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Favola triste
25 gen 2016
I complicati e oscuri giri d'affari che si nascondono dietro allo Spezia Calcio, una delle belle storie dell'ultima Coppa Italia.
(articolo)
13 min
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Se si guarda con attenzione la maglia dello Spezia, sul lato destro si può notare uno strano stemma. Lo si potrebbe quasi scambiare per uno sponsor, inizialmente. È un ovale contenente il tricolore italiano sul quale è stata apposto una strana coppa nera. Sotto, sempre in nero, un numero: 1944. Sembra una specie di Scudetto, quello strano stemma, e infatti praticamente lo è. Praticamente.

Passato glorioso

Nel 1944 in Italia c’è la guerra. Ma non solo quella: l’anno precedente Mussolini è stato detronizzato, al Sud stanno risalendo gli Alleati, al Nord il terzo Reich ha fondato uno stato fantoccio per mantenere il controllo, l’esercito è allo sbando e gli eccidi non si contano più. Ma, nonostante questo, in Italia si continua a giocare a calcio.

Il campionato 1942-43, a girone unico, è stato vinto dal Torino. Per la stagione 1943-44, dati i concitati eventi politici, invece, si opta per tre tornei regionali (uno per il nord, uno per il centro e uno per il sud) con un’unica finale nazionale, che però non si disputerà mai.

Lo Spezia Calcio all’inizio di quella stagione ha cessato la propria attività calcistica perché il suo presidente, Coriolano Perioli, è stato deportato in Germania dai nazisti. Al suo posto viene messo Giacomo Semorile che, pur di partecipare a quel campionato, si accorda con il 42esimo corpo dei Vigili del Fuoco. Formalmente saranno loro a partecipare a quel campionato in nome dello Spezia, con la promessa di restituire i giocatori alla società ligure alla fine della guerra. Sul sito ufficiale dello Spezia Calcio si legge che «in tal modo si riesce ad evitare che i calciatori dello Spezia adempiano all'obbligo del servizio militare».

Se ciò non bastasse, il 42esimo corpo dei Vigili del Fuoco, che in realtà è lo Spezia, quel torneo regionale lo vince. E non contro una squadra a caso. Lo vince contro il Torino, il Grande Torino. È una pagina di storia del calcio italiano che è stata strappata, questa, forse per non intaccare l’epica dell’invincibilità che ammanterà per sempre quella squadra: il Grande Torino che perde contro una squadra arrabattata all’ultimo secondo in un’Arena di Milano «semideserta per il timore di possibili rastrellamenti da parte dei tedeschi».

Un vecchio documentario sui Vigili di La Spezia campioni d’Italia.

Siamo al 16 luglio del 1944. Il giorno dopo la FIGC, forse su pressioni della dirigenza granata, emette un comunicato in cui si legge che quella vittoria non è valida ai fini della vittoria dello scudetto, ma solo per la cosiddetta coppa federale. Da quel giorno, lo Spezia avvierà una lunga battaglia legale con la FIGC, che durerà quasi sessant’anni, per l’assegnazione di quello scudetto.

Una battaglia surreale, come solo in Italia può essere, per almeno tre motivi. Innanzitutto perché la finale nazionale, come già detto, non è stata mai disputata. In secondo luogo, perché quel torneo non fu vinto dallo Spezia ma da una società giuridicamente diversa e cioè il 42esimo corpo dei Vigili del Fuoco. In terzo luogo, perché quel torneo non si giocò nemmeno su territorio italiano, ma su quello della Repubblica Sociale Italiana.

Nonostante ciò, nel 2002 la FIGC ha ceduto alle pressioni dello Spezia permettendogli di esporre, in bacheca e sulla maglietta, la coppa federale come "titolo onorifico sportivo". In sostanza, lo Spezia può fregiarsi della vittoria di un campionato a cui non ha partecipato a nome proprio.

Fallimento e rinascita

Quella di utilizzare un presunto passato glorioso come fuga dalle storture della realtà presente è un atteggiamento tipicamente italiano. Nel 2002 lo Spezia è in C1 e pochi anni dopo entra in una fase di dissesto finanziario. Nel 2008, dopo alcune presenze sporadiche in Serie B e un disperato tentativo di azionariato popolare, fallisce. A salvarla ci pensa la politica ligure, in un modo che potrebbe essere definito sfacciato persino in un paese come il nostro.

Viene fondata una società dilettantistica con a capo il sindaco di La Spezia. I soci fondatori sono quattro consiglieri comunali ognuno proveniente da un partito diverso (uno da Forza Italia, uno da Alleanza Nazionale, uno dal Partito Democratico e uno da Rifondazione Comunista), “in perfetto stile bi-partisan” si legge sul sito ufficiale della società aquilotta. Appena dieci giorni dopo, con la trasformazione dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Spezia Calcio 2008 in SRL, compare sulle scene Gabriele Volpi, l’attuale presidente.

Abramovich italiano

Bisogna subito premettere che di Volpi si sa molto poco, quasi niente. Le uniche informazioni che abbiamo su di lui derivano da un paio di interviste rilasciate a riviste italiane e da un report della commissione permanente d’inchiesta del Senato degli Stati Uniti dal titolo eloquente: “Keeping foreign corruption out of the United States” (“Tenere la corruzione straniera fuori dagli Stati Uniti”, NdR).

Il motivo per cui Volpi è su quel report è per la sua complicità in affari con Atiku Abubakar, ex vice presidente della Nigeria, che dal canto suo è accusato dalla commissione d’inchiesta di aver utilizzato banche degli Stati Uniti per i suoi scopi corruttivi. Le cose, secondo la ricostruzione fornita dallo stesso Volpi e dal suo avvocato alla stampa e agli organi d’inchiesta, sono andate così.

Gabriele Volpi, ex propagandista medico appassionato di pallanuoto, nel 1976 inizia ad operare in Nigeria per iniziare a cogliere i frutti di quello che sta per diventare uno dei principali mercati del petrolio (oggi la Nigeria è il 12esimo produttore mondiale di petrolio al mondo). In un punto non precisato dei primi anni ’80, Volpi incontra Abubakar, che allora è il vice-direttore del servizio doganale nigeriano, con il quale fonda la NICOTES (Nigeria Container Services), società che fornisce servizi logistici alle aziende energetiche che operano nel paese. La NICOTES, che nel frattempo diventerà Intels, è il primo mattoncino nella fortuna economica dei due: nel 1985, ad esempio, ottiene la concessione pluridecennale del porto di Onne, sul delta del Niger.

Per lo sfruttamento economico di quella zona, che nemmeno vent’anni prima aveva fatto esplodere la cosiddetta guerra del Biafra, la ExxonMobil, una delle aziende petrolifere più grandi al mondo, ha dichiarato alla commissione d’inchiesta del Senato statunitense di aver versato all’Intels solo tra il 2006 e il 2008 più di 245 milioni di dollari. E questa non è che una piccolissima parte della fortuna di Volpi. L’Intels infatti collabora, tra le altre, anche con Shell, Chevron, Total e Eni. E non solo in Nigeria, ma anche in Angola, Guinea Equatoriale, Gabon, Sao Tome e Principe, e più recentemente Mozambico. La sola Intels, secondoil Sole 24 Ore, ha un giro d’affari da 1,5 miliardi di dollari l’anno.

Volpi, insomma, non è un piccolo imprenditore locale. Per darvi un’idea del tipo di patrimonio di cui stiamo parlando vi basti sapere che nell’estate del 2014 ha prestato il proprio yatch personale a Messi, che lo ha utilizzato per le sue vacanze nel Golfo di Napoli. Messi, tra l’altro, che è diventato uno dei soci della sua squadra di pallanuoto, la Pro Recco, con la tessera numero 1010.

Messi a Capri con lo yatch di Volpi.

In un’intervista per la rivista Il Mondo, che lo definisce come il Roman Abramovich italiano, Filippo Astone gli fa la domanda che tutti noi ci facciamo quando leggiamo questo tipo di storie, e cioè: «Perché investe tanto nello sport?». Risposta: «Avendo fatto un po' di fortuna personale con i miei affari, e trovandomi in una fase matura della vita nella quale si riflette e ci si può permettere di essere generosi, ho deciso di dare una mano ai giovani». Qualcosa a metà tra la filantropia e la generosità, quindi. E potrebbe essere anche una motivazione convincente se contestualizzata alla Pro Recco, la squadra di pallanuoto che grazie al suo contributo potrà avere a disposizione un proprio palazzetto, data la sua passione giovanile. Ma con lo Spezia?

In un’altra intervista, questa volta alla Gazzetta dello Sport, risponde in maniera ancora più provocatoria: «Per beneficenza. Dio mi ha dato un po' di prosperità all'estero, sono uno dei pochi stranieri ad avere il passaporto nigeriano ed è lì che trascorro gran parte del tempo. In Italia non ho nessuna proprietà, tutto è in mano al trust di famiglia. Così una piccolissima parte delle finanze personali voglio spenderla per fini sociali e per togliere i ragazzi dalla strada avvicinandoli allo sport».

Un possibile futuro da presidente della Sampdoria?

A quanto pare, Volpi fa beneficenza in tutti i posti dove ha un interesse economico consistente. In Liguria, per l’appunto, dove ha in progetto di ricostruire il porto di Santa Margherita Ligure e abbinarci un mega-resort benessere. Uomo di raccordo in questo caso è Andrea Corradino, presidente del Cda del progetto e ai vertici dello Spezia Calcio, nonché presidente di Carispezia (sponsor della squadra) e legale di Raffaella Paita, ex-candidata del Partito Democratico alla presidenza della Liguria.

Ma anche in Nigeria, ovviamente. Nel 2012 la Orlean Invest, il principale fondo di investimento che fa capo a Volpi, ha aperto una scuola calcio ad Abuja. Da quella scuola provengono Abdullahi Nura e Umar Sadiq, i due piccoli prodigi transitati dalla Lavagnese (club satellite dello Spezia) e ora nella Primavera della Roma. Due anni dopo, la Orlean è diventata il principale partner della federazione nigeriana di calcio. Uomo chiave di questo ramo è invece Damir Miskovic, ex calciatore croato.

Può sembrare un curioso effetto della globalizzazione quello che vede un ex giocatore croato a gestire una scuola calcio nigeriana per conto di un imprenditore italiano, ma ovviamente non lo è. Miskovic, infatti, proviene dal Rijeka, squadra croata della città che una volta si chiamava Fiume, acquistata da Volpi nel 2012 per una cifra intorno ai 7 milioni di euro. SecondoL’Espresso, la decisione sarebbe motivata dalla scelta della Croazia di permettere le trivellazioni al largo dell’Adriatico in cerca di petrolio.

Come scrivevano Giovanni Arpino e Alfio Caruso: «Il calcio non fa mai storia se non in ritardo».

Triangolo intercontinentale

In questo bizzarro triangolo intercontinentale La Spezia è sicuramente al centro, almeno calcisticamente. Essendo il campionato italiano quello più esposto mediaticamente, inevitabilmente la società spezzina finisce per generare una forza centrifuga nei confronti dei giocatori degli altri due vertici, che, dal canto loro, formano una specie di sistema integrato.

Quest’ultimo funziona all’incirca così: i migliori dell’Abuja Football Academy finiscono al Rijeka, che a sua volta seleziona i migliori per lo Spezia. Attualmente nelle giovanili del Rijeka ci sono quattro giovani nigeriani provienienti da Abuja: Ayotunde Ikuepamitan, Yusuf Musa, Muhammed Kabiru e Gerald Diyoke. Ma quello che alla maggior parte di noi sarà saltato agli occhi è la proliferazione tra le fila dello Spezia di giocatori croati.

Tra quelli provenienti dal Rijeka c’è Brezovec, regista dinamico dalla buona visione di gioco che a 29 anni potrebbe ritrovarsi in Serie A. Ma anche giovani talenti. Come Dario Canadjija, mezzala verticale e potente, Matos Milos, terzino ordinato dal buon cross, da poco girato al Perugia.

Il giocatore più interessante dell’intera rosa, ovviamente croato, viene però dalla Dinamo Zagabria: Mario Situm. Super Mario, com’è stato poco fantasiosamente soprannominato dai tifosi dello Spezia, è uno di quei giocatori sempre sulle punte, a pettinare il pallone con la suola. Uno dei suoi più grandi punti di forza è di essere praticamente ambidestro, lasciando quindi pochissimi punti di riferimento al difensore di riferimento. Di solito, comunque, tende a rientrare sul destro partendo da sinistra in modo da trovare il tiro o il passaggio chiave per il compagno.

Alcune delle migliori azioni di Mario Situm allo Spezia.

Non è di certo un caso se Mario Situm è uno dei pochi giocatori rimasti titolari fissi dopo la transizione da Nenad Bjelica a Mimmo di Carlo.

Favola?

L’ex calciatore croato, dopo un’esperienza all’Austria Vienna, era stato ingaggiato dallo Spezia nell’estate del 2014. Bjelica era riuscito a mantenere la panchina per tutto il primo anno, un evento raro in Serie B, ancor più raro per l’establihment Volpi, che dall’anno del suo insediamento aveva sempre esonerato l’allenatore a stagione in corso.

Bjelica era riuscito a mantenere la propria panchina grazie al brillante calcio espresso dallo Spezia in quella stagione. Un 4-2-3-1 fluido, dinamico e verticale che aveva portato la squadra ligure addirittura al quinto posto di quella Serie B, ben 8 punti in più rispetto all’Avellino (contro cui perderà il preliminare del playoff) e solo 1 in meno del Bologna (che alla fine verrà promosso in Serie A).

Il playoff perso dallo Spezia di Bjelica.

Quest’anno doveva essere quindi quello della promozione in A, che a quanto pare è l’obiettivo massimo della società. «La collocazione giusta dello Spezia è nella parte medio-alta della classifica di B e, se saremo bravi, in quella medio-bassa della A. Un po' come Chievo, Lecce, Parma. Nella pallanuoto, con 2-3 milioni di budget annuo vinco le coppe europee, nel calcio credo proprio che ce ne vogliano di più. Ma non ho nessuna intenzione di buttar via i soldi senza logica», dice Volpi alla Gazzetta dello Sport.

E infatti il mercato estivo sembrava aver dato risposte intelligenti ai limiti della rosa, come la mancanza di una vera punta di ruolo. Sono arrivati Nené (già a gennaio) e Calaiò a prendere il posto di Catellani, più un fantasista che una vera e propria punta, spostato infatti nella posizione di trequartista.

La squadra non ha dato però le risposte sperate. Lo Spezia si è ritrovato molto in difficoltà in fase di recupero del pallone, con un pressing alto condotto in maniera individuale, disorganizzata e sporadica. A ciò si è aggiunto un atteggiamento piuttosto passivo della linea difensiva che non accompagnava quasi mai la salita della squadra lasciando numerosi spazi per gli inserimenti degli avversari tra le linee. Anche offensivamente la squadra è risultata molte volte statica, dipendente soprattutto dalle invenzioni sulla trequarti di Catellani e dalle seconde palle distribuite da uno tra Nené e Calaiò. Proprio questi due, poi, non hanno dato il contributo sperato in fase realizzativa, segnando insieme solo 8 gol.

E così, con l’allenatore croato, lo Spezia si è ritrovato al 14esimo posto dopo 14 giornate con appena 17 punti. L’esonero di Bjelica e l’ingaggio di Di Carlo ha significato sostanzialmente il passaggio da un calcio offensivo e propositivo ad uno pratico e cinico. Il tecnico di Cassino ha schierato la squadra con uno scolasticissimo 4-4-2, con due punte classiche come Nené e Calaiò. A centrocampo i giocatori più creativi, come Brezovec e Catellani, sono stati messi in panchina e sostituiti da mediani fisici (Canadjija) o mezzale adattati ad esterni (Misic).

Forse il punto più alto della gestione Di Carlo, fino ad adesso.

Di Carlo ha puntato tutto sulla ricerca del risultato nel breve periodo, compattando ed abbassando le linee in modo da sfruttare le ripartenze sugli esterni e i rilanci lunghi per le due torri. Una soluzione immediata che però sta iniziando a mostrare i suoi limiti persino in Serie B, dove squadre propositive e moderne, come Crotone e Pescara, hanno iniziato ad imporre i propri valori. Dopo un inizio convincente, infatti, lo Spezia è iniziato a calare in prestazioni e risultati raccogliendo nelle ultime cinque partite ufficiali tre pareggi e due sconfitte.

La sua presunta "Favola", nata e morta in Coppa Italia nell’arco di un mese, è lì a certificare un’ovvietà: nulla è come sembra. E lo Spezia, con il suo titolo onorifico sportivo sul petto, non fa che ricordarcelo.

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