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Lo sciagurato Ezio
06 apr 2020
Ricordo di Ezio Vendrame, scapigliato del calcio.
(articolo)
10 min
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C'era un programma televisivo nei primi anni 2000, era il mio periodo universitario. Si chiamava "Lo sciagurato Egidio" ed era stupendo. Andava in onda la sera tardi, praticamente di notte, e parlava di calcio in maniera garbata, tranquilla, lontana dalle polemiche, dalle moviole e dai soliti casini pallonari.

Atmosfere quasi da pianobar e rubriche che si chiamavano "L'arcimatto", in omaggio a Gianni Brera, così come il titolo stesso del programma, il soprannome appioppato dal "Grangiuàn" al mitico centravanti ricordato più per i gol falliti che per quelli realizzati. Oggi quel programma forse non sarebbe più possibile. C'era Gianluca Vialli che leggeva parti di libri introdotto da una scena di "Fahrenheit 451", Tatti Sanguinetti era già stracult prima di "Stracult", Giorgio Porrà conduceva col solito stile signorile, e ogni tanto in chiusura di programma appariva Ezio Vendrame.

Vendrame, io, appassionato di calcio a 360°, non l'avevo mai sentito nominare. Ovviamente perché internet non esisteva come adesso. Non potevo prendere lo smartphone e cercare su Google chi fosse quel tipo strano con la barba e i capelli lunghi, che veniva descritto come ex calciatore, ma pure poeta, amico di cantautori "maledetti" (Piero Ciampi), compaesano di Pier Paolo Pasolini, quasi un intellettuale lui stesso.

Se mi metti in tribuna godo

A quell'epoca Vendrame aveva appena scritto un libro con un titolo diventato una specie di manifesto esistenziale: Se mi mandi in tribuna godo, una piccola rassegna di aneddotica sulla sua vita da calciatore professionista, 150 pagine o giù di lì.

Alcuni episodi spiccavano su altri: la vergogna provata dopo aver fatto un tunnel a San Siro a Gianni Rivera, l'idolo dello stesso Vendrame, oppure quello che dà il titolo al libro, appunto, quando lo scrittore era al Napoli e, non convocato nemmeno per la panchina in una partita a Cagliari, aveva disputato un altro tipo di partita, con una modella, nei bagni del Sant’Elia. C'era davvero poco calcio giocato, poco calcio "regolare" in quel libro, un sorprendente best seller in un periodo in cui la letteratura sportiva non era così diffusa come oggi, c'era qualche biografia o autobiografia, certo, opere di "irregolari" tipo Carlo Petrini (Nel fango del dio pallone, che già sfruculiava il mondo torbido del doping e del calcioscommesse), o i lavori di case editrici specializzate come Limina, ma in cui per la maggiore andavano "Tutte le barzellette su Totti".

Vendrame, in realtà, come scrittore esisteva già da prima, con le sue poesie ("Un farabutto esistere"), e il contributo da ghostwriter in “lavoro ai fianchi” di Gianfranco Zigoni, altro "irregolare" da manuale, con i capelli lunghi, che andava in giro con la pelliccia, la pistola in tasca, giocava a carte in spogliatoio, beveva whisky etc.

Anche "Dio Zigo, pensaci tu", altro libro di culto uscito, pare sia stato a lungo rimaneggiato da Vendrame: «Lui ci ha messo molte parolacce, io un po' le ho tolte. Anche perché adesso alleno i bambini in un piccolo paese, Basalghelle, e non voglio che i loro genitori mi rimproverino». D'altronde "Zigo", scudettato alla Juve ma esploso al Verona, era uno dei calciatori preferiti dell'amico insieme a Maradona e Meroni.

Il libro di Zigoni è sempre nel 2002, anno d’oro per le pubblicazioni dei calciatori "irregolari". Il personaggio Vendrame avrà il suo apice nel 2005 con la partecipazione al Festival di Sanremo, la manifestazione "normalizzatrice" per eccellenza: accanto a Marco Giusti, a proposito di stracult dopo Tatti Sanguinetti, fungeva da opinionista, chiamato da Paolo Bonolis. «Mi piace come scrittore nel suo atteggiamento anarchico rispetto all'ortodossia del pensiero e si può permettere cambiamenti di rotta: ha uno spirito come un bambino», la spiegazione del conduttore.

Un'edizione, quella, vinta per la cronaca da Francesco Renga con "Angelo" e passata alla piccola storia televisiva per l'ospitata di Mike Tyson in cui qualcuno vedrà un atteggiamento giudicato troppo consolatorio di Bonolis nei suoi confronti. Vendrame qui non era più in versione “alta", come nello "Sciagurato Egidio", ma protagonista di polemiche, come quando accusa Gigi D'Alessio ("Il cantante napoletano") di aver "leccato il fondoschiena al conduttore". L'Afi (Associazione Fonografi Italiani) replica: «Vendrame? Un uomo in evidente stato di disturbo mentale che ha insultato un grande professionista qual è D’Alessio». Il direttore artistico-musicale del Festival, Gianmarco Mazzi: "Offesa gratuita e grave". Il direttore di RaiUno, Fabrizio Del Noce: «Gli opinionisti devono esprimere opinioni sulle canzoni e non sui comportamenti degli artisti».

Di nuovo Bonolis in difesa: «Aveva difficoltà a seguire le semplici regole del calcio, figuriamoci quelle del Festival. Non me lo toccate, perché è una bella persona». Chiusura di Vendrame: "Se mi cacciano è l'apoteosi". Una specie di remix di "Se mi mandi in tribuna godo”.

Cosa intendeva dire Bonolis con quelle parole, “Aveva difficoltà a seguire le semplici regole del calcio"? Dare una pacca sulla spalla virtuale al suo opinionista? Inquadrarlo ancora di più nella dicotomia "genio + sregolatezza", frusta adesso e figurarsi nel 2005?

Se avete visto il video, Vendrame al Festival di Sanremo appare piuttosto fuori contesto, ma forse era fuori contesto anche in un campo di calcio. Nonostante avesse un talento fuori dal comune. Ad affermarlo era stato persino Boniperti, il presidente della Juventus, che si era lanciato in un paragone mica da ridere: “È il Kempes italiano".

Non male per uno cresciuto in un orfanotrofio ("Non mi mancavano i genitori, ma non potevano mantenermi"), e protagonista di un rarissimo caso di "scambio di faccia" nelle figurine Panini: nella stagione 1967-68, quando è alla Spal, il suo volto è diventato quella di Gildo Rizzato.

"Si tagli i capelli"

Kempes rispondeva all’archetipo del centravanti alto e dai capelli lunghi che attaccava le difese in maniera selvaggia. Ma Vendrame era stato ovviamente paragonato anche a George Best. Non solo per i capelli lunghi ma anche per il gusto della provocazione e per l’attitudine auto-distruttiva. Oltre che per il bagaglio di aneddoti ai limiti dell’incredibile che si portava dietro.

Uno di quelli più citati avrebbe davvero potuto appartenere a Best. Quello in cui ha in una partita ha scartato tutti i propri compagni di squadra, compreso il portiere, per arrivare a un passo dall'autorete, salvo poi ripensarci, giusto per creare suspense o puro intrattenimento. Episodio citato sempre nelle biografie di Vendrame, con il corollario di un morto per infarto sulle tribune ("Chi soffre di cuore non può venirmi a veder giocare” chiosava compiaciuto).

C’è poi la partita contro l’Udinese, con la maglia del Padova, in cui col braccio annuncia un suo gol da calcio d’angolo per vendicarsi degli insulti ricevuti lungo tutta la partita. E poi ovviamente segna. Un gesto alla Babe Ruth, che aveva predetto un suo fuoricampo prima che il pitcher dei Chicago Cubs gli lanciasse la palla durante le World Series del 1932.

Forse, però, il gesto più "alla Vendrame" di Vendrame, che nemmeno Best aveva mai compiuto, è stato quello di salire sopra il pallone durante un'azione di gioco per salutare in tribuna l'amico Piero Ciampi, il cantautore livornese che gli era stato presentato ai tempi del Napoli.

Tutti episodi di cui oggi non è possibile recuperare i filmati: un'assenza di documentalità che accresce l’alone leggendario attorno a Vendrame. Lui ha passato il resto della vita a raccontarli, con un grado di compiacimento importante per capire il personaggio.

A Vendrame piaceva raccontarsi come anti-convenzionale, e alla stampa italiana piaceva descriverlo così. Nella sua seconda stagione in Serie A con il Lanerossi veniva raccontato così in un ritratto-intervista del gennaio 1973 sul Corriere della Sera, come se fosse un alieno: «Piedi d'oro, da carioca, fromboliere della pelota, capelli lunghissimi, barba quasi mai rasata, Qui, a Vicenza, il giocatore capellone non potrà mai diventare un idolo. Lui non ci crede e reagisce alla maniera sua, come col calcio: non se li taglia". L'allenatore Hector Puricelli, subentrato a stagione in corso, è disperato: "Deve ascoltarmi. Se vorrà far carriera dovrà pur ascoltare suo nonno, che sono io”».

La visione del calcio del giovane Vendrame è chiarissima, in compenso: «Se mi dicono marca questo, allarga di qua, stringi di qua, finisco per non capirci niente. Mi lascino giocare alla mia maniera e vedranno chi è Vendrame», che chiude così: «Altrimenti, se lo preferiscono, si dimentichino pure di me».

Si scrive anche che "finora non ha convinto al 100%", che "calcisticamente non è stato ancora capito" e che "scende in campo senza aver mangiato, è un ragazzo timido che teme la folla, se indovina il primo dribbling il pubblico applaude e la partita fila via liscia, altrimenti è la fine". Il giornalista si lascia andare a un consiglio definitivo: «Fossimo in lui ci taglieremmo i capelli».

Quando andrà al Napoli, da svincolato dopo non aver rinnovato col Vicenza, voluto fortissimamente dall'allenatore Luis Vinicio, nel novembre del 1974, finirà ben presto in disparte, rinnegato proprio dal suo primo estimatore. Una stagione buttata, e il ritorno nelle categorie inferiori: alla fine Vendrame giocherà appena quattro stagioni in Serie A, segnando solo un gol contro l’Inter. Per il resto fumo, whisky, calzettoni abbassati alle caviglie come al solito e donne. Storie già viste e lette in altri libri come "Nel fango del dio pallone" o nelle vicende di George Best, quando però il nordirlandese era un lontano ricordo del campione che fu, quando la picchiata verso la rovina era già stata imboccata.

Il suo mito è andato molto al di là della sua importanza da calciatore. Ma questa sproporzione è stata una parte importante del suo fascino: Vendrame è la più pura delle possibilità irrealizzate. Un calciatore che vive solo nella dimensione immaginaria, nella forma che le persone vogliono dargli.

Ci vorrebbe una squadra di soli orfani

Vendrame è rimasto così negli anni un imperatore delle serie inferiori, prima ancora che cominciasse il culto per questi campionati semi-professionistici o addirittura dilettantistici, pieni di fenomeni rimasti rinchiusi nel loro alveo ristretto, di cui le imprese si tramandano sotto forma di leggenda più che di cronaca reale. Leggendo gli aneddoti si può pensare che è stata la loro diversità, in un mondo di spietato conformismo, a decretarne il fallimento; che è stato il mondo a essere sbagliato, non loro.

Ogni sport ha avuto il suo, lui è stato senza dubbio quello del calcio; più dei vari Zigoni o Paolo Sollier, il centravanti di spiccate simpatie comuniste del Perugia anche lui autore di un libro (Calci e sputi e colpi di testa). A differenza degli altri, e in modo simile a Gigi Meroni, ha aggiunto una sensibilità artistica autentica e non banale, con spunti di originalità ("Ha sempre con sé la chitarra", di nuovo nel già citato articolo del Corriere della Sera).

Vendrame non aveva l’attitudine da calciatore, ma grazie al calcio è riuscito a sopravvivere alla povertà che altrimenti l'avrebbe fagocitato dopo l’infanzia in un orfanotrofio e i primi calci al pallone in un oratorio: ricordando la firma con il Napoli, quando chiese 20 milioni d'ingaggio, il doppio che a Vicenza, credeva di aver strappato l'accordo della vita, di aver "fregato" il club, salvo poi rendersi conto che il meno pagato a parte lui di milioni ne prendeva 60, quindi il triplo.

A lui bastava, evidentemente, si nutriva e si gestiva con altro: allenare i bambini nella sua Casarsa del Friuli, per esempio ("Ci vorrebbe una squadra di soli orfani"), o la partecipazione a programmi di nicchia, come "Lo sciagurato Egidio". Una sorta di Pasolini alla rovescia, un altro cittadino celebre di Casarsa: PPP sfogava col calcio, nelle partitelle tra amici (in cui comunque non voleva mai perdere, stando a varie testimonianze) lo stress accumulato con l'arte, così Vendrame ha sfogato nella scrittura l'insofferenza verso il mondo del calcio. Di Best, del suo “e tutto il resto l’ho sperperato”, anche qui poco.

La poesia, però, ha bisogno più di silenzio che di rumore. Dopo il Festival di Sanremo del 2005 le apparizioni pubbliche di Vendrame si sono diradate fin quasi ad eclissarsi, in una sorta di replica di "Se preferiscono, si dimentichino di me”. In un'altra intervista al Corriere della Sera ai tempi del Vicenza, lo ammetteva senza remore: "Vero centrocampista, trequartista o punta? Io sono Vendrame". E così sarà per sempre.

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