Questo articolo è stato pubblicato originariamente (in inglese) sul blog di Wyscout, che vi consigliamo vivamente di seguire (ci sono anche i nostri autori).
Il ruolo del falso nove ha un posto d’onore nella storia recente del calcio e della tattica, ed è indissolubilmente legato nel nostro immaginario alla figura di Leo Messi. A dire il vero ci sono stati altri calciatori che hanno portato in campo una loro versione del falso nove, anche prima dell’asso argentino del Barcellona, ma l’interpretazione che ne ha dato Messi sotto la guida di Pep Guardiola ha rasentato la perfezione, al punto da spingere gli esperti e gli appassionati a codificare il ruolo intorno alla versione dell’argentino. È il motivo per cui oggi spesso ci riferiamo al ruolo utilizzando la dicitura spagnola di falso nueve.
Il falso nove è un centrocampista offensivo che non ha una punta davanti a sé come riferimento. Lo spazio tra i difensori centrali è infatti lasciato libero per essere attaccato solo successivamente. Messi è un giocatore unico: così com’era capace di posizionarsi nello spazio, coi tempi giusti per ricevere il pallone con le spalle rivolte alla difesa avversaria, riusciva anche a girarsi in un fazzoletto e ad attaccare lo spazio che la sua stessa azione aveva generato.
Le qualità di Leo Messi ha reso a lungo inutile ogni tentativo di imitazione. Il ruolo dell’attaccante però negli anni è cambiato: oggi un centravanti normalmente si muove di più per disordinare lo schieramento avversario e per giocare più spesso la palla con i compagni.
È quindi sempre più raro trovare un falso nove, ma esistono ancora giocatori con delle caratteristiche tali da approssimare l’ideale rappresentato da Messi.
I falsi nove moderni: Roberto Firmino e Lorenzo Insigne
Già ai tempi del Hoffenheim, Roberto Firmino si era distinto per la sua duttilità, al punto che si iniziò a dibattere sul ruolo nel quale rendesse al meglio: centrocampista offensivo, seconda punta o prima punta atipica?
Firmino ha completato la sua crescita al Liverpool, ma è solo da quando Klopp gli ha affiancato Mohamed Salah che è riuscito a mostrare il suo pieno potenziale. Il brasiliano infatti è stato uno degli artefici principali della stagione che ha portato il Liverpool a giocarsi una finale di Champions League, con Salah autore di una stagione perfetta da 44 gol in tutte le competizioni.
Nella fase di non possesso il Liverpool si schierava con il 4-4-2, tenendo Mané e Salah di punta. La posizione di destra nel centrocampo dei Reds non era quindi occupata dall’egiziano, solo nominalmente schierato da ala destra, ma da Firmino. Il sacrificio del brasiliano in copertura permetteva a Salah di conservare energie e metteva il Liverpool in una posizione di vantaggio in caso di riconquista della palla, con i due uomini più veloci pronti ad attaccare la profondità.
Nella fase di possesso, Firmino invece si accentrava svariando nella trequarti campo avversaria per trovare uno spazio per la ricezione della palla alle spalle dei centrocampisti avversari. Il suo movimento mirava alla creazione di situazioni di uno contro uno dei suoi due compagni d’attacco con i difensori avversari.
Da quando Klopp ha deciso di inserire gradualmente lo svizzero Shaqiri nelle rotazioni dei titolari, passando così al 4-2-3-1, i compiti in campo di Firmino sono cambiati. Ma non appena il suo allenatore opta per il ritorno al 4-3-3 originale, l’attaccante brasiliano riprende immediatamente le precedenti buone abitudini.
L’arrivo di Carlo Ancelotti sulla panchina del Napoli ha portato numerose novità tattiche. Su tutte, quella che ha destato più interesse, e che si è rivelata anche la più efficace, è stata lo spostamento di Lorenzo Insigne dalla fascia sinistra al centro dell’attacco. Il cambio di posizione ha permesso a Insigne di essere subito più incisivo sul gioco offensivo della sua squadra e ne ha messo in evidenza le qualità da falso nove.
La distribuzione di passaggi di Lorenzo Insigne nella vittoria contro l’Atalanta nella quattordicesima giornata di Serie A.
Insigne si muove orizzontalmente lungo tutto il fronte d’attacco per dare un’opzione di passaggio al portatore di palla. Il suo movimento tra le linee avversarie è teso a provocare una reazione nello schieramento avversario: se un difensore decide di alzarsi in marcatura e uscire così dalla linea difensiva, il resto della squadra dovrà compensare la sua azione. Serrando le fila stringendosi alle spalle del compagno, oppure con un uomo che scala sulla linea, a seconda delle zone di campo.
Insigne crea sempre un dubbio nei difensori avversari e li costringe a reagire. Come avviene nel caso di Firmino, la strategia offensiva si completa attraverso i compagni d’attacco. Nel caso del Liverpool, Sadio Mané e Momò Salah agiscono da terminali offensivi. Nel caso del Napoli sono Dries Mertens o Arek Milik ad avere l’onere della finalizzazione dell’azione o almeno il dovere di insidiare la linea difensiva negli spazi creati dal compagno.
Due modi di essere un vero nove: Gonzalo Higuain e Mauro Icardi
Il modo in cui oggi un centravanti interpreta il ruolo del numero nove è cambiato. Benzema nel Real Madrid, Dzeko nella Roma, Suarez nel Barcellona, Kane nel Tottenham: sono attaccanti che si abbassano a fare gioco, si associano con i centrocampisti, sono addirittura più bravi nel gioco coi piedi pur essendo fisicamente ben strutturati.
Tra i centravanti moderni possiamo annoverare anche Gonzalo Higuain. Nel suo passato nelle giovanili del River Plate, Higuain ha giocato a lungo da trequartista, alle spalle di una o due punte. Poi tra i professionisti ha saputo trasformarsi in uno degli attaccanti più letali di questi anni, capace di abbattere un record di segnature che in Serie A resisteva da 66 anni. L’esperienza da numero 10 maturata durante la sua formazione ha arricchito il set dei suoi movimenti e lo ha reso imprevedibile per i difensori.
Higuain scambia il pallone con Suso due volte, prima di infilarsi tra De Rossi e Nzonzi. Prima di entrare in area tenta un’ulteriore combinazione palla a terra con l’accorrente Calabria.
Higuain però è soprattutto un attaccante associativo, che ha bisogno di toccare la palla più volte, che necessita dell’appoggio del resto della squadra per disegnare l’azione d’attacco negli ultimi 25 metri. L’argentino si muove dal centro della sua difesa, si sposta lateralmente o all’indietro per farsi seguire dal suo marcatore. Poi, dopo uno scambio con il centrocampista, può allargarsi per creare un canale di passaggio per l’inserimento del terzo uomo; oppure, forte sulle gambe, può invertire la direzione della sua corsa e dettare così il passaggio in profondità nello spazio alle spalle del difensore.
Nel panorama mondiale c’è ancora spazio per i puri attaccanti d’area di rigore: Mauro Icardi è un attaccante agli antipodi rispetto ai modelli elencati precedentemente.
Il grafico delle posizioni medie di Icardi ci fa capire quanta parte del suo gioco si sviluppa in area di rigore.
Al contrario di Higuain, Icardi si vede poco fuori dall’area di rigore, e in quelle occasioni la precisione tecnica dei suoi tocchi non è neanche paragonabile a quella del suo connazionale. Però, quando lo sviluppo dell’azione interessa gli ultimi 16 metri di campo, Icardi si trasforma letteralmente. La sua capacità di spingere in basso la difesa con le corse senza palla, di farsi seguire dei difensori per poi far perdere le sue tracce e ricomparire libero davanti al portiere è unica nel suo genere.
È come se Icardi avesse lavorato per sgrossare tutti gli aspetti del suo gioco non strettamente legati alla finalizzazione. Si è progressivamente liberato dei fronzoli per concentrarsi sull’atto finale della realizzazione del gol. Di fatto è un attaccante oggi unico nel suo genere.