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Guida all'Ungheria
03 giu 2021
La Nazionale magiara proverà a sopravvivere al girone con un'identità tattica molto definita.
(articolo)
8 min
(copertina)
Illustrazione di Andrea Chronopoulos
(copertina) Illustrazione di Andrea Chronopoulos
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Nonostante l’ottimo inizio, con tre vittorie consecutive nelle prime quattro giornate (contro Croazia, Azerbaijan e Galles) l’Ungheria ha chiuso al penultimo posto il girone di qualificazione ed è agli Europei solo grazie al percorso fatto negli spareggi, collegati per la prima volta ai risultati in Nations League. Prima ha battuto comodamente la Bulgaria in semifinale (3-1), e poi in finale ha compiuto un’impresa eliminando l’Islanda, con una rimonta negli ultimi minuti dopo essere andata presto in svantaggio di un gol.

Contro l'Islanda, la nazionale ungherese era stata tradita da uno dei giocatori più affidabili, il portiere Gulácsi, che si era fatto sfuggire la palla su una punizione innocua di Sigurdsson, ma poi nei minuti finali aveva trovato le forze per rimontare. Nego aveva pareggiato in modo fortuito, con la palla sbucata tra i suoi piedi davanti al portiere dopo aver rimbalzato addosso a due islandesi, e poi Szoboszlai, il più talentuoso, aveva riscattato una partita deludente con una sola grande giocata. Partito dalla propria trequarti, il dieci ungherese era avanzato fino a poco oltre la lunetta dell’area e da lì aveva calciato facendo schizzare la palla in rete dopo una carezza sul palo. Purtroppo per l'Ungheria, però, proprio Szoboszlai salterà il torneo per colpa della pubalgia.

Come gioca?

A guardare l’Ungheria la si potrebbe confondere con una delle tante squadre italiane che giocano con il 3-5-2 e fanno un possesso molto verticale. D’altra parte il commissario tecnico è italiano, Marco Rossi, così come parte dello staff: il vice, Cosimo Inguscio, e fino a poco tempo fa anche l’analista Giovanni Costantino, che ha lasciato poco prima degli Europei per andare ad allenare l’MTK Budapest. Chiara somiglianza con Jonathan Banks, cioè Mike Ehrmantraut di Breaking Bad, Rossi ha detto di ispirarsi a due maestri, Bielsa e Lucescu.

Il tecnico piemontese si è allontanato dall’Italia circa dieci anni fa dopo varie esperienze in Serie C per costruirsi una carriera di tutto rispetto nei campionati della Mitteleuropa. Cinque anni all’Honvéd con un campionato ungherese vinto nel 2017, poi un passaggio in Slovacchia con il DAC nella stagione successiva, prima di tornare in Ungheria nel 2018 come commissario tecnico della nazionale.

Di talento ce n’è poco ma la squadra è molto organizzata, e sembra già attrezzata per il tipo di partite che la aspettano: in difesa per la maggior parte del tempo, con attacchi soprattutto in transizione, visto il rapporto sbilanciato a livello di talento con le avversarie del girone. L’Ungheria però non è abituata a difendersi in modo passivo, e anche quando imposta c’è poco di casuale o improvvisato. La linea difensiva è sempre a cinque, il pressing è portato di solito in zone medio-basse ma è elaborato, con uscite che si adattano di volta in volta al sistema e alle caratteristiche degli avversari. Le linee più avanzate possono cambiare e prendere forme diverse, anche a partita in corso. Il sistema di norma è il 3-5-2, ma gli ungheresi riescono a scivolare con fluidità verso il 3-4-3, anche durante la partita, spostando in avanti una mezzala e aprendo o abbassando una punta.

In questo caso la Polonia imposta con la difesa a tre, e allora una mezzala (Kalmár), si alza sulla linea degli attaccanti per pressare il centrale difensivo destro.

Le caratteristiche degli esterni di solito sono calcolate in base alla partita, e capita spesso che a destra giochi uno più difensivo, un terzino come Lovrencsics o un difensore più duttile come Fiola, utilizzato anche da centrale destro della difesa a tre; mentre a sinistra ce ne sia uno più offensivo, e cioè Holender, un attaccante che invece Rossi fa giocare in nazionale come esterno che copre tutta la fascia.

Quando attacca, comunque, l’Ungheria non coinvolge molto gli esterni nella risalita, e nemmeno li utilizza troppo per rifinire l’azione con i cross. Gli esterni fissano più che altro i terzini avversari e aiutano ad allargare le linee, visto che la manovra converge verso il centro e la palla risale con passaggi taglia-linee dalla zona di costruzione alla trequarti. Anche se non ha molta qualità e riesce a farsi pericolosa soprattutto con ripartenze in spazi ampi, o con i calci piazzati, l’Ungheria cerca comunque di far circolare la palla con ordine, in verticale ma senza per forza saltare le linee per andare diretta sulla punta.

Anzi è molto organizzata nelle rotazioni per manovrare in mezzo al campo. Orbán può ad esempio alzarsi dalla difesa e aggiungersi al centrocampo se il mediano (Nagy, ex Bologna) gli fa spazio, le mezzali possono andare a ricevere dai difensori o, al contrario, alzarsi sulla trequarti, con le punte che si abbassano o si aprono per dare appoggio all’azione, creando spazi per gli inserimenti.

Insomma, per organizzazione e intese tra i giocatori non sembra di avere a che fare con una nazionale - anche perché, come detto, non ci sono molti talenti individuali e Rossi non può aspettarsi che le connessioni si creino in modo spontaneo. Forse non basterà a mascherare il divario con le avversarie, ma per competere l’Ungheria non ha altra strada se non quella di farsi trovare più organizzata, con un piano migliore, rispetto alle grandi squadre che deve affrontare. E a questo l’ha preparata Rossi negli ultimi tre anni.

Chi va tenuto d'occhio?

Il livello della rosa risente molto della perdita di Dominik Szoboszlai, la stella della nazionale, l’ungherese più costoso della storia (pagato venti milioni di euro dal RB Lipsia). Finito al Lipsia lo scorso gennaio dopo un passaggio di due anni nel secondo club per importanza della galassia Red Bull, il Salisburgo, da quando è in Germania Szoboszlai non ha mai visto il campo e non è riuscito a esordire per colpa di una pubalgia, uno degli infortuni più subdoli per un calciatore. Inizialmente Rossi lo aveva portato lo stesso in gruppo, sperando di poterlo recuperare, poi però si è arreso e lo ha lasciato fuori dai convocati.

Curiosamente gli ungheresi più forti fanno tutti parte del RB Lipsia. Oltre a Szoboszlai, c’è il portiere Gulácsi, che ha raccolto il testimone da Kiraly e dalla fine degli ultimi Europei è il titolare della nazionale. Con il Lipsia ha iniziato nella seconda divisione tedesca ed è arrivato fino alla semifinale di Champions League dell’anno scorso, così come Willi Orbán, difensore centrale che ha esordito tardi in nazionale, a quasi 26 anni e proprio con Marco Rossi, perché fino a quel momento aveva coltivato la speranza di giocare con la Germania (è nato a Kaiserslautern, il papà è ungherese e la mamma polacca).

Orbán è il leader difensivo della squadra, di solito gioca al centro della difesa e guida i compagni regolando altezza e movimenti della linea. Oltretutto è molto pericoloso nell’area avversaria sui calci piazzati, e con cinque gol è il terzo miglior marcatore della rosa.

Ha dei punti deboli?

Molto ha a che fare con l’assenza di Szoboszlai. Senza di lui, la nazionale ungherese perde molto sul piano creativo: Szoboszlai è il giocatore con più inventiva, l’appoggio più sicuro, che riceva dai difensori o più avanzato, per far risalire la palla e creare pericoli; in più batte molto bene i calci piazzati, una risorsa essenziale per una squadra che non avrà molte occasioni per segnare.

Il guaio per Rossi è che non può contare nemmeno sull’altra mezzala offensiva, Zsolt Kalmár. Magari senza raggiungere i livelli di Szoboszlai, anche Kalmár è capace di giocare a diverse altezze del campo e di battere bene i calci piazzati, ma si è rotto i legamenti proprio in nazionale, a fine marzo contro Andorra, e salterà quindi gli Europei.

Il rischio più grande per l’Ungheria è di essere innocua, di avere poca qualità per impensierire le rivali del girone. Di creare poco e di non poter contare su attaccanti che riescono a farselo bastare. I due titolari non hanno infatti nella freddezza in area la loro dote migliore. Szalai, il capitano e il giocatore più esperto, ha giocato poco con il Mainz nell’ultima stagione e ha segnato solo due gol tra Bundesliga e Coppa di Germania. Sallai ha fatto meglio con il Friburgo, mettendo insieme 8 gol e 3 assist in Bundesliga, ma è un’ala e in nazionale ha segnato meno di Orbán.

Rossi ha portato in gruppo anche il capocannoniere e il miglior giovane dell’ultimo campionato ungherese, János Hahn e Szabolcs Schön, ma non è detto che basti a dare una svolta. In fin dei conti nessuno dei due ha ancora esordito in nazionale.

Dove può arrivare?

Sorteggiati nel peggior gruppo possibile, lo scenario immaginato più o meno da tutti vede gli ungheresi eliminati subito nella prima fase, ultimi dietro Francia, Portogallo e Germania (non necessariamente in quest’ordine). Anche agli Europei di cinque anni fa, però, le aspettative erano basse, e invece l’Ungheria aveva raggiunto gli ottavi vincendo il proprio girone, di certo più facile rispetto a quello che affronta stavolta, ma comunque stando davanti al Portogallo che avrebbe poi vinto il titolo.

L’ultimo posto nel proprio gruppo non è insomma così ovvio, nonostante l’evidente divario con le avversarie, gli infortuni e l’assenza di Szoboszlai. Gli ungheresi sono organizzati, non perdono da nove partite e hanno vinto il proprio girone in Nations League, arrivando davanti a Russia, Serbia e Turchia e venendo promossi in prima divisione. Di certo faranno di tutto per non passare da vittime scontate del gruppo più difficile del torneo. E qualsiasi risultato ottengano al di là dell'eliminazione al primo turno sarà da considerare un successo per Rossi e i suoi giocatori.

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