
C’è un momento, nell’estate di quasi ogni maschio etero in Italia, in cui l’attenzione viene quasi del tutto diretta verso un unico obiettivo: il Fantacalcio. Un fenomeno ciclico, come le stagioni, come il campionato, che inizia a sobbollire ad agosto, esplode a settembre, e lentamente si spegne con la fine della primavera.
Chi ne prende parte passerà volontariamente svariati giorni di luglio e agosto a studiare movimenti di mercato, bilanci societari, mosse e strategie dei club calcistici italiani per arrivare preparati alla fatidica asta, che li vedrà chiusi in una stanza per un periodo di tempo indefinito a comprare giocatori con soldi immaginari (o quasi). Un rituale collettivo in cui non mancano corruzioni, forfait, litigi tra amici d’infanzia, faide, scommesse - in modo non troppo dissimile dal campionato reale, ma in miniatura.
Ogni anno io, che il Fantacalcio non lo faccio, questo fenomeno lo subisco da lontano - come può subirlo una ragazza che ha almeno un amico o un ragazzo che da anni si dedicano al Fantacalcio. Non faccio questo discorso in maniera teorica: mentre mi accingo a scrivere questo articolo, il mio ragazzo ha deciso di usare le sue uniche tre ore di pausa dal lavoro per iniziare a studiare i cambiamenti nelle formazioni di Serie A.

Sei alla ricerca di consigli in vista dell'asta? Di statistiche che ti svolteranno gli acquisti a uno? Di chiamate esoteriche per fare bella figura? La nostra Mega guida all'asta del Fantacalcio, aggiornata ogni giorno con nuovi contenuti, è qui per te.
Come tutte e tutti quelli che lo guardano da fuori, il Fantacalcio è un’attività che suscita al tempo stesso perplessità e fascinazione per la dedizione che produce in chi vi partecipa, per come riesce a tenere insieme il proprio gruppo di amici. È un’ossessione che, come sanno bene tutti quelli che la subiscono, produce momenti surreali. Lo scorso settembre mi è stato raccontato di un ragazzo che ha invitato la sua frequentazione del momento a casa propria durante la sera dell’asta, il giorno del loro primo appuntamento. Davanti a questo coraggio straordinario - di lui, ma soprattutto di lei, che ha accettato – mi sono ritrovata a sorprendermi davanti alla mia stessa curiosità: com’è stato vedere il proprio date in uno scenario così specifico, così maschile, cui di solito non si ha accesso?
Non voglio dire che il Fantacalcio non sia una cosa da ragazze, o che nessuna ragazza lo capisca. Dai fatti, però, mi sembra piuttosto comune che molte ragazze si ritrovino in una posizione di marginalità rispetto a questo fenomeno - posizione da cui nasce lo stesso desiderio che ha portato a questo articolo. Quello cioè, se non di capirlo del tutto, quantomeno di osservarlo da vicino e raccontarlo a chi non ne ha accesso e quindi non lo capisce.
Per iniziare, ho coinvolto delle amiche e degli amici, in parte coppie, in parte no, e chiesto loro di rispondere a una serie di domande sul loro rapporto con il Fantacalcio: che ruolo ha nelle loro vite, che dinamiche relazionali genera, cosa lo rende così necessario per chi continua a farlo. C’è chi ha risposto con due pagine di documento Word, chi con messaggi vocali («per spiegarsi meglio»), altri sono stati più essenziali, forse per indole, forse per un senso di protezione nei confronti di una cosa così personale. I membri del mio gruppo d’inchiesta maschile (tutti verso, se non leggermente oltre, gli anni Trenta della loro vita) fanno il Fantacalcio da un range di tempo che va dai 7 ai 10 anni, e lo fanno per la maggior parte con un gruppo fisso di amici storici, mentre alcuni con altri membri «che cambiano di edizione in edizione per delle defezioni di chi si stanca».
Un amico mi dice che il Fantacalcio «è la classica cosa che facciamo per mantenere vivo il rapporto, con la scusa guardiamo anche le partite assieme. Più di qualcuno di noi dice che continua a farlo così ci sentiamo qualche volta». Per tutti, comunque, il Fantacalcio è qualcosa che accade naturalmente, che fa parte di loro e del loro modo di relazionarsi verso determinati amici. Per le ragazze (anche loro appartenenti alla stessa demografica), questi rapporti sono spesso noti, in altri casi risultano essere delle conoscenze misteriose, «quel tipo di persone con cui non avrei mai modo di parlare, nessun topic di discussione, nessun legame potenziale».
L’asta del Fantacalcio gode di un’aura quasi sacra perché, per citare uno dei miei intervistati, è «una cosa seria». Si tratta del momento clou dell’anno, perché da quella dipende l’andamento dell’intera stagione (sempre, si intende, immaginaria). Secondo la mia ricerca, un’asta può durare dalle 5 alle 8 ore, «si parte ad orario di cena e si va avanti a oltranza, anche se il giorno dopo tutti lavorano». Le ragazze parlano dell’asta come di un momento inaccessibile: «il mio moroso scompare», mi è stato detto, «il mondo si blocca, le persone che partecipano non hanno contatti con l'esterno. Io so che in quelle ore la persona che partecipa non esiste». Nessuna, preciso, lo vede come un fastidio, ma di certo come un fatto immutabile: è così e non può non esserlo. «Provo un senso di fascinazione verso quella serata. Non mi è dato sapere come si comporta il mio ragazzo nell’habitat dell’asta, forse è una cosa che vorrei scoprire, ma forse è anche giusto che resti una cosa solo sua», mi viene detto, quasi romanticamente.
«C’era chi arrivava con Excel con valore stimato dei giocatori, budget disponibile per ruolo, puntata massima», mi dice uno dei miei intervistati, l’unico ad aver smesso di fare il fantacalcio da due anni. Lo sappiamo: la preparazione per l’asta è la fase più intensa. Questo si riflette nelle risposte degli altri intervistati, un paio che si prepara per soli due giorni prima dell’asta, mentre altri che investono ore di studio costante per svariati giorni in vista di settembre. L’amico che ha definito il Fantacalcio come «una cosa seria» ci tiene a precisare che ci si può preparare in diversi modi e «tenendo conto di diversi aspetti»: uno più tecnico, legato all’analisi delle rose delle squadre di Serie A, e uno strategico, legato alle dinamiche interne dell’asta. Per il primo «bisogna informarsi sui nuovi arrivi e sulle cessioni, oltre ai possibili cambi di allenatore che possono influenzare più di quanto uno si immaginerebbe il rendimento dei giocatori. Le fonti sono molteplici: programmi e approfondimenti vari in TV (SportMediaset, Sky Sport), listone sulla Gazzetta, UltimoUomo, app per il telefono varie (io ne ho due)». Per il secondo, bisogna osservare l’andamento dell’asta degli anni precedenti, analizzare come i partecipanti distribuiscono il budget, intuire quanto potrebbero essere disposti a spendere.
Tutto questo, senza contare l’elemento più imprevedibile della serata: il grado alcolico di alcuni dei partecipanti. Sempre l’amico che si è ritirato dalla lega mi dice che «all’asta si beveva, quindi di base il fantacalcio lo vinceva chi arrivava agli attaccanti ancora presentabile». La preparazione per l’asta, quindi, è allo stesso tempo fondamentale e totalmente vana, e il tutto contribuisce all’aspetto sociale del fenomeno.
Per tentare di contenere questo caos ogni lega stila annualmente un regolamento che li accompagnerà per tutto il campionato, lungo in media 3-5 pagine, almeno secondo le risposte che ho ricevuto in merito (ma credo che ci siano dei casi anche peggiori di questo). Questo regolamento (che per alcuni «si è reso necessario dopo una serie di scandali che hanno pilotato il Fantacalcio») è gestito da un presidente, in un modo non troppo dissimile a tutte le organizzazioni che gestiscono un bene comune. La lega del fantacalcio può essere vista come una sorta di microcosmo di dinamiche sociali, morali, politiche che non manca di coalizioni, corruzioni e tradimenti. Mi ha fatto sorridere un intervistato che mi ha detto che il loro regolamento è gestito «dalla democrazia», dove ognuno dice la sua, per poi aggiungere: «Chi non è d’accordo, se ne può andare».
Insomma, nel Fantacalcio c’è tensione, e questo provoca un equilibrio nelle dinamiche di gruppo particolarmente delicato. Tutti i ragazzi mi hanno detto di aver litigato, o partecipato ad un litigio, a causa del fantacalcio. «Spesso mi ritrovavo il telefono intasato di messaggi che mi facevano uscire di testa». Oppure: «Litigo tantissimo, anzi lo faccio principalmente per litigare. Però mi piace che mi faccia sfogare e sentire con persone che non sentirei altrimenti».
Lo sfogo è tornato molto anche nelle risposte delle ragazze, quando ho chiesto loro di darmi dei termini con cui descriverebbero il fenomeno. Nonostante ammettano di essere spesso state testimoni di scene assurde, come «un litigio su Whatsapp a tema mantra mentre passeggiavamo sugli Champs Elisée verso il festival Rock en Seine», il Fantacalcio viene visto dall’occhio femminile come appunto una «valvola di sfogo», una «rivalità» che però richiede «dedizione». Una lo definisce «un segreto», qualcosa che il proprio ragazzo si vergogna di continuare a fare: lui le dice sempre che lo fa «per scherzo» (o almeno, questo è quello che dice a chi non lo fa), come se non gli piacesse condividere che, alla fine, sta continuando a fare un gioco che ha iniziato da adolescente. «Per due anni ho scoperto che il mio ragazzo ha vinto tramite i suoi compagni e non lui», mi dice lei, paragonando la passione del proprio ragazzo ad una sorta di fandom.
Forse il Fantacalcio è la versione maschile delle Swifties? In entrambi i gruppi c’è sicuramente quell’ossessione – che poi sfocia in dipendenza – per la quale non puoi che provare una qualche forma di piacere se continui a fare una cosa che ti porta via tempo, denaro, energie - il tutto per un obiettivo che non è chiaro nemmeno a chi vi partecipa (tranne per quelli che ci giocano con soldi veri e cifre significative). Una cosa che riconosci come infantile, come al di fuori della tua fascia di età, ma di cui comunque hai bisogno, personalmente, forse proprio perché infantile.
Il Fantacalcio è insomma una cosa preziosa per chi continua a praticarlo. Una cosa privata per molti, ma a quanto pare fondamentale. Uno dei miei intervistati definisce il proprio rapporto con il Fantacalcio con tre parole: amore, odio, tossicità. «È come quell’ex a cui continui a voler bene, sai che ci sei stato male e non ci torneresti assieme, ma continua comunque ad avere un che». È un linguaggio specifico, un modo di comunicare che hanno quei (molti) maschi che non riuscirebbero a farlo altrimenti, che hanno difficoltà a rimanere in contatto. In un certo senso, sarebbe bello che tutti avessimo qualcosa di così totalizzante e aggregante, qualcosa che non mi faccia mai provare dell’imbarazzo nel trovare un incipit alla discussione: «Quando ci si vede fuori durante l’anno, la prima domanda riguarda sempre il fanta». Una scusa per avere qualcuno o qualcosa che riempie i propri vuoti, un motivo per farsi scappare un «come stai?» dopo aver condiviso la volontà di voler schierare titolare Gianluca Gaetano.