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14 apr 2015
Sono passati più di vent'anni dal Parma di Nevio Scala. Oggi più che mai vale la pena di ricordarlo.
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No dai, le panchine degli spogliatoi vendute su eBay e poi riacquistate, è stato il colmo, non se lo meritava il Parma Football Club di sbandare così e cadere nel fosso. Non il Parma nato e cresciuto negli anni '90: un decennio di salti bruschi, di versioni Beta tutte da testare, di black-out e situazioni fuori controllo, ma non per il calcio italiano sempre guardingo e reazionario.

Massimo rispetto allora per quel Parma temibile e vincente, salito in A dopo uno spareggio per il quarto posto e che per dieci anni si ritrova a fare l’outsider di una decade aperta dallo scudetto Samp e chiusa dalla Lazio, due eccezioni capitanate da Roberto Mancini, mentre Milan e Juventus si dividono 8 scudetti quasi scambiandoseli.

Il bottino è di quelli che farebbero perdere la testa oggi a Della Valle, Lotito e De Laurentiis—che ondeggiano tra vorrei ma non posso e qualche capriccetto da golden age. Ma pure qualche grande club a dieta, con gli sponsor che aspettano un qualsiasi trofeo a cui sovrapporre massime motivazionali, darebbe l’anima per la fetta di una torta di un decennio così: 2 Coppe Italia (quando per il torneo si sbavava anche in provincia), una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe, 2 Coppe Uefa, una Supercoppa europea. A Parma provarono a celebrare tutto questo allargando l’epopea—la maglia crociata per i 100 anni della società—ma era come appiccicare a una stagione sfolgorante una memoria a ritroso sparsa dentro settimane Incom e partitacce in serie C, compresa una finale di Coppa Italia dilettanti nel 1969 al Flaminio di Roma persa contro l’Almas, arbitro Concetto Lo Bello. Insomma un falso mito. Le bandierine del Parma stanno piantate tutte nei '90. Pochi mesi per camminare gattoni, poi subito in piedi.

Il 5 marzo tre panchine dello spogliatoio del Tardini sono state messe all’asta (base duemila euro), insieme a quello che su eBay viene definito “modulo spogliatoio in alluminio con cassetti portaoggetti”.

Prima della A è un apprendistato che prevede il biglietto da visita di Sacchi, la parentesi col talebano Zeman, la morte del patron Ernesto Ceresini poco prima della promozione. Ma poi i gialloblù prendono una strada con meno furore ideologico e più muscoli. Nel calcio di provincia la trimurti ascetica di Alberto Arbasino esiste per due terzi. La favola iniziale appartiene a tutti, poi però dai fastidio e diventi antipatico. Nessun Chievo ha raggiunto il trono di venerato maestro. Il Parma invece è salito in cattedra senza mai vincere uno scudetto. Parma è stata l'inaspettata squadra da temere, il Tardini un campo da espugnare. Quello che Berselli non conosceva era la diffidenza prima della favola, lo scetticismo per la provinciale in trasferta.

Diffidenza

La prima volta che ho visto il Parma all’Olimpico era il 16 settembre del 1990. Zero a zero, pochi brividi e qualche fischio finale. Ecco il Parma: Taffarel, un brasiliano in porta, poi De Marco, Gambaro, Catanese. In difesa le facce pulitine di Minotti e Apolloni, poi due centrocampisti ubiqui, con la sagoma da ragionieri: Zoratto e Cuoghi. Poi un belga con la faccia da Incantesimo, in attacco un ventunenne Melli buttato nella mischia, e uno svedese biondissimo, Brolin, che sembra un pony, entrambi davanti a dimenarsi come zanzare. Però il Parma, reduce da tre sconfitte, tiene botta e resiste. E non torna negli spogliatoi perché fa defaticamento.

Dalla curva laziale, dove tutto è diventato all'inglese e il celeste è stato scavalcato a destra dal blu, il giallo canarino delle bandiere del Parma sembra una frivolezza: sì certo, il Garibaldi imbacuccato e l’Aida di Verdi sparata nei servizi tv, gli anziani che giocano a briscola mentre i calciatori si allenano, va bene tutto, ma sembra folklore lezioso. Quindi giù fischi per la truppa di Scala che corre per scaricarsi. Fischi che però negli anni si tramutano in applausi e rispetto: perché il Parma ci sta provando, come Jules in Pulp Fiction, perchè Davide sconfigge Golia con una mascella d’asino e il 3-5 2 del Parma di Nevio Scala ha la mascella durissima. Perché di fatica al Tardini ne farà di più la Lazio in dieci anni di trasferte (due pareggi, sei sconfitte e due vittorie ottenute solo all’ultimo, quando c’era aria da scudetto).

La vecchia testuggine di Gianni Brera fa in tempo a inquadrare il Parma: «Nevio Scala naviga ora fra i galeoni maggiori della flotta nazionale. Era il suo Parma, una maona pilotando la quale Righetto Sacchi è passato in plancia al Milan. Nevio è andato oltre: alla maona ha messo la deriva: non basta un vento normale a rovesciarla».

Favola

La favola del Parma, quindi, ma c’è il bosco del campionato da attraversare. Gli anni '90 sono una Serie A che non c’è più: Parma-Milan 2-0 (1990/91) con i tre olandesi allenati da Sacchi e Melli che prima approfitta di un errore di Ancelotti, poi buggera Baresi nel regno del braccio alzato. Fantascienza. Ancora, due anni dopo: Milan Parma 0-1 con Papin e Savicevic a furoreggiare, ma Asprilla segna un capolavoro su punizione, freddando Sebastiano Rossi, un gesto apollineo che rompe l’incanto dei cinquantotto risultati utili consecutivi dei rossoneri.

«Andiamo a fare defaticante, dai!» dice Nevio Scala nell’attacco del video.

Non era un primato, era un piano quinquennale. E poi c’è la Sampdoria di Vialli e Mancini che rimane in blocco per puntare alla Coppa Campioni, c’è l’Inter dei record che vuole bissare, c’è il Diavolo granitico di Capello, il Napoli dell’ultimo Maradona e poi di Lippi, la Lazio che prova a sognare “io ci credo”, la Fiorentina di Cecchi Gori.

Inizio nobile, quinto posto!, in totale su 46 gare stagionali il Parma ne vince 16, ne pareggia 22 e ne perde solo 8. Sono arrivati due italiani, Di Chiara, reinventato da ala a difensore da Lazaroni, e Benarrivo, che diventerà il Giggs dei gialloblù (13 stagioni). Nessun record ma un gradino sopra la Juventus in maglia nera come il carbon, naufragata per mano di Maifredi. Ma la sorpresa è l'anno successivo, con la doppia finale di Coppa Italia.

Nel ritorno contro la Juventus segnano Osio e Melli, gli stessi dello spareggio per la A. Il Trap rosica: «Quando non hai l'obbligo di vincere si può fare anche dello spettacolo...». Scala agita le manone dalla fossa della panchina ma vede poco perché coperto dalle telecamere: «Il gol di Melli l’ho solo intuito». In tribuna deluso c’è pure Mike Bongiorno, che ha affiancato Piccinini e per una volta niente Telemike.

883 e Alessandro Melli.

L’anno dopo il Parma arriva addirittura terzo con 41 punti anche grazie al fosforo di Gabriele Pin e al jolly Fausto Pizzi. Non c’è favola senza pazzo del villaggio e allora arriva il colombiano Faustino Asprilla, il trascinatore del Parma in Coppa delle Coppe: degli 8 gol segnati nella competizione quattro sono suoi. Cadono Ujpest, Boavista, Sparta Praga e Atlético Madrid con doppietta di sinistro e di testa proprio del dinoccolato Asprilla, quello che a Scala che gli chiedeva di correre di più negli allenamenti rispose «mica sono Forrest Gump», buttando gli scarpini dentro un secchio.

Piazze di pancia come Napoli, Firenze, Roma hanno faticato millenni prima di approdare a una finale europea. Il Parma al terzo anno già ha fatto bingo. E non c’entrano nulla Verdi o il Parmigiano. La finale a Wembley contro i belgi dell’Anversa è un’altra storia, tutta da costruire. Né la BBC né le reti commerciali trasmettono la finale.

In campo scendono Ballotta, Benarrivo, Di Chiara, Minotti, Apolloni, Grün, Melli, Zoratto, Osio, Cuoghi, Brolin, Pin e Pizzi. Tredici giocatori impiegati, solo due stranieri. È sempre lo stesso Parma e sono già tre stagioni in Serie A. Intervistando Gianluca Vialli per il programma Anni90 l’ho sentito confessare che «le grandi vittorie italiane sono un po' figlie del decennio precedente, quando si era trovato un equilibrio perfetto tra squadre che erano composte per 8/11 da italiani e tre stranieri, ma soltanto quei tre che potessero fare la differenza».

Grün lotta contro la scaramanzia di due finali perse con l’Anderlecht, Scala non ricorda nemmeno con che numero sulla maglia giocò la sua finale di Coppa Coppe da milanista nel 1968. Si alloggia apposta all’Hyde Park Hotel, dove è stata pure la Sampdoria beffata dalla punizione di Koeman. Una girata del libero Minotti su calcio d’angolo ed è vantaggio. L’errore sul gol del temporaneo pareggio è subito superato: Melli va in anticipo sul portiere su cross di Osio, barba e capelloni per total look anti-berlusconiano, e sono due. Nel secondo tempo lancione di Grün per Cuoghi sul filo del fuorigioco e sono tre. Il Parma trionfa a Wembley.

Quando Antonio Benarrivo era tra i primi tre terzini al mondo.

Il lupo

Nella favola c’è sempre un lupo e quello del Parma si chiama Arsenal. A Londra l’anno dopo, prima finale dopo l'Heysel che mette di fronte squadre italiane e inglesi, il Parma fallisce il bis in Coppa delle Coppe. Perde uno a zero su giocata al volo, prende un palo con Brolin, un rigore su Di Chiara non concesso, pagelle basse per tutti però, spenti o imbrigliati da una squadra più forte dell’Anversa. “Il complesso di Peter Pan non c'entra”, "La formula del calcio allegro non basta più”: si apre il dibattito sui giornali, perché se vuoi crescere un bigliettaio sul treno che ti chieda se hai timbrato lo trovi sempre.

Le maglie senza sponsor, la cornice di Highbury, i colori un po’ pastellati della fotografia: sembra un campo di Subbuteo.

Al quarto anno in Serie A l’ossatura da neopromossa regge, Minotti resta anche se è ambito da molti, va via solo Osio. In panchina Sandro Melli fa il ragazzo del muretto, scalpita, sbuffa, vuole i Mondiali Usa ma soffre il maniacale preparatore Carminati. Scala gli preferisce quel videogame impazzito di Asprilla, il colombiano di gomma. Del resto nella favola Parma a nessuno è stato mai promesso niente, perché non c’era nulla da promettere. Al fido Grün saltano i legamenti, Matrecano non basta e Calisto Tanzi mette sette miliardi per Néstor Sensini, 27 anni e già veterano in viso. Sensini è un jolly: difensore, play, se c’è da segnare non si tira indietro. Viene da uno spareggio salvezza con l’Udinese, l’Argentina non lo considera in vista dei Mondiali. Il calcio italiano snobba il fantasista Zola, che arriva dal Napoli per 13 miliardi: in un triennio segnerà 49 gol, affermandosi come migliore seconda punta del torneo. Dal Napoli arriva anche Massimo Crippa, un mastino che corre in lungo e largo, costo nove miliardi. Sensini e Crippa già fanno bottino, anche se la Supercoppa europea è un trofeo di piccole dimensioni a tenerla in mano: a San Siro Sensini in mezza rovesciata pareggia la rete di Papin al Tardini, ai tempi supplementari una stecca di Crippa all’altezza del calcio di rigore fa vincere il Parma. Ma quella coppa piccola è anche una metafora di tutta la stagione.

Il preparatore Carminati perde colpi, i muscoli nel finale di stagione sono molli e non è che il Parma si sia spremuto, perché sono mesi che ha mollato la cima. Stessi punti dell’anno prima, 41, ma quinto posto. 17 vittorie, calano i pareggi a 7 ma aumentano le sconfitte a 10. Per strada si è perso qualcos’altro. Uno dei gregari simbolo, Zoratto, quei giocatori che non saranno mai campioni ma come Bonatti portano spesso le bombole d’ossigeno a chi sta davanti, dopo la sconfitta contro l’Arsenal: «Il vecchio Parma non avrebbe perso così, sarebbe riuscito a contrastarlo sul piano della tattica e del fisico. Una volta eravamo poveri anche noi, eravamo una squadra che conosceva i propri limiti e che si batteva per superarli con umiltà. Eravamo più scarsi ma più uniti». Insomma i 35 miliardi spesi sul calciomercato—altro che Verdi, il formaggio e la pallavolo—hanno fruttato solo la sera di coppa a San Siro.

Sul serio

Come ci si rialza dai morsi del lupo? C’è chi si guarda intorno, trova un nemico e lo sfida, a volte una volgare ripicca è una scusa per rialzarsi. E quindi arriva l’anno—il quinto—in cui il presidente Pedraneschi rompe gli indugi: «Perché nascondersi? I giocatori devono sapere, noi puntiamo allo scudetto». Bye bye favola. Ci sono però 20 gol subiti che separano la difesa del Parma da quella campione del Milan. Ecco allora due nuovi difensori: Roberto Mussi dal Torino e Fernando Couto dal Porto. Serve cattiveria in difesa ma «cattiveria non mi piace, preferisco peso e qualità» precisa Scala. Couto fa parte della generazione portoghese dei Mondiali juniores (Paulo Sosa, Rui Costa, gente così). Frangia nera sugli occhi e faccia da bandito. Via Melli (ma ritornerà, come Asprilla) arriva Branca. Arriva Dino Baggio, altro scuola granata, altro azzurro reduce dal Mondiale. Il Parma alla Nazionale di pedine ne regala molte: Bucci, Benarrivo, Mussi, Apolloni, Minotti, Zola, Cannavaro, Chiesa, Buffon, Fiore. Una pattuglia che meritava maggior fortuna, anche nei singoli.

Stavolta a dominare il campionato non c’è il Milan ma la Juventus. È il primo torneo a tre punti, il primo di Lippi, il primo della Signora non più bonipertiana, con Del Piero che esplode mentre Baggio è ko e Vialli è semplicemente in stato di grazia. La differenza tra Juve e Parma sta in cinque pareggi che in bianconero valgono cinque vittorie, compresi gli scontri diretti. Il Parma si trova stretta tra Lazio di Signori, la Fiorentina di Batistuta capocannoniere, la Roma di Fonseca e Balbo. C’è così tanta concorrenza che fa capolino anche un’altra provinciale, più grezza e cazzona, il Padova di Sandreani ma è un petardo da bambini al confronto della squadra di Scala. Il Parma supera Vitesse, AIK, Athletic Bilbao, Odense, Bayer Leverkusen e vola nella doppia finale di Coppa Uefa, è la terza di fila per i gialloblù e terzo derby italiano in Uefa dopo Inter-Roma e Juventus-Fiorentina. Sono quelle partite toste, dure, dove, come per le copertine di Munari, basta tirare un rigo e la sorte è segnata.

Al Tardini il 3 maggio del 1995 vanno in campo Bucci, Benarrivo, Di Chiara, Minotti, Apolloni, Couto, Pin, Dino Baggio, Sensini, Zola, Asprilla. È la Signora dei Sousa, Deschamps, Vialli e Baggio. Dopo cinque minuti segna subito Dino Baggio, ex avvelenato, pallonetto smorzato sull’uscita di Rampulla, e per il resto degli 85 minuti la Juventus non sfonda. Nel ritorno a San Siro Lippi mette dentro Peruzzi, Ferrara, Porrini e Torricelli. Scala toglie Pin per Fiore, Apolloni per Susic, Sensini per Crippa.

Gianluca Vialli pareggia i conti con una prodezza che rimane negli archivi insieme alla rovesciata di Cremona. Ma poi ci pensa sempre Dino Baggio ad acciuffare il pareggio che vale la coppa. La Juventus perde la terza finale di fila. Nevio Scala, faccia bonaria e mascellone, è nella storia del calcio italiano. Se n'è accorto il Real Madrid, a cui ha già detto no una volta, e non sarà l'unica.

Incredibile la capacità di coordinazione di Vialli.

Festa

Il flyer della festa del Parma è la scritta Parmalat lunga 80 metri che appare sul campo da gioco la sera del ritorno della finale di Coppa Italia persa per due a zero contro la Juventus, un mese dopo la Uefa. Ma non importa, i flyer promettono sempre quello che le serate non mantengono. L'idea è del dg Pastorello, di ritorno dallo stadio del River Plate. È quel marketing che lì per lì pareva troppo, fuori tempo, che sboroni, e invece ti accorgi ora che c’eri dentro. Alla festa del Parma sono abbonati 19452 tifosi. Con la riapertura del botteghino 1995/96 il Parma incassa 12 miliardi e 626 milioni. Con tre miliardi in più ci paga il ventinovenne Hristo Stoichkov dal Barcellona. Un Pallone d’oro per Scala, non più scommesse da vincere, non più fantastici gregari.

C’è il Parma bianco latte di Minotti e Apolloni, c’è il volto pulito di Zola, gli ossi duri Couto e Crippa, il matto Tino Asprilla e ora c’è pure il rissoso spaccone bulgaro cannoniere dei Mondiali e stella del club allenato da Cruijff. Ma è un abbaglio clamoroso: in tutta la stagione segna solo 7 reti e a Parma dura un anno. Era stato oggetto del desiderio di più squadre, dagli archivi dei giornali si trova scritto che «Cecchi Gori provò a sedurlo facendogli scrivere una lettera da Adriano Celentano». Ed è incredibile: dopo Parma, a parte un anonimo rientro in Spagna, Stoichkov sparisce dal calcio che conta. Puff. Arriva pure il giovane Pippo Inzaghi, per sei miliardi. Insieme i due confezionano una partita da urlo: la celebre rimonta da 0-3 a 4-0 contro gli svedesi dell’Halmstad in Coppa delle Coppe a novembre.

Inzaghi è stato già tagliato verso Napoli, Stoichkov è atteso al risveglio. Venti secondi e il bulgaro lancia il Pippo di sempre, qualche passo, resiste ai difensori e fiocinata. Il raddoppio è al volo del solito Dino Baggio freddo e potente. Poi Stoichkov nel secondo tempo direttamente su punizione. La fiondata di Benarrivo dentro l’area vale l’impresa nella stagione peggiore. C’è in purezza tutto il Parma che poteva essere.

Tridente di culto: Stoichkov + Zola + Inzaghi.

È infatti un anno di vorrei ma non posso. In estate il Parma ha cercato un altro attaccante, Beppe Signori, fenomeno della Lazio. La vendita al Parma per 25 miliardi scatena la rabbia dei tifosi, cortei in centro, vetrine rotte e fumogeni. Zoff presidente costretto al dietrofront, Cragnotti inviperito minaccia di lasciare la Lazio. Da Zurigo arriva il primo monito del presidente Scalfaro, preoccupato per un calcio malato di miliardi. I piatti della festa finiscono al Quirinale. Calisto Tanzi si era già difeso così: «In Europa tutti stanno spendendo più di quanto facciamo noi: Germania e Inghilterra aprono aste insostenibili. Siamo i primi ad essere d'accordo sulla necessità di un ridimensionamento. Una città come Parma, cioè con un bacino d'utenza limitato rispetto alle grandi metropoli, non può permettersi un tenore di vita così alto, a cominciare dagli ingaggi dei calciatori». Ma il Parma dei Tanzi resterà lontano da qualsiasi ambizione autarchica.

Però a costo zero il 19 novembre 1995 scopre il portiere 17enne Gianluigi Buffon. Quel giorno davanti a lui gioca anche il neoacquisto Fabio Cannavaro, 22 anni, costato però 13 miliardi. Fa parte dell’anno di festa anche l’addio ad Asprilla, che firma per il Newcastle, pagato 16 miliardi di lire. C’è roba dentro la ciambella ma la stagione è un buco, per la prima volta neanche un trofeo. Chissà cosa avrebbe detto Zoratto. Il fatto è che Parma sembra non poter tornare a prima della favola. Ormai è in ballo e deve ballare. Anzi, tutto il mondo è paese: «E adesso, piazza pulita» recita uno striscione, si parla di rivoluzione. Il pezzo più importante si stacca. «Fischiatemi anche oggi, per favore» chiede un amareggiato Nevio Scala dopo 7 anni e 321 partite in gialloblù.

L’errore è stato rimanere: «La vittoria della Coppa Uefa ha coperto alcuni dissapori. Minotti ha detto che bisognava avere il coraggio di cambiare: ha ragione. Facemmo un campionato irripetibile e fu dipinto come fallimentare. Passarci sopra è stata la mia ingenuità: avrei dovuto andarmene ma non sono mai stato un calcolatore». Va di moda in quegli anni evocare Fabio Capello, duro ma anche manager. A rileggere i giornali sul fantamercato tutti quelli in ballo finiranno per rimanere.

Rivoluzione

Estate 1996, rotolano teste: via Stoichkov, Couto, Di Chiara. Arriva il difensore francese Lilian Thuram che fa subito 34 presenze, già in osmosi con Cannavaro e Buffon. Arriva gente pagata cara, alla faccia dei moniti di Scalfaro, il colpo di tutto il mercato è italiano: 26 anni, Enrico Chiesa arriva dalla Sampdoria per 26 miliardi, che non sono i 35 di Shearer e i 30 di Ronaldo, ma insomma.

Scala è convinto che al nuovo allenatore, Carlo Ancelotti, un ex giocatore 37enne, esordiente in Serie A, non potranno chiedere lo scudetto. Invece la richiesta è quella. Il sacchiano Ancelotti ci proverà sapendo di avere davanti Juventus, Milan e Fiorentina. Il maestro Arrigo si è scottato agli Europei. «Non credo che la difesa in linea sia passata di moda, come non lo era il libero. Faccio questo schema perché è questo il calcio che conosco meglio ma la strada da percorrere è dedicare più tempo all'attacco. Gli Europei sono stati brutti perché ha prevalso l' organizzazione delle difese, ormai sono ben assestate, goleade non se ne vedono più».

La Serie A è piena di italiani che segnano in provincia: Inzaghi a Bergamo, Montella a Genova, Luiso a Piacenza, Negri a Perugia; è l’anno d’oro del cobra Tovalieri; Mancini fa sempre i suoi 15 gol, Balbo e Signori si fronteggiano a Roma. Il primo juventino è Del Piero con 4 reti. In attacco il Parma prende anche Hernan Crespo 21enne, costo 8 miliardi.

Per aspettare il "Valdanito"—ghost player per quattro mesi da ottobre a marzo—si perde però per strada Zola in autunno, che passa al Chelsea di Vialli per 4,5 milioni di sterline. Il 4-4-2 a zona di Ancelotti perde altri pezzi: a ottobre è già fuori da Uefa e Coppa Italia. Contro l’Inter di Hodgson Carletto finisce espulso e sconfitto. A ottobre è depresso, a dicembre è zona retrocessione, il Parma perde 4 partite nelle prime 11. Melli, figliol prodigo, prova a ridimensionare tutto per ritrovare la favola: «Siamo una squadra da Uefa, non oltre». Come se non bastasse, Bucci si arrabbia per l’ascesa di Buffon. Insomma, il dopo Scala è un disastro.

La stagione cambia completamente prima di Natale, vittoria a San Siro contro il Milan, gol del croato Stanic, mezzo laterale, mezza punta, sempre utile. Il "Valdanito" continua a essere fischiato finché non si sblocca e allora sono dodici centri in 27 partite. La doppietta casalinga col Cagliari lo sdogana. Alla rimonta partecipano anche due nomi che sono rimasti poco in memoria, il francese Bravo e Strada, che viene da Reggio con Ancelotti.

Altra svolta pare il colpaccio all’Olimpico giallorosso in piena contestazione “Franco Sensi bla bla bla”, con Ezio Sella in panca e il barone Nils Liedholm in tribuna. Finisce uno a zero ma esultano in due: Crespo, che si ritrova solo davanti a Cervone e non perdona, e Sensini, che quando sul tabellone compare il vantaggio dell'Udinese sulla Juve, si sbraccia: lo scudetto è a tre punti.

Ma proprio nella partita successiva l’Udinese le suona al Parma. Il rimpianto sarà enorme. Crespo continua a segnare, contro il Milan gli viene annullato un gol sul punteggio di 1-1, poi tutte vittorie fino allo scontro diretto con la Juventus. C’è un rigore dubbio che Collina fischia alla Juventus, Ancelotti protesta e viene espulso.

Per Gianni Mura il pareggio sta bene a entrambi ma è irritante e spudorato: «Una pessima recita di un copione non scritto in anticipo ma concordato al volo. Sarà anche colpa della Champions League: se il secondo posto non garantisse una barca di miliardi, il Parma forse avrebbe fatto la sua partita, e forse la Juve avrebbe replicato. Ma sono ipotesi. Niente sentimenti né risentimenti, niente orgoglio né rispetto. Solo calcolo. Juve e Parma hanno mostrato di capire solo i loro interessi, e sugli altri hanno steso una sverniciata di cinismo».

Qualcuno ricordava un autogol di Zidane in una partita decisiva?

Forse chissà, se non avesse perso punti all’inizio il Parma avrebbe cavalcato la tigre, ma, almeno rispetto alle premesse autunnali, il Parma finito al secondo posto, valido per la Champions, è tornato a fare paura.

Dietrofront

Il rinculo dalla cima è pazzesco. Il Parma ritorna quinto, annoia e delude. Si rimprovera ad Ancelotti di non giocare un bel calcio, si prende a pretesto il no dell’allenatore a Roberto Baggio, offerto dai Tanzi, e a fine stagione i padroni del Parma gli preferiscono il bizzarro e spumantino Malesani, che si è rodato al Chievo, ha respirato per un anno Firenze e Batistuta quanto basta per arrivare al Tardini.

Oggi questo cambio suona assurdo, considerando la carriera di Ancelotti e l'impronta di Scala. Si fatica a trovare un’epica nella faccia stralunata di Malesani. Quinto posto, dodici pareggi, sette sconfitte, la Juventus 17 punti sopra. Forse alla ottava stagione in Serie A un po’ di fatalismo è naturale nonostante i miliardi spesi. Pure l’esordio in Champions non va oltre la fase a gruppi. Nel caos c’è anche un assurdo ritorno di Asprilla. L’Udinese del capocannoniere Bierhoff è terza, la Lazio vince la Coppa Italia e prova a fare lo stesso cammino del Parma degli inizi. Insomma, il campionato dice che c’è vita oltre i ducali.

Con Malesani l’anno dopo arrivano l’argentino Veron, il francese Boghossian e l’ex laziale Diego Fuser. Proprio con la Lazio a gennaio 1999 c’è un simbolico passaggio di consegne per la salita in cima. Il colpo di tacco di Mancini gela tutta la difesa del Parma. C’è la Fiorentina capolista, ma vincerà il Milan. Succede che il Parma va a sprazzi, goleade comprese. È brillante ma inconcludente, segnano anche Balbo e Maniero. Veron è un moto perpetuo, ma anche confusionario se prende in mano le redini del gioco. Davanti Chiesa sta troppo solo e marcato, nove gol, meglio Crespo con sedici.

Parma preferisce essere bella di sera, indossa un sorriso da incensurato (Buffon ha 21 anni, Crespo 24) e schianta l’Olympique Marsiglia: a segno Crespo d’istinto e rapina che s’inventa un gol, Vanoli di testa e poi l’apoteosi Chiesa, insieme a Signori e Montella uno dei grandi rimpianti della Nazionale: palombella indolente di Veron, velo di Crespo e sassata senza pensarci di Chiesa. Nel maggio 1999 a Mosca la vittoria è pulita e nitida.

Quanto talento in campo nell’azione del tre a zero.

Sarà invece arcigna e di trincea la Coppa Italia (doppia finale con la Fiorentina, 1-1 al Tardini, a segno Crespo e 2-2 in Toscana, con gol ancora di Crespo e di Vanoli). La prima Supercoppa italiana (2-1 al Milan di Zaccheroni) sarà l’ultimo trofeo del decennio per il Parma.

Sacrificio

Lo scudetto resta una chimera, l’onda è passata. Nella stagione 1999-00 il Parma va fuori da tutto, perde pure lo spareggio CL con doppietta di Baggio alla faccia di Lippi. Non c’è più Chiesa, andato alla Fiorentina, Veron è della Lazio. Il bilancio precedente è in utile, poi però Tanzi sbraga. Arriva Marcio Amoroso, fortissimo brasiliano da Udine, un infortunio lo frena di brutto, valore dell’operazione 70 miliardi. 40 ne spende per Ortega appena retrocesso con la Samp, 20 per Montaño e Bolaño. Una follia. L’anno dopo, ceduto Crespo, Tanzi paga l’attaccante Savo Milosevic quanto Ronaldo, 50 miliardi. Gli ingaggi salgono a una media di quattro miliardi a giocatore.

Però c’è ancora un po’ di Nevio Scala in una partita di gennaio. È il 92', il Parma perde in nove al Tardini contro la Juventus. Lancio di Walem da metà campo, Crespo va incontro al pallone, contropiede, Inzaghi poco prima si è divorato l'impossibile, la Juventus meriterebbe di più. Crespo, che fino a lì non ha strusciato palla, tira dritto verso l’area di rigore, gli si para davanti Ferrara, più indietro Iuliano, forse arriva anche Tudor. Crespo ferma la palla e la butta indietro, Ferrara punta il sinistro nella zolla per proteggere l’area, poi l'argentino ci ripensa e col destro ritorna verso l’area di rigore, ha già preso del tempo ai difensori, ma non gli basta, potrebbe allungarsi la palla ma non lo fa.

Crespo dondola su sé stesso con piccoli passi in avanti, come quando sposti un armadio vuoto e lo scuoti, sembra che si dia un ritmo, dà a Ferrara l'illusione di rispettare l'oscillazione e invece anticipa tutti, il quinto passo diventa un tiro, la gamba sinistra fa da perno al resto del corpo che vira verso l’esterno, Ferrara e Iuliano recitano un copione inutile, van der Sar è battuto, un pallone che come parte finisce in porta.

E così il Parma regala il colpo di coda del suo decennio immolandosi un pomeriggio d’inverno contro l’avversario di sempre, allenato da Ancelotti. Un pareggio di cui approfitterà la Lazio per rompere la litania degli 8 scudetti milanisti e juventini che hanno dominato i '90.

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