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L'Italia è ancora al centro dell'atletica
10 mar 2025
Gli Europei indoor di Apeldoorn sono stati un successo.
(articolo)
13 min
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IMAGO / ANP
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Nei giorni precedenti l’inizio degli Europei di atletica indoor di Apeldoorn, il direttore tecnico della nazionale italiana Antonio La Torre aveva parlato di una squadra azzurra «che si è messa al centro del movimento e vuole restarci». Col senno di poi si può dire che aveva ragione: la missione degli azzurri nei Paesi Bassi ha centrato l’obiettivo di restare al centro del movimento. Seppur l’Italia abbia lasciato sulla short track blu qualche rimpianto di troppo - al termine di gare coraggiose e in certi casi sfortunate, come le finali degli 800 metri di Eloisa Coiro e Catalin Tecuceanu, entrambi quarti, o la bella prova di Alice Mangione sui 400 metri - la Nazionale torna dai Paesi Bassi con tante conferme, che arrivano specialmente dalle pedane dei salti lungo, triplo e alto.

Delle sei medaglie conquistate dall’Italia (tre ori, un argento, due bronzi), che mettono la Nazionale al secondo posto nel medagliere continentale, ben cinque arrivano dai salti; fa eccezione lo spettacolare oro di Zaynab Dosso sui 60 metri, con una prova che oltre a valere la vittoria riscrive il record italiano indoor della specialità (7”01).

Nel segno della continuità con tutto il buono creato negli ultimi quattro anni - uno dei temi su cui La Torre ha insistito di più alla vigilia degli Europei - ad Apeldoorn l’atletica italiana ha trovato un’ulteriore consacrazione. Come ricorda La Torre in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, la Nazionale è partita per gli Europei «priva di tutti i sette ori olimpici di Tokyo 2021». L’importanza di questa grande prestazione continentale è tutta qui: l’Italia ha trovato la continuità nella «Nazionale del rinnovamento» (le parole sono sempre di La Torre), costruita con lungimiranza e progettualità sulle fondamenta di quanto ottenuto nel ciclo olimpico che è andato da Tokyo 2020 a Parigi 2024.

Abbiamo visto atleti formidabili raccogliere i frutti di progetti a diversi gradi di maturazione, accomunati da un denominatore comune: la lunghezza delle prospettive. Se è più semplice configurare l’argento del ventenne Mattia Furlani nel salto in lungo e il bronzo del diciannovenne Matteo Sioli nel salto in alto all’interno di un percorso di crescita a lungo termine (con un culmine ideale all’appuntamento olimpico di Los Angeles 2028), non dobbiamo dimenticare che anche gli ori di Larissa Iapichino e di Andy Diaz sono iscritti in un percorso di maturazione analogo.

L'ARGENTO DOLCEAMARO DI MATTIA FURLANI

Quando Mattia Furlani ricade sulla sabbia dopo il sesto e ultimo salto della sua serie per la finale del lungo maschile siamo tutti ingannati dalla sua prossemica - la velocità con cui si rialza, dà un’occhiata al punto di contatto al suolo per provare a stimare la lunghezza del suo salto, e poi allunga le braccia verso le tribune, a metà tra un’esultanza e una implorazione. Ce l’ha fatta davvero a tirare fuori il salto da medaglia d’oro all’ultimo tentativo utile? È riuscito a esercitare quel magnetismo magico sugli eventi, quello che solo i più grandi hanno la capacità di controllare, quando nel momento topico tirano fuori il colpo di teatro che lascia tutti a bocca aperta?

A vedere la reazione decisa di Furlani, chissà cosa sarà passato nella testa del capolista, il bulgaro Bozhidar Saraboyukov, un atleta giovanissimo (praticamente coetaneo dell’azzurro, visto che tra i due ci sono appena sei mesi di differenza) che all’ultimo giro in pedana ha servito un salto da 8.13 - un solo centimetro in più della misura che stava garantendo a Furlani la medaglia d’oro - dopo una serata non proprio brillante, lontana dalle distanze a cui stavano viaggiando Furlani e lo spagnolo Lescay.

Appurata la validità del salto di Furlani, la consueta trentina di secondi di apnea in attesa del responso della misurazione termina con la comparsa sul tabellone di un 8.09: l’ultimo salto è a quattro centimetri dall’oro. Tolti i nulli, è la prova peggiore della serata di Furlani, che si porta le mani al volto, incredulo. Intanto, la regia inquadra Saraboyukov che si lascia andare, saltellando sulla pista blu con la bandiera della Bulgaria alta sopra le braccia lunghissime.

L’upset dell’Europeo indoor è servito: l’abdicazione del superfavorito Militiadis Tentoglou, vittima di un’influenza dell’ultimo minuto, lasciava il campo libero ai sogni continentali di Furlani, che si presentava ad Apeldoorn da favoritissimo, non solo in qualità di bronzo olimpico, ma anche di primatista mondiale della stagione 2025 (a metà febbraio in Polonia ha saltato 8.37, e due delle migliori dieci misure stagionali sono sue). Non senza la fatica data dall’adattamento a una nuova rincorsa e da una pedana definita ostica da più parti (sono fioccati i salti nulli sia tra i triplisti che tra i lunghisti), Furlani sembrava aver trovato un compromesso centrando la misura di 8.12, abbonando ben 24 centimetri all’asse di battuta. Un secondo miglior salto a 8.10 gli garantiva una pur traballante prima posizione - 8.12 è una distanza condivisa con lo spagnolo Lescay, che con un secondo salto peggiore di quello di Furlani era momentaneamente al secondo posto. Sul finale, il complicato equilibrio di incastri viene spazzato via per un centimetro dal salto a 8.13 di Bozhidar Saraboyukov: con l’amaro in bocca, continuiamo a ripeterci che è il bello dello sport.

E in effetti, è il bello dello sport. Guardiamo le cose dalla prospettiva del vincitore Saraboyukov, ad esempio: in ballo tra lui e Furlani c’era un qualcosa di irrisolto. L'atleta italiano durante gli Europei Under 20 del 2023 a Gerusalemme aveva strappato al bulgaro il titolo continentale di categoria per esattamente un centimetro, mettendo a segno un salto da 8.23 contro l’8.22 dell’avversario - la gara era stata molto bella. Dopo la beffa del centimetro di Gerusalemme, Furlani si prende definitivamente la scena internazionale: prima il bronzo olimpico (a Parigi c’era anche Saraboyukov, che però non si qualifica per la finale), poi la consacrazione internazionale.

Cosa sarà passato nella testa del povero Saraboyukov? E se il centimetro di Gerusalemme fosse la sliding door della sua carriera? Alla fine, però, proprio sul più bello, sul palcoscenico dei grandi, all’ultimo salto di una serie un po’ sonnolenta, quel singolo centimetro torna indietro: questa volta a suo favore. Com’è che si dice in questi casi? Il karma?

La prospettiva di Furlani è ovviamente diversa: si addossa la colpa di una gara non brillante, storta fin dalle qualificazioni, complice una pedana da subito indigesta. Al di là delle recriminazioni più dure sulla qualità della sua prova - «mi dispiace perché con 8.12 di solito mi ci scaldo» - l'aspetto più interessante che emerge dall’autoanalisi di Furlani è l’enfasi sull’impatto che il cambiamento del gesto tecnico della rincorsa (l’ha portata a 18 passi) sta avendo sulle sue ultime gare. Ci vuole tempo per assimilare questo tipo di cambiamenti, è un approccio totalmente nuovo al proprio sport. Ma non c’è fretta, almeno per ora: «I progetti sono a lungo termine: è meglio che succeda ad un Europeo indoor piuttosto che alle Olimpiadi. Questo progetto è di quattro anni, bisogna arrivare a Los Angeles 2028. Se non cambio adesso la rincorsa, non la cambio più». Come si dice: step by step. A partire da Nanchino, tra due settimane, ai Mondiali Indoor.

ANDY DIAZ E ANDREA DALLAVALLE: RINASCITA

Al quinto salto di una serie finale un po’ compressa, condita da qualche nullo e da alcuni vistosi regali all’asse di battuta (al terzo salto sarebbe solo bronzo, con un 17.05 arrivato con 22 centimetri di scarto rispetto alla linea nera di battuta), Andy Diaz sa immediatamente di aver fatto il colpaccio. Lo capisce subito; lo capiscono subito anche i suoi avversari più temibili, il tedesco Max Heß e il suo compagno di squadra Andrea Dallavalle, così come i presenti sugli spalti, da Mattia Furlani alla vincitrice del triplo femminile, la spagnola Ana Peleteiro (incredula di fronte al salto di Diaz).

Diaz stacca perfettamente, ad appena quattro centimetri dall’asse di battuta, il suo step felino arriva lontanissimo e il suo jump lo porta oltre alle linee tracciate in sovrimpressione a delimitare l’attuale miglior salto in gara. In effetti, il suo 17.71 - World Lead a quattro centimetri dal suo personale di 17.75 - non lascia spazio ad alcun tipo di replica. Heß si ferma trenta centimetri prima, a 17.43, e Andrea Dallavalle, a sua volta ad una ventina di centimetri dal tedesco, a 17.19.

Inserito nella sua incredibile storia di vita, raccontata in un’intervista a Giuliana Lorenzo di dodici mesi fa, l’oro europeo di Diaz ha un sapore particolare. Per una serie di regole, un atleta naturalizzato come lui (è di origini cubane) deve aspettare tre anni per competere a livello internazionale sotto una nuova bandiera. Diaz si diceva triste per l’impossibilità dettata dai regolamenti a gareggiare agli Europei outdoor di Roma dello scorso giugno, dove sapeva che avrebbe potuto portare una medaglia all’Italia. Poi aveva aggiunto: «Io dico che a Parigi, per forza, devo portare a casa una medaglia, è quasi obbligatorio, il minimo che io possa fare».

Missione compiuta, Diaz è bronzo a Parigi, nella prima grande gara internazionale che avrebbe potuto regolarmente affrontare con la maglia azzurra. Mancava solo l’oro, che non aveva potuto festeggiare davanti al pubblico di casa. «'Sono qui' questo è il titolo che voglio dare a questa medaglia». Poi chiude: «il mio sogno dal giorno uno era emozionare tutti gli italiani, e cantare l'inno di Mameli ed è arrivato il giorno, sono molto emozionato, non mi vedevo in questa posizione, però è arrivato il momento».

Insieme a Diaz sul podio c’è anche il suo «amico e compagno di stanza» Andrea Dallavalle, al ritorno ad altissimi livelli dopo due anni di problemi fisici importanti che lo hanno tenuto lontano dai palcoscenici più prestigiosi. Prima di Apeldoorn, Dallavalle si era definitivamente ritrovato ai Campionati italiani indoor di Ancona a fine febbraio, con un 17.36 che solo un paio di settimane fa era World Lead - proprio davanti a Diaz. Agli Europei, Dallavalle si è praticamente da subito assicurato il podio con un salto da 17.00, poi migliorato in 17.19, misura raggiunta e superata solo da Heß prima e da Diaz. Ai microfoni RAI, Dallavalle commenta la gara della rinascita - come lui stesso l’ha definita - riprendendo le parole di un’intervista diventata molto famosa qualche anno fa: «Come diceva un calciatore, sei mesi fa non mi voleva manco mia madre. Ora ho un bronzo europeo e siamo solo a marzo».

LARISSA IAPICHINO: L'ORO DELLA CONFERMA

L’oro europeo di Larissa Iapichino è il coronamento di un percorso di crescita pressoché continuativo, che prosegue spedito già dagli anni in cui dominava i campionati delle categorie juniores. Pur ricco di medaglie e di ottimi piazzamenti su palcoscenici di grande prestigio (dall’argento agli europei outdoor di Roma 2024 al quarto posto alle Olimpiadi di Parigi), il periodo successivo alla transizione alle categorie assolute è stato privo di vittorie. Dopo la gara, ai microfoni di Sky Sport, Larissa Iapichino non ha nascosto l’orgoglio del suo primo oro senior, un risultato per certi versi liberatorio: «Finalmente è arrivato il primo titolo tra i grandi».

Come Furlani, anche Iapichino è alle prese con qualche ritocco nel gesto della rincorsa. A differenza di Furlani, però, appurata la natura ostica della pedana di Apeldoorn opta per approcciare la gara con la vecchia rincorsa. La scelta ripaga. Prese le misure alla pedana, Iapichino si qualifica agevolmente per la finale, dove ritrova la tedesca Malaika Mihambo (oro a Tokyo 2020 e argento a Parigi 2024, nonché campionessa europea outdoor a Roma 2024, proprio davanti a Iapichino). Durante la serie finale parte quarta, con un 6.71 e un nullo: al terzo salto la aspetta la prova che vale l’oro, con un salto splendido sia per il tempismo dello stacco (regala solo 4 millimetri all’asse di battuta), sia per la misura finale di 6.94 - a ben otto centimetri dal suo seasonal best e a soli tre centimetri dal suo personal best di 6.97, lunghezza che ai mondiali indoor di Istanbul 2023 le era valsa solo l’argento (e il record nazionale indoor). Sventate le minacce degli ultimi salti di Mihambo (solo terza con 6.88) e della svizzera Kälin (seconda con 6.90, nullo l’ultimo salto) l’oro è questione di matematica.

Dopo il salto vincente, sotto lo sguardo della madre Fiona May e di un gasatissimo Mattia Furlani, Larissa Iapichino si volta verso gli spalti, e dal labiale possiamo intuire che dica «è il mio momento questo». Più che con la voce (il suo è quasi un sussurro), a gridare sono i suoi occhi. Chissà se questo tipo di autoconvincimento abbia il potere di fare accadere veramente le cose. Forse sì, è anche da queste piccole cose che Larissa Iapichino dimostra di essere cresciuta al livello necessario per vincere, dominando, una grande competizione internazionale.

Anche il suo commento alla gara è, in fondo, la celebrazione di una nuova consapevolezza, di una nuova forza mentale raggiunta: «Più si alza il livello più è difficile. Bisogna entrare nell’ordine delle idee che quando si raggiunge un certo livello migliorarsi non è così facile perché si parla di attimi, di dettagli. A volte anche di noi stessi. Io sono stata brava tante volte ad auto-sabotarmi, e oggi non l’ho fatto. Quindi riparto da qua, e non vedo l’ora di vedere cos’ha in serbo per me il futuro».

IL BRONZO DI MATTEO SIOLI

Se nella storia recente dell’atletica italiana le medaglie nel lungo e nel triplo sono pur sempre una sorta di novità (vale in particolare per gli ori), il salto in alto maschile azzurro vive la delicata fase di transizione tra i fasti dell’era Tamberi e il futuro della disciplina. Ricostruire da zero dopo anni di risultati avari è difficile, ma anche dare continuità al ciclo vincente di uno one man show internazionale come "Gimbo" non è proprio uno scherzo.

Per la verità, negli anni del dominio Tamberi, il resto del movimento lavorava, più che in sordina, sotto la protezione di quel parafulmini mediatico che è il personaggio di "Gimbo", macinando risultati a livello giovanile sotto la guida e l’esempio tecnico del campione olimpico. A Parigi 2024 sono arrivate le prime conferme sui grandi palcoscenici internazionali con l’eccellente prova di Stefano Sottile - che alla prima partecipazione olimpica ha centrato un quarto posto, affrontando una finale olimpica difficile, il cui racconto gravitava attorno dal peso della presenza fantasmatica di Tamberi piagato dalle coliche, più che sul discorso sportivo.

Ad Apeldoorn, nel primo Europeo senza gli ori di Tokyo 2020, l’Italia del salto in alto ha confermato il suo stato di superpotenza, certificando il risultato con la medaglia di bronzo conquistata da un atleta di 19 anni, Matteo Sioli (lui e Mattia Furlani sono coetanei), ma anche con la pregevole performance dell’altro azzurro in gara, Manuel Lando. La gara perfetta del favorito, l’ucraino Oleh Doroshchuk, che vince saltando un World Lead di 2.34 al primo tentativo, non lascia scampo agli avversari per l’oro. Dietro di lui impazza la gara tra tre atleti: con il ceco Jan Štefela, che sarà argento, se la giocano proprio Matteo Sioli e Manuel Lando. La misura che vale il bronzo per Sioli è un personale di 2.29 - la stessa di Štefela, che però ha fatto luce verde al primo tentativo, contro l’errore di Sioli al primo salto; Lando, che fino a lì aveva condotto una gara pressoché perfetta, sin dalle qualificazioni, sbaglia i primi due tentativi, e decide di giocarsi in extremis un salto a 2.32. Il triplice errore dei tre definisce una classifica che premia Jan Štefela al secondo posto, Sioli al terzo, ed estromette Manuel Lando dal podio al termine di un europeo di grande pregio.

Al termine della gara, Matteo Sioli non perde tempo a elogiare la prova di Manuel Lando: «Me la sono goduta, ma me la sarei goduta meglio se fossimo stati in due. L’abbiamo sognata e sudata, Manuel ha fatto una gara strepitosa, 2.26 alla prima, anche lui ne sa, ne ha e ha veramente tanto da migliorare. Quindi complimenti a tutti, in particolare a Manuel». Poi chiude: «Spero veramente di gareggiare con i grandi: "Gimbo", Stefano [Sottile, nda], Manuel di nuovo e tutti gli altri ragazzi che si stanno impegnando molto per questa disciplina e per rendere l’atletica sempre migliore».

La sensazione all’indomani della fine degli Europei è quella che l’Italia stia costruendo il suo dominio oltre che sul talento di individualità valorizzate e premiate, su una forte idea di squadra. È una sensazione rassicurante, di quelle che fanno aspettare il futuro con impazienza.

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