso: cedendo a un interventismo inusuale (oltretutto le sole occasioni in cui l'aveva provata, di recente, la difesa a 3, era per provare a inserire Upamecano in squadra, salvo poi escluderlo dai convocati) lui che nei suoi anni da CT ha provato a minimizzare la sua presenza fino a scomparire. Il miglior allenatore di questa squadra, quello che non si vede, pensava.
Nel frattempo è veramente difficile non universalizzare il significato di questa sconfitta della Francia. Non prenderla come manifestazione di alcune verità forse banali. Non solo che nel calcio tutto è possibile, e vale la pena ricordarlo almeno nell’anno in cui quest’assunto è stato messo in discussione. Ma soprattutto il fatto che una squadra è più della somma di undici giocatori; che non si può ammassare il talento senza dargli una forma, senza modellarlo attorno a delle idee che gli diano un respiro collettivo. L'intenzione di Deschamps è sembrata quella di un calcio fordista, in cui a ogni individualità, come in una catena di montaggio, bastava fare il suo in maniera alienata per arrivare alla vittoria. Ma oggi neanche la più oltraggiosa quantità di talento basta, da sola, a vincere un torneo. Neanche un torneo per nazionali, in quello che teoricamente sarebbe un calcio meno profondo e organizzato di quello dei club.
Forse poteva bastare in passato, ma non può bastare oggi, dove l’organizzazione delle squadre riduce i gap di talento in quasi ogni partita.
La Francia è sembrata una squadra animata, più di ogni cosa, dalla paura del fallimento. Seguendo questo istinto negativo, ha preso la forma di una squadra distruttiva. Una squadra con quel talento si è preoccupata soprattutto di annullare i pregi avversari. Ha provato a trascinare tutti in partite di calcio grigie, in un territorio dove la maggior forza fisica e la maggiore qualità tecnica dei propri giocatori sarebbe potuta bastare. Sapeva di essere la più forte e temeva solo l'imprevisto. Ha provato, quindi, in tutti i modi possibili, a rendere il calcio prevedibile, uno sport in cui vince semplicemente il più forte.
Questo, però, sembra un Europeo dominato dall'imprevisto.