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Stavo commentando, con un amico, su Whatsapp, le ultime partite del Girone F.
Su uno schermo alla mia sinistra guardavo Portogallo-Georgia, su un altro schermo a destra Turchia-Repubblica Ceca. Nell’orecchio sinistro un auricolare con il commento Rai della prima partita, nell’orecchio destro un airpod con il commento Sky della seconda. Vi giuro che si può fare: se vi concentrate su una partita con gli occhi il vostro cervello selezionerà l’audio corrispondente ed escluderà l’altro (ma, in caso di strilli, ad esempio per un gol, la vostra attenzione verrà richiamata). È un po’ faticoso ma si può fare.
Comunque, la prima partita è presto diventata un’esibizione dell’estro georgiano contro un Portogallo quanto mai ridotto alla pura volontà di Cristiano Ronaldo (uno dei soli 3 titolari portoghesi a giocare anche quella partita per loro inutile dal punto di vista della classifica) di massimizzare la sua eterna giovinezza segnando più gol possibile. Ho pensato che forse ha un patto col diavolo: per ogni gol che segna, una settimana o un mese in più in cui il suo corpo si conserva esattamente nello stato in cui è ora.
Ovviamente non è vero, Cristiano Ronaldo invecchia e i suoi rosicamenti sono tanto più tristi quanto è grande l’amore che lo circonda: invasori di campo disposti a farsi maltrattare dagli steward tedeschi pur di farsi una foto con lui, bambine-mascotte che lo accarezzano durante gli inni per verificare che sia effettivamente Cristiano Ronaldo in carne e ossa e non, che ne so, un pupazzo tipo il Topolino di Disneyland, c’è persino un tizio che è saltato dalla tribuna nel vuoto delle scale dello stadio per provare a strappargli un sorriso. Tutto questo, però, per Cristiano Ronaldo vale infinitamente meno di un passaggio fatto bene che gli permetta di spingere la palla in rete di piatto da un metro e mezzo.
Sull’altro schermo Turchia e Repubblica Ceca erano nel bel mezzo di quella che sarebbe diventata la partita con più cartellini della storia degli Europei, un rubinetto aperto di puro nervosismo ed emotività con cui i cechi hanno riempito la vasca nella quale, per poco, non sono riusciti a rimontare e vincere in dieci contro undici una Turchia un pelo troppo rilassata.
A un certo punto, mentre commentavo con un amico su Whatsapp, e da Cristiano Ronaldo eravamo passati a lodare ogni singolo giocatore georgiano, ovviamente Kvaratskhelia in testa (ah, potesse giocare sempre così, in un campo lungo 70 metri con quattro o cinque avversari che lo inseguono come anatroccoli che vanno dietro alla mamma), a un certo punto il mio amico mi scrive: “Cosa ha fatto Mikautadze?”.
Lui era allo stadio a Gelsenkirchen (quel mio amico era Roberto Scarcella, grande scrittore e inviato del quotidiano del Canton Ticino La Regione e, anche, di Ultimo Uomo) e io, pensando che la domanda fosse di primo livello - non ho capito bene cosa ha fatto - sono partito con una lunga spiegazione sgrammaticata che non vi riporto anche perché c’erano più emoticon di cuori che lettere dell’alfabeto.
Quello che aveva fatto era questo:
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Anzi questo è solo un pezzo di quello che ha fatto, perché si sa che i giovani sui social hanno la soglia di attenzione di pochissimi secondi, quindi l’account ufficiale dell’Europeo ha tenuto il dribbling, la busta con cui brucia sulla linea laterale Nelson Semedo, e tolto quello che viene dopo. Perché poi, George Mikautadze, nato a Lione da genitori georgiani nel 2005, rallenta, si ferma quasi, aspetta l’arrivo dietro di sé di Davitashvili, che si sovrappone internamente, e lo serve con un sensualissimo esterno destro rasoterra direttamente in area di rigore. Davitashvili calcia male sull’esterno della rete con un compagno a centro area che reclamava un facile passaggio, di quelli da mettere dentro di piatto da un metro e mezzo.
Come ormai quasi tutti sanno - perché non è solo il capocannoniere della fase a gironi di questo Europeo ma anche uno dei giocatori più fichi e divertenti da guardare (13 dribbling tentati in 3 partite) - George Mikautadze ha fallito il passaggio nel calcio che conta, quando la scorsa estate è passato all’Ajax accumulando solo 6 presenze in campionato per tornare poi a gennaio al Metz in cui è esploso. In realtà, Mikautadze aveva fallito anche il suo primo passaggio al Metz, quando veniva da una grande stagione nella seconda divisione belga (nel RFC Searing, squadra satellite, con la stessa proprietà, del Metz: 22 gol in 23 partite nella stagione 20-21).
Ha giocato solo una partita in Ligue 1, pochi minuti, in realtà, con la maglia del Metz - sufficienti a perdere palla tirando due volte da fuori area addosso i difensori, come un caprone che prende a cornate un muro di cemento armato, e a lanciare il contropiede con cui il Lille ha segnato il gol del 3-3 finale - prima di essere rimandato in Belgio, dove l’RFC Searing nel frattempo era stato promosso in prima divisione. L’anno dopo Mikautadze è tornato a Metz, nel frattempo retrocesso e con un allenatore diverso, e ha partecipato alla nuova promozione della squadra con 23 gol e 8 assist in 37 presenze in campionato.
Ma Mikautadze aveva già fallito, se così si può dire, quando era stato scartato dal Lione in cui era cresciuto (nella stessa squadra di Pierre Kalulu e Maxence Caqueret) perché “ero davvero troppo piccolo, troppo fragile”. Ma dai fallimenti nascono i fior, non era così? E quando con una squadra locale affronta proprio il suo Lione gli segna una doppietta in faccia, come si dice: “Volevo dimostrare che ero ancora lì”.
Lo scorso anno Mikautadze ha giocato un’altra ottima stagione (13 gol e 4 assist in 20 partite, da gennaio) e adesso che sta giocando un ottimo Europeo, e si parla di un possibile interesse/accordo del Monaco, chi lo ha seguito in questi anni non può che dire: AH AH, LO SAPEVO IO CHE ERA UN FENOMENO!!!
Mikautadze (peraltro molto attivo sui social nel condividere i suoi stessi numeri) è il tipo di giocatore per cui più di una volta ci si ritrova a dire: “ma che ha fatto?”. Lui, in un’intervista con il proprio club in cui gli fanno rivedere le sue azioni più pazze - una in cui dribbla un difensore che cade culo a terra ma lui, anziché tirare a giro col destro, aspetta che si rialza, lo dribbla verso sinistra e poi rientra di nuovo a destra passando anche in mezzo a un altro difensore arrivato in soccorso del primo; una in cui entra in area da destra e salta un difensore con una veronica prima di calciare di collo sul secondo palo, colpendolo e facendo segnare un compagno a porta vuota: «questo è un assist», dice ridendo - seduto su una sedia di plastica in mezzo al campo, la tuta e le Nike nere, slacciate, coi calzini bianchi, un ciuffo nero come il catrame in testa, mentre guarda i suoi gol proiettati sul maxischermo non trova spiegazione migliore di: «Intuito, semplicemente. Sono il tipo di giocatore che punta molto su questo. Che non pensa molto in campo».
Più avanti si corregge: «Non penso come tutti gli altri», dice, «ad esempio qui non penso che a un altro attaccante sarebbe venuto in mente», e stava parlando della veronica in area prima del tiro.
Insomma, George Mikautadze si sta prendendo i nostri cuori. Lui e la Georgia di Kvaratskhelia, di Mamardashvili, di Chakhvetadze, tutti giocatori fichi e con belle storie, il Brasile dell’est, un calcio che sembra la traduzione sportiva di quelle danze tradizionali georgiane in cui elementi virili e militari si mischiano con mosse delicate da uccelli in amore. Domenica sera giocheranno contro la Spagna, al momento favorita assoluta del torneo, la singola squadra più convincente fin qui, che non ha subito nessun gol, per dire.
Chi vivrà vedrà ma credo abbiate capito per chi tiferò.