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Il vero segreto del Bologna è la fase difensiva
14 mag 2024
La squadra di Thiago Motta non sarebbe arrivato dov'è senza una fase difensiva granitica.
(articolo)
9 min
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Nel giudicare Thiago Motta da allenatore è molto facile farsi condizionare da idee precostituite, siano esse positive o negative. In principio fu l’intervista in cui suggerì di leggere il 4-3-3 come 2-7-2 a presentarlo come uno di questi nuovi teorici pronti a corrompere il calcio che avevamo sempre conosciuto. Poi vi erano i suoi trascorsi da calciatore: per qualcuno una garanzia di successo, visto che si era trattato di un centrocampista di grande intelligenza, per qualcun altro l’ennesimo discepolo del Barcellona da guardare con diffidenza.

Oggi Thiago Motta è uno degli allenatori più importanti della Serie A. Aver riportato il Bologna in Champions League dopo sessant’anni non è niente di meno che un miracolo. Eppure, ancora adesso è difficile leggere su di lui delle opinioni che non provino, in un modo o nell’altro, ad affibbiargli un’etichetta. A un livello più superficiale, c’è chi lo mette dalla parte dei giochisti in questo assurdo dibattito fatto di neologismi che ci saremmo evitati volentieri; a uno più profondo, quello dei match analyst e degli appassionati di tattica, c’è chi cerca di analizzarne le trame dal punto di vista della dicotomia tra calcio relazionale e gioco di posizione.

I giudizi su Thiago Motta, insomma, riguardano quasi esclusivamente il modo in cui la sua squadra si comporta col pallone. Questa prospettiva, allora, tende a trascurare la fase difensiva, dimenticandosi che se il Bologna è arrivato al terzo posto lo deve anche, se non soprattutto, a una fase di non possesso eccellente.

Bastano i numeri più crudi a evidenziare lo straordinario rendimento difensivo dei rossoblù. Il Bologna in 36 giornate di campionato ha subito 27 gol, secondo miglior dato del torneo alle spalle dell’Inter con 19. Ciò significa che se gli emiliani chiudessero la stagione con questi numeri – mancano solo due giornate – avrebbero subito meno gol in Serie A di tutte le squadre campioni d’Italia dello scorso lustro: il Napoli di Spalletti con 28; il Milan di Pioli con 31; l’Inter di Conte con 35; la Juve di Sarri con 41 e quella di Allegri l’anno prima con 34. Il fatto che a subire meno gol di queste squadre sia stato il Bologna, e non una delle solite grandi, rende ancora più incredibile questo dato.

Le statistiche avanzate certificano la solidità del Bologna. Non c’è niente di casuale nelle cifre dei rossoblù, nessuna overperformance: i 24 gol subiti senza rigori sono arrivati da 27.51 npxG – anche qui, di meglio ha fatto solo l’Inter con 24.88 npxG.

Come ha fatto il Bologna ad avere un rendimento del genere? Le cause sono molteplici. C’è la fase difensiva pura, con la volontà di recuperare in maniera attiva il pallone. Poi c’è l’influenza della fase di possesso, e il modo in cui ha condizionato il gegenpressing. Sullo sfondo, le caratteristiche di una rosa costruita anteponendo la solidità all’estro.

L’atteggiamento in fase difensiva

L’idea del Bologna è quella di recuperare il pallone più in alto possibile. Per farlo, inizialmente la squadra di Thiago Motta si dispone con un 4-1-4-1. In questo modo, chiude gli spazi per farsi imbucare al centro. Nel momento in cui i difensori avversari iniziano a muovere palla, allora i giocatori rossoblù scalano in avanti utilizzando l’uomo come riferimento.

Di Motta si pensava che potesse diventare un tecnico di alto livello per via dei grandi allenatori incontrati in carriera, tra cui Mourinho e Ancelotti. L’idea dietro il pressing alto del suo Bologna, però, è molto vicina ai principi di Gasperini, l’allenatore che gli aveva ridato una carriera ai tempi del Genoa. Le linee del 4-1-4-1, infatti, si sfaldano non appena partono le scalate sull’uomo. Di solito i riferimenti da assegnare dipendono dalla formazione degli avversari. Il Bologna cerca di pareggiare gli uomini in costruzione.

Contro difese a tre, i tre centrali vengono pressati dalla punta e dalle due ali (di solito Zirkzee al centro, Orsolini a destra e uno tra Saelemekers e Ndoye a sinistra).

Contro difese a quattro, le ali si orientano sui terzini, mentre una delle mezzali si alza sulla stessa linea di Zirkzee per andare a pressare in parità numerica i centrali.

Alle loro spalle i compagni scalano sui riferimenti di conseguenza. I difensori centrali non devono aver paura di rimanere in parità numerica con gli attaccanti. Sono i centrali stessi, anzi, a dover scalare in avanti per tamponare le ricezioni tra le linee. Proprio per la necessità di seguire l’uomo, capita spesso di vedere uno dei centrali alzarsi alla stessa altezza del mediano Freuler, oppure lo svizzero abbassarsi sulla linea difensiva perché magari sta seguendo il trequartista avversario.

Situazione particolare nella partita contro l'Atalanta. Beukema segue in avanti Lookman diventando difatti un mediano. Freuler, invece, marca De Ketelaere e si abbassa sulla linea difensiva.

Il riferimento sull’uomo, comunque, non è rigido lungo tutto il campo e i giocatori del Bologna devono saper scambiare le marcature coi compagni: conta il riferimento nella propria zona, bisogna sapere fino a dove seguire l’avversario per poi lasciarlo al compagno. Anche perché in questo modo si evita di farsi portare in giro per il campo o di allungarsi troppo.

Il fatto di scalare in avanti sull’uomo è un modo per cercare il recupero attivo del pallone. Secondo StatsBomb, il Bologna è terzo per PPDA in campionato (10,14) ed è anche la squadra che conquista il maggior numero di palloni ogni 90’ col pressing: 54,14, davanti ai 53,69 dell’Atalanta e ai 53,42 del Milan. La ricerca attiva del recupero palla è un principio valido quando si pressa in alto, ma anche quando bisogna tenere il baricentro un po’ più basso. In casa dell’Atalanta, ad esempio, al Bologna è capitato spesso di doversi sistemare in un blocco medio. Nonostante ciò i giocatori di Motta, schierati in un 4-5-1 molto stretto, hanno continuato ad aggredire l’uomo, con particolare attenzione alle scalate su Lookman e De Ketelaere tra le linee.

Le ricadute della fase offensiva

Come sappiamo, comunque, la fase difensiva non dipende solo da come ci si comporta senza palla. Nel calcio contemporaneo, con i suoi tempi compressi, l’interdipendenza tra possesso e non possesso è sempre più stretta. Il modo in cui si perde palla e la zona in cui la si perde, sono importanti tanto quanto una buona organizzazione in fase difensiva. Il Bologna, nel suo piccolo, ne è una dimostrazione.

La sua fase di possesso, in una certa misura, è volta a prevenire dei pericoli in transizione difensiva. Certo, non si tratta di una squadra conservativa col pallone. Anzi, il Bologna ama prendersi dei rischi, sia in costruzione insistendo col possesso basso, sia nello sviluppo con gli scambi di posizione o la salita dei giocatori che partono da dietro per occupare in corsa gli spazi. Questi rischi, però, sono ben ponderati e Thiago Motta e i suoi giocatori hanno trovato il modo di compensarli.

Ad esempio, il tratto distintivo del Bologna sono le catene laterali. I rossoblù sviluppano la maggior parte delle loro azioni sulle fasce. Nel 4-3-3 di partenza, alle catene non partecipano solo terzino, mezzala e ala del lato palla. Zirkzee è una punta che ama allargarsi per avvicinarsi ai compagni e ricevere, soprattutto sulla fascia sinistra. Anche il mediano o addirittura la mezzala del lato opposto possono aggiungersi alla catena. Agglomerare tanti uomini sul lato palla, se si perde il possesso, consente di avere maggior densità e attivare più facilmente il gegenpressing. Perdere palla in fascia, poi, è meno pericoloso rispetto a perderla al centro, perché la ripartenza per gli avversari è meno diretta. Inoltre, la presenza della linea laterale limita il campo e rende più facile riaggredire. Non è un caso che il Bologna sia terzo in Serie A per palloni recuperati da gegenpressing: 3,83 ogni 90’ alle spalle di Frosinone (4,14) e Hellas Verona (3,83).

Di una squadra che sviluppa molto sulle fasce, si potrebbe pensare che possa ricercare con insistenza il cross. Al contrario, il Bologna è una squadra che cerca di evitarli: è quella che ne effettua di meno in Serie A, solo 6,25 ogni 90’. I rossoblù mettono pochi palloni in mezzo non solo perché si tratta di una soluzione statisticamente poco efficace e perché non hanno veri uomini d’area di rigore, ma anche perché un cross effettuato male può causare dei problemi in transizione difensiva. Il Bologna porta molti giocatori nell’ultimo terzo di campo: se per caso un cross venisse intercettato con tanti uomini sopra la linea della palla, allora la squadra di Motta non potrebbe riaggredire e si troverebbe in difficoltà sulla ripartenza avversaria.

Le scelte in fase di possesso, dunque, sono fondamentali per garantirsi la possibilità di riaggredire. A fare la differenza, poi, vi sono l’organizzazione in gegenpressing e le caratteristiche dei giocatori che lo attuano. Una volta perso il possesso, i giocatori più vicini alla palla aggrediscono gli avversari, anche scattando all’indietro quando è necessario. Contestualmente, i giocatori che erano rimasti sotto la linea della palla scalano in avanti, comprimendo lo spazio a disposizione degli avversari. La sinergia tra coloro che erano rimasti dietro e i giocatori che per primi avviano la riaggressione in zona palla favorisce la riconquista. I giocatori del Bologna, poi, hanno un grande impatto fisico. Ali come Saelemaekers, Ndorye e Orsolini possiedono grande disponibilità di corsa. Lo stesso vale per le mezzali, tra le più forti fisicamente nel nostro campionato, soprattutto Ferguson prima di infortunarsi. Tutti questi giocatori riescono a saltare addosso all’avversario in un istante e a fermarlo appena prova a ripartire. Se poi la riconquista immediata non va a buon fine e c’è da recuperare all’indietro per più metri, hanno l’atletismo per rientrare velocemente.

Anche il Bologna di Thiago Motta insomma conferma il vecchio adagio per cui in Serie A è difficile competere senza essere solidi dietro. I rossoblù, però, lo hanno fatto in maniera particolare: con un atteggiamento coraggioso in fase di non possesso e senza mai rinunciare a essere ambiziosi con la palla.

Thiago Motta ha fatto bene i suoi calcoli, scegliendo di fidarsi della capacità dei suoi centrali - Calafiori, Beukema e Lucumi - di vincere i duelli individuali contro gli attaccanti qualora gli avversari avessero iniziato a lanciare lungo. Inoltre, l’atteggiamento adottato dal suo Bologna ha consentito di nascondere alcuni limiti della rosa. Questo modo di difendere, con l’orientamento sull’uomo e la volontà di scalare in avanti, è utile per dominare il gioco ma anche per evitare di passare troppo tempo nella propria area, dove i difensori rossoblù non sono il massimo: quest’anno al Bologna è capitato di concedere rigori ingenui o di leggere male i cross, in particolare col terzino sinistro Kristiansen.

La coerenza tra le scelte della società in sede di mercato e i principi dell’allenatore alla fine ha pagato. Sartori è abile a pescare nel mercato dell’Europa centro-settentrionale, trovando profili dal grande impatto atletico; Motta ha sfruttato queste caratteristiche per costruire una squadra granitica.

Certo, anteporre il fisico alla tecnica gli ha tolto qualcosa in termini di sviluppo del gioco, e non è un caso che alcuni dei gol subiti siano arrivati da errori banali in prima costruzione. Tuttavia, per una squadra del lignaggio del Bologna è più facile arrivare a quel tipo di giocatore. I peccati di gola, le eccezioni che Sartori può concedersi ogni tanto, oggi Zirkzee, ieri Iličić e Gómez, servono proprio a migliorare con il talento le idee dell’allenatore, permettendogli di portare la squadra su un altro livello.

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