La Supercoppa è stata reclamizzata come un replay della finale di Coppa Italia, ma in realtà tra i due match ci sono state ben poche somiglianze. Lo scorso sabato, l’artefice del contesto è stato il caldo umido, insieme al terreno pieno di buche e alle raffiche di vento a intensità e direzione variabili. Un contesto che ha finito con il condizionare il gioco delle due squadre e lo svolgimento della partita. L’IPO di Sics è basso per entrambe le squadre (26 per la Juventus, 23 per la Lazio), che hanno faticato a creare pericoli per tutta la partita.
Ad esempio, Pioli aveva chiesto ai due centrali difensivi (Gentiletti e De Vrij) e al suo mediano (Biglia) di costruire la manovra giocando palla a terra, ma data la difficoltà nel primo controllo e il pressing dei due attaccanti bianconeri, ai quali si aggiungeva Sturaro, i laziali sono stati spesso costretti a lanciare lungo per evitare guai maggiori.
Anche i difensori juventini, pressati dai quattro avanti biancocelesti, sono ricorsi regolarmente al lancio lungo. Di rado c’è stato uno sviluppo del gioco palla a terra da parte dei bianconeri e lo stesso Buffon ha preferito rilanciare verso gli attaccanti piuttosto che giocare con i compagni di difesa. Solo quando il pressing della Lazio è scemato, dopo i primi venti minuti di gioco, la Juventus ha provato a ragionare, e l’ha fatto comunque con modalità differenti dal passato.
Senza Pirlo
Volato a New York a luglio, Pirlo era il primo generatore di gioco bianconero: durante gli ultimi anni gli avversari hanno provato varie soluzioni per limitarlo, e quando ci riuscivano era Leonardo Bonucci che assurgeva al ruolo di “costruttore del gioco”, una vera second source.
Marchisio era stato impiegato davanti alla difesa in caso di necessità già sotto la gestione di Conte, per la sua capacità di calcio con entrambi i piedi e per la sua intelligenza nel controllare lo spazio. Allegri ha utilizzato regolarmente Marchisio come vice-Pirlo nella scorsa stagione ed è parso a tutti naturale affidargli le chiavi del centrocampo. Anche se va detto che la distribuzione di gioco di Marchisio sabato è stata sicura ma elementare.
Il numero otto si è limitato all’appoggio laterale, su Barzagli nella maggior parte dei casi, e nel primo tempo è stato coinvolto di rado nella manovra. Soprattutto nel primo tempo, Marchisio ha toccato pochi palloni e quasi sempre spalle alla porta, aggredito dal pressing avversario; inoltre non ha mai forzato la giocata sugli interni, Sturaro e Pogba, che erano piuttosto statici e facilmente controllati dai laziali.
Insomma Marchisio non è un giocatore propenso al rischio.
Marchisio si fa attrarre dalla palla e lascia metri tra sé e la sua difesa. Lo spazio viene preso da Cataldi che non ha testa e piedi da trequartista per provare a mettere in porta Klose di prima.
Marchisio ha avuto anche qualche difficoltà nella copertura degli spazi alle sue spalle. In passato, nel suo 4-3-1-2, Allegri ha preferito avere un giocatore davanti alla difesa che avesse intelligenza e polmoni per andare a chiudere l’uscita in fascia dell’interno, piuttosto che un regista puro ma pigro. Ricordiamo tutti la querelle Pirlo-Van Bommel ai tempi del Milan e, in teoria, l’identikit di un regista dinamico di questo tipo corrisponde alle caratteristiche di Marchisio.
Nel 3-5-2 questa esigenza è meno stringente, soprattutto perché l’uscita in fascia viene curata dal laterale e non dall’interno, anche se la capacità di chiudere gli spazi laterali resta importante. Marchisio ha commesso diversi errori di lettura del gioco: in particolare è stato ingannato più di una volta da un’uscita intempestiva da parte di Evra o Lichtsteiner. Nel secondo tempo le sue letture in fase difensiva sono state nettamente migliori, soprattutto nelle coperture preventive sulle ripartenze laziali e sui calci piazzati.
Senza Tevez
In avanti Allegri ha presentato dal primo minuto la coppia Mandzukic-Coman, la meno collaudata nelle poche amichevoli di preparazione giocate. L’intesa tra i due non è stata buona, spesso hanno fatto gli stessi movimenti risultando prevedibili per la difesa della Lazio e l’unico vero pericolo nel quale i biancocelesti sono incappati è nato su un errore d’impostazione da rimessa laterale, all’inizio del secondo tempo (Mandzukic però ha tirato su Marchetti in uscita).
Qualcosa di meglio si è visto con l’ingresso di Dybala: l’argentino ha cercato di ricevere palla tra le linee per girarsi e impensierire la difesa della Lazio. Una manovra “alla Tevez”, del quale l’ex Palermo non ha ancora l’esperienza e la cattiveria agonistica, ma ha giocate simili dal punto di vista tecnico e tattico. Con Dybala in campo Mandzukic ha iniziato a giocare in maniera più istintiva, andando a cercare la profondità oltre la retroguardia avversaria.
Forse il croato non ha la forza fisica di Llorente, né la velocità di Morata, né la garra di Tevez; ma ha una bella fetta delle qualità di tutti e, a fine anno, sarà probabilmente uno dei più impiegati nel ricco parco attaccanti a disposizione di Allegri.
Senza Parolo e Mauri
Pioli crede nelle proprie idee e le afferma al di là dei calciatori a disposizione e della formazione schierata, e questa è la sua forza. Nei due confronti di campionato, aveva sistemato la sua Lazio, che iniziava a crescere nella convinzione dei propri mezzi e nell’applicazione della propria filosofia di gioco, col canonico 4-3-3. Nel confronto di Coppa Italia aveva scelto un inedito 3-4-3 per supplire all’assenza di Biglia e sfruttare la superiorità numerica portando tre uomini per catena. Ed ha giocato una finale alla pari coi campioni d’Italia per centoventi minuti.
Sabato ha proposto un 4-2-3-1 portando Cataldi a ridosso dell’unica punta Klose. Le assenze di Parolo e Lulic per squalifica hanno sicuramente condizionato la scelta dell’allenatore. Proprio negli ultimi trenta metri alla Lazio è mancato qualcosa.
Cataldi ha trovato spazio lì dove la passata stagione è stato spesso impiegato Stefano Mauri, il cui contratto coi biancocelesti è terminato lo scorso 30 giugno. Il ventunenne ha rispettato le consegne in maniera diligente, ma nulla di più. Ha scambiato la posizione, assecondando gli istinti di Felipe Anderson e Candreva; non ha concesso i tempi della giocata a Marchisio, nella cui zona finiva per agire in fase di non possesso.
Ma è mancato nei tempi dell’inserimento e nelle scelte (per lui solo 2 passaggi chiave ricevuti, contro i 4 di Anderson e i 4 di Candreva), in una zona del campo in cui bisogna essere dotati di intelligenza calcistica e pensiero veloce, cose di cui Mauri era dotato. Quello che Cataldi ha, invece, è tempo davanti a sé per migliorarsi.
Qualche metro più avanti Klose, preferito a Filip Djordjevic, ha dato fluidità offensiva alla squadra con i suoi continui movimenti, ora incontro, ora in profondità. Il tedesco era particolarmente pericoloso quando attaccava lo spazio alle spalle di Barzagli, che era tenuto impegnato da Felipe Anderson, stabilitosi a sinistra dal ventesimo del primo tempo. A proposito del brasiliano: resta l’uomo più creativo tra i suoi e sembra che possa decidere la partita con una sola giocata, anche quando poi effettivamente non lo fa. Nel corso dei novanta minuti, ha eseguito 3 cross, 3 passaggi chiave e 4 dribbling su 5 tentati. Ma ha anche perso 12 palloni, nella Lazio solo Klose ha fatto peggio (14).
Nel secondo tempo è entrato Djordjevic e il serbo ha fatto più da target man, un riferimento offensivo classico sul quale appoggiarsi, più statico del tedesco. Con Djordjevic in campo, la Lazio è parsa ancora più prevedibile, ma a parziale scusante del centravanti ex Nantes bisogna dire che il resto della squadra era calata fisicamente e anche il movimento senza palla degli altri era venuto meno.
Il meccanismo difensivo della Juventus era costituito da due azioni distinte: l’aggressività a impedire le triangolazioni veloci sugli esterni che partivano dai due terzini avversari (su 9 falli fatti, 7 sono stati spesi nella metà campo avversaria, di cui 5 sulle fasce); un blocco basso a protezione dell’area di rigore (l’altezza media delle palle recuperate dai bianconeri è stata di 38 metri). Il meccanismo ha funzionato e alla Lazio non è rimasto che tentare la soluzione da fuori area.
I gol
Le azioni di entrambi i gol si sono sviluppate lungo la catena di destra della squadra juventina, e in entrambi i casi il movimento di Sturaro verso l’esterno, a svuotare il centro del campo per favorire la ricezione degli attaccanti, è stato decisivo per creare una falla nella retroguardia avversaria.
Sul primo gol, prima di arrivare a Sturaro che fornirà l’assist a Mandzukic, la palla si muove nei piedi di Marchisio, Barzagli e Lichtsteiner. Lo scivolamento del centrocampista ex Genoa verso l’esterno provoca un effetto domino nelle marcature disposte dalla difesa laziale, un po’ lenta nell’effettuare le scalate.
Ma l’errore decisivo è di De Vrij: Lichtsteiner è stato bravo ad attaccare il primo palo, partendo da lontano, come una vera punta; il difensore olandese lascia Mandzukic e fa un passo in avanti per coprire l’arrivo dello svizzero. Questa mossa gli è fatale al momento dello stacco: la palla del cross di Sturaro passa sopra la sua testa per pochi centimetri.
Sul secondo gol, Sturaro porta via Biglia dal centro del campo e apre una traccia verso le punte, che Lichtsteiner decide di usare. Il movimento di Mandzukic, che prende lo spazio alle spalle di Gentiletti, salito a marcare Dybala, è coperto da De Vrij.
L’olandese però perde il duello tutto di fisico col croato e lo lascia crossare per Pogba. Il francese servirà poi l’accorrente Dybala.
Falsa partenza
Per la Lazio, la sconfitta di Shanghai deve rappresentare solo uno step nel processo di crescita di squadra e società. Nella pianificazione del lavoro estivo, l’appuntamento del play-off per la qualificazione ai gironi di Champions League potrebbe aver avuto un peso specifico maggiore rispetto alla Supercoppa. Tra una settimana i biancocelesti avranno maggiore freschezza atletica, li attende il Bayer Leverkusen.
Per la Juventus è troppo presto per dire che il lutto per le partenze di questa estate è stato elaborato. È vero che i nuovi arrivati hanno qualità importanti, e che attraverso il lavoro in allenamento i bianconeri aggiungeranno nuove opzioni di gioco alle vecchie.
Ed è vero anche quello che ha detto Allegri alla vigilia, che la Supercoppa avrebbe misurato la “fame” del gruppo, che una vittoria avrebbe rafforzato le convinzioni dei suoi. E forse anche le sue e quelle della società.
Ringraziamo per i dati SICS (che potete anche seguire su Facebook e Twitter).