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Dovremmo ripensare quali sono i falli da rigore?
22 apr 2025
Il regolamento attuale è troppo punitivo e poco compensativo.
(articolo)
13 min
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IMAGO / Gonzales Photo
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Gedda, 12 gennaio 2020. Real Madrid e Atlético si contendono la Supercoppa spagnola. Al decimo minuto del secondo tempo supplementare, con il punteggio inchiodato sullo 0-0, Carvajal non riesce a spazzare un campanile che gli arriva addosso e, sul successivo pallone vagante, Saul lancia Alvaro Morata nello spazio, con tutta la metà campo avversaria sguarnita. I difensori del Real provano a recuperare, ma il centravanti è più veloce di loro. A pochi metri dall’area di rigore, quando ormai Morata è davanti a Courtois, Federico Valverde decide di fermarlo lanciandosi con le gambe a forbice da dietro, whatever it takes. Rosso diretto e punizione per l’Atlético. La partita finirà ai rigori, e ad alzare la coppa sarà il Real.

Bilbao, 13 marzo 2025. Ritorno degli ottavi di finale di Europa League tra Athletic Club e Roma. All’undicesimo del primo tempo Mats Hummels prova un passaggio pigro dal centro del campo verso destra. Maroan Sannadi lo intercetta con la punta del piede, allungandosi poi il pallone verso la metà campo romanista sguarnita. Hummels è in ritardo e decide di provare a recuperare in scivolata, ma manca il pallone e commette fallo a circa 45 metri dalla sua porta. L’arbitro (avallato poi dal VAR) la considera una chiara occasione da rete ed espelle il difensore. La Roma giocherà i restanti ottanta minuti in dieci, verrà rimontata dal 2-1 dell’andata ed eliminata dalla competizione.

STESSO PROVVEDIMENTO, PENA DIVERSA
Gedda e Bilbao: stesso provvedimento per situazioni diverse. Nel primo caso, il Real ottiene un enorme vantaggio a fronte di una risibile pena. L’enorme vantaggio è quello di non concedere una chiarissima occasione da rete agli avversari che, in quel momento della partita, avrebbe significato con ogni probabilità consegnare loro la Supercoppa. La risibile pena è subire una punizione dai 20 metri circa e giocare gli ultimi cinque minuti della partita in inferiorità numerica. Nel secondo caso, la Roma ottiene un certo vantaggio a fronte di una schiacciante pena. Il certo vantaggio è non concedere una possibile occasione da rete agli avversari, la schiacciante pena è giocare quasi l’intera partita in inferiorità numerica.

Anche capovolgendo il punto di vista, il paradosso è lampante: da una parte l’Atlético viene penalizzato enormemente, vedendosi sottratta una chiara occasione da gol che avrebbe forse significato vincere la coppa; dall’altra l’Athletic viene forse addirittura favorito, vedendosi sì negare un’occasione dal fallo di Hummels, ma anche spianare la strada a un’intera partita da disputare in superiorità numerica, un vantaggio che nel calcio di oggi è sempre più decisivo.

Il regolamento, almeno in questo frangente, sembra voler punire il comportamento scorretto più che tentare di ripristinare la dinamica di gioco interrotta o falsata dall’azione fallosa. E lo fa, per inciso, senza distinguere tra interventi “genuini” (quando il difendente interviene cercando di recuperare il pallone) e “non genuini” (quando il difendente si disinteressa del pallone e interviene direttamente sull’avversario). Ovvero non importa se chi difende interrompe la chiara occasione da rete incidentalmente (come Hummels, che va in scivolata tentando di prendere il pallone, e forse toccandolo anche) o deliberatamente (come Valverde che entra sulle gambe di Morata con l’unico intento di fermarlo).

Questo della volontarietà di commettere il fallo è un elemento su cui riflettere, perché ci dice che il rosso diretto non vorrebbe essere — almeno nelle intenzioni — un provvedimento punitivo per la condotta gravemente sleale, bensì una compensazione per la chiara occasione da rete non concessa. È proprio qui che emerge il paradosso: da una parte (quando la partita è arrivata ai minuti finali), ci si chiede quale compensazione possa mai essere quella di giocare in superiorità numerica pochi minuti; dall’altra (quando la partita è ancora tutta da giocare) la compensazione appare addirittura eccessiva.

CHE FARE? UNA PROPOSTA
Il problema sembra essere l’asimmetria con cui il regolamento gestisce casi come questi: davanti a un’infrazione anzitutto tattica, e non comportamentale (ovvero irriguardosa, pericolosa, gravemente antisportiva), ci si concentra sul provvedimento disciplinare nei confronti del giocatore (condannandolo alla massima pena e alla squalifica indipendentemente dalla volontarietà di commettere il fallo), mentre si ignora l’esigenza di una giusta riparazione sul campo a favore della squadra che ha subito il torto.

È chiaro che concedere una punizione diretta (che sia dalla trequarti o anche dal limite dell’area) non può in alcun modo riparare la chiara occasione da rete negata.

Dunque, che fare?

Una soluzione sarebbe concedere un calcio di rigore alla squadra che attacca, ristabilendo così, per quanto possibile, lo stato dell’azione prima del fallo. La chiara occasione da rete negata verrebbe ricompensata con un’altrettanto chiara occasione da rete (che il fallo si compia in area o meno). Il difendente autore della scorrettezza potrebbe ricevere un giallo in caso di intervento non genuino (vedi Valverde), oppure nessun provvedimento disciplinare in caso di intervento genuino (vedi Hummels). Sarebbe il calcio di rigore stesso a “sanare” l’infrazione.

Ora, questa soluzione può far storcere il naso a qualcuno. Siamo stati abituati a pensare all’area di rigore come a un luogo prima geografico e poi sacro, che la squadra che attacca deve conquistare e l’altra difendere. Lì dentro, poi, tutto può succedere — una scivolata scomposta, un rimpallo, un fallo di mano, una svista dell’arbitro — ed ecco che arriva il premio del calcio di rigore. Ma fuori? Fuori non può considerarsi una vera occasione da rete, perché i difensori possono sempre recuperare e l’attaccante inciampare, o allungarsi il pallone… È certamente un punto di vista. Se lo sposiamo, però, per coerenza, dovremmo fare un passo indietro ed eliminare il rosso per il difensore che commette fallo: perché espellerlo (e squalificarlo), se non interrompe alcuna chiara occasione da rete?

COME DEFINIRE LA CHIARA OCCASIONE DA RETE
Per definire ciò che può e ciò che non può essere considerato DOGSO (Denying an Obvious Goal-Scoring Opportunity — ovvero l’infrazione di negare una chiara occasione da rete), il regolamento utilizza quattro criteri:

1. la distanza tra il punto in cui è stata commessa l’infrazione e la porta;
2. la direzione generale dell’azione di gioco;
3. la probabilità di mantenere o guadagnare il controllo del pallone;
4. la posizione e il numero dei difendenti.

Nonostante il criterio della distanza dalla porta sia citato per primo, esso non prevede l’obbligo che l’infrazione sia commessa dentro l’area. Inoltre, l’ultima revisione in materia, datata 2016, ha modificato la stesura del paragrafo che sancisce la differenza tra DOGSO e SPA (Stop a Promising Attack — ovvero l’infrazione di fermare un’azione pericolosa) trasformando i quattro punti da requisiti fondamentali a semplici criteri (a causa del fatto che troppo spesso, in assenza di anche solo uno dei requisiti, quelli che apparivano chiaramente dei DOGSO venivano derubricati a SPA).

In altre parole, il regolamento esprime da una parte la comprensibile necessità di uniformare il giudizio, ma dall’altra quella di far adottare ai direttori di gara sempre e prioritariamente il buon senso. La valutazione dell’arbitro rimane il fattore dirimente in ogni caso dubbio (l’abbiamo visto proprio in Athletic-Roma). E se è vero che non è sempre facile tracciare una linea netta tra le due situazioni (DOGSO e SPA), è vero anche che quella di un attaccante che si presenti da solo davanti al portiere, in posizione centrale e in totale controllo del pallone (nonostante sia ancora fuori area, come nel caso di Morata in Atlético-Real), non può non essere considerata una chiara occasione da rete. Insomma, che ci possano essere chiare, anzi cristalline, occasioni da rete con la palla ancora fuori dall’area di rigore, è universalmente accettato e riconosciuto dal regolamento.

IL PARADOSSO OPPOSTO: COSA SUCCEDE IN AREA
Ma se l’area di rigore a volte ingiustamente toglie, molto spesso l’area di rigore ingiustamente dà.

Roma, 8 luglio 1990. Argentina e Germania si affrontano nella finale della Coppa del Mondo. Al 20’ del secondo tempo, con il risultato sullo 0-0, l’Argentina rimane in dieci e da quel momento soffre l’iniziativa avversaria, che si concretizza al 38’, quando Lothar Matthäus infila il centrocampo albiceleste e serve d’esterno lo scatto di Rudi Völler. L’attaccante entra in area da posizione defilata e viene affrontato in maniera scomposta da Nestor Sensini. L’arbitro assegna il rigore, che viene trasformato due minuti più tardi da Andreas Brehme. Il gol risulterà decisivo e la Germania alzerà la coppa per la terza volta.

Bordeaux, 11 giugno 1998. L’Italia, dopo la cocente delusione in finale contro il Brasile di quattro anni prima, debutta nella fase finale del campionato del mondo contro il Cile. Gli Azzurri vanno in vantaggio con Vieri all’11’, per poi subire la doppietta di Salas tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo. All’82’ l’Italia è sotto di 2-1 e non sembra avere le forze per reagire. Poi Roberto Baggio recupera un pallone vagante appena fuori dal lato corto dell’area cilena e crossa al centro; il difensore Ronald Fuentes, a meno di due metri dal Codino — e appena dentro l’area di rigore —, intercetta il cross con il braccio destro che, pur tenuto in maniera consona lungo il corpo, svolazza vistosamente all’indietro. L’arbitro assegna il calcio di rigore. Baggio realizza e riscatta almeno in parte l’errore di Pasadena. La partita finisce 2-2 (entrambe le squadre si qualificheranno poi per gli ottavi) e l’Italia evita di ripetere la figuraccia all’esordio di quattro anni prima contro l’Irlanda.

In entrambi i casi siamo davanti a un’azione fallosa, ma non certo a una chiara occasione da rete. In entrambi i casi, tuttavia, il semplice aver commesso l’infrazione all’interno dei confini dell’area di rigore, vanifica la “normalità” del fallo e sancisce d’ufficio la massima punizione.


UN REGOLAMENTO TROPPO RIGIDO
Nel primo esempio, al momento dell’intervento falloso di Sensini, Völler stava controllando il pallone verso l’esterno, allontanandosi quindi dalla porta. Se non avesse subito il contrasto avrebbe potuto provare un cross verso il centro, dribblare, persino cercare il tiro, ma da posizione defilata e con il difensore addosso. Insomma, forse un’azione potenzialmente pericolosa, ma nulla di paragonabile alla pericolosità di un calcio di rigore (che, ricordiamolo, viene segnato oltre il 75% delle volte, un’efficienza che nessun’altra azione nel calcio avvicina). Si può aggiungere, marginalmente, che vedendo e rivedendo i replay, l’entità del contatto rimane dubbia: come accade spesso, l’attaccante, pur a fronte di un’azione promettente, opta per assecondare il contatto subito e si lascia cadere, scommettendo sul ben più remunerativo calcio di rigore.

Nel secondo esempio (Italia-Cile) non possiamo dire con certezza cosa sarebbe accaduto se il pallone non fosse stato intercettato dalla mano di Fuentes, ma chiaramente anche lì non si trattava di una chiara occasione da gol. Addirittura si parla ancora della furbizia di Baggio, che avrebbe mirato al braccio dell’avversario per guadagnare un calcio di rigore da una situazione di gioco poco pericolosa (non entriamo qui nel dibattito su cosa dovrebbe essere considerato volontario).

Ho scelto volutamente due casi di epoca pre-VAR per non appesantire il discorso, che con l’avvento della tecnologia è diventato sempre più surreale. Oggi, infatti, i calci di rigore sono diventati una questione quasi burocratica, con gli arbitri che vengono richiamati per falli di mano sempre diversi (e per i quali il regolamento sembra cambiare ogni settimana) o per falli che una volta non consideravamo tali, o almeno non con questa facilità (vedi step-on-foot o i rinvii in cui l’attaccante riesce a infilare la gamba).

Rimane la domanda: che senso ha concedere un rigore, e quindi il 75% di possibilità di segnare, in un gioco a bassissimo punteggio, per un tocco marginale, oppure per un fallo commesso al vertice dell’area di rigore con il resto della difesa schierata, o per un fallo subito dopo aver calciato la palla sopra la traversa o fuori dai pali, ma un attimo prima che questa effettivamente abbia superato la linea di fondo? Sono infiniti i casi che potrei citare di rigori concessi in zone dell’area di rigore e in momenti della partita in cui chi attaccava non sarebbe riuscito a ottenere nulla di pericoloso. Anche in questo frangente, il problema sembra essere che il regolamento persegue un intento sanzionatorio, anziché compensativo.

In passato, gli arbitri sceglievano spesso di “chiudere un occhio”: il fallo in area doveva essere netto, quasi plateale, affinché venisse concesso il rigore, oppure doveva interrompere una chiara occasione da rete. Anche questa, tuttavia, possiamo considerarla una stortura interpretativa: così facendo gli arbitri finivano per penalizzare la squadra che subiva il fallo, pur di non ricompensarla “eccessivamente”. Oggi, e specialmente in Italia, i direttori di gara tendono a lasciare al VAR la decisione in questi casi un po’ grigi. E l’occhio tecnologico vede sì molto, ma non riesce sempre a soppesare l’entità di un intervento. Con la conseguenza che, se c’è un contatto in area di rigore, per quanto minimo, o in una situazione di gioco su cui prima si tendeva a sorvolare (“questo in area non te lo fischiano mai” era il refrain), si tende a punirlo. Vale ricordare che, pur senza avvicinarsi ai picchi drammatici della stagione 2019/20, che ha visto 0.49 rigori fischiati a partita, la media dello scorso campionato è stata di 0.35, tra le più alte di sempre.

UNA SOLUZIONE LINEARE
Rimane il problema di un regolamento spigoloso, che non concede vie di mezzo (o si dà il rigore o non si dà nulla), costringendo gli arbitri a decisioni che spesso sembrano andare contro i principi del gioco. Anche qui, una soluzione ci sarebbe: si potrebbe assegnare il calcio di rigore solo se si tratta di una chiara occasione da rete, e una semplice punizione in caso contrario. Una punizione diretta dall’interno dell’area. In altri termini: se l’avversario, con un’azione fallosa, ti preclude una chiara occasione da rete, ti verrà restituita una chiara occasione da rete; ma se l’avversario ti sottrae solamente la possibilità di sviluppare un’azione promettente (o magari neanche promettente, come accade in moltissimi casi), ti verrà restituita solo la possibilità di svilupparne una altrettanto promettente, grazie a un calcio di punizione da posizione vantaggiosa, ovvero dentro l’area di rigore.

Così facendo non solo si ripristinerebbe un discorso di lealtà sportiva (anche entro i confini di quello che troppo a lungo è stato un terreno franco per gli attaccanti e spinoso per i difensori — l’area di rigore), non solo ne gioverebbe lo spettacolo e l’agonismo (non ci sarebbe più motivo, per gli attaccanti, di lasciarsi andare in area, e, di contro, chi difende non avrebbe il terrore di provare l’intervento), ma si ridurrebbero drasticamente gli interventi del VAR, che sarebbe chiamato a valutare solamente le chiare occasioni da rete (che sono una piccola percentuale degli attuali episodi da rigore). Si andrebbe infine a sanare il paradosso per cui un fallo come quello subito da Morata non merita il calcio di rigore e uno come quello subito da Völler invece sì. Ci sarebbero anche meno espulsioni, che nel calcio di oggi sembrano una pena troppo grande per chi la subisce.

Il calcio ha fatto passi da gigante dal punto di vista tecnologico, con l’introduzione della goal-line technology, del VAR e del fuorigioco semiautomatico, e ha già dimostrato di saper promuovere il progresso e il dinamismo del gioco con dei correttivi al regolamento — introducendo il concetto di fuorigioco passivo (1924), vietando al portiere l’uso delle mani su retropassaggio (1992), o consentendo di giocare la rimessa dal fondo dentro l’area di rigore (2019). Proprio l’area di rigore sta via via abbandonando il suo “statuto speciale” per entrare sempre più dentro al gioco. Potrebbe essere giunto il momento di fare un ulteriore passo in avanti.

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