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Un fallimento prima di tutto tattico
30 giu 2024
Confusi, spaesati, disordinati, orrendi.
(articolo)
12 min
(copertina)
Foto di IMAGO / AFLOSPORT
(copertina) Foto di IMAGO / AFLOSPORT
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Tre anni e due settimane fa, allo stadio Olimpico di Roma, l’Italia di Roberto Mancini batteva nettamente per 3-0 la Svizzera guidata da Vladimir Petkovic. Era la seconda partita del girone eliminatorio della fase finale degli Europei. Una vittoria rotonda, di una squadra in fiducia, che avrebbe vinto l'Europeo. Tre anni e due settimane dopo, all’Olympiastadion di Berlino, l’Italia di Luciano Spalletti, subentrato a Mancini nell’estate del 2023, ha perso 2-0 contro la Svizzera di Murat Yakin. Nel mezzo, gli elvetici avevano conquistato il primo posto nel girone di qualificazione ai Mondiali in Qatar a danno proprio dell’Italia, costringendola al drammatico spareggio interno contro la Macedonia del Nord. Per la seconda volta di fila gli azzurri avevano mancato la qualificazione alla fase finale della Coppa del Mondo.

Sembra quasi che il caso abbia utilizzato la Svizzera come pietra di paragone per raccontare la parabola discendente della Nazionale italiana, vincente a EURO 2020, fuori per un soffio nella competizione mondiale e, infine, dominata in ogni aspetto del gioco nel match di Berlino.

È difficile focalizzare l’attenzione su cosa non abbia funzionato nella gara dell’Italia contro la Svizzera e, più in generale, in questo disastroso Europeo. Sono tante e sono troppe le debolezze di una squadra apparsa davvero confusa e in balia degli eventi e degli avversari. Andando all’osso della prestazione contro la Svizzera, si possono però individuare due grandi ambiti del gioco in cui l’Italia ha palesemente fallito, trascinando a fondo l’intera prestazione. I due ambiti in questione sono la resistenza AL pressing e la resistenza DEL pressing: due degli aspetti che maggiormente aveva enfatizzato Spalletti nella presentazione della sua Nazionale.

La resistenza DEL pressing

Luciano Spalletti ha, ancora una volta, stravolto la formazione. Ha abbandonato di nuovo la difesa a 3 vista con la Croazia per tornare al 4-3-3. Gianluca Mancini si è messo al fianco di Bastoni per sostituire lo squalificato Calafiori, Darmian terzino sinistro, Fagioli mediano con ai suoi fianchi Cristante e Barella. Il tridente da destra a sinistra, era formato da Chiesa, Scamacca ed El Shaarawy. Una formazione strana anche solo da leggere: perché El Shaarawy e non Zaccagni, che era sembrato più in forma? Perché insistere con Di Lorenzo? Perché tutti quei giocatori fuori dalle loro posizioni abituali, Barella sul centro-sinistra, Darmian terzino sinistro, Fagioli play basso?

Proviamo però a non approfondire troppo queste scelte di formazione, e a parlare di cosa non ha funzionato. Alcuni numeri: fino al gol del 2-0 l'Italia aveva recuperato 19 palloni. Di questi 17 nel proprio terzo difensivo, 2 nel terzo di centrocampo e nessuno nel terzo d’attacco. Il PPDA dell’Italia, fino a quel momento era pari a 26.8, un numero altissimo e indice dell’incapacità dell’Italia di contrastare il possesso palla svizzero in zone avanzate di campo. Il possesso palla della Svizzera è stato del 64% fino al gol del vantaggio realizzato da Remo Freuler.

Un altro dato inquietante: 54 passaggi completati dalla Svizzere nell’ultimo terzo di campo nei primi 25 minuti.

Il comandamento numero 1 del decalogo spallettiano prima degli Europei recitava: “La pressione continua (Togliere fiducia)”, il numero 3 “Legati (Distanze di squadre, corti, vicini)” e il 5 “Ricomposizione (Tornare a casa)”. Ci sarebbe anche il 4 “Riaggressione feroce (Sulla perdita di palla)”, ma siccome, almeno fino a che c’è stata partita l’Italia non ha avuto il pallone, il numero 4 non è nemmeno applicabile. Proprio l’intreccio dei tre comandamenti citati è stato la carenza più evidente della squadra di Spalletti.

L’Italia si è trovata a fronteggiare una Svizzera che voleva dominare il gioco e il cui schieramento era, come di consueto, particolarmente fluido. Il modulo di gioco di partenza degli uomini di Yakin era il consueto 3-4-3 che però in fase di possesso è sempre in grado di muoversi fluidamente per rispondere alle sfide poste dal pressing avversario. In particolare la zona di sinistra, il centro del campo e la struttura della linea difensiva. A sinistra Aebischer, partendo da una inconsueta posizione di esterno sinistro, poteva venire con costanza verso l’interno, lasciando l’ampiezza al trequartista di sinistra Vargas. Nella zona mancina, inoltre, si poteva muovere, a diverse altezze e ampiezze Ricardo Rodriguez.

Aebischer viene dentro e Vargas prende l’ampiezza.

In mezzo al campo Remo Freuler sceglieva se supportare la costruzione dal basso o alzarsi lasciando al solo Xhaka gli oneri della risalita del pallone insieme ai difensori. Infine, la linea arretrata poteva comporre e scomporre strutture a 3 o 4 difensori, arretrando Xhaka o uno degli esterni di fascia. Ciascuna di queste rotazioni muovevano, a catena, tutta la struttura della squadra, in funzione dell’occupazione e dell’attacco degli spazi creati dal movimento dei giocatori e della conseguente risposta degli avversari.

Aebischer rimane legato ai 3 difensori disegnando una linea arretrata a 4, mentre Freuler si alza, lasciando il solo Xhaka davanti alla linea difensiva.

Non è chiaro come volessimo pressare il possesso fluido della Svizzera. Dal poco che si è capito, l’idea iniziale era di pressare i tre difensori coi tre attaccanti e di prendere alto Xhaka con Cristante (rif. Comandamento n.1: “La pressione continua”). Il pressing aveva quindi come riferimento iniziale la posizione degli avversari, per poi eventualmente tornare a casa, ricomponendo la struttura difensiva del 4-3-3, legando le linee.

I tre attaccanti dell’Italia sui 3 riferimenti arretrati della Svizzera, mentre Barella e Cristante prendono alti rispettivamente Freuler e Xhaka. Dietro si intravede una possibile debolezza del sistema, con Fagioli preso in mezzo tra i due trequartisti della Svizzera.

Tuttavia, le rotazioni della Svizzera, hanno messo fuori giri il pressing degli uomini di Spalletti che, sui cambi di posizione e sul continuo movimento degli avversari, perdevano ogni riferimento, indecisi se mantenere il controllo ravvicinato dell’uomo – pressione continua – o se ricomporre la struttura difensiva – tornare a casa -. Nell’assoluta indeterminatezza del rapporto tra i due principi (pressione sull’uomo e controllo degli spazi), gli spazi si dilatavano enormemente – (non) legati – e la Svizzera riusciva a muovere il pallone entrando con estrema facilità nell’ultimo terzo difensivo dell’Italia.

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L’incapacità del pressing a reagire e ad adattarsi alla fluidità posizionale della Svizzera e alle tante corse senza palla dei suoi giocatori, il rapporto poco chiaro tra la volontà di pressione orientata sull’uomo e la voglia di ricompattarsi nel 4-3-3 e difendere gli spazi. Tutto questo ha regalato il totale dominio del pallone e del match alla Svizzera che, finché ha voluto, ha creato col pallone spazi da occupare e attaccare, costringendo l’Italia a rincorrere frustrata, passiva.

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Un altro esempio banale di come le rotazioni della Svizzera abbiano, con incredibile facilità, messo in crisi la pressione dell’Italia. Xhaka si abbassa creando una linea a 4. Cristante si alza in pressione e lo spazio alle sue spalle è occupato dal solito taglio interno di Aebischer. Freuler si muove a supporto della costruzione. Barella, forse preoccupato di mantenere la struttura della squadra non reagisce e non segue Freuler, che può facilmente ricevere e trovare Aebischer alle spalle di Cristante e al fianco destro di Fagioli.

La cattiva qualità del pressing, l’irrisolto dilemma tra la pressione individuale e la copertura degli spazi alle spalle, sono stati un enorme punto di debolezza dell’Italia, non solo, in un campo più grande, nel contrasto della costruzione bassa avversaria, ma anche, contro il possesso palla consolidato degli svizzeri, in spazi più ristretti nell’ultimo terzo di campo azzurro. L’Italia non è mai riuscita a evitare le ricezioni interne dietro il proprio centrocampo, con le mezzali incapaci di schermare gli uomini alle proprie spalle e i difensori centrali insospettabilmente timidi nel rompere la linea ed uscire sui trequartisti elvetici.

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La difesa dell’Italia è schierata. Aebischer e Rieder giocano ai fianchi di Fagioli e Cristante esce in pressione su Xhaka, sbagliando l’angolo di pressione e non schermando Aebischer che può ricevere. Nella seconda diapositiva Fagioli è sempre in mezzo a Aebischer e Reider, Barella e Cristante non schermano il passaggio verso i due trequartisti e Akanji ha addirittura due possibili ricevitori alle spalle del centrocampo italiano

Il gol del vantaggio di Freuler nasce da un’azione fatta da 33 passaggi consecutivi, dove la Svizzera ha messo in mostra tutta la sua consapevolezza tattica, affondando più volte nel cuore della difesa azzurra, per poi tornare indietro per riaprire il campo e ricrearsi nuovi spazi da attaccare. Un'azione nata, anche quella, da una ricezione alle spalle del centrocampo italiano - in quel caso di Embolo.

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Cristante è alto su Xhaka. Embolo si muove nello spazio liberato e riceve, con Mancini preoccupato di non rompere la linea. In seguito a questa ricezione la palla giunge a Vargas, Ndoye che si è spostato si sovrappone e Mancini è costretto a uscire esternamente. Lo spazio dilatato tra Mancini e Bastoni non è presidiato da Fagioli (il miglior mediano a fare questo lavoro, Locatelli, non è stato convocato) ed è attaccato da Freuler, non seguito da Barella, che realizza il gol del vantaggio svizzero.

La resistenza AL pressing

Altri numeri: fino al gol del 2-0 gli uomini di Yakin hanno recuperato 18 palloni nelle metà campo azzurra e il PPDA degli elvetici è stato pari a 10.7. L’Italia ha effettuato un solo tiro ed ha completato solo 31 passaggi nell’ultimo terzo di campo contro i 110 della Svizzera.

Totalmente dominata e manipolata dalla Svizzera, l’Italia ha recuperato il pallone molto in basso, esponendosi così all’ottima fase di riaggressione degli elvetici, abili a non perdere densità in zona palla, nonostante l’estrema fluidità delle posizioni e il notevole dinamismo in fase di possesso. L’Italia non è stata in grado di vincere la riaggressione degli uomini di Yakin, che hanno pressato ogni possibile ricevitore intorno alla zona di recupero palla. Scamacca, sovrastato da Akanji, non ha offerto nessuna scorciatoia per risalire il campo e fissare il possesso. Fatta eccezione per un paio di giocate di Fagioli e una sgroppata di Chiesa - che ha prodotto l'unico tiro in porta del primo tempo - la capacità dei giocatori italiani di resistere al pressing è stata davvero di basso livello. Al di fuori della riaggressione, Yakin ha predisposto un aggressivo pressing uomo su uomo, modellando il suo sistema di gioco in fase di pressione alta sul 4-3-3 italiano. Rieder quindi si abbassava nella zona di Fagioli, con Vargas ed Embolo in pressione sui due centrali, mentre, dietro, la Svizzera accettava serenamente il 3 vs 3 dei suoi difensori contro il tridente d’attacco degli azzurri.

Il 3-4-1-2 in fase di pressing della Svizzera che disegna un controllo individuale sugli avversari.

La rigidità posizionale dell’Italia – davvero agli antipodi in questo senso alla naturale fluidità mostrata dagli avversari – ha facilitato il pressing della Svizzera. Yakin ha scelto, lasciando qualche metro di spazio libero a Mancini e Di Lorenzo, di forzare l’uscita del pallone dal lato destro degli azzurri, evitando così il buon piede di Bastoni e l’efficacia di Barella, costringendo gli azzurri a uscire sulla dorsale Mancini, Di Lorenzo, Cristante, Chiesa: poverissima nella resistenza al pressing. Ingabbiata nella rigidità posizionale del suo 4-3-3, incapace individualmente di resistere al pressing, l’Italia non ha organizzato nemmeno dei meccanismi preordinati di uscita del pallone e ha subito senza sosta la pressione avversaria. La squadra non è quasi mai riuscita a consolidare il possesso nella metà campo avversaria, e la confusione tattica e l'imprecisione tecnica sono fiorite in modo indistinguibile tra loro.

Un bruttissimo Europeo

È inutile girarci attorno: l’Europeo dell’Italia è stato deludente oltre ogni altra aspettativa. Sembrava evidente che il lavoro di Spalletti fosse ancora acerbo e non poteva essere altrimenti, essendo il ct subentrato in mezzo alle qualificazioni. Un fatto ricordato da lui stesso, cercando di scansare qualche colpa.

L'Italia, lo sappiamo, non dispone di talenti eccezionali, e si pensava potesse soffrire questa immaturità tattica. Sembrava però che quanto meno la direzione fosse disegnata; e la partita con l’Albania sembrava averlo confermato: controllo del pallone tramite uno schieramento in fase di possesso 3-2-5 che garantisse la copertura del fronte offensivo in ampiezza e irrobustisse centralmente la zona centrale in fase di transizione difensiva e una fase di recupero del pallone centrata sulla riaggressione, sul pressing e sulla compattezza delle distanze di squadra.

Alle prime difficoltà – la complicatissima partita contro la Spagna - la base di lavoro di Spalletti è sembrata, almeno dall’esterno, disintegrarsi, per lasciare spazio a una faticosa e confusa ricerca, partita dopo partita, della chiave tattica da portare in campo. I continui rimescolamenti di formazione, modulo di gioco e caratteristiche degli interpreti, in assenza di un linguaggio interpretativo chiaro e condiviso, hanno aggiunto confusione alla confusione. Nella partita contro la Svizzera, proprio l’intreccio in dosi totalmente errate di pressing individuale e necessità di ricomporre la struttura e difendere gli spazi, hanno permesso agli elvetici di dominare. Al contempo, abbandonato il proposito di controllare il ritmo del match con il doppio play, il possesso palla era sostenuto dalla scheletrica struttura di un rigidissimo e scolastico 4-3-3, di cui il pressing della Svizzera ha fatto un solo boccone, alimentandosi anche della strutturale incapacità di resistere al pressing di molti giocatori italiani.

Certo, si deve partire da lontano, trovando la maniera di produrre calciatori più forti, più in grado di rispondere alle sfide che il calcio di oggi pone sempre più di fronte (capacità di saltare l’uomo, resistenza al pressing, lettura degli spazi, intensità di gioco), al contempo però la Nazionale dovrebbe essere allenata meglio di quanto, purtroppo, è stato fatto in questo Europeo.

Ancora un’altra, delle tante, ricezioni di Aebischer nella zona di centro-destra della difesa azzurra, con Cristante alto su Xhaka. Era compito di Chiesa stringere la posizione e proteggere il centro?

Un brillante esempio viene proprio dalla Svizzera di Murat Yakin, capace nel corso dell’Europeo di mutare con consapevolezza atteggiamento tattico in funzione del match, forte della maturità dei principi di gioco trasmessi del suo allenatore. Il calcio posizionale giocato dalla Svizzera di Yakin - con l’occupazione razionale di tutti i canali verticali del campo e la ricerca di ricezioni alle spalle della pressione, giocato però utilizzando continuamente scambi di posizione, rotazioni e corse senza palla, per sfuggire alla pressione individuale ormai ampiamente diffusa in tutti i sistemi difensivi e creare così dinamicamente l’hombre libre, l’uomo libero dei manuali del Juego de posicion - è forse la risposta più moderna alle difficoltà poste dalle sempre più utilizzate marcature a uomo.

Con molte delle armi che pensavamo fossero le nostre, la Svizzera ci ha mandato a casa.

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