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Evenepoel è arrivato per prendersi tutto
27 set 2022
Il ciclista belga ha chiuso una grande stagione con la vittoria dei Mondiali.
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17 min
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Steven Markham/Icon Sportswire via Getty Images
(copertina) Steven Markham/Icon Sportswire via Getty Images
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Ferragosto è una data strana per correre il Giro di Lombardia, non a caso è noto come La Classica delle Foglie Morte. Nel 2020, però, per via della pandemia, a ferragosto si corre il Giro di Lombardia nonostante gli alberi siano ancora verdi, e un piccolo drappello di uomini arriva sul terribile Muro di Sormano, pronto a lanciarsi in discesa per poi darsi battaglia sugli strappi nel finale verso Como. Si buttano in discesa a tomba aperta, direbbe qualcuno, facendo il pelo alle curve, i freni che fischiano disperati. Poi una mezza curva cieca a sinistra prima di un restringimento, un ponte, un muretto basso, quando improvvisamente un corpo cade nel burrone.

Qualche metro più in basso, sotto a quel ponte, la figura di Remco Evenepoel sta immobile facendo temere il peggio. Respira, è cosciente, ma il bacino è fratturato, un polmone schiacciato, si teme la frattura del femore o altro. A tutti è subito chiaro che la stagione del giovanissimo belga è finita lì, ma la paura più profonda è che la stessa fine possa fare anche la sua promettente carriera.

Due anni dopo, dall’altra parte del mondo, alle 8 di mattina di una domenica qualsiasi, Remco Evenepoel lascia per strada tutti i suoi compagni di fuga, si libera dell’ultima disperata resistenza del kazako Lutsenko e continua a spingere come un dannato fino al traguardo. Spinge con forza anche quando ormai è chiaro che non c’è più nessuno alle sue spalle in grado di andarlo a riprendere, come se volesse rendere evidente, visibile la distanza che c'è fra lui e gli altri.

A soli 22 anni Remco Evenepoel è diventato il nuovo campione del mondo di ciclismo su strada. Ventiquattro ore prima, fra le donne, aveva vinto la quasi-quarantenne olandese Annemiek van Vleuten, ennesima ciliegina su quella straordinaria ed irripetibile torta che è la sua carriera. Quasi 18 anni di differenza separano il campione e la campionessa del mondo in carica: un record, forse, per chi ha voglia di tenerne traccia.

Nei due anni che separano questi due momenti, Evenepoel ha attraversato tante fasi di una carriera: la paura che sia finita, la pausa forzata, il mistero sulle sue condizioni. Poi l’esordio al Giro d’Italia 2021, dove arrivava come uno dei favoriti nonostante fosse fermo da quel 15 agosto dell’anno prima. Il fallimento al Giro, i dubbi sulla sua capacità di guidare la bicicletta. Poi i Mondiali in casa, il dualismo con Wout Van Aert, la squadra che decide di usarlo come mulo per portare a spasso il gruppo, e le critiche perché non avrebbe fatto abbastanza per il suo compagno di squadra. Infine, finalmente, la stagione 2022 con le sue vittorie, la striscia di successi, il trionfo alla Liegi-Bastogne-Liegi, la vittoria alla Vuelta. La consacrazione - insomma - di quello che tutti sapevamo essere un ciclista totale, capace di azioni straordinarie. Una certezza che veniva da lontano, da quella stagione 2018 fra gli Juniores, ma che sembrava essersi frammentata dopo quella caduta.

Prospettiva Remco

Facciamo un passo indietro per capire meglio di cosa stiamo parlando. Per farvi capire la portata di Remco Evenepoel in quel 2018 nel mondo del ciclismo, vi basti pensare che dal primo maggio di quell’anno fino a fine stagione Remco Evenepoel ha vinto tutte (sì: tutte) le corse a cui ha partecipato compresi il Giro della Lunigiana e la Corsa della Pace (le due corse a tappe Juniores più prestigiose in assoluto), il Mondiale in linea e a cronometro, gli Europei in linea e a cronometro e il Campionato nazionale belga (in linea e a cronometro, ovviamente). Il dominio di questo ciclista belga fra i suoi coetanei quell’anno è stato di una portata mai vista, un vento incontrastato che come raffiche di mitra disintegrava i cumuli di neve.

Come alla quarta e ultima tappa del Giro della Lunigiana: Remco Evenepoel è in testa alla classifica generale con un buon vantaggio sui suoi avversari. Eppure decide lo stesso di attaccare, da lontano, da solo, a 65 chilometri dal traguardo.

L’attacco di Evenepoel è al minuto 6 di questo video di 27 minuti di riassunto della quarta tappa del Lunigiana 2018. Da lì in poi è una caccia all’uomo, con il gruppo a inseguire pancia a terra e il belga in fuga da solo che continua imperterrito a guadagnare secondi su secondi come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Nell’intervista finale Remco Evenepoel, in tutta la sua sfrontatezza, riassume in poche semplici frasi la sua visione del ciclismo: «Quando ho attaccato avevo alcuni atleti ad appena cento metri di distanza, ma ho continuato a dirmi “continua a spingere, continua a spingere che prima o poi molleranno”. E alla fine hanno mollato. Sono fatto così: continuo a spingere e prima o poi gli altri mollano».

Ma da dove arriva questo ciclista che sembra essere fatto per annientare gli avversari? Come mai non aveva mai corso in bicicletta prima del 2017? E com’è possibile che un ragazzo qualunque, che non ha mai corso in bicicletta, vada così forte? Per capirlo, e per capire lui, dobbiamo fare un piccolo passo indietro lungo i binari della sua vita.

Al termine della stagione calcistica 2015/16, l’Anderlecht comunica al suo giovane capitano, stabilmente nel giro delle Nazionali giovanili del Belgio, che è libero di cercarsi una nuova squadra. Quel giovane capitano è Remco Evenepoel, che non crede alle sue orecchie, i dirigenti non gli danno nessuna spiegazione concreta. Un’altra squadra, per la verità, la trova senza nemmeno lo sforzo di andarsela a cercare: si tratta del KV Mechelen, altro club di Pro League belga. Per Evenepoel, però, «la molla si era rotta. Non provavo più nessun piacere. Era finita e smisi, e il Mechelen non insistette».

Evenepoel ha 16 anni e ha chiuso con il calcio, ma non con lo sport in generale. Il 2 ottobre del 2016 corre la mezza maratona di Bruxelles e si piazza 16° in 1:16:15. È il più giovane fra i primi 100 all’arrivo, davanti a lui solo gente con 20 anni o più. Il secondo 16enne in gara è un altro belga, Logan Woodward, 194°.

Correre però non è così divertente. Quello che gli piace di più fare è andare in bici, come suo padre, Patrick, ex ciclista professionista all’inizio degli anni Novanta: pochissime vittorie, una sola degna di nota, al GP di Vallonia nel 1993. «Quando giocavo a calcio» racconta Remco in un’intervista del 2017 «ogni estate affinavo la mia condizione fisica in mountain bike. Mi piaceva. Non dissi nulla ai miei genitori ma ne parlai al mio allenatore, Fred Vandervennet. Mi disse che avevo il potenziale per brillare e così iniziai con cautela sulla vecchia bici di mio padre».

È proprio nel 2017 che comincia a correre, quasi per gioco. Prima nelle corse vicino casa, poi il padre fa un paio di telefonate, qualcuno risponde. A luglio è a correre il Giro dei Paesi Baschi Juniores: la prima tappa non va benissimo, deve ancora prendere le misure. La seconda tappa è un arrivo in volata, non adatto a lui. Alla terza tappa si lancia all’attacco e arriva in solitaria con gli avversari che arrivano alla spicciolata: Mark Donovan è secondo a 48”, poi via via gli altri a oltre 1 minuto di ritardo. Ben Healy, l’irlandese leader della generale, è decimo a 1’20”.

Il giorno dopo a cronometro arriva terzo e si prende la seconda piazza nella classifica generale. È un piccolo trionfo, il primo di una lunga serie. Da quel momento in poi Remco Evenepoel non smetterà più di vincere contro i suoi pari età, tanto che - come abbiamo detto - alla fine di quei 18 mesi di one man show, Patrick Lefevere se lo porta direttamente fra i professionisti saltando la categoria intermedia degli Under-23. Saltando, perciò, tutte quelle corse a tappe riservate agli U23 da cui di solito escono le grandi promesse del ciclismo: il Tour de l’Avenir, su tutte, vinto da Bernal nel 2017 e da Pogacar nel 2018.

Impressionante in questa gara il contrasto fra la forza che avrebbe voluto spingere sui pedali e il limite dei rapporti degli Juniores. Evenepoel assomiglia a un animale in gabbia, costretto dal regolamento a limitare la sua straordinaria superiorità.

Da cosa derivava allora questa incrollabile certezza che Remco Evenepoel fosse così forte, sia nelle classiche ma soprattutto nelle grandi corse a tappe? Il punto è che non lo sapevamo con certezza. Nessuno, in realtà, può davvero sapere a priori con assoluta certezza se un giovane ciclista potrà mai essere davvero competitivo nelle corse a tappe di tre settimane perché ci sono troppe incognite da considerare. Innanzitutto, perché prima di affrontare un grande giro non ci sono altri grandi giri su cui testarsi: esistono solo quei tre, Giro, Tour e Vuelta. E quindi possiamo solo provare a capirlo in base alla costanza di rendimento di un ciclista nelle corse a tappe più brevi, vedere se ha giornate storte e - se sì - quanto frequentemente questo avviene.

Per i ciclisti “normali” si possono vedere anche i risultati nelle corse a tappe U23, come ad esempio il Tour de l’Avenir, che sono 10 tappe, mica bruscolini per un ciclista di quell’età. Per Remco Evenepoel invece bisognava attendere il momento giusto, vederlo alla prova dei fatti. Certo, avevamo a disposizione gli straordinari risultati nelle corse a tappe di una settimana, ma sono dati che valgono il giusto perché non permettono di verificare la tenuta sulle tre settimane e l’attitudine agli sforzi in alta montagna, due caratteristiche chiave per un ciclista da grandi giri.

Per Evenepoel quindi gli unici termini di paragone (o meglio: gli unici terreni di osservazione), erano le brevi corse a tappe fatte durante questi primi anni fra i professionisti. E a ben guardare, dopo un primo momento di ambientamento, quei risultati sono entusiasmanti: nel 2020 ha vinto il San Juan e l’Algarve a febbraio e poi la Vuelta a Burgos e il Giro di Polonia ad agosto, prima che la caduta al Lombardia lo mettesse fuori gioco per il Giro d’Italia (e per i mesi a seguire).

Di quattro corse a tappe a cui ha preso parte nel 2020, quindi, Remco Evenepoel ne ha vinte quattro, contro avversari sempre differenti e di altissimo livello. Al San Juan ha battuto Ganna (beffandolo anche a cronometro), all’Algarve si è messo alle spalle Schachmann e Miguel Angel Lopez, alla Vuelta a Burgos secondo arrivò Mikel Landa, e poi nell’ordine Almeida, Chaves, Bennett e Carapaz; al Giro di Polonia, infine, rifilò 1’52” a Fuglsang e più di 2 minuti a Simon Yates nella generale.

Insomma: nelle brevi corse a tappe è a casa sua, domina con azioni in salita, attaccando nelle tappe mosse, bastonando tutti a cronometro (compreso Pippo Ganna, battuto nel 2020 sia al San Juan che al Campionato Europeo). Fino a quella caduta giù dal ponte nella discesa del Muro di Sormano al Lombardia del 15 agosto 2020, Remco Evenepoel sembrava a tutti gli effetti inarrestabile così come lo era stato due anni prima fra gli Juniores.

Talmente inarrestabile che anche qui sull'Ultimo Uomo, ai primi di maggio dell’anno successivo, l’avevamo segnalato come uno dei nomi papabili per la vittoria finale del Giro d’Italia 2021. Un abbaglio, forse, se consideriamo che all’epoca era un ragazzo di 21 anni appena compiuti con zero esperienza nelle grandi corse a tappe e reduce da un gravissimo infortunio che l’aveva tenuto lontano dalle gare per quasi nove mesi. Anzi, senza forse. Il Giro del 2021 fu un fallimento totale per Evenepoel, uscito a pezzi dal confronto con Egan Bernal e con più dubbi che certezze. Il Remco Evenepoel post-Giro 2021 sembrava la brutta copia di quello visto fino all’anno prima: aveva perso smalto nello scatto secco, non riusciva a tenere sul passo, completamente paralizzato quando c’era da guidare la bici in discesa o sugli sterrati e in più sembrava ormai totalmente ingabbiato, come se la rigida organizzazione del mondo dei professionisti lo avesse reso incapace di inventare azioni da lontano.

Ogni ragionevole dubbio

La stagione 2021 si era chiusa in leggero crescendo, ma aveva lasciato aperti enormi dubbi sull’effettiva forza di Remco Evenepoel. I primi mesi del 2022 poi avevano messo il carico da novanta: arriva secondo alla Volta Comunitat Valenciana dietro a Vlasov, poi vince l’Algarve ma senza convincere fino in fondo. E poi la brutta prestazione alla Tirreno-Adriatico, bastonato da Tadej Pogacar sul Carpegna. Una sconfitta che aveva dato respiro a una nuova critica per il belga: non sa andare sulle pendenze dure, che si aggiungeva così a quelle di chi diceva che non avrebbe mai retto sulle tre settimane. A questo si aggiungevano anche tutta una serie di veri e propri pregiudizi: Evenepoel non ha la testa, è un montato, un ragazzino viziato, non sa correre di squadra, non si sacrifica per i compagni, è fermo in volata, vince solo dove non conta nulla.

La prima pietra nella ricostruzione della sua reputazione arriva alla Liegi-Bastogne-Liegi: dopo la caduta di Alaphilippe, il giovane belga resta unico leader della Quick Step. La squadra forza il ritmo sulla Redoute, il gruppo si allunga e nel falsopiano in cima Evenepoel spara la sua fiammata. Un attacco che ricorda molto da vicino quello che abbiamo visto al Lunigiana 2018, sia per la prepotenza con la quale lascia lì tutti gli avversari, sia per il momento in cui sceglie di farlo: in cima alla salita, sul falsopiano, là dove le persone normali devono riprendere fiato dopo lo sforzo intenso e un attacco del genere arriva loro in petto come una martellata nei polmoni.

Mancano tanti chilometri, Evenepoel è da solo e dietro a inseguirlo ci sono quasi tutti i migliori interpreti delle classiche vallonate in circolazione. Eppure è chiaro che non lo riprenderanno più. Perché dopo lo scatto bruciante, Evenepoel si mette lì a tirare il suo ritmo infernale, martellante, ossessivo, e quei pochi secondi di vantaggio aumentano inesorabili senza che nessuno possa apparentemente farci nulla.

Il secondo mattoncino, Evenepoel lo posa lontano da sguardi indiscreti. Mentre gli occhi del mondo sono puntati sul Giro d’Italia, il belga se ne va in Scandinavia a correre il Giro di Norvegia. Gli avversari sono quelli che sono, anche se probabilmente non hanno nulla da invidiare ai contendenti del Giro d’Italia 2022. Nella tappa regina, con la scalata a Stavsro (12 km al 8,2% medio con punte al 16%), Remco Evenepoel si piazza in testa e mette in mostra un altro dei suoi colpi di un repertorio che piano piano sembra essere sempre più vasto. Sgretola gli avversari senza mai scattare, semplicemente tirando dritto con un passo che gli altri non riescono a reggere e uno dopo l’altro infatti cedono. È vero che - come abbiamo detto - gli avversari e il contesto non sono di primo piano, ma i freddi numeri che fa registrare Evenepoel in quella salita sono lì a dimostrare che la prestazione del belga è stata di altissimo livello.

I numeri, nel ciclismo, sono sempre da prendere con le dovute precauzioni perché possono essere influenzati da tanti fattori: la lunghezza e la durezza della tappa, il ritmo tenuto fino alla salita, la situazione di corsa, le condizioni meteo, e via dicendo. Ma quel che resta di quella performance è più che altro un’indicazione chiara su come Remco Evenepoel ha deciso di impostare il suo futuro sulle salite lunghe: niente scatti ma andatura forte e costante, a sgretolare l’avversario. L’idea di fondo è la stessa che aveva illustrato al Lunigiana 2018: «continuo a spingere e prima o poi gli altri mollano».

La terza pietra arriva poi alla Vuelta, il suo secondo grande giro in carriera dopo il Giro 2021. Stavolta Evenepoel parte forte, corre come sa fare. Sembra più libero, tatticamente e mentalmente, di potersi esprimere come vuole. Forse anche la squadra ha capito che un talento del genere è inutile cercare di comprimerlo in strategie che possono apparirci migliori o più funzionali al risultato ma va invece solo indirizzato e lasciato stare.

Così Evenepoel si prende la Maglia Rossa staccando tutti al Pico Jano nello stesso modo in cui aveva distrutto gli avversari al Giro di Norvegia; poi dà un’altra botta sul Collau Fancuaya. Infine, per chiudere il cerchio, strapazza gli avversari sul muro di Les Praeres facendo crollare un altro mito, quello sulle pendenze dure che gli sarebbero indigeste.

Il resto della Vuelta è una lunga marcia trionfale, con momenti di difficoltà superati brillantemente e altre piccole bastonate date qua e là. Un percorso che non è stato di dominio assoluto e per questo - all’interno del romanzo di formazione che è la sua carriera - è probabilmente un aspetto ancor più importante da considerare. E cioè la dimostrazione di maturità, la capacità di affrontare i momenti difficili mantenendo la calma e la concentrazione, giocando con il cronometro gestendo il vantaggio accumulato.

Insomma, la vittoria alla Vuelta non è arrivata al termine di tre settimane di strapotere ma è stata anzi a tratti sofferta e per questo ancor più formativa. L’altro lato della medaglia è che ci lascia però ancora qualche dubbio sul suo attuale livello in un contesto del genere, complice una terza settimana un po’ scarica da un punto di vista del percorso e la caduta di Roglic che ci ha privato di un interessante duello che poteva dare non pochi problemi al belga. Però Evenepoel esce dalla Vuelta 2022 - oltre che con un primo grande giro in tasca a soli 22 anni - con la consapevolezza di avere aspetti su cui poter ancora lavorare con ampi margini di miglioramento.

Senza frontiere né confini

Al termine della quarta stagione di Remco Evenepoel fra i professionisti, ormai abbiamo come l’impressione di sapere tutto di lui: quali sono le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e i suoi difetti, il suo modo di correre e il suo modo di festeggiare le vittorie e analizzare le sconfitte. Eppure è paradossale, pensando che fino a dodici mesi fa di lui avevamo visto ancora poco e niente, e forse tuttora non abbiamo che grattato la superficie di ciò che potrebbe essere.

Il trionfo ai Mondiali di Wollongong è la chiusura perfetta di una stagione da fuoriclasse assoluto. Evenepoel ha vinto con un’azione di quelle che aveva già fatto in passato, l’ultima volta ad agosto alla Classica di San Sebastian nei Paesi Baschi. Il copione è sempre molto simile: azione dalla lunga distanza, si scrolla tutti di ruota e poi via pancia a terra come una lunga cronometro.

Quel che colpisce di questo tipo di vittorie non è tanto la potenza che esprime Evenepoel nella sua azione (che comunque è notevole, sia chiaro), quanto l’assoluta sensazione di impotenza che trasmettono tutti i suoi avversari di fronte alle sue esibizioni. Mauro Schmid, ciclista svizzero che era nel gruppetto di testa con Evenepoel, ha detto nell’intervista all’arrivo che il piano tattico di tutte le Nazionali presenti in quel drappello era tenere d’occhio il belga e non farlo andar via. Nonostante questo controllo capillare, Evenepoel è comunque riuscito a evadere dal gruppo: non l’ha fatto su uno degli strappi presenti nel circuito bensì in un tratto in pianura, approfittando di un allungo di Lutsenko; Evenepoel è prima andato in prima persona a chiudere il buco e poi ha tirato dritto, senza guardare in faccia nessuno.

Negli ultimi venti chilometri altri concorrenti hanno provato a lanciarsi all’inseguimento, compreso Mauro Schmid e Lorenzo Rota (bravissimo fino all’ultimo chilometro, prima di gettare alle ortiche la possibilità di giocarsi una medaglia all'ultimo). Un inseguimento che però è parso fin da subito del tutto vano e più che altro mirato alla ricerca di un piazzamento d’onore alle spalle del solitario Evenepoel. Una resa incondizionata.

Il dominio del belga sugli avversari è talmente netto da risultare per alcuni noioso. In un certo senso è vero: non c’è suspense in un’azione del genere, non c’è quel senso di incertezza, non ci sono scatti e controscatti. Ma lo spettacolo che offre il ciclismo è caleidoscopico, ognuno può vederci dentro tante cose. Il ciclismo è uno sport lento, che si nutre di queste azioni solitarie, vive di momenti estremamente lunghi. In questo senso, il talento di Evenpoel sembra appartenere a un'epoca passata, mitica o pionieristica, chiamatela come volete, dove le emozioni erano dilatate nel tempo e le immagini non avevano il peso che hanno oggi, dove siamo abituati ad avere stimoli continui e brevi in continuazione. In questo senso, forse non è tanto il suo dominio ad essere noioso quanto la nostra percezione ad essere intorpidita di fronte alle azioni di Remco Evenepoel (o di altri suoi contemporanei, come Pogacar alla Strade Bianche). Siamo ancora capaci di apprezzare un atleta talmente dominante da azzerare la competizione oppure lo sport è passato in una fase successiva? Non è un caso che c’è chi ha definito questa vittoria - ma direi forse questa stagione - di Remco Evenepoel come l’inizio di un nuova era, fatta di lunghe azioni solitarie dettate dalla superiorità schiacciante di un uomo sugli altri. In realtà non possiamo sapere se sarà così, ma sarebbe davvero difficile da apprezzare, qualcosa di simile?

La prima persona a cui credo non interessi questo dibattito è lo stesso Remco Evenepoel, che si esprime in questo modo sulla bicicletta perché è l'unico che conosce, o forse perché è l’unico modo che ha a disposizione per essere certo di vincere. Per sapere qualcosa in più su di lui dovremo aspettare la prossima stagione. Nel frattempo teniamoci i nostri dubbi e godiamoci questa attesa per quello che potrebbe essere.

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