È passato più di un anno da quando Nina Corradini, Anna Basta e Giulia Galtarossa hanno denunciato abusi e soprusi di natura fisica e psicologica, subiti anche nel contesto della Nazionale italiana. Da quel momento la ginnastica ritmica ha avuto un breve momento di risonanza nazionale che raramente aveva vissuto in passato, passando dalle pagine sportive a quelle di attualità. Da quel momento in molti hanno parlato, tranne le stesse "farfalle", come viene chiamata la Nazionale azzurra (composta, oltre che da Alessia Maurelli, anche da Martina Centofanti, Agnese Duranti, Daniela Mogurean, Laura Paris e Alessia Russo).
D'altra parte, quella vicenda ha innescato il me too della ginnastica ritmica italiana e parlare non sarebbe stato semplice per nessuno. L’accademia di Desio, casa della ritmica, è stata commissariata e sono state aperte le indagini dalla Procura Federale della Federginnastica (concluse con l'ammonizione all’allenatrice Emanuela Maccarani e l’assoluzione per la sua assistente, Olga Tishina) e dalla giustizia ordinaria (ancora in corso).
Ho parlato anche di tutto questo con Alessia Maurelli, la ginnasta nata a Rivoli nel 1996. Mi dice di non rivedersi in quel soprannome, "le farfalle", coniato nel 1969 da Giovanni Arpino in un articolo de La Stampa, in cui si descriveva la ritmica per l'appunto come "qualcosa che sta tra la farfalla e l’atleta". La leggerezza della farfalla sembra aver abbandonato la ginnastica ritmica italiana, come la stessa Maurelli, che dopo mesi di silenzio sul tema ha dato la sua disponibilità ad aprirsi.
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La vicenda ha lasciato una macchia su un intero sport che si inizia a fare in tenera età, e che comporta rigore e regole ferree. Nei confronti della ritmica si è iniziato a nutrire sospetto e diffidenza. E se succedesse a mia figlia? Inserendo su Google la frase “la ginnastica ritmica” la prima associazione proposta dal motore di ricerca è “rovina il fisico” e poi, nell’ordine, “blocca la crescita”, “fa male”, “fa dimagrire”. Togliendo l’articolo la situazione migliora e la parola che viene associata è Olimpiadi. È da lì che comincio per parlare con Maurelli, che prima di tutto questo aveva raggiunto il suo primo apice a Tokyo 2020 vincendo la medaglia di bronzo.
È arrivato l’agognato pass per Parigi 2024, avete faticato un po' più del previsto o sbaglio?
Sì, sicuramente. La prima opportunità era nel 2022 [ai Mondiali di Sofia, nda] e avevamo buonissime chance di farcela. In quella occasione siamo arrivate quarte e c’erano in palio tre pass. Il discorso è stato rimandato al 2023 [ai Mondiale di Valencia, nda] e devo dire che ce la siamo un po' sudata. Abbiamo sbagliato il primo attrezzo, un'altra volta, come era successo l'anno prima in Bulgaria. Siamo riuscite a rimontare con il secondo, terminando di nuove quarte. In Spagna i pass erano cinque, togliendo le tre qualificate, ed eravamo un po' più tranquille. Alla fine, bisogna capire che tutto fa parte dello sport: non si può mai dare nulla per scontato ed è necessario mettersi in gioco, che tu parta da favorito e non.
Quasi tutti davano la qualifica come una cosa fatta: ormai vi siete create una certa reputazione.
È vero e ce la siamo guadagnata. Dopo le Olimpiadi di Tokyo e a seguito della nostra medaglia, la squadra è rimasta praticamente invariata. Partivamo da un livello più alto rispetto ad altri team che si sono rinnovati. Esistono dinamiche di gruppo che, a prescindere dall'età o dal talento, si creano dopo anni. Poi c’è, come dicevo, la questione del mettersi sempre in gioco. A una “certa età” si devono mantenere gli stessi ritmi di ginnaste che sono “più incoscienti”, più sul pezzo e magari sono cresciute con un codice di punteggio che per noi è tutto da scoprire. È sempre bello cercare questo scambio. Loro, in gara, osservano come ci alleniamo, perché siamo un po' più anziane. Noi, invece, le guardiamo perché sappiamo che sono giovani e promettenti.
Il mondo ginnico ha portato a casa 17 pass su 17 disponibili: è l’immagine di un movimento in salute nonostante tutto quello che è successo?
Il movimento negli ultimi anni sta crescendo davvero tantissimo. Siamo qualificati in tutte le sezioni, l’unica federazione, almeno per il momento. Questo è indice di uno sport che si sta ingrandendo, fa ben sperare. In questo modo accrescono le possibilità di una medaglia olimpica e di visibilità per la disciplina. È sempre così, purtroppo e per fortuna: più hai risultati, più si parla e più hai un movimento che è in continuo sviluppo. Questo porterà del bene alla ginnastica. Poi ci tengo a dire una cosa: mi è stato fatto notare come si dica che non ci siano ancora squadre qualificate a Parigi 2024. Si pensa soprattutto al basket o alla pallavolo, però in realtà noi, in questo momento, siamo l'unica squadra con il pass, volevo precisarlo.
Per voi conta più la qualità dell'esercizio o la perfezione nell'esecuzione? Si dà sempre più valore alla componente artistica.
In questo triennio, si è data più possibilità di esprimersi a livello artistico e questo è stato un punto a nostro favore, visto che è un fattore che da sempre contraddistingue la squadra italiana [il punteggio viene assegnato con la somma delle difficoltà degli esercizi, esecuzione e valore artistico, nda]. Per quanto mi riguarda - ma vale per la maggior parte delle ginnaste - è un'arma in più a nostra disposizione. Consente, in un certo senso, di godersi la ginnastica e la gara. Ho altri paragoni di altri codici come quello di Tokyo. In quel caso, l’attenzione era principalmente sul punteggio delle difficoltà. Eseguivamo esercizi con lanci a raffica e ricordo che l'assenza del pubblico è stata producente per cercare di concentrarsi e non godersi, per assurdo, gli spalti pieni. Ora, con i nostri esercizi e con questo codice, una delle cose più stimolanti è cercare di coinvolgere e di farsi coinvolgere. Per me è uno fra i più belli degli ultimi anni.
Hai citato Tokyo 2020: in un’intervista concessa a Olympics dicevi che la medaglia è arrivata più con la testa che con il fisico. Quindi dove non arriva il talento arriva la determinazione?
Sì, questo su tutto, in generale, nello sport e nella vita. Ho visto tante ginnaste lavorare con la Nazionale: magari avevano doti stratosferiche a livello fisico, ma non avevano la testa. Senza quella componente non hai dei risultati. Alle Olimpiadi vinci se hai carattere. A Tokyo eravamo più forti nella prima rotazione, nella seconda abbiamo fatto un esercizio veramente bene e ci siamo prese la medaglia. Ci vuole un nulla, soprattutto in queste situazioni, quando sai che stai disputando la gara della vita. Si devono trattenere le emozioni e spingere al massimo, o almeno ci si prova. Sai che quello è il momento che hai sognato e che ti porterai dietro per sempre. Non è semplice, però penso che sia un lavoro che si costruisca con l’allenamento. È un po' come quando studi a scuola. A casa, prepari l'interrogazione e sei conscio che alle spalle hai giorni e notti passate a studiare o ad allenarti, come nel mio caso. Si ha così una sicurezza diversa. La testa è fondamentale e nel percorso ti dà forza.
Cos’è per te la disciplina e perché è così importante nella ritmica? Non trovi un po’ contraddittorio il fatto che ci sia da un lato questo aspetto austero e poi in pedana ci siano nastri, lustrini e questi sorrisi che quasi celano la fatica che immagino invece sia immane?
Nel nostro sport, come nella danza, si ricerca la perfezione. La disciplina, sia a livello individuale che per la squadra, è fondamentale. Passiamo intere giornate a sistemare solo un passaggio che dura due secondi, per un movimento in cui in cinque dobbiamo essere perfette. Se ognuno non è in qualche modo responsabile di se stesso, del proprio comportamento, del proprio fisico, di tutto quello che poi comporta essere atleta e scendere in pedana con altre quattro ginnaste, non va bene. La disciplina, sia da quando si inizia a fare questo sport che per una veterana come me, è un lasciapassare alla gara e a quello che devi affrontare. È una impostazione mentale che ti dà una qualcosa in più. Penso sia contraddittorio fino a un certo punto: la bellezza va di pari passo con tutti quei piccoli dettagli che utilizziamo per rendere ancora più bello, perfetto, il nostro esercizio. Ogni cosa è collegata in modo da far arrivare il messaggio che vogliamo lanciare, un'emozione che vogliamo trasmettere a chi ci guarda. Tutto questo si riaggancia al discorso del punteggio che porta a un piazzamento. Il nostro sport ha un equilibrio fra arte e sport. Non è solo puro agonismo e non è solo pura arte: è un insieme di cose che portano a vivere la ginnastica ritmica e a concepirla come una performance sportiva che lascia qualcosa.
Era diventato virale il tuo sfogo al rientro da Tokyo, quando avevi spiegato come la stessa accoglienza non vi era stata riservata al ritorno da Rio 2016 e dal quarto posto. Da allora la situazione, anche per via dello scandalo, si è ribaltata con una sovraesposizione mediatica.
Penso in generale che uno sfogo dica di più di una dichiarazione di circostanza. Tante volte è più interessante ascoltare o leggere interviste di sportivi celebri che non ce l'hanno fatta, piuttosto di chi vince la medaglia al collo e dice di essere felice. È bello che sia data ancora più visibilità, in generale, agli atleti. Per quanto riguarda il resto, tutto quello che è successo, tutte le problematiche, le denunce, ci hanno travolto in modo davvero molto pesante e quest'anno è stato difficile. Secondo me, l'abbiamo superato in modo eccellente: è stata un'esposizione forte che ha anche reso il nostro sport un po' più vulnerabile alle critiche e così si è generata una reazione a catena. In ogni caso, vale per la ritmica ma non solo, bisogna ricordare sempre che dietro agli atleti, agli allenatori ci sono delle persone, delle vite. Esseri umani che danno tutto e vivono di sport. Sarebbe opportuno avere sempre il giusto tatto in ogni situazione.
Voi atlete della Nazionale dopo lo scandalo vi siete isolate.
Ci siamo isolate, ma siamo rimaste unite. Questa è stata la nostra forza, perché in un periodo così pesante, ci si poteva aspettare di avere una sorta di fuga di atleti e talenti. Invece, devo dire, che nel nostro ambiente e in Nazionale non c'è stato il minimo dubbio. Non c'è stata la minima incertezza nel continuare, nel mettere in discussione determinate cose sia a livello personale che professionale. Siamo andate diritte cercando di estraniarci da tutto quello che stava succedendo fuori.
Vi siete sentite abbandonate?
In un primo periodo sì, perché le uniche parole che uscivano riguardo al nostro ambiente erano negative. Ci sentivamo assorbite da questo vortice e in qualche modo un po' emarginate. Era come se tutti ci puntassero il dito contro. Ci siamo chiuse nella nostra accademia [a Desio, nda], cercando di mantenere il focus, ovvero la qualifica olimpica. Penso che ottenere il pass sia ancora più tosto dell'Olimpiade in sé. Questo obiettivo lo abbiamo portato avanti in un periodo in cui ci sono state le denunce: tutto ciò ci ha messo alla prova ma ci ha anche fortificato. Siamo consapevoli dei mezzi che abbiamo usato e della forza di squadra che si è creata con le nostre allenatrici [Emanuela Maccarani e Olga Tishina, nda] che non ci hanno abbandonato neanche per un giorno. Non hanno mai fatto sentire la loro mancanza nonostante la presenza degli avvocati e gli interrogatori. Fra noi non è cambiato nulla.
C’è una cosa che ti ha dato più fastidio?
Sì, vedevamo i nostri video, le nostre foto, i nostri sorrisi accostati a parole di altre persone. Ci ha fatto molto male, perché magari un mio stato d'animo in uno scatto non rappresentava per niente il pensiero di altri. Tutto quello che è accaduto e ancora accade - perché la Procura Federale ha emesso la sentenza ma c’è ancora in atto un procedimento penale della Procura di Monza - ha causato, a me e alla mia squadra, un disagio. Non è del tutto chiusa la vicenda, però abbiamo imparato a conviverci e che quello che rimane non sono le parole, ma i fatti. Sono le emozioni che ti porti dietro e le persone che ti stanno vicine, ti danno fiducia e credono in te.
Ma possiamo ancora chiamarvi "farfalle"? A gennaio dicevi in un post che quel nome non vi rappresenta più.
A oggi non abbiamo ancora superato del tutto questo periodo e non ci riconosciamo nel paragone con "le farfalle". Ci sentiamo in qualche modo diverse, cambiate da prima. Non so se tutto questo porti a un'evoluzione o alla fine delle "farfalle". Ora, ci stiamo concentrando non più su chi siamo, ma su cosa vogliamo raggiungere.
La ginnastica non ne è uscita bene. Se tu dovessi lanciare un ipotetico spot per avvicinare qualcuno alla ritmica cosa diresti?
Non sono bravissima con le parole, mi sento più sicura in pedana con le mie compagne. Il mio sarebbe un invito a venire a vedere con i propri occhi ciò che veramente trasmette questa disciplina. Sono convinta che per l'arte in generale o lo sport servano delle emozioni che si provano dal vivo. Direi di venire a vedere la purezza e la verità che comunicano i nostri gesti atletici.
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Tu hai scritto anche due libri che si rivolgono a un pubblico giovane. Da piccola cosa ti affascinava di questo sport? Ti sono pesati i sacrifici?
I miei genitori mi hanno raccontato che fin da piccola appena mettevano la musica ballavo come una pazza. Quella è sempre stata un po' la mia indole, così come prendere le cose per casa e lanciarle [ride, nda]. La ginnastica ritmica univa questi due aspetti, più il lato agonistico e quello artistico. Ho capito che volevo che la mia vita prendesse una piega diversa e sono sempre stata propensa ad ogni tipo di sacrificio, perché nella mia testa c'era l’obiettivo di entrare nella scuola nazionale e fare le Olimpiadi. Partire a 17 anni, lasciare casa, lasciare i miei amici, lasciare la scuola a Ferrara [dove ha iniziato la carriera da sportiva, nda] non mi ha mai pesato, anzi. Quando ho ricevuto la prima chiamata della convocazione avevo già la valigia pronta, volevo arrivare ai Giochi Olimpici. Tuttora ho ancora quella voglia di quando ero piccola, di quando sono entrata in Nazionale. È la mia terza edizione delle Olimpiadi ma è come se fosse la prima.