Si è già aperta la follia estiva del calciomercato. Saranno due mesi di notizie spulciate su giornali unti di crema solare, di giocatori che cambieranno squadra sette volte in un giorno solo. Fino al 31 agosto proveremo a commentare le trattative più interessanti quotidianamente, su questo articolo che aggiorneremo in diretta anche più volte al giorno. Quindi in spiaggia non scordatevi il tablet.
Dalbert è il terzino giusto per il gioco di Spalletti?
di Francesco Lisanti
[Martedì 18, mattina]
Anche se la valutazione del suo cartellino continua a lievitare di stagione in stagione, seguendo la traiettoria che trasforma lo status di scommessa in quello di certezza, il Dalbert Henrique che l'Inter ha prelevato dal Nizza è rimasto fondamentalmente lo stesso giocatore sbarcato in seconda divisione portoghese soltanto tre anni e mezzo fa: «potente, veloce, e aggressivo in marcatura», per utilizzare le sue parole.
Dalbert non dispone di un talento naturale per il gioco di quelli che spiccano in mezzo ad altri venti professionisti: utilizza quasi esclusivamente il piede sinistro (anche se in conduzione se la cava con il destro) ma non è abbastanza sensibile né fluido per rubare la scena. Le accademie di Fluminense e Flamengo lo hanno reclutato e poi lasciato andare, ha galleggiato per un po’ tra le categorie inferiori del campionato carioca, finché il suo agente gli ha proposto la seconda divisione portoghese. «Non ci ho pensato due volte. O andavo lì, o facevo la fame in Brasile», ricorda.
Quando per allenarsi era costretto a percorrere in bici, andata e ritorno, i 12 chilometri che separano Barra Mansa da Volta Redonda, senza la prospettiva di uno stipendio, Dalbert stava per rinunciare al calcio. «Lei mi diceva che era quello che sapevo fare, che ero bravo e dovevo continuare a provarci. Mia nonna è stata la mia più grande motivazione».
Quando arriva in Europa, Dalbert ha appena compiuto vent’anni e soffre «gli infortuni, l’ambientamento, il freddo, il cibo». La società che lo ha scoperto, il piccolo Académico di Viseu, non paga gli stipendi regolarmente, e all’imbarazzo di non poter spedire denaro ai propri parenti in Brasile si aggiungono complicazioni che non era preparato ad affrontare: dopo tre mesi, gli scade il visto da turista con cui era atterrato in Portogallo e diventa un immigrato irregolare. Deve pagare di tasca sua per ottenere i permessi e si ritrova a ricominciare da zero quando ritrova il suo appartamento svuotato dopo una rapina.
La capacità di Dalbert di trovare continuamente nuovi stimoli, anche nell’amarezza e nello sconforto, è una costante nel suo percorso formativo. Nella stagione 2014/2015, la prima da titolare, emerge come miglior terzino sinistro della Segunda Liga. Nel 2015/2016, il Vitoria Guimarães lo acquista a parametro zero, lo fa esordire in seconda squadra e dopo due mesi lo chiama in prima squadra, dove diventa titolare insostituibile nel 4-4-2 di Sergio Conceicão. Nel 2016/2017, il Nizza riesce ad acquistarlo per la miseria di 2 milioni e lo utilizza per tutta la stagione, esterno di sinistra sia con la difesa a 4 che con la difesa a 5.
Il difficile impatto con il calcio professionistico (e con il Tecatito Corona)
In Portogallo migliora nei movimenti in linea con il reparto, che tendeva a seguire con una certa distrazione. In Francia, con Favre, impara a gestire il ritmo e il pallone ad elevate percentuali di possesso. Nell’ultima stagione ha tentato 45 passaggi ogni 90 minuti con l’87% di precisione, meglio di Ansaldi, Nagatomo e D’Ambrosio. Spalletti ha ripetuto in ogni occasione quanto sia indispensabile rendere l’Inter una squadra in grado di controllare il pallone per la maggior parte della partita, e Dalbert può certamente tornare utile in questo senso.
Dalbert non è un giocatore particolarmente creativo, non va oltre 0,5 tiri tentati e 0,8 passaggi-chiave (più o meno lo stesso contributo di Ansaldi e D’Ambrosio), ma è molto efficace in quasi tutto quello che fa. Completa il 55% dei dribbling (ne tenta 2,7), vince il 57% dei duelli aerei che ingaggia (2,5) e il 74% dei contrasti (ne tenta 3,7).
Il dribbling di Dalbert è rudimentale ma efficace: Mertens e Hysaj vengono sorpresi in anticipo e lasciati sul posto
La sua azione ideale, che esegue con tempismo innato sin da quando giocava nelle basse leghe brasiliane, prevede la ricezione in posizione molto allargata, lo scarico verso l’interno e l’immediata accelerazione per lasciare sul posto il marcatore. Nel Nizza ha funzionato molto bene l’intesa con Seri, in grado di addolcire i palloni non sempre educatissimi del brasiliano e restituirglieli sulla corsa. All’Inter troverebbe Borja Valero e João Mário, due rifinitori perfetti per combinare pausa e tensione verticale.
Quando è pressato negli spazi stretti rimane lucido, utilizzando entrambi i piedi se necessario, ma non è particolarmente delicato nell’esecuzione
Dalbert può tranquillamente percorrere tutta la fascia da una trequarti all’altra appoggiandosi di volta in volta sui riferimenti interni, una sensazione di potenza e freschezza atletica mai più restituita alle corsie laterali nerazzurre dopo il calo fisico di Maicon. È ragionevole pensare che possa migliorare il contributo alla fase realizzativa (3 assist quest’anno) ma non tanto da giustificarne un grosso investimento al fantacalcio - dove i nomi esotici ci mettono un attimo a sopravvalutarsi.
È molto rapido in accelerazione ma non velocissimo sulla lunga distanza, con un po’ di esperienza Raggi e Glik lo contengono
Negli anni romanisti, Sabatini e Spalletti hanno dimostrato la volontà e la capacità di lavorare su prospetti acerbi nella tecnica di base, da modellare nel senso tattico, ma già pronti sul piano dei mezzi atletici e della solidità mentale. Nell’uno contro uno difensivo, Dalbert è molto sicuro: mantiene gli occhi fissi sul pallone, ha la mobilità laterale per accompagnare l’uomo e il tempismo per tentare l’affondo.
In definitiva sembra un giocatore da subito in grado di assumersi le responsabilità in campo aperto che Spalletti tende a caricare sui difensori. In aggiunta, Dalbert promette di crescere ancora, insieme alla valutazione del suo cartellino.
Qual è l'attaccante più adatto al Milan? Belotti, Morata o Aubameyang?
di Federico Aquè
[Martedì 18, pomeriggio]
Gli acquisti di Leonardo Bonucci e Lucas Biglia hanno garantito il salto di qualità alla difesa e al centrocampo del Milan. Gli sforzi della società rossonera sono ora concentrati sull’attacco, per aggiungere un altro centravanti da affiancare ad André Silva e alzare il livello anche nel reparto avanzato. Gli obiettivi, svelati pubblicamente dall’amministratore delegato Marco Fassone, sono tre: Andrea Belotti, Álvaro Morata e Pierre-Emerick Aubameyang. Ma chi completerebbe meglio l’attacco del Milan?
Andrea Belotti
Belotti ha vissuto una stagione eccezionale che abbiamo approfondito in diversi aspetti: le anomalie statistiche, l’evoluzione del suo modo di giocare, l’intensità fuori controllo. Dei tre centravanti seguiti dal Milan, Belotti è il più giovane e quello con minore esperienza internazionale, che si limita alle 9 presenze con la maglia dell’Italia. L’attaccante del Torino è di conseguenza quello che offre meno garanzie sul proprio impatto in una squadra che punta a tornare ai vertici del calcio italiano ed europeo: ha definitivamente alzato il proprio livello di rendimento o l’ultima stagione è stata un unicum?
Belotti ha espresso le maggiori potenzialità soprattutto giocando da unica punta nel 4-3-3 utilizzato inizialmente da Sinisa Mihajlovic al Toro. Ha così imparato a essere autosufficiente, a caricarsi fisicamente la squadra sulle spalle calamitando i palloni in uscita dalla difesa o andandoseli a prendere in prima persona. Per i granata il proprio numero 9 è stato un riferimento fondamentale, una scorciatoia per risalire il campo in grado di produrre da solo situazioni vantaggiose pur senza avere la sensibilità tecnica dei centravanti d’élite, quelli, per intenderci, capaci di minacciare la porta avversaria ogni volta che toccano la palla.
Belotti si è comunque dimostrato a suo agio anche in sistemi che prevedono due attaccanti. Considerato l’investimento del Milan su André Silva, è molto probabile che la complementarità con l’attaccante portoghese rappresenti un criterio decisivo nella scelta della società rossonera. Belotti ha giocato prevalentemente in coppia con Ciro Immobile, sia al Torino che in Nazionale, interiorizzando i movimenti che Ventura chiede alle sue punte. Con André Silva l’attaccante del Toro formerebbe una delle coppie fisicamente più forti della Serie A, un incubo per i difensori avversari nel corpo a corpo. Nessuno dei due ha però le caratteristiche adatte a raccordare il gioco muovendosi tra le linee e la manovra rischierebbe così di svilupparsi in maniera quasi esclusiva sulle fasce.
Un attaccante con questa presenza in area non sarebbe poi una brutta idea...
In un Milan che ha alzato in maniera decisa il proprio tasso tecnico aggiungendo fonti di gioco della qualità di Bonucci (che con Belotti avrebbe un riferimento privilegiato per le sue verticalizzazioni) e Biglia, uno specialista nel definire la manovra come Calhanoglu e due terzini offensivi come Conti e Rodríguez, in grado di garantire un buon numero di cross a partita, le qualità di Belotti verrebbero forse esaltate in misura maggiore giocando da unico centravanti col compito di finalizzare quanto prodotto dai compagni.
Álvaro Morata
A 24 anni Morata ha già vinto più volte tutto ciò che un calciatore spera di vincere. Eppure la sua carriera non può dirsi “piena” come la sua bacheca potrebbe far supporre. A differenza di Belotti, l’attaccante spagnolo si è confrontato in maniera esclusiva con contesti altamente competitivi (Real Madrid e Juventus), ma pur dimostrando un’attitudine innata ad alzare il proprio livello nelle partite e nei momenti decisivi, non è mai riuscito a imporsi come titolare inamovibile.
Eppure a livello tecnico e fisico Morata è tra i centravanti più completi del panorama internazionale. È forte e veloce, dà profondità, ma sa anche farsi valere nei corpo a corpo; può segnare in tutti i modi e giocare sia al centro che sulle fasce, da unica punta o in coppia con un altro attaccante. Quando poi prende velocità in campo aperto è in grado di inclinare il campo e trasformare gli avversari in birilli.
Non c’è nemmeno bisogno di scomodare la famosa cavalcata contro il Bayern Monaco.
Il trasferimento al Milan rappresenterebbe l’incastro perfetto sotto molti punti di vista, sia per Morata, che avrebbe finalmente l’occasione di giocare da titolare in pianta stabile; sia per i rossoneri, che inserirebbero un giocatore di livello assoluto, ma non ancora affermato tra i migliori attaccanti del panorama internazionale, nell’età ideale per svilupparne il pieno potenziale e farlo diventare un punto fermo anche per il futuro.
Morata formerebbe con André Silva una coppia fisicamente fuori dal comune, difficilmente arginabile non solo per la loro forza fisica, ma anche per la varietà dei loro movimenti. Anche in questo caso Montella rinuncerebbe a un giocatore in grado di raccordare la manovra tra le linee – alla Juve la presenza di Tévez e Dybala toglieva a Morata questa responsabilità – e punterebbe tutto sui movimenti coordinati dei suoi attaccanti. Ma la capacità che hanno entrambi di occupare il centro tanto quanto le fasce con tagli verso l’esterno renderebbe la partnership tra Morata e André Silva forse anche più pericolosa di quella formata dallo stesso portoghese e Belotti.
Pierre-Emerick Aubameyang
Aubameyang è l’attaccante più affermato e, forse, quello che più di tutti condizionerebbe il modo di giocare del Milan. Le caratteristiche tecniche e fisiche del giocatore del Borussia Dortmund, che però se ne priverà molto difficilmente, sono state esaltate dal calcio verticale e veloce della Bundesliga. Nelle due stagioni con Thomas Tuchel in panchina, inoltre, Aubameyang ha completato la trasformazione in finalizzatore cominciata con Klopp dopo l’addio di Lewandowski.
Nel BVB di Tuchel, una squadra dalla manovra offensiva molto organizzata, l’influenza di Aubameyang si è sostanzialmente limitata alla finalizzazione del gioco, quasi sempre da dentro l’area, vista la facilità con cui il Dortmund riusciva a risalire il campo e a costruire occasioni da gol. Automaticamente la sua media si è impennata e il gabonese è diventato un attaccante da un gol a partita.
Ricerca della profondità in zone laterali e cross basso per Aubameyang: uno sviluppo ricorrente della manovra del Dortmund, che potrebbe replicarsi al Milan.
Proprio l’esito di questa trasformazione fa sorgere alcuni dubbi su una sua eventuale convivenza con André Silva, nonostante per caratteristiche Aubameyang non abbia problemi a partire lontano dalla porta. Sarà disposto a coordinarsi con un altro attaccante e a dividere con lui i palloni da girare in rete, rinunciando alle medie eccezionali tenute nelle ultime due stagioni? La risposta a questa domanda, a un livello più generale, sarà indicativa dello spirito con cui Aubameyang tornerebbe a Milano: vorrà essere trattato da stella della squadra (come sembrano suggerire le sue presunte richieste salariali) oppure la voglia di dimostrare l’errore fatto dai rossoneri quando lo lasciarono andare via prevarrà su tutto il resto?
Cosa perde e cosa guadagna la Lazio sostituendo Biglia con Lucas Leiva
di Daniele V. Morrone
[Lunedì 17, pomeriggio]
L’arrivo di Lucas Leiva pochi giorni dopo la partenza di Biglia potrebbe rappresentare, al netto della delusione dei tifosi della Lazio per la perdita di uno dei migliori interpreti del ruolo, una mossa vincente per Lotito, che alla fine si è portato a casa un giocatore di grande spessore con un’esperienza internazionale quasi equivalente. Lo scambio è anche un’operazione finanziaria intelligente, con la Lazio che ci guadagna circa 15 milioni di euro.
È vero, Lucas Leiva non era più un titolare nel Liverpool, ma anche l’anno scorso ha giocato a sufficienza per poter dire che sia sano fisicamente. In totale ha giocato una trentina di partite, ed è stato sempre titolare in FA Cup e Coppa di Lega, venendo anche schierato come difensore centrale all’occorrenza.
Fisicamente Lucas Leiva non è un giocatore banale. Gli anni in Premier gli hanno chiesto di spingere il fisico al massimo e pur apparendo più lento nel breve non è meno reattivo di Biglia e ugualmente deciso nei contrasti. Anche se è fisiologicamente in calo da un punto di vista fisico data l’età, Leiva è abituato a giocare ai ritmi della Premier da anni ed è probabile quindi che l’impatto con il calcio italiano gli sia facilitato di molto, soprattutto senza il pallone.
È stato il carisma ad evitargli il giallo?
Leiva è un buon recuperatore di palloni ma gioca meglio quando può andare sulle linee di passaggio o in pressione sull’uomo, provando il contrasto dopo lo stop avversario.
Le differenze maggiori tra Leiva e Biglia sorgono in fase di possesso. La tecnica di protezione del pallone e la visione di gioco di Biglia è superiore al brasiliano, e questo potrebbe rappresentare un problema nel contesto della squadra di Inzaghi. Biglia aveva un ruolo fondamentale nella Lazio: la sua precisione tecnica e la sua freddezza garantivano una distribuzione equilibrata ed erano le chiavi dello stile di gioco della squadra. Il centrocampista argentino arrivava a tentare 7 lanci lunghi a gara (tra verticalizzazioni e cambi di gioco) riuscendo almeno 5 volte nell’intento, un numero a cui Lucas Leiva non è mai sembrato in grado di arrivare, né come frequenza né come precisione.
Questo non vuol dire però che sia un giocatore totalmente privo di qualità.
Per capirci, Lucas Leiva non ha mai superato la media stagionale di un passaggio chiave a partita in carriera, mentre nella scorsa stagione Biglia garantiva alla Lazio 1.9 passaggi chiave a partita, quasi il doppio. Certo, non è detto che la precisione di Leiva non migliori con i ritmi inferiori della Serie A, ma la visione di gioco e la sensibilità tecnica di Biglia rimangono comunque migliori. In estrema sintesi: nella distribuzione nel corto non dovrebbero esserci particolari problemi (anche se bisognerà scordarsi la frequenza dei filtranti centrali taglia linee), ma Inzaghi dovrà comunque ridistribuire le responsabilità tecniche all'interno della squadra, soprattutto in impostazione, perché difficilmente Lucas Leiva riuscirà a sostenere la mole di lavoro e a replicare l'influenza tecnica che aveva Biglia sulla squadra.
Perché il Milan non ha preso anche Alfredo Donnarumma?
di Marco D'Ottavi
[Lunedì 17, mattina]
L’11 Luglio Alfredo Donnarumma è diventato un giocatore dell’Empoli, proprio mentre un altro Donnarumma, Antonio, faceva le visite mediche per diventare il secondo Donnarumma del Milan dopo Gianluigi. La domanda a questo punto è lecita: perché il Milan non ha comprato anche Alfredo?
1. Perché non è parente del portiere più forte giocatore del Milan
Alfredo è nato a Torre Annunziata, fa di cognome Donnaumma, ma non è parente di Gianluigi Donnarumma. Abbiamo controllato. Sì, sembra strano anche a noi, ma non così strano dai.
2. Perché gioca come André Silva
Il Milan è la squadra che più velocemente si è mossa sul mercato. Ben prima dell’apertura aveva già in mano cinque giocatori, tra cui André Silva, comprato dal Porto per 38 milioni di euro il 12 Giugno. Purtroppo in quel momento il Milan non sapeva che avrebbe dovuto comprare tutti i Donnarumma tipo missione su GTA. L’acquisto del portoghese chiude quasi definitivamente la porta ad Alfredo.
Tutti e due possono giocare sia da prima punta mobile che da seconda punta con il compito di fare raccordo tra i reparti. I due profili tendono quindi ad escludersi a vicenda e difficilmente potrebbero convivere sul campo, soprattutto considerando che il Milan è alla ricerca di una prima punta con caratteristiche diverse da quelle di Alfredo.
Se André Silva dovesse far male magari se ne potrebbe riparlare a Gennaio.
3. Per la questione Biglia
Prima di essere acquistato dall’Empoli Alfredo Donnarumma era un giocatore della Salernitana, squadra di Lotito. I rapporti tra i dirigenti del Milan e il presidente in questo momento sono particolarmente tesi per via di Biglia. Forzare ancora la mano per Alfredo avrebbe rischiato di far crollare tutto e purtroppo non vi è traccia di un Donnarumma regista di centrocampo.
4. Perché glielo ha chiesto l’Adidas
Donnarumma è un cognome bello lungo, quanto avrebbero speso in lettere da cucire sulla magliette ogni anno?
5. Perché nella coppia d’oro del Teramo 2014/15 hanno puntato su Lapadula.
E non potevano farci capire che avevano preso quello sbagliato.
6. Colpa di Alfredo
Come diceva Vasco Rossi.
7. Perché non fa il portiere
Altrimenti sarebbe stato davvero logico, oltre che molto bello, fare il trio di portieri Donnarumma.
Guardiola sceglie il più classico tra i terzini contemporanei
di Daniele V. Morrone
[Venerdì 14, pomeriggio]
Prima di tutto va detto che il trasferimento di Kyle Walker al City è una vittoria su tutti i fronti per il Tottenham, che non è scesa di un centesimo dalla valutazione iniziale e vende Walker al momento giusto, cioè poche stagioni prima dell’inizio del suo declino fisico (ha compiuto 27 anni da poco) e dopo aver trovato un degno sostituto la scorsa stagione: Kieran Trippier. Il Manchester City, un anno dopo aver speso 48 mln di sterline per John Stones, spende 53 mln di sterline per un terzino, una cifra che supera persino quella spesa dal Chelsea per David Luiz (50 mln) che deteneva il precedente record tra i difensori. Ma l’acquisto di Walker infrange anche il precedente record per un calciatore inglese, che aveva stabilito proprio il City con i 49 mln spesi per Sterling. Insomma, una follia (in senso positivo o no, questo sta a ognuno di voi stabilirlo, in attesa che il tempo parli).
Il mercato inglese è inondato ininterrottamente da una quantità di denaro mai vista prima e nei trasferimenti interni la cosa ha assunto la forma di una bolla speculativa che ha reso inutili i discorsi sul “valore” di un giocatore: Kyle Walker sul mercato europeo non varrebbe quanto vale nel mercato della Premier League, in cui se si vuole acquistare un titolare da una concorrente diretta bisogna accettare di andare praticamente con un assegno in bianco (se ancora qualcuno usa gli assegni).
Il discorso da fare, quindi, è più sul valore tecnico del giocatore: ovvero se Walker è in grado di far fare il salto di qualità rispetto al precedente titolare nel suo ruolo. Nel caso di Walker la risposta è semplice, ed è positiva, visto che da un anno Guardiola è alla ricerca di un terzino affidabile e che l’unico presente in rosa al momento è il giovane Maffeo, interessante, per carità, ma non ancora in grado di sostenere il peso di un ruolo così delicato in una squadra con le ambizioni del City.
Walker comunque ha una qualità nel tagliare le linee avversarie non banale.
Kyle Walker è un giocatore del tutto formato e per quanto a Guardiola piaccia lavorare su tutti i giocatori, difficilmente riuscirà a smussare più di tanto i suoi angoli. Walker dovrà essere inserito in formazione pensandolo come un prodotto già finito, senza aspettarsi qualcosa che non sa fare. Voglio dire che con l’acquisto di Kyle Walker possiamo considerare definitivamente abbandonata l’idea di Guardiola di sviluppare la tattica dei falsi terzini anche nel Manchester City. Guardiola, anzi, ha scelto un terzino che più classico, per il calcio britannico, non si potrebbe immaginare: Walker ha un gioco verticale con ritmi alti, è veloce e potente, punta il fondo sempre e può fare da solo tutta la fascia per tutti i 90 minuti.
La domanda ancora senza risposta, almeno fino al precampionato, è quale giocatore sceglierà Guardiola da posizionare davanti a Walker, che ha bisogno della fascia destra libera per sovrapporsi (in caso di difesa a 4, ovviamente, ma Walker può fare anche il laterale a tutta fascia in una linea a 5).
Ma è anche un giocatore che rappresenta i limiti della Premier League, la sua intensità senza controllo.
Raheem Sterling, o anche Leroy Sané, instaurerebbero un rapporto classico con Walker: l’ala che taglia e il terzino che sale; ma l’idea più affascinante (e con più margini di sviluppo per il City) sarebbe quella di mettergli davanti Bernardo Silva, per creare un rapporto simile a quello che Walker aveva con Eriksen al Tottenham: con l’inglese che può divertirsi ad arare la fascia e il portoghese libero di muoversi negli spazi di mezzo in conduzione per associarsi lanciandolo in profondità.
Il messaggio nascosto (neanche troppo, in fondo) nell’acquisto di Walker, è che dopo un primo anno ricco di scommesse sul mercato, Guardiola sembra voler abbracciare il pragmatismo venendo a patti con il calcio inglese. Finalmente o purtroppo, dipenderà anche dai risultati che otterrà alla seconda, e forse già decisiva, stagione in Premier League.
Come fa il Milan a spendere così tanto?
di Marco de Santis
[Venerdì 14, mattina]
Più di un mese fa abbiamo provato a delineare le linee guida del mercato milanista, sulla base delle informazioni a disposizione. Oggi dobbiamo per forza di cose aggiornare la situazione alla luce dei molti movimenti già effettuati da Fassone e Mirabelli. Il Milan, fra costi dei cartellini e ingaggi, ha già speso al netto delle cessioni quasi 400 milioni (gli ultimi due acquisti ancora da ufficializzare sono Biglia per 20 milioni totali, e Bonucci per 42, tra costi fissi e bonus) e per capire cosa è successo vanno riportate alla memoria e analizzate le più recenti dichiarazioni di Fassone, in particolare quelle dal mancato Voluntary Agreement con l’UEFA in poi.
Anzitutto, proprio nel commentare il nulla di fatto con l’UEFA, Fassone aveva sottolineato subito il lato positivo della faccenda: e cioè che i rossoneri non avrebbero avuto vincoli in questo mercato 2017. Pochi giorni fa, poi, in dichiarazioni rilasciate a margine della vicenda Donnarumma sulle risorse residue per il mercato, il dirigente ha parlato di un "budget extra" non previsto inizialmente, messo a disposizione per portare a termine un mercato fuori da dei parametri normali quest’anno, con l’obiettivo di rinforzare immediatamente la squadra. Va da sé che si tratta di un mercato difficilmente ripetibile nei prossimi anni.
Tenute a mente queste due dichiarazioni, e recuperato quanto venne detto in sede di presentazione del progetto (circa 400 milioni da investire sulla squadra nel triennio, e all'epoca si parlava di 150 milioni a disposizione per questa stagione, di cui circa 75 milioni in costi dei cartellini e il resto in ingaggi) sembrerebbe logico pensare che la società - preso atto dell’impossibilità di far approvare all'UEFA il proprio piano di Voluntary Agreement senza sottostare a limitazioni importanti per i prossimi mercati - abbia deciso di puntare tutto il budget su quest'unico mercato (ed eventualmente su quello del prossimo gennaio) nel quale sicuramente ha le mani libere per costruire una squadra con elevate possibilità di agganciare stabilmente il treno Champions League nella prossima stagione e in quelle successive.
In teoria tutto questo non potrà non avere delle conseguenze proprio nel rapporto tra Milan e UEFA. Un mercato del genere è in netto contrasto con il Financial Fair Play e molto probabilmente saranno inevitabili delle sanzioni che verosimilmente impongano al Milan di riportarsi verso il pareggio di bilancio negli esercizi successivi a quello 2017/1, che verosimilmente si chiuderà con un passivo superiore ai 100 milioni di euro.
Per riuscirci, quasi sicuramente non basterà la semplice qualificazione in Champions League e la partita si giocherà fra gli aumenti di ricavi previsti (ma non potranno essere immediati) e l’eventuale cessione di giocatori che producano plusvalenze; il tutto, ovviamente, con le mani abbastanza legate sul mercato in entrata (un po’ quanto successo in passato a Valencia e Monaco, in difficoltà con l’Uefa dopo un singolo mercato stellare).
Di contro, se gran parte degli acquisti si riveleranno azzeccati, il Milan potrebbe aver costruito in un solo mese una squadra capace di essere competitiva in Italia e in Europa per i prossimi tre anni, diminuendo di molto la necessità di rinforzarla ulteriormente nelle prossime stagioni. Una mossa intraprendente che ha evitato uno scenario decisamente meno brillante, quello per cui, con un approccio più conservativo nel tentativo di ottenere la benevolenza dell’UEFA, il Milan avrebbe rischiato di muoversi in un limbo - a livello di risultati - dal quale sarebbe stato magari difficile uscire.
Certo, dipenderà molto dalle prestazioni che offriranno i giocatori acquistati e dai risultati che saranno in grado di ottenere. A fronte di un mercato di questo tipo, come si dice, "stellare", l’obiettivo minimo non può che essere il quarto posto. Senza il quarto posto - senza quei 40-50 milioni di ricavi sicuri - il Milan scaverebbe un solco troppo importante fra il deficit atteso e l’obiettivo di riavvicinarsi al pareggio di bilancio, un situazione che potrebbe farsi complicata al di là dei vincoli del Fair Play.
A chi serve Leonardo Bonucci
di Alfredo Giacobbe
[Giovedì 13, pomeriggio]
Come lo scorso anno, anche quest’estate Leonardo Bonucci è tornato al centro del vortice delle voci di mercato. Come prima cosa però, prima ancora di chiedersi a chi possono tornare utili le prestazioni sportive di Leonardo Bonucci, vale la pena ragionare sul perché Bonucci dovrebbe lasciare la Juventus.
Eh, appunto, perché?
Da un punto di vista economico, per questioni di bilancio cioè, la Juventus non ha necessità di vendere nessuno dei campioni in rosa (come ha già detto Marco De Santis settimane fa cercando di prevedere le linee generali del mercato bianconero). È vero anche, però, che una cessione a cifre importanti permetterebbe a Marotta e Paratici di avere nuove e ulteriori risorse da reinvestire e secondo Gianluca Di Marzio, la Juventus fa una valutazione del giocatore di 40 milioni di euro, senza l’inserimento di alcuna contropartita tecnica.
È una valutazione corretta per Bonucci? È troppo per un difensore di 30 anni? È troppo poco per un difensore con le sue qualità?
La scorsa stagione Leonardo Bonucci è stato il secondo giocatore di movimento più utilizzato da Massimiliano Allegri, subito dopo Gonzalo Higuain. È stato anche il giocatore che nei cinque maggiori campionati europei ha completato con successo il maggior numero di passaggi lunghi: 8,6 ogni 90 minuti. Al tempo stesso, le sue statistiche difensive sembrano dire che forse ha superato il periodo migliore della propria carriera (nella scorsa stagione tackle e intercetti sono calati, invertendo la tendenza degli anni precedenti).
Ma insomma, sappiamo bene che a rendere Bonucci un giocatore unico nel suo genere sono le qualità in fase di possesso palla. E poi va tenuto conto del fatto che anche a 30 anni è comunque uno dei difensori più giovani nella rosa della Juve: Barzagli e Chiellini hanno 36 e 32 anni, persino Medhi Benatia è più “anziano” di Bonucci, seppur solo di qualche settimana.
Se consideriamo Bonucci come un giocatore d’élite o anche solo se pensiamo che sia la Juventus a considerarlo così, diventa difficile capire perché dovrebbe cederlo a una concorrente all’interno del campionato italiano, per una cifra tutto sommato ragionevole (tra l’altro, di 5 milioni inferiore alla valutazione che ne fa Transfermarkt).
I casi sono due: o ci troviamo di fronte ad una grossa bolla mediatica, una di quelle che permettono a tifosi e addetti ai lavori di tollerare meglio le giornate estive più afose; oppure ci sono motivazioni di carattere, diciamo, “ambientale” che impediscono a Leonardo Bonucci e alla Juventus di continuare il loro rapporto di lavoro. Impossibile a dirsi, ma c’è un fatto da annotare: Bonucci è tornato a Vinovo di rientro dalle sue vacanze soltanto oggi, ha solo sostenuto le visite di rito e ancora non ha partecipato ad un allenamento.
Fatta questa premessa, dobbiamo anche chiederci cosa se ne farebbe il Milan, di Bonucci. I rossoneri hanno già acquisito un difensore nella sessione di mercato corrente, l’argentino Musacchio proveniente dal Villareal. Destro naturale come Bonucci, Musacchio costituisce con Romagnoli una coppia di difensori centrali in una linea a 4 ben assortita. Le ipotesi tattiche, nel caso arrivasse Bonucci, si ridurrebbero in pratica a due sole: o uno tra Musacchio e Romagnoli perderebbe la titolarità (nel caso di Romagnoli a dispetto anche dell’investimento fatto l’anno scorso e dell’ampio minutaggio che Montella gli ha concesso in stagione); oppure Montella accetterebbe di passare ad una difesa a 3, una strada che ha già percorso nelle sue precedenti esperienze alla Fiorentina e alla Sampdoria.
Una linea a 3 con - da destra a sinistra - Musacchio, Bonucci e Romagnoli doterebbe il Milan di una costruzione dal basso più che sicura; come effetto collaterale, di quelli graditi, permetterebbe a Ricardo Rodriguez e a Conti di alzarsi per dare sfogo a tutto il loro potenziale offensivo sulle due fasce.
In questo senso, con Bonucci il Milan farebbe un salto di qualità sostanziale.
Dobbiamo considerare anche il caso per cui Juve, seppur determinata a cedere Bonucci, voglia farlo fuori dal campionato italiano. Ad esempio, non è un mistero che Pep Guardiola è un estimatore del nazionale italiano. Il suo Manchester City ha fatto vedere le cose migliori quando ha avuto a disposizione İlkay Gündoğan e Guardiola ha potuto schierare una difesa a 3 alle sue spalle. Bonucci, ovviamente, prenderebbe il centro, anche se non è chiaro chi gli affiancherebbe Guardiola. Stones a destra? Ci ha giocato poco lo scorso anno, solo per lasciare il centro al titolare del ruolo, Kompany…
Insomma, sarebbe una bella aggiunta alla rosa a disposizione, ma richiederebbe un minimo di ripensamento da parte del tecnico catalano. E poi il sistema difensivo della Juventus è completamente diverso da quello applicato da Guardiola al City: per quanto sono note e riconosciute le qualità di Bonucci con la palla, come se la caverebbe con 40 metri di campo aperto da difendere alle proprie spalle?
A questo punto, sembra più adatto al sistema reattivo di Antonio Conte, che gli permetterebbe di rimanere in una sorta di comfort zone. Conte è l’allenatore che lo ha provato per primo in una linea a 3 e che lo ha trasformato nel giocatore che è oggi: spingendolo a cercare l’anticipo, forte di una doppia copertura alle proprie spalle; trasformandolo di fatto in una specie di regista di scorta quando la marcatura di Andrea Pirlo da parte degli avversari era particolarmente efficace.
Nel Chelsea, Bonucci probabilmente andrebbe a rimpiazzare David Luiz, seppur sia stato uno dei migliori giocatori blues della passata stagione, mantenendo ferme le altre pedine: Cahill e Azpilicueta.
Ricapitolando: se non si tratta di una montatura giornalistica, Bonucci potrebbe far comodo a molte squadre. Darebbe una spinta non indifferente alle ambizioni del Milan e formerebbe con Musacchio e Romagnoli una delle difese più a proprio agio con la palla del campionato. Ma potrebbe anche realizzare il sogno di Guardiola di avere a disposizione uno dei migliori piedi destri tra i difensori o riunirsi con Antonio Conte per riprendere un discorso interrotto la scorsa estate dopo l’Europeo. La sola cosa certa è che la Juventus perderebbe il suo difensore più tecnico in rosa e per ragioni non così convenienti dal punto di vista economico.
Qualcosa mi dice che oltre a scoprire, in caso, in che squadra potrà andare Bonucci, sarà interessante anche scoprire cosa possa essere successo che abbia spinto la società a fare a meno delle sue qualità.
Se poi fosse solo una storia costruita dai media - e allora però Bonucci avrebbe potuto smentirla con un tweet (più chiaro di quello pubblicato stamattina) - quanto meno ci avrà intrattenuto in un pomeriggio di metà luglio che altrimenti avremmo passato a parlare di trattative meno interessanti.
Perché la Sampdoria sta cercando Meré?
di Daniele V. Morrone
[Giovedì 13, mattina]
Meré è - forse dopo Vallejo - del Real Madrid il centrale spagnolo più promettente tra gli u21. Con lui ha fatto coppia nelle nazionali giovanili e, se tutto andrà come sembra al momento, può essere Meré-Vallejo la coppia di centrali del futuro della nazionale spagnola. Dopo un anno e mezzo da titolare nella squadra dov’è cresciuto, lo Sporting Gijon, ha bisogno di trasferirsi per continuare a crescere, non potendo seguire la squadra dopo la retrocessione. La Sampdoria sta cercando di prenderlo in tempi brevi, anche se lui sta rallentando a quanto pare.
Meré è veloce e dinamico, ha un fisico compatto e già strutturato (1.82 m per 80 kg), nell’arco di un paio di anni in prima squadra ha messo su i chili necessari a reggere i contatti senza perdere agilità.
Al momento il suo controllo del corpo è la qualità migliore.
A Meré piace far sentire il fisico in marcatura e difendere in maniera aggressiva. Non è però un giocatore falloso o istintivo e incline all’errore. Qui ad esempio riesce a tenere bene nell’uno-contro-uno un prodigio in velocità come Asensio.
Le letture difensive, come i tempi di anticipo, vanno ancora migliorate, magari accanto a un regista di reparto più esperto, che lo tenga un minimo sotto controllo. Meré si prende ancora troppi rischi, figli forse del passato di dominio sui pari età nel contesto giovanile. Se la posizione del corpo negli 1 contro 1 è già di livello, la gestione del lavoro con i compagni di linea no. Si può dire che Meré può piacere più per quello che promette di essere che per quello che è in campo attualmente.
Sbaglia il posizionamento tenendo in gioco Sansone, ma poi recupera e ne esce palla al piede.
Meré mostra comunque uno stile di gioco in linea con lo sviluppo del ruolo: discreto nel proteggere il pallone e uscire dalle zone congestionate, gli piace sfruttare lo spazio per la conduzione. Un pregio sempre più importante nel calcio contemporaneo e sempre più comune tra i centrali spagnoli. Va detto che la tecnica nel lancio è ancora insicura, se esce bene palla al piede o ha spazio sembra buona, ma sotto pressione il più delle volte sbaglia quando non va direttamente alla spazzata cieca. Meré non ha una grande creatività: non è un centrale che imposta, ma piuttosto un correttore.
Pur con i limiti di una tecnica nella media la sua freddezza nella gestione del pallone è lodevole.
Il difetto più grande per ora è il gioco aereo. Non che non ci siano margini di miglioramento, la capacità di salto sembra esserci, ma il lavoro sulla tecnica del salto e sopratutto nel colpire il pallone è ancora da fare. A 20 anni è comunque un difetto normale e gestibile. È difficile pronosticare il suo impatto sulla Serie A e non è chiaro se la Sampdoria sta pensando di metterlo titolare da subito: un rischio che i blucerchiati si presero già con Skriniar un anno fa, con buoni risultati.
Coccodrilli: Ciao, Olivier
di Emanuele Atturo
[Mercoledì 12, pomeriggio]
Dopo 37 presenze, e 3 gol in Serie A con la maglia del Genoa, il francese Olivier Ntcham se ne è andato dall’Italia. Non basta, evidentemente, per chiarire se siamo noi a non averlo capirlo o lui ad avere troppa poca voglia di essere capito. Se ne è andato al Celtic Glasgow: ne ha guadagnato una bellissima maglia, parecchia pioggia e diversi difensori da sgranocchiare come semi di granturco.
Nei nostri occhi rimarranno soprattutto i suoi passaggi poco precisi, i recuperi pigri, le sostituzioni punitive. Ma anche la vena artistica espressa soprattutto nei suoi tagli di capelli: quello con due gabbiani stilizzati che gli incorniciavano la calotta cranica, quello a forma di mare increspato ma soprattutto quello con la sgommata di maionese che formava una bellissima ‘M’, lettera che simboleggia la creazione e la distruzione. Almeno in tre diversi momenti Olivier Ntcham è riuscito a creare e a distruggere le aspettative su di lui.
Quando nelle sue prime partite, all’inizio dello scorso anno, dava l’impressione di potersi mettere la Serie A sotto ai denti. Troppo grosso, troppo tecnico, troppo veloce per non essere destinato alla grandezza.
Quando, dopo essersi spento nel corso della sua prima stagione, sembrava poter ricominciare da dove aveva iniziato proprio nelle prime giornate dello scorso anno. Dopo il gol al Cagliari, ad esempio, alla prima giornata: un gol che già ci fa salire la nostalgia verso quei tiri di mezzo esterno ultramoderni, un po’ velleitari, un po’ infami, che a Ntcham riuscivano una volta su 10 (2 tiri da fuori ogni 90 minuti, Olivier, non erano pochi).
Ci avevamo puntato tutti al Fantacalcio dopo questo gol: «È l’anno di Ntcham questo» dicevamo, mentre lo pagavamo più di Khedira e Milinkovic-Savic senza batter ciglio.
A Juric, Ntcham non stava simpatico, ma le cose sono precipitate davvero dopo la trasferta contro l’Atalanta del 30 ottobre. Olivier aveva recuperato una palla sulla trequarti difensiva, doveva fare qualcosa: cambiare gioco, cercare un compagno, spazzarla dove capita. Invece si è mezzo addormentato, l’ha persa, e l’Atalanta ha segnato. Olivier era davvero pigro, e a Juric questa cosa non piaceva.
Poi è arrivato Mandorlini e Ntcham ha visto la possibilità di rilanciarsi. Coi suoi tiri fatti sempre senza troppa convinzione il Genoa ci ha svoltato un paio di partite. Il pareggio al novantesimo contro il Bologna, ad esempio, o il 2 a 0 ad Empoli, a posteriori fondamentale per la salvezza. Sembrava poter rinascere Ntcham, a un certo punto. Come altre volte ci aveva illuso che fosse un concentrato di talento dormiente, pronto a brillare come le mine da un momento all’altro.
Ci mancherà Ntcham, ma ci mancherà soprattutto l’idea di Ntcham: il simulacro di un giocatore virtualmente capace di fare tutto, concretamente capace di non fare niente. Ntcham proverà a realizzare l’idea di sé stesso alla periferia del calcio europeo, noi continueremo a farla vivere virtualmente, nelle camerette di casa nostra, facendogli decidere partite più perfette della realtà, sempre troppo dura, sempre troppo vera.
Bonus: le migliori giocate virtuali di Ntcham
3. Assist con un tacco GENIALE
Classica lettura alla Ntcham.
2. Bell'inserimento in area
Chissà cosa ha spinto questo allenatore a portare Ntcham al Brentford.
1. Tackle di testa
A risultato acquisito, contro il Carpi, Olivier si concede questa giocata impensabile.
Manuel Pucciarelli al Chievo
di Emanuele Atturo
[Mercoledì 12, mattina]
I giorni che vanno dal 28 maggio all’11 luglio li ricorderemo come quelli in cui temevamo che a Manuel Pucciarelli non sarebbe toccata una maglia di Serie A. Per fortuna il Chievo ha deciso di investire su di lui: un’operazione da circa 5 milioni, se calcoliamo i 3 milioni e 75 e il cartellino del portiere Ivan Provedel, che sarà interamente dell’Empoli.
Negli anni si è costruito una solida reputazione del meno attaccante tra gli attaccanti: 14 gol in tre stagioni e 104 presenze di Serie A ma un lavoro difensivo mostruoso ed estenuante che lo rende imprendibile al Fantacalcio (se non per ironia) ma amatissimo dai suoi allenatori. Pucciarelli è la versione meno cool possibile dell’attaccante moderno. La conseguenza storpia della modernizzazione del ruolo come i casalinghi cinesi lo sono della globalizzazione. Un attaccante che ha esasperato così tanto il fare altre cose che ha trasformato il gol in qualcosa di accessorio.
Pucciarelli è da anni uno dei migliori attaccanti-difensori della Serie A: pur giocando da punta esterna ogni stagione il numero dei suoi intercetti, falli e tackle è superiore a quello dei suoi dribbling e passaggi-chiave. L’unico attaccante che ha numeri paragonabili ai suoi è Riccardo Meggiorini, sempre del Chievo (segno di un progetto tecnico coerente). Ecco 5 gif di Pucciarelli che rincorre gli avversari che vi faranno sudare dietro lo schermo:
#1
Non prende Spinazzola ma lo spinge nell'imbuto difensivo.
#2
A testa bassa come se non ci fosse un domani e la vita si realizzasse in tutta la sua completezza con quella palla spazzata in tribuna.
#3
Qui la cosa bella è lo sguardo preoccupato di Lulic.
#4
Se avesse seguito l'avversario anche nel taglio alle spalle del terzino avrebbe meritato una medaglia al valore.
#5
Questo non è Pucciarelli.
Cosa può dare Miangue al Cagliari
di Francesco Lisanti
[Martedì 11, pomeriggio]
La necessità di chiudere il bilancio in pareggio ha costretto l’Inter a liberarsi a titolo definitivo di diversi giocatori del vivaio in pochi giorni. Per i più promettenti è stato comunque inserito il diritto di riacquisto, come nel caso di Miangue. Classe ‘97, il terzino belga sarebbe stato troppo acerbo per entrare sin da subito nelle rotazioni dell’Inter, che sta cercando sul mercato terzini già pronti per risolvere l’annosa penuria.
Miangue è stato riscattato dal Cagliari, dove ha giocato da febbraio in poi, per 3,5 milioni di euro, dopo che proprio la dirigenza cagliaritana si era detta contraria a riproporre la formula del prestito e disposta a investirci. Quindi avremo il privilegio di vederlo crescere nel nostro campionato, in un contesto che lo vede sicuramente più inserito, più "pronto", se così si può dire.
Miangue avrebbe faticato molto nell’Inter per gli stessi motivi per cui ha trovato poco spazio quest'anno in campionato (solo 256 minuti), nonostante De Boer gli avesse inizialmente concesso molta fiducia. A livello tecnico, sia con il sinistro che con il destro, è ancora molto molto grezzo, e avrebbe poco spazio in una squadra che non può permettersi di soccombere alla pressione avversaria. Non ha precisione nel gioco lungo e neanche particolare sensibilità nel controllo in progressione, ma è sempre molto presente in proiezione offensiva, senza essere spregiudicato. Rimane concentrato sullo spazio alle sue spalle ed è in grado di far circolare il pallone con sufficiente qualità se non deve giocare troppo lungo.
Oltre che impreciso, Miangue è molto acerbo anche nelle scelte di passaggio.
Sul piano difensivo, Miangue è un ottimo terzino: molto disciplinato, aggressivo in avanti ma molto rapido a recuperare, resistente nei contrasti e nei duelli aerei. Con quella struttura fisica può già permettersi di contare i passi e saltare sulle spalle di Bacca, o di accompagnare sul fondo in accelerazione uno specialista come Ocampos. Miangue non condivide la stessa classe cristallina di Dimarco ma è fisicamente più pronto, più adatto a difendere basso, a spazzare il pallone lontano quando serve. Sarà sicuramente utile al Cagliari, che nel frattempo ha ceduto Murru alla Sampdoria liberandogli spazio.
Al Cagliari crescerà sotto la guida di Rastelli, che è un allenatore galileiano, nel senso che stravolge l’ossatura e i principi della propria squadra finché non trova la combinazione in grado di produrre risultati nel breve-medio periodo. Negli ultimi due anni, ha schierato il Cagliari con la difesa a tre e la difesa a quattro, con il trequartista, con il doppio mediano, con una linea prudente di cinque centrocampisti, con le due punte, con le ali e il centravanti, con meccanismi di difesa proattiva e meccanismi di difesa reattiva.
Due anni fa, durante la presentazione, confessava di non avere un modulo preferito: «Nei miei sei anni di carriera li ho sperimentati tutti. Non sono integralista, mi piace variare in base all'avversario e soprattutto, mi piace creare il modulo in base alla squadra che ho a disposizione». Per Rastelli la flessibilità non è solo una questione di sopravvivenza, è un vezzo, un piacere. Di conseguenza, non è particolarmente significativo chiedersi se Miangue sia finito in un contesto adatto alle sue caratteristiche, quanto quali caratteristiche potranno tornare utili all’ambizione del Cagliari di centrare una salvezza senza patemi.
Miangue potrà certamente trovare spazio sia come terzino di una linea difensiva a quattro che come esterno di un centrocampo a cinque, soprattutto perché Rastelli ricorre a questa soluzione quando vuole proteggere il centro e difendere basso. Il Cagliari avrà bisogno del suo atletismo per coprire il campo in ampiezza e risolvere gli squilibri della passata stagione (è la squadra del campionato che ha concesso più tiri). Contemporaneamente, però, è stata anche la terzultima per percentuali di possesso palla e la terzultima per precisione nei passaggi, quindi Miangue potrebbe non aver modo di affinare la tecnica al punto da ambire a un contesto superiore. Se ci riuscirà, il diritto di riacquisto è lì che lo attende.
Dobbiamo essere felici per Antonio Donnarumma
di Marco D'Ottavi
[Martedì 11, mattina]
Antonio Donnarumma sta per diventare un giocatore del Milan, come da accordi previsti per il rinnovo del contratto del fratello minore Gianluigi. Arriva presumibilmente per fare il terzo portiere, il ruolo più intangibile all’interno di una squadra, per cui verrà pagato un milione di euro a stagione. A. Donnarumma guadagnerà più di Berisha, Tatarasanu, Viviano, Mirante, Consigli. A. Donnarumma guadagnerà, per dire, appena centomila euro in meno di Perin. Oppure, allargando ulteriormente l’inquadratura, possiamo dire che guadagnerà più di una buona parte dei giocatori della Serie A.
Questa scelta del Milan ha messo “il fratello di Donnarumma” al centro dei radar dello sdegno italiano: la sua parabola si inserisce perfettamente nell’idea che abbiamo del raccomandato che fa carriera grazie alle parentele e non grazie al proprio valore. Del nepotismo come pratica culturale inalienabile che chiude la strada a chi veramente di valore. Che poi, quelli di valore, saremmo tutti noi che ci sdegniamo.
Eppure ogni cosa ha il suo rovescio: i tifosi dell’Asteras Tripolis, la squadra in cui ha militato nella scorsa stagione, in questo momento si stanno moderatamente lamentando della cessione, dato che A. Donnarumma è stato importante nell’evitare la retrocessione nella disastrosa scorsa stagione. Anche Perin parlando di lui ha detto che «con le sue parate ha salvato dalla retrocessione la squadra greca in cui milita» provando a spostare l’obiettivo dall’affare Donnarumma alle qualità di Antonio.
Che è quello che proveremo a fare noi qui sotto, scegliendo le sue tre migliori parate. La domanda che dobbiamo farci dopo ogni parata è: non è che dovremmo essere felici per Antonio Donnarumma? E se si meritasse di fare il terzo portiere del Milan?
E se si meritasse, anche in quanto rappresentante di un ruolo difficile come il portiere, di una categoria cioè che per un terzo almeno dei suoi rappresentanti - i terzi portieri appunto - viene relegata ai margini come una specie magazziniere, di guadagnare un milionicino all’anno? E se poi un giorno, in assenza di G. Donnarumma (e in assenza di Gabriel, di cui si parla per il mercato in uscita, in assenza di Storari che per ora è il secondo portiere) toccasse ad A. Donnarumma difendere i pali del Milan? E se lo facesse addirittura bene?
Le migliori parate di Donnarumma in Grecia
Questa è la parata più importante fatta da Antonio Donnarumma in Grecia. Con la sua squadra in vantaggio per 3-1 in una partita fondamentale per la salvezza neutralizza il rigore del possibile 3-2 che avrebbe riaperto la partita, visto che mancavano più di cinquanta minuti al termine. Qui mostra di essere un portiere rapido nonostante non sia leggerissimo (192 centimetri per 92 chili), con buoni riflessi. Questa è una parata importante.
La miglior qualità di Donnarumma è l’istinto. Usa molto i piedi per parare e i suoi interventi migliori sono su conclusioni ravvicinate, quando deve prendere una decisione affidandosi al suo istinto. Con un doppio intervento al 90° minuto, Donnarumma regala un punto alla sua squadra.
Come il fratello minore, Donnarumma è rapido “nell’andare giù”, il che fa di lui un portiere discreto tra i pali, in grado anche di recuperare alcune scelte di posizionamento non sempre corrette (anche questa è una caratteristica in comune con il fratello).
Va detto però che in contesto di alto livello rischia di diventare un portiere mediocre: in Grecia ha subito 36 gol in 23 partite, con diversi errori più o meno gravi, di cui per correttezza mi sento costretto a mostrarne un esempio:
Ma A. Donnarumma ha pagato anche le colpe di una squadra che è finita a due punti dalla zona retrocessione, subendo in totale 49 gol (seconda peggior difesa del campionato greco), e a 27 anni tutto sommato avrebbe davanti ancora qualche anno di carriera in cui magari migliorarsi. In questo senso la scelta di A. Donnarumma va vista anche come una piccola rinuncia. E se fosse un peccato, sportivamente parlando, per lui scegliere di guadagnare un milione al Milan e rinunciare a una prospettiva di sviluppo personale? Sarebbe quanto meno paradossale, ma si può vederla anche da questo punto di vista. In fondo chi lo ha detto che sia la cosa migliore per lui vivere all’ombra del fratello più forte?
Per un milione di euro A. Donnarumma ha scelto di mettere la faccia sul rinnovo più chiacchierato dell’anno, facendo da calamita per lo sdegno accumulato durante la trattativa. Di fatto Antonio si sta prendendo gli insulti che Gianluigi non voleva più prendersi. E va ricordato che è stato costretto ad accettare - dalla vita - che il fratello fosse molto più forte di lui nella stesso mestiere a soli sedici anni.
La figura di Antonio ormai è iscritta nello stereotipo del raccomandato, ma sta anche accettando di fare il terzo portiere in un momento della carriera in cui nessun portiere vuole fare il terzo, una specie di pensionamento anticipato, sapendo oltretutto che ogni volta che verrà inquadrato in tv il pubblico storcerà il naso, o peggio, riderà di lui. Speriamo almeno che gli piaccia lavorare con il fratello, che vadano d’amore e d’accordo. Dopo tutto la famiglia è la cosa più importante. Dopo la salute. Prima viene la salute.
5 filtranti di Rick Karsdorp
di Emanuele Atturo
[Lunedì 10, mattina]
Rick Karsdorp è soprannominato “La locomotiva di Schoonhoven”, cittadina olandese in cui è nato, famosa per la sua produzione d’argento. L’idea del nuovo terzino della Roma come giocatore atleticamente straripante - come per certi versi effettivamente è - ha offuscato quelle qualità che rendono davvero Karsdorp un terzino speciale, unico nel contesto europeo: la visione di gioco, la qualità del suo gioco di passaggi.
Ecco quindi 5 gif di verticalizzazioni dalla difesa che ridefiniranno la vostra idea di Karsdorp.
Lancio lungo dietro la difesa per Jorgensen
Karsdorp parte in accelerazione per guidare la transizione, ma tiene la testa alta e si accorge del movimento di Jorgensen che scappa sulla linea difensiva. Allora decelera, rialza la testa e lancia un pallone preciso.
I lanci di Karsdorp verso Jorgensen sono stati quest’anno un leitmotiv dell’attacco del Feyenoord. Eccone un altro. Se quest'anno il danese ha segnato una quantità di gol senza senso (20), uno dei motivi è proprio Rick Karsdorp.
Traccia verticale per il taglio di Jorgensen
Ecco un altro esempio. Il Feyenoord è in fase di attacco posizionale e gli spazi sono pochi. Karsdorp porta palla con poca pressione addosso perché la difesa è troppo passiva e lui arriva da molto indietro. Vede il movimento di Jorgensen - che non sembra neanche un suo movimento, ma più il centrale avversario che lo molla - e lo serve scavando leggermente il pallone. Un esempio di quanto sia importante nel calcio contemporaneo che anche i difensori sappiano giocare con i piedi.
Traccia complicata per la sovrapposizione dell’ala
Che non significa saper solo toccare il pallone ma anche essere creativi, non fare giocate meccaniche, sapersi prendere responsabilità che non competerebbero in teoria a un terzino. Passaggi come quello sopra di solito sono dati dall’ala al terzino, non il contrario.
Assist per l’attaccante che attacca la profondità
La capacità di Karsdorp di vedere il gioco in verticale derivano probabilmente da un inizio di carriera da trequartista. I cross dalla trequarti sono l’arma offensivamente statisticamente più inefficiente, ma non credo che quello che vediamo sopra possa essere definito come un cross dalla trequarti. Karsdorp segue con gli occhi il taglio dell’attaccante, finché non è sfilato oltre la difesa e può servirlo.
Verticalizzazione lungolinea
Quando Karsorp ha il pallone tra i piedi è bene quindi che i suoi compagni si muovano in profondità. Nella Roma non sappiamo ancora verso chi Karsdorp potrà sparare col laser queste tracce in verticale lungolinea, che sarebbero state perfette per “Momo” Salah.
Amine Harit è andato allo Schalke!
di Daniele Manusia
[lunedì 10, mattina]
Questo pezzo è un adattamento di quello pubblicato originariamente (in inglese) sul blog di Wyscout, che vi consigliamo vivamente di seguire (ci sono anche i nostri autori). Quando è uscito questo pezzo Harit aveva giocato alcuni mesi di alto livello, nella seconda parte di stagione Sérgio Conceicao lo ha fatto giocare meno. Per dare un giusto contesto a quello che leggerete.
A diciannove anni, il gioco di Amine Harit non è incentrato sul dribbling, pur avendo un’ottimo gioco di gambe e una tecnica in velocità di primo livello. Dal suo allenatore al Nantes, René Girard, non è considerato un giovane da far adattare a poco a poco, ma piuttosto un calciatore in grado di coprire tutti i ruoli del centrocampo, abbastanza affidabile da essere il quinto giocatore della squadra ad aver giocato più minuti dall’inizio della Ligue 1 (i primi 4 hanno giocato sempre).
Harit si era messo in mostra nell’Europeo U19 vinto dalla Francia quest’estate, superiore ai suoi coetanei praticamente sotto ogni aspetto. In queste prime 9 giornate di Ligue 1, la sua prima stagione tra gli “adulti”, sta dimostrando polivalenza e maturità non comuni per la sua età.
Ha giocato da trequartista, mezzala e esterno di un centrocampo a 4, interpretando ogni ruolo con una mobilità da tuttocampista. Da centrocampista centrale resta più bloccato per ragioni difensive, ma può sfruttare tutta la sua qualità nel playmaking e può guidare le transizioni della squadra con una conduzione di destro fuori dal comune (è alto solo 1.79 ma ha leve lunghe e una struttura molto leggera).
Non c’è un’azione tipica che racchiuda il talento di Harit, proprio perché adattabile a circostanze e spazi diversi. La conduzione della palla ad alta velocità è solo un aspetto, a cui si aggiunge il dribbling e la visione di gioco, la capacità di lettura dell’azione, a partire dal gesto tecnico con cui può indirizzarla in un senso o in un altro.
Qui sotto Harit chiude lo spazio al centro e parte in verticale dribblando il raddoppio avversario, poi con l’uomo addosso arriva fino a un secondo raddoppio ma quando sembra aver perso palla riesce invece a proteggerla fino all’ultimo e a trovare una linea di passaggio alle spalle dell’avversario. Così crea un 3 contro 3 momentaneo che il Nantes poi non è in grado di sfruttare.
Da mezzala si alza tra le linee e in orizzontale cerca il giusto half-space in cui prendere palla e girarsi. Da trequartista non prende sempre la scelta migliore, ma soffre anche la mancanza di spazio per portare palla. Da esterno, sia sinistro che destro, si sposta al centro fino a entrare in relazione addirittura con il terzino opposto. E spesso riesce a girarsi e partire in verticale anche con l’uomo alle spalle e la linea laterale alla sua destra.
Se la tecnica è da fuoriclasse, in compenso Harit dovrà lavorare sulle conclusioni per migliorare la precisione. Secondo i dati di Wyscout tira 1.6 volte ogni 90’ di cui solo il 25.9% coglie lo specchio della porta (on target), e sono ancora 0 gol su 17 tentativi (di cui 8 da dentro l’area di rigore (inside the box).
È presto per dirlo, ma il Nantes potrebbe aver prodotto un centrocampista all’altezza di una tradizione che ha visto in maglia gialla giocatori come Desailly, Deshcamps, Karembeau, Makélélé Toulalan e Payet.
Hachim Mastour: la sconfitta dello stile (per ora)
di Daniele Manusia
[Venerdì 7, pomeriggio]
Di fronte alla notizia del giovane prodigio più famoso d’Italia, Hachim Mastour, svincolato dal Milan, rimasto senza contratto come un ventenne italiano qualsiasi, sarebbe fin troppo facile sottolineare il sensazionalismo della stampa sportiva e l’ingenuità dei tifosi che ci hanno creduto.
Diciannove anni appena compiuti, Mastour è sotto l’occhio pubblico da quando ne aveva quattordici, parte del nostro immaginario grazie ai video in cui palleggiava con ciliegie e mandarini. Nelle ultime due stagioni, passate in prestito in Spagna (al Malaga) e Olanda (PEC Zwolle), ha accumulato 6 presenze ufficiali. In Spagna, addirittura, ha giocato appena cinque minuti ufficiali.
Di lui hanno parlato bene in molti - persino Javi Gracia, allenatore del Malaga, ha detto che sarebbe diventato un grande giocatore - ed è naturale chiedersi se è davvero possibile che si fossero sbagliati così clamorosamente, se in realtà non fosse stato tutto fumo negli occhi.
Domande che ne nascondono un’altra: possibile che da quel tipo di talento, che comunque è un talento, non si riesca a tirare fuori un calciatore?
Facile adesso pensare che queste cose in realtà non servono a niente.
Il paradosso di Mastour, freestyler, Youtuber in un certo senso, è che dai suoi minuti passati in campo tra i professionisti non sarebbe possibile estrapolare neanche un’azione brillante con cui continuare a illuderci.
Sembra quasi una punizione, per un giocatore cresciuto su YouTube, che ogni sua azione da professionista sia una dimostrazione così evidente di velletarietà. Tipo questa:
Hachim Mastour è fisicamente inadatto al calcio di oggi, esplode letteralmente nei contrasti, anche se ha un buon primo controllo e mette il corpo tra palla e avversario è troppo facile spostarlo. Ogni volta che entra in possesso del pallone l’azione può finire sostanzialmente in due modi: perde palla, o gli fanno fallo. È incredibile ma anche il suo dribbling è estremamente inefficace in un campo da calcio “vero”.
La cosa ancora più crudele è che Mastour si muove sempre benissimo. È agile, elegante, tocca bene la palla, eppure non ha mai uno slancio che porti a qualcosa di anche lontanamente utile alla propria squadra. Mastour, oggi come oggi, è solo stile. E la sua esperienza dimostra che lo stile da solo non basta per diventare calciatori.
Se vi siete intristiti, questa è la sua migliore azione degli ultimi due anni:
https://www.giphy.com/gifs/xUA7b6Z1Voy3dCLQBO
Tuttavia, Mastour ha ancora diciannove anni e oltre a irrobustirsi (che non gli farebbe male) può sempre trovare una strada per dare un senso al suo talento. Magari giocare a pochi tocchi, muovendosi molto di più senza palla?
Questo, oppure aspettare che il calcio adotti le categorie di peso degli sport di combattimento. Sarebbe un fenomeno nella Serie A sotto i 70 kg.
Ilicic all'Atalanta può funzionare?
di Fabio Barcellona
[Venerdì 7, mattina]
Il 5 luglio l’Atalanta ha annunciato l’acquisto dalla Fiorentina di Josip Ilicic dalla Fiorentina, le cifre ufficiali non sono note ma si parla di circa 5.5 milioni di euro, per battere la concorrenza della Sampdoria che non l’ha presa bene. Immaginare il matrimonio tra Ilicic e Gian Piero Gasperini è un’operazione affascinante: il prototipo del calciatore talentuoso ma sommamente incostante, e almeno all’apparenza indolente, che incontra un allenatore che non negozia su intensità, applicazione e continuità.
A questo va aggiunto che la stagione appena trascorsa è stata probabilmente la peggiore in Italia di Ilicic: i numeri grezzi raccontano di soli 5 gol e 4 assist, contro i 13 gol e 6 assist della stagione precedente (senza dubbio la migliore alla Fiorentina). Ilicic ha vinto la non invidiabile classifica dei giocatori che tirano troppo calciando verso la porta avversaria 77 volte per raccogliere solo 3 gol, con una media di quasi 26 tiri per ogni gol, evidenziando anche una cattiva selezione dei tiri stessi visto che, potenzialmente, gli avrebbero fruttato solamente 4.4 xG.
Un tiro così brutto che forse in realtà è un passaggio geniale. Ma molto più probabilmente è un tiro brutto. Difficile capire le intenzione di un giocatore indolente come Ilicic.
Anche per questo Ilicic è stato un serio candidato al titolo di giocatore più fumoso della stagione, dopo che l’anno precedente era stato addirittura inserito nella top 11 della serie A.
Nell’altalena di rendimento delle due ultime due stagioni si possono trovare dei motivi per guardare con ottimismo al futuro di Ilicic con Gasperini. Il rendimento dello sloveno sotto la guida di Paulo Sousa è stato fortemente influenzato da quello dell’intera squadra: nel 2015-16, e in particolare nella prima metà della stagione, la Fiorentina di Sousa ha prodotto forse il miglior calcio dell’intera serie A, molto organizzato e propositivo, e Ilicic ha trovato il contesto ideale per esprimere le sue qualità, mettendo in ombra le sue debolezze.
Questo invece è decisamente un brutto tiro. Da posizione defilata, lontano dalla porta. Di destro. Con due avversari a un metro di distanza.
In fase di possesso palla la Fiorentina disegnava in mezzo al campo un quadrato, costituito dai due interni e dai due trequartisti, con cui dominava il possesso e di cui lo sloveno occupava il vertice avanzato di destra, giocando negli half-spaces dello schieramento difensivo avversario. Le ricezioni a piede invertito di Ilicic preparavano poi il campo alle conclusioni e agli assist, favoriti dall’ottimo movimento senza palla dei compagni. In fase di non possesso la Fiorentina tendeva a difendere in avanti e Ilicic in posizione di trequartista nel 4-4-1-1 difensivo dei viola, si occupava di pressare i centrocampisti bassi avversari.
Esaurito il ciclo propositivo della gestione Sousa, lo sloveno è stato risucchiato nel grigiore generale della squadra e a prevalere sono stati gli aspetti deteriori del calciatore, la sua tendenza a cercare soluzioni individuali e la mancanza di intensità.
Ok, però ricordate che Ilicic sa anche tirare bene!
Il calcio che Ilicic si troverà a giocare all’Atalanta ha alcune similitudini, ma soprattutto differenze con quello che ha lasciato alla Fiorentina. Di certo troverà un contesto parecchio organizzato e l’esperienza alla Fiorentina dimostra che il suo talento può esprimersi al meglio solo dentro meccanismi chiari e definiti che il suo nuovo allenatore certamente gli fornirà.
Il suo ruolo ideale nel calcio di Gasperini sembra essere quello di grimaldello tattico avanzato nei moduli fluidi continuamente proposti dal tecnico piemontese. Nel 3-4-3 di base, Ilicic può occupare la posizione di punta di destra ma se alla Fiorentina quello stesso ruolo lo portava a ricevere la palla negli spazi interni, il gioco offensivo dell’Atalanta - che si sviluppa quasi integralmente sulle catene laterali - lo porterà a dialogare coi compagni di fascia in posizione più aperta, per poi chiudere internamente nella fase di finalizzazione della manovra.
Perché non essere ottimisti quando c’è così tanta qualità?
Inoltre, la discreta duttilità dello sloveno, può garantire a Gasperini la flessibilità richiesta dal suo camaleontico adattarsi allo schieramento avversario: partendo dal centro-destra Ilicic può occupare la posizione di trequartista puro, disegnando per la sua squadra un 3-4-1-2 o, addirittura, la posizione di mezzala in un 3-5-2. Anche in fase di non possesso palla, la tendenza ossessiva della squadra nerazzurra a difendere in avanti può nascondere in parte le sue mancanze difensive.
L’Atalanta ha investito sul talento di Ilicic, convinta probabilmente che l’organizzazione di Gasperini possa creare un contesto favorevole per vedere la versione migliore del calciatore sloveno. La scommessa è stimolante e, in teoria, alla portata sia di Gasperini che di Ilicic.
17 cose da mettere negli stadi più utili della lap-dance
di Marco D’Ottavi
[giovedì 6, pomeriggio]
Intervenuto in Commissione Antimafia, Carlo Tavecchio ha detto la sua sulla situazione degli stadi in Italia e in particolare sulla questione spinosa della “responsabilità oggettiva". Del discorso di Tavecchio, però, che avrebbe un suo interesse quanto meno perché si tratta del numero uno della FIGC, si è parlato solo in relazione a una singola frase. Questa: «Gli stadi non sono più posti dove andare solo a vedere il calcio, ci deve stare la farmacia, il cinema, la lap-dance, bisogna fare attività sociale». Lo scandalo suscitato da questa frase fuori contesto è solo in parte giustificato dal curriculum di Tavecchio ricco di pessime uscite: quella volta di Opti Pobà, la volta di gay ed ebrei, quella del calcio femminile.
In realtà la citazione di Tavecchio stavolta è stata fraintesa. Come ha ricostruito Il Post: «Tavecchio quindi non stava suggerendo che negli stadi venisse introdotta la lap-dance, ma stava dicendo che la tendenza generale è rendere gli stadi dei posti in cui l’attività sportiva legata al calcio sia solo una delle molte cose che si possono fare: e per garantire la sicurezza di tutte queste cose molto diverse – Tavecchio sembra citare la lap-dance nel suo elenco proprio per enfatizzare quanto queste cose possano essere anche lontanissime dal calcio – la responsabilità oggettiva delle società sportive non può essere rimossa».
Tavecchio insomma - che poteva sembrare quel tipo di persona che non riesce a elencare tre attività ricreative in fila senza citare la lap-dance - non ha fatto niente di male, ma ciò non toglie che ci ha dato lo spunto per suggerire altre possibili attività da inserire all’interno di uno stadio.
1. Campi da calcetto: l’unica cosa che un tifoso di calcio può preferire a guardare il calcio è giocare a calcio.
2. Biblioteche: immaginate i tifosi che nell’intervallo tra primo e secondo tempo consultano il saggio sulla letteratura fantastica di Zvetan Todorov, oppure si fanno un po’ di complotti con le riflessioni di Gurdjeff. No, non servirebbe a molto, però pensate se Tavecchio avesse citato “una biblioteca” tra le cose da mettere in uno stadio, per quanto strano, ci avrebbe sorpreso in positivo.
3. Il WI-FI gratuito: anche se non piacerebbe a tutti, siamo pur sempre nel 2017 e la gente deve poter fare altre cose mentre guarda una partita di calcio. Chattare, postare, scaricare film, comprare cose su Amazon...
4. Un night club: c’è chi non si accontenta della lap-dance, vuole anche l’atmosfera, l’estetica, il lato umano. Se dobbiamo oggettivare il corpo, che peraltro è più o meno quello si fa negli stadi, per favore facciamolo bene.
5. Uno sportello per il VAR personalizzato: 2 euro per guardare l’azione in una cabina, con possibilità di postarla sui social con tono polemico.
6. Un Nailbar: pare che bere drink mentre ti fanno le unghie sia la nuova esperienza irrinunciabile per gli occidentali. Incredibile, ma più della lapdance.
7. Un museo: pensate che bello l’incontro tra il pubblico che vuole vedere Giacometti e quello con la maglia di Bernardeschi.
8. Una scuola di pole dance: la pole dance (spesso erroneamente confusa con l’attività ludica “lapdance”) è un mix tra ginnastica e ballo che si fa intorno ad una pertica. Si basa sulla realizzazione di figure acrobatiche che richiedono grande forza e coordinazione. Ma soprattutto scegli tu se farla, nessuno ti paga, non devi toglierti i vestiti mentre lo fai.
9. Un negozio di animali: ancora meglio: un negozio di animali che vende solo l’animale simbolo della squadra ospitante. Riempiamo gli stadi di zebre, lupi, grifoni, biscioni, aquile, stregoni, tori, diavoli e marinai.
10. Un posto dove tu vai prendi un pezzo di carta, scrivi il nome del giocatore che vorresti nella tua squadra, alla fine della stagione viene estratto un nome e la squadra lo deve comprare: ovvero se non riusciamo a migliorare gli stadi, miglioriamo il campionato.
11. Un posto dove tu vai prendi un pezzo di carta, scrivi il tuo nome, alla fine della stagione viene estratto un nome e l’anno prossimo quello sarà l’allenatore: ovvero se non riusciamo a migliorare gli stadi, almeno dateci la vera democrazia.
12. Un negozio di tappi: così tutti quelli che allo stadio si lamentano se gli tolgono il tappo dalla bottiglia d’acqua solo per costringerli a comprare acqua all’interno dello stadio potranno smettere di lamentarsi, a meno che il costo dei tappi non sia superiore a quello dell’acqua venduta allo stadio (ma sarebbe una pessima strategia di mercato).
13. Una piazza: con due panchine, qualche albero, una fontanella, dei giochi. E poi vedi come lo stadio diventa un luogo di aggregazione. Ci andranno i pensionati a prendere un po’ d’ombra, i bambini quando non c’è scuola, gli adolescenti ci si darebbero gli appuntamenti. Nascerebbero amori, amicizie, perché no: movimenti politici.
14. Fabio Grosso che ti spiega come ha segnato quel gol lì: gli dai un negozietto, una mini porta, un po’ d’erba sintetica, e quando vuoi emozionarti tu vai lì e lui ti spiega tutto per bene e a te viene la pelle d’oca.
15. Un negozio che vende mani giganti: perché negli stadi italiani non si vendono le mani giganti? Se vogliamo adottare il modello americano dovremmo adottarlo fino in fondo, e lì, nel fondo, ci stanno le mani giganti.
16. Un cinema: in cui proiettare grandi partite del passato. Così chi si è stancato dell’ennesimo 0-0 contro il Chievo Verona potrà rifarsi gli occhi.
17. Gatti: riempiamo gli stadi di gatti.
5 sostituti di Salah alla Roma
di Daniele V. Morrone
[Giovedì 6, mattina]
Il vero banco di prova per il mercato della Roma non saranno tanto le cifre a cui si concluderanno le cessioni, quanto la scelta dei sostituti: come dice Monchi non è importante vendere bene ma comprare bene.
La scelta del sostituto di Salah è la più importante e difficile da prendere per Monchi. Importante perché con ogni probabilità è dove verrà investito la maggior parte del budget di mercato. E difficile, perché l’offerta di ali destre è al momento particolarmente scarsa, con le migliori che militano nelle squadre più ricche a cui quindi è difficile strappare prezzi ragionevoli.
Posto che non possiamo avere certezze sul profilo tecnico che preferisce Di Francesco per il ruolo, ho fatto un lista con i nomi che ritengo più probabili, fissando 40 milioni come il tetto massimo di spesa per il ruolo.
Lucas Moura
Fattibilità: 10%
Fascino: 80%
Lucas sarebbe il profilo con più visibilità in questa fase embrionale del progetto della Roma di Monchi. Un titolare di top club europeo, un po’ frustrato dal non essere però al centro del progetto del PSG e con ancora ampi margini di miglioramento (alla fine ha ancora 24 anni). Difficile ipotizzare un prezzo per il suo cartellino, perché il PSG non ha motivo per venderlo né da un punto di vista economico che tecnico, ma l’operazione sembra complessa più che altro per le cifre d’ingaggio. L’eccellenza, d’altra parte, costa.
Florian Thauvin
Fattibilità: 40%
Fascino: 60%
Non può mancare un francese in una lista di Monchi, un direttore sportivo che conosce a menadito la Ligue 1. Thauvin ha una grande progressione palla al piede ed ha avuto una stagione molto produttiva a livello realizzativo (15 gol e 8 assist), ma rimane comunque un’incognita. Nonostante la giovane età (24 anni) ha già avuto un giro a vuoto con il Newcastle ed è difficile prevedere oggi la sua riuscita con una squadra come la Roma. Non è detto, però, che, dopo questa grande stagione con l’Olympique Marsiglia, non sia pronto all’esplosione definitiva.
Domenico Berardi
Fattibilità: 50%
Fascino: 50%
Berardi alla Roma farebbe contenti quasi tutti. Di Francesco, che si ritroverebbe un giocatore che ha già allenato e che a lui deve tutto. La Roma, che potrebbe puntare su uno dei talenti più promettenti dell'intero panorama italiano. Il Sassuolo, che continuerebbe a fare affari con una società con cui sta collaborando proficuamente da ormai alcuni anni. E soprattutto lo stesso Berardi, che potrebbe fare il salto nella grande squadra con la certezza di un posto da titolare. Bisogna vedere, però, quanto l'ala del Sassuolo sia davvero pronta a questo salto: Berardi viene da un Europeo Under 21 che non ha fugato i dubbi sulla sua consistenza tecnica e da una stagione piena di incognite, giocata a metà per motivi non ancora chiariti del tutto.
Jesus Manuel Corona
Fattibilità: 75%
Fascino: 55%
Corona è un’ala ambidestra del Porto dal dribbling ubriacante che dà costantemente la sensazione di poter fare una giocata spettacolare (come hanno visto loro malgrado i tifosi della Roma la scorsa estate durante i preliminari). Il prezzo sarebbe inoltre trattabile verso il basso, dato che il Porto sembra meno intransigente rispetto agli scorsi anni. Insomma, potremmo essere davanti al matrimonio perfetto: la Roma ha bisogno di Corona tanto quanto Corona ha bisogno della Roma per provare ad emergere definitivamente nel calcio europeo.
Quincy Promes
Fattibilità: 85%
Fascino: 35%
Promes è un’ala veloce, praticamente ambidestra e tecnicamente perfetta per il ruolo, che ha fantasia e visione di gioco per poter fare affermarsi anche in Serie A, non essendo nemmeno limitato all’atletismo. A quanto pare, lo Spartak Mosca per lui chiede una cifra intorno ai 20 milioni, dopo averne spesi 12 per prenderlo tre anni fa. Una cifra forse eccessiva per quella che rimarrebbe comunque una scommessa.
Theo Hernandez è ufficialmente un nuovo giocatore del Real Madrid
[Mercoledì 5, pomeriggio]
Theo Hernandez quest'anno ha giocato al Deportivo Alavés in prestito dall'Atletico Madrid. Si è rivelato come uno dei migliori terzini della Liga e la lunga mano del Real è arrivata, pagando 30 milioni di euro ai cugini dell'Atletico Madrid. Di lui aveva scritto Daniele V. Morrone nel recente Top XI sulla Liga spagnola Ecco il contributo a lui dedicato.
Arrivato in prestito come “fratello di Lucas Hernández”, Theo ha stupito per l’importanza ricoperta nel gioco della sua squadra (che ha chiuso nona da neopromossa: vera sorpresa della Liga) e per le sue prestazioni in alcune grandi partite. L’Alavés difendeva con un blocco molto basso e, una volta recuperata palla, Hernandez doveva far guadagnare metri alla squadra attraverso la forza atletica delle sue transizioni.
Col tempo ha anche affinato le letture, riuscendo ad entrare in campo e a muoversi negli spazi di mezzo. Una caratteristica non così comune per un terzino diciannovenne.
Pur essendo un terzino, se Theo non gira tutto il sistema offensivo della sua squadra si inceppa, arenandolo nel velleitario lancio lungo verso la punta. Se Theo funziona diventa invece un ariete lanciato verso le mura nemiche. Non è un caso se il Real Madrid si sia subito attivato andando addirittura a parlare con i rivali dell’Atlético che ne detengono il cartellino pur di farne l’erede di Marcelo.
Coccodrilli: Ciao Luis
di Fabrizio Gabrielli
[Mercoledì 5, pomeriggio]
Se ne va in un posto migliore, Luis Fernando Muriel Fruto. Ammesso che la Spagna, e La Liga, siano un posto migliore tout court. Forse, per lui sì.
Ci lascia dopo sei anni di carriera italiana, mai troppo celebrato, piuttosto masticato, triturato dalle polemiche e dallo scetticismo, ma comunque sempre in qualche modo preservato, come un frammento di pasta madre che ha fallito qualche lievitazione ma nel quale continuiamo a nutrire fiducia, e ad aspettarci un exploit.
È arrivato a Lecce preceduto da una fanfara che ne annunciava soprannomi altisonanti: il killer instinct dimostrato dalle reti a raffica con il Deportivo Cali, la rapidità e il controllo di palla videogiochistico messo in mostra in un Mondiale U20 squillante disputato in patria, avevano fatto di lui il nuovo Ronaldo. Forse, come scrive Tommaso Giagni in un bel ritratto apparso su queste pagine, in quegli anni «avevamo tutti bisogno di distinguere una forma di Ronaldo (il Fenomeno) sopravvissuta al suo ritiro».
Col senno di poi, l’incostanza e la ripetitività della combo accelerazione-dribbling a rientrare-tiro in ogni caso avrebbe reso più calzante il secondo soprannome, più underground e hipster, de El Valenciano, distillato dalle reminiscenze di Adolfo Valencia, detto "El Tren".
Portava in dote un’esplosività suo malgrado: incontrollabili, quasi superiori alla sua capacità di controllo, la tecnica e la velocità annichilivano, prima degli avversari, Muriel stesso.
Piangono la sua dipartita con gioiosa compartecipazione, come si usa nell’America del Caribe e nel Salento, i tifosi del Lecce, primi tra i primi a godere delle sue accelerazioni sfrontate, dei solipsismi intestarditi, delle folate chiuse con dribbling dall’angolo strettissimo, e per questo sfavillanti. Definiva i dribbling i momenti di maggiore felicità all’interno di una partita. Ma anche i tiri da 30 metri gli uscivan fuori niente male.
Ne annunciano con asburgico distacco la migrazione i tifosi dell’Udinese, mai troppo innamorati, innervositi dalla facilità con cui prendeva peso nelle pause estive, le smaltiva a inizio stagione, per ripiombare poi in una coltre di abulia con cui conviveva fino a fine stagione. Guidolin, senza mezzi termini, gli intimò di darsi una regolata: era l’estate del 2012, lo lasciò fuori dalla doppia gara di preliminari di Champions League ufficialmente per un affaticamento muscolare e andò a finire che un rigore che avrebbe potuto calciare lui, invece, toccò in sorte a Maicosuel.
Su questo aspetto ha lavorato, maturando con gli anni: el Toto Berizzo se lo ritroverà in forma, perché tra le bancarelle della festa patronale di Santo Tomas non si sbocconcellano solo frittelle di platano, si può anche fare jogging.
A Udine si è trasformato da uomo assist a esterno d’attacco con una buona propensione al gol, seconda solo a quella di Di Natale, che era sempre, e pur sempre, Di Natale, però.
Gli tributano un addio inconsolabile i tifosi della Samp, che l’hanno accolto nel gennaio di due anni fa, in piena parentesi Letargo Di Muriel™, salvo riscoprirselo decisivo tra le mani di Mihajlovic e Giampaolo.
Ci mancheranno le sue mirabilie balistiche, l’irriverenza dei dribbling a rientrare, quelle accelerazioni in campo aperto verso muri invisibili che era capace di abbattere, a volte, e a volte no. Ripenseremo con nostalgia ai suoi trick e all’estrema ma sublime concretezza, alla bellezza limpida di questo gol segnato ad agosto, in piena parentesi Esplosione Di Muriel™, contro l’Empoli: primo controllo leggiadro, affondo, gambeta e saetta sul primo palo.
Perdendo Muriel la Serie A saluta con mestizia un calciatore che portava in grembo un cliché e la sua panacea: gli abbiamo affibbiato l’indolenza associata alla pigrizia tipica dei Caraibi, e lui ha imparato a disamorarsi del suo ego, ad asservirlo alla squadra, ad elevare l’esperienza del dribbling e del gesto tecnico a un fine associativo, spogliandola della retorica del Tiro A Tutti I Costi: nell’ultima stagione ha realizzato, oltre a 11 reti, 9 assist. Da finalizzatore si è trasformato in vera e propria rompighiaccio.
A Siviglia riempirà il buco narrativo, e ci auguriamo per lui il gap di trofei, lasciato incompleto da Bacca: entrambi trasferiti dall’entroterra a Barranquilla, entrambi alle prese con biglietti di mezzi pubblici e pomeriggi al banchetto dei fritti di nonna. Entrambi con l’Italia nel destino.
Ciao Luis Fernando, che l’erba del Sánchez-Pizjuán ti sia lieve.
6 azioni per capire Adam Marusic
di Emanuele Atturo
[Mercoledì 5, mattina]
Come da tradizione, in una giornata sbiadita di inizio calciomercato è arrivato l’acquisto del terzino della Lazio. Quasi sempre un giocatore anonimo, che arriva a fari spenti e che davanti a lui ha un range di possibilità di riuscita che va da Patric a Kolarov. Adam Marusic è solo un tappabuchi preso a bassocosto, a malapena adeguato alla Serie A, un potenziale fenomeno o una banale via di mezzo?
È la cosa che si stanno chiedendo i tifosi della Lazio, ma anche tutti gli allenatori di Fantacalcio che cercano scommesse a basso prezzo. È la cosa che mi stavo chiedendo anch’io, che non avevo francamente mai visto giocare Marusic e che ho provato a rimediare ieri. Ho raccolto delle azioni di Marusic e le ho classificate all’interno di un quadrato ai cui vertici ci sono terzini della Lazio che rappresentano i vari futuri possibili di Adam Marusic. Proviamo, insieme, a capirci qualcosa.
Diagonale ok
Due indizi che Marusic sia un acquisto sensato.
Viene dal Belgio, dove di solito Tare compra molto bene (Milinkovic-Savic, Biglia).
La Lazio lo ha pagato 6,5: non una cifra alta in assoluto, ma relativamente alta per una società col braccino corto come la Lazio.
Eccovi subito una gif di grande solidità: Marusic fa bene una diagonale difensiva in chiusura su un attaccante che cerca di arrivare al tiro. Una bella diagonale, che magari non fa sognare ma che pone Marusic nella zona del diagramma dell’affidabilità.
Vince due contrasti e parte in conduzione
Alziamo le aspettative con un’azione che dovrebbe entusiasmare i tifosi della Lazio. Marusic, fatto di amianto, vince due contrasti come fosse l’unico là in mezzo ad avere un minimo di decisione. Poi parte in conduzione palla in fretta. Marusic è uno di quei giocatori che provano sempre ad alzare i ritmi di gioco, perché più aumenta l’intensità generale e più i loro pregi vengono esaltati.
Distrugge due avversari
Si capisce quindi che una delle migliori qualità di Marusic è la forza fisica. Il terzino preso dall’Oostende, classe 1992, nato a Belgrado ma con cittadinanza montenegrina, è alto 1 metro e 85 secondo Wikipedia. Ha un fisico compatto, gli avversari sembrano davvero in difficoltà a contendergli il pallone quando gli spazi si restringono, ma è anche piuttosto veloce. Nei primi metri non è esplosivo ma compensa con un buon uso del corpo, poi quando prende velocità non è semplicissimo da fermare. L’onnipotenza fisica e tecnica in questa precisa azione, devo dire, ricorda un po’ il Kolarov della Lazio.
Un cross per farvi rimanere coi piedi per terra
Però non bisogna illudere i tifosi. Marusic non è Kolarov e i suoi limiti tecnici sono abbastanza grossi. Se in conduzione palla al piede è temibile, quando deve dare prova di sensibilità non è eccellente. Non ha un piede molto dolce, i suoi cross non sono molto più che scolastici e va fuori giri facilmente. Qui sbaglia l’esecuzione di 30 metri, in quest’altro caso di 50. Cross che lo fanno riavvicinare alla zona Patric.
Buchi difensivi per deprimervi un po’
Marusic ha anche dei limiti difensivi abbastanza profondi. Il nuovo terzino della Lazio ha iniziato la carriera da attaccante ed è stato progressivamente abbassato sulla linea difensiva, dove ha giocato come terzino destro ma anche sinistro. Quando deve stare dal lato sinistro difende con una certa difficoltà; qui si fa scappare l’uomo all’interno ad esempio; qui è in una posizione ambigua e capisce in ritardo il pericolo: un passaggio più preciso avrebbe spalancato le porte all’avversario. Nella gif in alto, però, quello che mi pare essere il suo difetto principale: il fatto che non ha sempre distanze ottimali nei confronti del diretto avversario: lì gli concede il tiro con troppa facilità (quello si inventa un gol assurdo, ok), ma anche da destra, quando puntato, si porta l’attaccante fino a dentro casa.
Un assist di sinistro
Sia offensivamente che difensivamente Marusic non è un giocatore preciso. Non ha un piede molto sensibile, prende delle scelte condizionate dai suoi limiti tecnici (in questo caso fatica a usare il sinistro e si arriccia su sé stesso) e non è creativo. Però è un giocatore molto dinamico, forte fisicamente e duttile: tutte qualità che si incastrano alla perfezione nella Lazio, una squadra che ama difendere in un campo piccolo e attaccare in un campo grande. Con tutti i metri che i biancocelesti devono risalire giocatori come Basta, Lulic (oltre che Keita, Anderson e Immobile) sono fondamentali. Come lo sarà anche Marusic, che ha un’ottima progressione palla al piede abbinata a una discreta qualità di calcio.
La Lazio lo potrà usare come terzino destro di una difesa a quattro, ma soprattutto come esterno - destro o sinistro - di un centrocampo a 5, avvicinandolo a volte anche alla linea degli attaccanti. In questo senso, a lungo andare, Marusic potrà dare respiro e/o sostituire il profilo tecnico di Lulic, a cui la Lazio chiede sempre un enorme dispendio di energie. Come Lulic potrà assicurare lunghe corse in mezzo al campo, duttilità e intelligenza. Non è mai semplice leggere gli acquisti di Tare, ma Marusic può essere inserito nella categoria degli “affidabili”.
Coccodrilli - Antonio Rüdiger
di Daniele Manusia
[Martedì 4, pomeriggio]
È arrivato in Italia senza troppo rumore, se ne è andato tra le grida di disperazione di una tifoseria intera: quanti giocatori possono dire altrettanto dopo appena due anni in Serie A?
Antonio Rüdiger si è presentato al pubblico italiano nell’estate del 2015, operato da poco al menisco ma con in bocca già parole come “Scudetto” e “titoli”. Veniva dallo Stoccarda, era nel giro della Nazionale, ma lo conoscevano in pochi. Appariva sicuro dei propri mezzi, forse troppo per un ventiduenne centrale appena arrivato in un Paese così fiero di aver prodotto tra i migliori difensori al mondo. Quando gli chiedevano in cosa sarebbe dovuto migliorare rispondeva: “Potrei segnare più gol”.
Ricordiamolo, soprattutto, come un giocatore ambizioso e mai banale.
Oggi ci saluta per l’Inghilterra, senza aver alzato neanche un trofeo con la maglia della Roma, ma non senza essersi fatto conoscere da tutti. Per il carattere estroverso - faceva un ottimo Twitter e un Instagram ancora migliore - ma anche per il carisma mostrato in campo. Due stagioni inframezzate da un secondo infortunio al ginocchio più grave del primo (legamenti), che però tra momenti più belli e altri difficili ne hanno certificato il valore. Se Rüdiger è cresciuto in questi anni - ed è cresciuto - lo ha fatto senza cambiare molto.
Basta rileggere la descrizione che ne faceva Dario Saltari due anni fa su queste pagine: “Sembra essere quasi insuperabile quando la palla è ancora potenzialmente contesa (duelli aerei, copertura della profondità, anticipi) mentre soffre ancora quando deve interpretare situazioni in cui sono gli avversari a decidere l’andamento del gioco (dribbling, uno contro uno, previsione delle linee di passaggio)”.
Antonio Rüdiger è ancora più o meno questo giocatore qui.
Non che questi due anni siano passati invano: ha duellato con alcuni tra i migliori attaccanti del campionato ad armi pari, aumentando la propria consapevolezza, scontrandosi con - e quindi conoscendo - i propri limiti.
Di Insigne ha detto (proprio a Dario Saltari, in una delle sue ultime interviste rilasciate in Italia): “Non riuscivo a prenderlo”. Ma di lui ricordiamo anche i duelli persi in velocità con giocatori, come Keita Balde, quelli aerei persi con giocatori più fisici di lui, come Mandzukic e Milinkovic Savic, e in generale tutte quelle sbavature che fanno di lui un giocatore ancora lontano dalla perfezione.
Ricordiamo anche le oscillazioni della sua qualità con la palla tra i piedi. Un talento tecnico che gli permetteva di giocare anche come terzino destro, o come centrale di difesa a sinistra, con la capacità di impostare anche nella metà campo avversaria; che però lo portava anche ad esagerare.
Difetti che, però, contribuiranno a fare di lui un giocatore via via più attento e prudente. Se è vero, come sembra dalle sue dichiarazioni, che Rüdiger dà grande valore all’esperienza: “Qualche volta sono troppo aggressivo, altre volte magari aspetto troppo: devi sempre trovare la via di mezzo. Sono ancora giovane e devo migliorarmi in tutto. Verrà con le partite”.
Crescere = saper scegliere tra le opzioni a disposizione.
Non resta che chiedersi: Antonio Rüdiger è pronto per la Premier League? È pronto per i campioni in carica del Chelsea? Come si adatterà al gioco di Conte? Se ne è andato troppo presto?
Cercato a quanto pare già dalla scorsa estate (prima dell’infortunio) è finito al Chelsea come effetto collaterale dell’affaire Manolas, spingendo a sua volta il giovane olandese Nathan Aké al Bournemouth. Gli osservatori inglesi non sembrano convinti (per Ted Knutson di Statsbomb il Chelsea avrebbe fatto meglio addirittura a tenere il difensore olandese) e neanche i tifosi “Blues” hanno mostrato grande stima nei suoi confronti.
Rüdiger forse non sarà mai un calciatore perfetto, ma a ventiquattro anni, nel giro di due stagioni, è diventato uno dei difensori più duttili e interessanti della Serie A. Tolte le doti fisiche oggettivamente sopra alla media e l’aggressività in marcatura che lo rendono - in teoria - adatto al gioco di Antonio Conte, al momento la sua dote migliore è la duttilità. La polivalenza che gli permette di giocare in 3 o 4 ruoli diversi (centrale destro, sinistro e terzino; nella Roma ha giocato persino come laterale a tutta fascia) anche a partita in corsa, cambiando interpretazione anche da una fase di gioco all’altra.
Infine, non può non avere valore il dispiacere che stanno mostrando i tifosi della Roma in questi giorni. Moltissimi avrebbero preferito tenere lui e non Manolas - uno dei centrali marcatori più esplosivi e dominatori in circolazione - e non solo per l’affetto che provano per il “personaggio” Rüdiger.
In un certo senso la tristezza della tifoseria lasciata, nel circo del calciomercato in cui interessi diversi e conflittuali entrano in gioco rendendo difficili le nostre interpretazioni, è il giudizio di valore più autentico che si possa avere.
Bonus: playlist da ascoltare per esorcizzare la tristezza di un calciatore che se ne va (dedicata a Rüdiger).
Borini, la bestia
di Emanuele Atturo
[Martedì 4, mattina]
Una settimana fa avevo scritto di Fabio Borini, ricordando quali sono le caratteristiche ci avrebbe fatto piacere ritrovare in Serie A. Quelle che rendono Borini un giocatore speciale nonostante un talento calcistico particolarmente evidente.
Nel frattempo molto è cambiato: Borini non è più andato alla Lazio ma al Milan e nel frattempo è diventato uno dei migliori attaccanti al mondo, un mostro di tecnica e forza fisica. Per capire meglio di cosa sto parlando ho costruito un quiz. Qui sotto dovete indovinare quale frase, detta o scritta, su Fabio Borini negli ultimi giorni è vera e quale è falsa. Sotto trovate le soluzioni. Pronti? Cominciamo.
“A Milanello era da 20 anni che non vedevano un fisico così bestiale, agile e potente”
“Tra i centravanti la sua esplosività è paragonabile solo a quella di Luis Suarez”.
“Borini? Dà la vita per la propria squadra. Quando si hanno simili profili, si ottengono sempre risultati superiori alle aspettative”.
“Per Borini il Milan potrebbe diventare un ottimo trampolino di lancio per la Nazionale”.
“Può togliere la maglia da titolare a Suso”.
“A inizio calciomercato il Milan cercava un giocatore come Belotti e l’acquisto di Borini va in quella direzione. Tenendo conto del rapporto qualità prezzo possiamo dire che non è andata poi così male”.
“Tutti gli allenatori vorrebbero avere uno come lui”.
“Borini ha impressionato così tanto lo staff del Milan che ora i dirigenti stanno pensando di abbandonare la pista Kalinic e dargli la maglia da titolare accanto ad André Silva”.
Soluzioni
Vero.
Falso.
Vero.
Falso.
Vero.
Falso.
Vero.
Falso.
7 sostituti di Alex Sandro alla Juventus
di Marco d'Ottavi
[Lunedì 3, pomeriggio]
Sono sempre più insistenti le voci secondo cui la Juventus starebbe per cedere Alex Sandro al Chelsea per una somma vicina ai 70 milioni di euro. L’eventuale cessione del terzino brasiliano porterebbe nelle casse un enorme plusvalenza - Alex Sandro è stato pagato 26 milioni due anni fa - ma allo stesso tempo lascerebbe un vuoto altrettanto enorme sulla fascia sinistra. Non è facile infatti individuare un sostituto all’altezza su cui i bianconeri possono mettere le mani facilmente: i terzini forti sono come gli unicorni e chi ce li ha se li tiene ben stretti. Escludendo quindi i nomi irraggiungibili, quali sono i sostituti di cui si parla per una squadra con le ambizioni della Juventus?
Mattia De Sciglio
Mattia De Sciglio rientrerebbe nella tradizione bianconera di comprare difensori italiani di prospettiva. Il problema è che De Sciglio era di prospettiva, ma la sua crescita sembra essersi rallentata in maniera evidente. I suoi pregi, ma soprattutto i suoi difetti, sono piuttosto evidenti ed è difficile immaginare come possa sostituire l’apporto di Alex Sandro nel gioco della Juventus. De Sciglio sarebbe una soluzione di compromesso, con la speranza che in mano ad Allegri e lontano dalle difficoltà trovate a Milano possa tornare ad assere il giocatore che ci saremmo immaginati all’inizio della sua carriera.
Raphael Guerreiro
Raphael Guerreiro non è neanche più un terzino. Non ha più ruolo, già appartiene ad una categoria di giocatori del futuro, molto più fluida come interpretazione del ruolo. Tra tutti i nomi accostati alla Juventus è probabilmente quello più adatto ad un calcio associativo, ma non credo sia ancora pronto al gioco di Allegri. O forse è Allegri a non essere pronto al gioco di Guerreiro.
Leonardo Spinazzola
È la soluzione cresciuta in casa, come il basilico in balcone, che permetterebbe di dirottare tutti i soldi guadagnati dalla cessione di Alex Sandro altrove. Dando per scontato che Allegri deciderà di continuare con il modulo dello scorso anno, o comunque con una difesa a 4, la sua scelta comporterebbe alcuni evidenti limiti. Spinazzola nasce come attaccante esterno e solo nel Perugia in Serie B ha giocato qualche partita da terzino puro in una difesa a 4. La sua esplosione è arrivata poi nel ruolo che ad oggi sembra calzargli di più, quello di esterno a tutta fascia, che nell’Atalanta di Gasperini ha svolto benissimo. Spinazzola è molto veloce, ha una grande facilità nel saltare l’uomo e nell’inserirsi negli spazi, ma ad oggi deve imparare quasi totalmente la fase difensiva. Come già successo con Alex Sandro, Allegri dovrebbe passare del tempo ad educarlo tatticamente, insegnargli dei movimenti che oggi non sembrano i suoi. Fisicamente poi Spinazzola sembra un po’ leggero per il ruolo, anche se ha dimostrato di poter sopperire con un’intensità non comune. Leonardo Spinazzola ha giocato una sola stagione importante e non ha esperienza ad alto livello. Non è facile immaginarlo titolare nella Juventus da questa stagione. Potrebbe essere la soluzione migliore da far crescere alle spalle di Alex Sandro per almeno un anno.
José Luis Gayà
Stranamente non è stato (ancora) accostato il nome di Gayà alla Juventus. Eppure lo spagnolo è uno dei terzini sinistri più promettenti della sua generazione (è un classe ‘95). Come i suoi predecessori nel Valencia Bernat e Jordi Alba, Gayà ha una naturale inclinazione ad attaccare. È un terzino che spinge molto, è tecnicamente molto valido e sarebbe in grado di interpretare il ruolo in maniera molto moderna anche grazie ad una velocità non comune. Se Allegri dovesse continuare con Mandzukic esterno sinistro che tende ad entrare nel campo, le qualità di Gayà sarebbero perfette per gli spazi lasciati liberi dal croato. Pur giovanissimo, poi, è titolare nel Valencia da tre anni ed ha quindi accumulato diversa esperienza in un campionato importante come la Liga. Dopo un inizio di carriera fulminante il terzino spagnolo ha però avuto una leggera flessione, ma non bisogna nemmeno dimenticare le ultime stagioni horror del Valencia.
Matteo Darmian
Tra i nomi che circolano Matteo Darmian è sicuramente quello più pronto difensivamente. Cresciuto come centrale, da terzino ha visto salire le proprie quotazioni giorno per giorno, fino all’approdo al Manchester United. In Inghilterra ha perso un po’ di fiducia dopo essere finito per un periodo ai margini della squadra. Anche a causa dei molti infortuni ha riconquistato il posto e non è detto che Mourinho lo cederebbe così volentieri. Se però negli occhi avete la sua ultima stagione al Torino, Darmian è un terzino fantastico. Molto forte nelle coperture e nell’uno contro uno difensivo, grazie a Ventura è diventato anche un buon terzino di spinta. Darmian porterebbe anche una certa duttilità, avendo giocato sia a destra che a sinistra e potendo anche occupare il ruolo di centrale in una difesa a tre. Sicuramente sarebbe una scelta più conservativa: Darmian non ha le capacità offensive di Alex Sandro, ma garantirebbe una copertura di alto livello.
Emerson Palmieri
Emerson Palmieri rientrerebbe nel canone oramai consolidato per il quale la Juventus cede all’estero e poi fa la voce grossa nel mercato interno. Palmieri è sicuramente il terzino sinistro che più si è messo in luce in questa stagione di A, e le sue caratteristiche tecniche lo avvicinano in qualche modo ad Alex Sandro. Questa è un’opzione soprattutto se la Juventus ha pazienza di aspettarlo, visto l’infortunio al legamento subito nell’ultima partita di A. Ma Emerson è giovane e potrebbe presto diventare uno dei migliori.
Benjamin Mendy
Benjamin Mendy è forse il profilo che più si avvicina ad Alex Sandro. Il francese non ha nulla da invidiargli né come forza fisica né nella conduzione della palla. Sebbene non abbia la qualità di Sandro nel saltare l’uomo e nell’accentrarsi per giocare il pallone, non ha particolari limiti in fase offensiva, anzi. Nel Monaco gli era richiesto di interpretare il ruolo in maniera estremamente offensiva e lo ha fatto in maniere più che egregia, grazie anche ad un piede abbastanza educato. Proprio per tutte queste qualità, Mendy è cercato da molte squadre e il prezzo del suo cartellino sta lievitando. Il suo acquisto richiederebbe quindi uno sforzo economico importante, ma sicuramente sensato qualora Juventus riuscisse a monetizzare al massimo la vendita di Alex Sandro.
5 grandi gol dalla distanza di Hakan Calhanoglu
di Federico Aquè
[Lunedì 3, mattina]
Sono tanti i motivi per cui Hakan Calhanoglu si è prestato quasi naturalmente a diventare un feticcio per appassionati. Il più evidente di tutti è che calcia in maniera stupenda: anche chi lo conosce poco avrà probabilmente visto almeno una volta il suo gol più famoso - questo tiro da centrocampo contro il Borussia Dortmund in cui la palla cambia continuamente direzione e si abbassa all’ultimo sorprendendo Weidenfeller. Il trasferimento del turco al Milan ha risvegliato emozioni affievolite dal declino del sistema di Roger Schmidt (attualmente in esilio in Cina, al Beijing Guoan) e dalla squalifica di 4 mesi (per via di un contratto di trasferimento al Trabzonspor non rispettato) che gli ha fatto perdere la seconda parte della scorsa stagione. E ci offre un motivo per ammirare di nuovo il suo incredibile modo di calciare il pallone.
5. Gol con l’Amburgo al Bayern Monaco
Pur partendo spesso dall’esterno, Calhanoglu non è uno specialista dei tiri a giro sul secondo palo. Preferisce invece i tiri potenti, spesso di collo, come in questo gol segnato al Bayern Monaco quando ancora vestiva la maglia dell’Amburgo. Il turco riceve smarcato a sinistra, rientra sul destro saltando Lahm e poi mira l’angolino basso piuttosto che quello alto, facendo scivolare il pallone sull’erba con una velocità e una precisione che rende inutile il tentativo di parata di Manuel Neuer.
4. Gol col Bayer al Borussia M’Gladbach
Una tipica azione del Bayer di Schmidt: rilancio del portiere a cercare la testa di Kiessling, sponda per Calhanoglu e ricerca immediata del tiro in porta. Il sistema dell’allenatore tedesco spingeva il suo numero 10 a calciare in porta in maniera quasi ossessiva e spesso Calhanoglu ha segnato grazie a una deviazione. Qui, ad esempio, il tocco del difensore disegna una traiettoria perfetta, che sorprende il portiere con una specie di pallonetto.
3. Gol col Bayer all’Atlético Madrid
Calhanoglu non si accontenta di segnare, ma prova spesso a sfondare la porta: è evidente che quando tira si fidi più di tutto della potenza che riesce a imprimere al pallone. Il turco ha segnato all’Atlético Madrid uno dei gol più importanti della sua carriera, durante gli ottavi di finale della Champions League 2014/15. Quando riceve da Bellarabi si sta sovrapponendo esternamente e ha lo specchio di porta ridotto. Non è una grossa limitazione: Calhanoglu tira fortissimo sopra la testa di Moyà e consegna la vittoria al Bayer.
2. Gol col Bayer al Darmstadt
A proposito di tiri forti con lo specchio di porta ridotto. In questo caso Calhanoglu riceve praticamente sul vertice destro dell’area di rigore e ha tre giocatori davanti a occupare la possibile traiettoria verso la porta. Eppure sceglie di calciare, coordinandosi con una velocità che indica quanto abbia interiorizzato il gesto: incrociare con il collo interno è così naturale per lui che l’esito sembra scontato. La palla tocca il palo più lontano ed entra in rete.
1. Gol con la Turchia all’Austria
Arriviamo al pezzo forte: i calci di punizione. Calhanoglu è uno dei migliori specialisti al mondo e sulle sue punizioni esiste un’ampia letteratura: a giro sopra la barriera, a lato della barriera, di potenza da 40 metri, fintando un cross da posizione defilata, di potenza sul palo del portiere. Ho scelto questa segnata in Nazionale contro l’Austria non solo per il coefficiente di difficoltà e per la pulizia della traiettoria, ma soprattutto per il terrore che Calhanoglu è in grado di generare quando si appresta a tirare una punizione. Il portiere austriaco piazza un uomo sul palo dietro la barriera prevedendo il tiro di Calhanoglu, poi però l’inserimento in area dei turchi costringe il difensore ad abbandonare la porta e a tornare affannosamente indietro per provare a intercettare il tiro. La palla invece lo pettina e finisce in porta.
Coccodrilli - Federico Dimarco al Sion
di Francesco Lisanti
[Venerdì 30, mattina]
Avevamo appena cominciato a conoscerlo e Federico Dimarco se ne è già andato. Vittima del grande orologio delle plusvalenze sulla credenza di casa Sabatini, con la sveglia fissata sul fatidico 30 giugno per ricordargli lo “stop alle cessioni”, perché un altro bilancio se n'è andato, e ormai è già tempo di pensare al prossimo.
Con il suo "sacrificio" pare che l’Inter sia infine riuscita ad aggiungere a ricavi i 30 milioni dalle plusvalenze necessari a rientrare nei vincoli UEFA: ed è stato possibile - anche al netto di alcune cessioni mancate come quelle di Ranocchia e Biabiany - proprio con la valorizzazione (in senso letterale) di numerosi giovani del vivaio, ceduti un po’ ovunque, con clausola per il riacquisto nei casi più promettenti.
È un modus operandi di evidente firma Sabatini, che a Roma ha sparso per la provincia italiana i vari Pellegrini, Ricci, Politano, Mazzitelli, Viviani, Verre, Caprari (ironicamente appena rivenduto, ancora da Sabatini). L’unica alternativa percorribile, in fondo, sarebbe stata vendere un pezzo pregiato come Perisic. E forse Sabatini, che ha un cuore ma anche dei datori di lavoro, si è mosso di conseguenza alle indicazioni ricevute... così, proprio mentre setacciava il mercato alla ricerca di terzini per la prima squadra, il direttore tecnico è stato costretto a cedere i terzini più promettenti tra quelli cresciuti in casa, tra cui spicca il nome di Federico Dimarco.
Dimarco è andato all’FC Sion, per 4 milioni. In Svizzera, così giovane. Ha detto che spera sia solo un arrivederci, tornerà? Ha detto anche che ha scelto la squadra svizzera per il modulo e la fiducia nelle parole del suo prossimo allenatore, Tramezzani. A metà campionato avevamo scritto che l’impatto di Dimarco tra i professionisti aveva palesato dei limiti atletici evidenti, espressi da quella generale stanchezza con cui trascinava le leve corte e il fisico massiccio. Mentre l’Empoli calava a picco lungo la classifica ha trovato poco spazio, anche se non ha smesso di regalare perle a tutte le altezze del campo.
Ci mancherà la sensibilità con cui si sistema sulle linee di passaggio e legge i movimenti in corsa dei compagni.
È stato impiegato da terzino, in alcuni casi anche da interno di centrocampo, un ruolo verso il quale potrebbe evolversi con il passare degli anni. Con l’Italia U20 si è inserito in corsa, con il torneo già iniziato, ha giocato sia terzino che esterno alto a sinistra, e ha deciso un quarto di finale mondiale con due calci piazzati. È evidentemente molto più bravo degli altri a trattare il pallone, ma questo ancora non è sufficiente a garantirgli un posto nelle rotazioni della Serie A, secondo l’opinione del mercato che lo ha valutato e lasciato andare.
I giocatori con la sensibilità tecnica di Dimarco, dovrebbero essere in grado di completare 50/60 passaggi a partita, e giocare in sistemi di gioco progettati per conservare il possesso la maggior parte del tempo. In particolare per i giocatori come Dimarco, che non riescono a esprimere quella sensibilità a un’intensità tale da poter dialogare al fianco dei più forti, ritrovarsi a vent’anni a lottare per evitare la retrocessione può rivelarsi particolarmente crudele.
Al di là della caratura del campionato in questione, va detto che l’FC Sion ha chiuso al quarto posto la stagione appena terminata, e poi ha annunciato l’ingaggio di Tramezzani, l’allenatore della squadra che è finita terza. È un progetto ambizioso, dichiaratamente votato al 3-4-3 e alla proposta offensiva, e che insomma, in ogni caso dovrebbe vincere un buon numero di partite, o anche solo fare più del 50% di possesso medio. Quella che sembrava una rinuncia, di Dimarco verso la Serie A o del mercato italiano nei suoi confronti, tutto sommato potrebbe rivelarsi una scelta lucida, negli interessi delle parti in causa...
Intanto però Dimarco ci mancherà, e sarà più difficile apprezzarne ogni settimana la bellezza. Non è detto che non sia anche questo un vantaggio per lui: potrà almeno iniziare a divertirsi tra i professionisti, per tornare in Italia una volta maturo. Pronto a soffrire.
Chi è Adam Ounas
di Dario Saltari
[Giovedì 29, mattina]
Il Napoli continua a fare un mercato tutto suo, fatto quasi esclusivamente di acquisti di giovani dal grande potenziale. D’altra parte i giovani sono una scommessa relativamente a basso rischio, almeno da un punto di vista finanziario: costano meno dei giocatori già affermati e possono generare grandi plusvalenze. Deve essere questo il pensiero che ha condotto Giuntoli da Adam Ounas, che si trasferisce da Bordeaux a Napoli per una cifra intorno ai 10 milioni di euro.
Ounas è un’ala mancina dall’ottima tecnica e dal fisico contenuto. Parliamo di circa 170 centimetri e 70 chili per un giocatore tra l’altro non particolarmente esplosivo. Ounas non brucia l’erba sotto i suoi piedi con lo scatto, e il suo dribbling, che è il fondamentale tecnico che lo caratterizza maggiormente (2,12 ogni 90 minuti l’anno scorso in Ligue 1), nasce dalla capacità di gestire il ritmo in corsa, di saper sorprendere con pause e strappi, aiutandosi anche con una discreta tecnica col piede debole.
Oltre al dribbling, Ounas ha una vocazione verticale molto spiccata: una sua azione tipica è quella di ricevere nel mezzo spazio di destra, girarsi verso la porta, e cercare col filtrante il taglio del compagno dietro alla difesa.
La volontà di incidere sul gioco è però anche uno dei principali limiti di Ounas. Senza palla non è particolarmente dinamico e chiede quasi sempre il pallone sui piedi, con lo scopo di creare gioco, dribblare o tirare dalla distanza (ha un buon tiro a giro col sinistro, però).
È difficile predire oggi l’utilizzo che Sarri farà di Ounas al Napoli, fermo restando che con ogni probabilità avrà un minutaggio molto limitato. L’ex giocatore del Bordeaux ha giocato sia a sinistra che a destra ma in questo senso è un giocatore molto diverso sia da Insigne che da Callejon. A sinistra, essendo mancino, avrà meno possibilità di venire centralmente per attaccare il mezzo spazio e associarsi con i centrocampisti, una cosa che comunque sa già fare molto bene. A destra, invece, farebbe esattamente il gioco che fa Insigne a sinistra: senza palla Ounas ha un gioco appena abbozzato e non ha certo l’istinto naturale di Callejon nell’attaccare il lato debole.
Prima delle incognite tecniche, che per un giocatore del ’96 possono risolversi in modi che nessuno può conoscere con precisione, sull’acquisto di Ounas pesano quindi degli interrogativi sul suo collocamento tattico. Teoricamente Sarri avrà un’opzione di gioco in più, con un giocatore diverso collocabile in due dei tre ruoli liberi nel tridente offensivo, ma è altamente improbabile, per non dire impossibile, che il tecnico toscano cambierà il suo modo di giocare per l’ultimo tra i giovani arrivati.
4 nomi per sostituire Lucas Biglia
di Dario Saltari
[Mercoledì 28, mattina]
Quest’estate la moda romana prevede che prima che inizi la campagna acquisti si debbano cedere a caro prezzo alcuni dei titolari. Per la Lazio i due uomini in questione sono Keita e Biglia, che hanno il contratto in scadenza tra un anno e a quanto pare non hanno intenzione di rinnovarlo. Sostituirli non sarà semplice, vista la qualità dei giocatori in questione e la disponibilità di alternative di pari livello sul mercato. Per fortuna di Tare, di seguito abbiamo messo cinque possibili sostituti del centrocampista argentino, ordinati in base a fattibilità, adattabilità al gioco di Inzaghi e futuribilità.
Maarten De Roon
Fattibilità: 70%
Adattabilità: 40%
Futuribilità: 60%
Dopo aver esordito in Serie A con l’Atalanta, De Roon ha passato un anno in Premier League con il Middlesbrough. La sua stagione è stata buona (5 gol tra Premier e FA Cup), in un campionato che ne ha esaltato il dinamismo e l’aggressività nell’aggredire gli avversari in avanti. Con lui al posto di Biglia la Lazio acquisterebbe in capacità di attaccare e difendere in campo lungo, ma perderebbe nella gestione del possesso corto e nella possibilità di avanzare sul campo palla a terra tagliando le linee avversarie.
Luiz Gustavo
Fattibilità: 55%
Adattabilità: 80%
Futuribilità: 10%
Un altro rimpiazzo di ottimo livello potrebbe essere Luiz Gustavo del Wolfsburg. Meno mobile e fisico di Gonalons, il centrocampista brasiliano ha però una grande visione di gioco, abbinata a una sensibilità tecnica non banale e una capacità di predire il gioco avversario di altissimo livello. Questo senza contare che, vista la carta d’identità (30 anni a luglio) e la scadenza del contratto nel prossimo anno, avrebbe un costo decisamente più contenuto.
Jordy Clasie
Fattibilità: 80%
Adattabilità: 50%
Futuribilità: 70%
Dopo essere esploso al Feyenoord, Jordy Clasie è passato al Southampton dove però le cose non sono andate benissimo. Il centrocampista olandese è finito gradualmente in panchina fino a non rientrare più nelle rotazioni forse pagando la fisicità non proprio spiccata o la scarsa abitudine a giocare ad alti ritmi. In ogni caso, rappresenterebbe un investimento diverso rispetto a Luiz Gustavo e Gonalons, con un investimento iniziale più basso ma un rischio potenziale ovviamente molto più alto, soprattutto calcolando che sarebbe la prima scelta per un ruolo nevralgico come quello del regista.
Joao Moutinho
Fattibilità: 20%
Adattabilità: 90%
Futuribilità: 5%
Nonostante quest’anno sia stato escluso dai titolari da Fabinho e Bakayoko, Moutinho ha comunque giocato un ruolo fondamentale nella stupefacente stagione del Monaco. Svantaggiato da un sistema di gioco basato più sulle transizioni e sulla conduzione del pallone che sul possesso, Moutinho nonostante l’età mantiene comunque una sensibilità tecnica unica nel gestire il possesso corto e nel far giocare meglio i propri compagni ordinandoli con il pallone. Per caratteristiche tecniche e fisiche probabilmente è il profilo che più ricalca quello di Biglia. Bisogna vedere quanto Jorge Mendes sia disposto a trasferirlo nella capitale.
5 nomi per l'esterno della Juventus
di Alfredo Giacobbe
[Lunedì 26, pomeriggio]
Non so se ve ne siete accorti, ma la Juventus sta cercando un esterno d’attacco. Ecco 5 nomi, tra quelli che stanno più o meno circolando, messi in ordine di fattibilità:
Douglas Costa
Quella che riguarda Douglas Costa sembra essere la trattativa più avanzata. L’ala brasiliana ha avuto un periodo complicato nel primo anno di gestione di Carlo Ancelotti al Bayern: i due infortuni all’alba della stagione lo hanno così condizionato che le presenze da titolare tra Bundesliga e Champions League arrivano appena a 18. Le caratteristiche di Douglas Costa sono note: è un’ala pura e, quando è messo in condizioni di isolamento contro il terzino avversario, può creare scompiglio grazie all’esplosività e alla tecnica di dribbling.
Al pari dei suoi pregi, sono noti i suoi difetti: Douglas Costa prende rischi eccessivi nell’uno contro uno e finisce per perdere molti palloni; non ama i ripiegamenti difensivi; non è lucido in certe scelte di gioco negli ultimi 30 metri di campo. Se volessimo forzare un paragone, potremmo dire che Douglas Costa è un Cuadrado “on steroids”: può costituire un’alternativa per il colombiano, ma anche per la posizione al momento occupata da Mario Mandzukic sul lato opposto.
Federico Bernardeschi
Alla notizia dell’interessamento della Juventus per Federico Bernardeschi, la piazza fiorentina si è spaccata: da un lato c’è chi ha evocato una sommossa di piazza simile a quella che si scatenò intorno all’affaire Baggio, nell’estate del 1990; dall’altro c’è chi, con ineguagliabile sagacia fiorentina, si è offerto di accompagnare Bernardeschi in auto a Torino, pur di incassare la lauta cifra proposta (40 milioni di euro secondo le indiscrezioni).
Se è vero che Bernardeschi è un giocatore da costruire, va detto che è uno dei migliori prospetti della sua generazione dal punto di vista tecnico e atletico. Bernardeschi è bravo soprattutto quando può entrare nel campo da destra per cercare il tiro o l’assist vincente col suo sinistro. Con Paulo Sousa ha trovato spazio sia come esterno largo a destra, in un ruolo in cui ha mostrato anche un notevole spirito di sacrificio, sia come trequartista centrale. C’è da battere la concorrenza dell’Inter, che sembra abbia puntato il giocatore dopo una precisa indicazione di Luciano Spalletti.
Keita Baldé
Qui entriamo in un terreno minato, perché Keita è un giocatore della Lazio, seppur all’ultimo anno di contratto, e non è mai facile sedere al tavolo con Claudio Lotito. Quale che sia il tavolo: negoziale (chiedete a Candreva) o da pranzo (chiedete a Leitner). Keita è un giocatore letale se ha campo da prendere e il sistema tattico messo in piedi da Simone Inzaghi sembrava cucito sulle sue caratteristiche. Andrebbe quindi valutato il suo inserimento in una squadra abituata a dominare il campo e ad attaccare con pochi spazi. A 22 anni, però, e con un contratto in scadenza, Keita rappresenta una di quelle opportunità di mercato che di solito il duo Marotta-Paratici raramente manca di cogliere.
Riyad Mahrez
Vicino al Barcellona e all’Arsenal più volte negli ultimi due anni, il nome di Riyad Mahrez è ora accostato alla Juventus. Difficile pensare che l’affare possa però andare in porto: il Leicester, come ogni società impegnata in Premier League, non ha bisogno di far cassa e per la Juventus sarà difficile spillare un prezzo abbordabile: la valutazione di Mahrez, del tutto indicativa, che fa il sito Transfermarkt.com è di 30 milioni di euro. Con una base d’asta così impegnativa, solo la volontà del giocatore potrebbe risultare decisiva per una conclusione positiva dell’affare.
Ivan Perisic
E va bene il processo di “bayernizzazione” della Juventus - oltre che di alienazione definitiva delle simpatie dei tifosi di ogni altra squadra italiana - ma con Perisic si rischia di esagerare. Dopo l’estate passata all’insegna delle clausole rescissorie, lo scippo di Perisic all’Inter sembra davvero un affare impossibile da concludere. Certamente per la rivalità storica tra le due squadre, che negli ultimi anni si è acuita ed ha avuto riverberi anche in sede di mercato. Ma anche perché Perisic è sembrato a lungo nelle mire di José Mourinho, che sarebbe arrivato ad offrire 50 milioni di euro per aggiungere il croato alla sua già pregiata collezione di trequartisti. Che sia solo un colpo di sole dei media a caccia di notizie, o che ci siano davvero margini di manovra per la Juventus, ce lo dirà solo l’estate.
5 caratteristiche di Fabio Borini che mancano alla Serie A
di Emanuele Atturo
[Lunedì 26, pomeriggio]
Fabio Borini sembra vicino a un ritorno in Italia. Lo cercano il Milan ma soprattutto la Lazio, che avrebbe in piedi una trattativa già a buon punto. Ci sono 5 cose che, ripensandoci, ci sono mancate di lui in questi anni di assenza dalla Serie A, passati a far perdere le tracce di sé in zone grigie del mondo.
I duelli fisici con i giocatori più grossi di lui
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Borini non potrebbe giocare a questi livelli non solo per i suoi piedi poco raffinati, ma anche per un fisico che sembra davvero senza punti di forza. Borini è alto 1 metro e 80, ha le spalle strette e non spicca in niente. Se non per una forza di volontà che riempie tutte le sue mancanze e gli permette di spostare letteralmente tutto ciò che si frappone tra lui e quello che vuole.
I suoi colpi estemporanei
In mezzo a questa generale inadeguatezza, Borini è comunque capace di tirare fuori qualche colpo incredibile che non sembra poter appartenere al suo bagaglio tecnico, tipo questo dribbling a rientrare che fa sembrare Walter Samuel uno scemo passato all’Olimpico per caso. O anche tipo questa punizione segnata con la maglia dello Swansea, prendendo una rincorsa frontale estremamente moderna. L’efficienza di Borini passa per qualcosa di intangibile, che scorre sotterraneo alle forze visibili di questa realtà. Per questa sua capacità di alternare disastri tecnici a colpi di genio, e per l’inclinazione a rendere al massimo in contesti disordinati, Borini a Roma era soprannominato “Er Caciara”, riflettendo un modo di dire molto usato in romanesco: “Buttalla in caciara”. Ovvero far perdere il filo del discorso, renderlo confuso, vischioso, finché non si sono persi tutti i punti di riferimento - creando un contesto che alla fine va a vantaggio dell’autore della “caciara”.
I tagli dietro i difensori
Cioè i movimenti che fanno le fortune degli attaccanti, specialmente di quelli che col pallone tra i piedi non si trovano esattamente a proprio agio. Borini sarebbe uno dei migliori giocatori di un calcio senza il pallone: i suoi tagli alle spalle delle difese sono sempre intelligenti, svelti ed eseguiti con tempismo.
I gol sulla riga di porta
Borini ha segnato davvero poco complessivamente. La sua migliore stagione resta quel paradossale 2011-2012 nella Roma di Luis Enrique, quando segnò 10 gol in 26 partite, a 20 anni, in un contesto tecnico-tattico assolutamente pazzo. Contandoli, di questi 10 gol almeno la metà sono arrivati a una distanza inferiore ai 20 cm dalla riga di porta. Il tipo di gol in cui il confine tra bravura e fortuna è più sottile.
L’esultanza col coltello fra i denti
Di gran lunga una delle migliori esultanze viste in Serie A negli ultimi anni. Pur non brillando per creatività, è molto rappresentativa dello stile di gioco di Fabio Borini, ovvero di un uomo che deve mettere a rischio i suoi organi interni in ogni partita per poter competere a quei livelli. Quando riesce a segnare Borini mostra il coltello fra i denti come a dire che tutto quello sbattersi è servito a qualcosa.
Coccodrilli - Mohamed Salah al Liverpool
di Dario Saltari
[Venerdì 23, mattino]
Mohamed Salah è tornato in Premier League, al Liverpool, per circa 50 milioni di euro. Se n’è andato dopo una lunga trattativa, che ci ha privato di uno dei migliori giocatori del nostro campionato. Ne danno la triste notizia i tifosi della Roma, il cui dolore, dopo 34 gol e 24 assist con la maglia giallorossa, non verrà certo lenito dalla fine dell’assillo del Financial Fair Play.
Salah ha squarciato la Serie A. Era arrivato a Firenze dopo essere stato scaricato da Mourinho e aveva subito messo sotto sopra il campionato: 9 gol e 4 assist in metà stagione, tra cui quelli meravigliosi e importantissimi contro Juventus e Tottenham.
Era così Salah, sembrava non potesse non lasciare un segno, nel bene e nel male, nonostante quel sorriso che sembrava inconsapevole. Dopo aver fatto innamorare di sé i tifosi della Fiorentina, li aveva lasciati senza troppe remore, a litigare sulla scrittura privata che gli avrebbe permesso di andare alla Roma. Li avrebbe fatti soffrire ancora, per ben tre volte.
Anche a Roma segnò subito, nel match di presentazione contro il Siviglia. Si impose come titolare imprescindibile, crescendo come giocatore soprattutto con l’arrivo di Spalletti. La sua affinità con il tecnico toscano sfiorava l’amore platonico: pochi giocatori si sono dimostrati capaci di attaccare il lato cieco con la sua precisione, esplosività e costanza. Anche la sua intesa tecnica con Dzeko ha raggiunto vette forse inarrivabili: 7 dei suoi 13 assist di quest’anno in Serie A hanno servito i gol del bosniaco. Nessun’altro ha servito così tanti assist ad un proprio compagno in questa stagione.
In campo si è dimostrato completo molto oltre alla sua accelerazione da Mercurio: il suo gioco spalle alla porta, la sua sensibilità tecnica e le sue capacità realizzative sono adesso al punto di poter affrontare un campionato competitivo come la Premier League, dove l’intensità finirà inevitabilmente per diluire il suo impatto fisico sulle partite.
Ci mancherai, Salah: avremo nostalgia dei tuoi strappi, dei tuoi tiri a giro di sinistro, delle tue esultanze contenute. Avremmo voluto vederti nel nostro campionato da giocatore affermato e completo, uno dei pochissimi capace di andare in doppia cifra per gol e assist, ma il dissesto finanziario del calcio italiano non ce l’ha permesso.
Come potrebbe risolversi la storia di Bonucci
di Marco D'Ottavi
[Giovedì 22, pomeriggio]
Da qualche giorno si discute con insistenza su cosa possa essere accaduto nello spogliatoio della Juventus tra il primo e il secondo tempo della finale di Cardiff. Le ricostruzioni giornalistiche parlano di un Bonucci scatenato, reo di aver chiesto il cambio di Barzagli, che non ha gradito, ma soprattutto di aver colpito Dybala con uno schiaffo.
Come già era successo dopo la lite con Allegri, anche questo episodio è diventato un pretesto per collocare il difensore sul mercato. Dopotutto non è una novità: da qualche anno Bonucci è uno dei giocatori della Juventus più richiesti e in alcuni momenti la sua cessione è sembrata molto vicina. La Juventus finora è riuscita a respingere tutti gli assalti al giocatore, ma alla luce di queste nuove rivelazioni può ancora trattenere il giocatore? Il nostro infiltrato nello spogliatoio della Juventus ci ha indicato i possibili modi in cui può finire questa storia.
1. Bonucci mette la dirigenza della Juventus davanti ad una scelta obbligata: o lui o Allegri e Dybala. La dirigenza preoccupata per la propria incolumità prende le parti del difensore e i due vengono sostituiti da Conte e Tevez, in un enorme déjà vu. Bonucci non mette le mani addosso a Tevez.
2. Bonucci va al Real Madrid. Sergio Ramos che non lo voleva gli piscia tutti i giorni negli scarpini, proprio il tipo di cosa che ti aspetti da quelli come Sergio Ramos. Bonucci però può fare lo stesso con James Rodriguez.
3. Bonucci rimane alla Juventus, Allegri rimane alla Juventus, Dybala rimane alla Juventus, ma si compra dello spray al peperoncino.
4. Bonucci va al Manchester City per un sacco di soldi dove ritrova Dani Alves. La sera parlano spesso di quando Bonucci ha menato a Dybala.
5. Bonucci dice che resta solo se gli danno la fascia di capitano. La Juventus allora cerca Donnarumma che però dice che viene solo se gli danno la fascia di capitano. Nella stagione 2017/18 la Juventus diventa la prima squadra a non avere un capitano. I tifosi della Roma ci fanno un coro sopra.
6. Bonucci diventa mental coach di Conor McGregor.
7. Bonucci va al Chelsea dove ritrova l’allenatore che lo ha trasformato nel giocatore che è oggi. Il sottile filo psicologico che tiene Conte sulla panchina dei Blues però si spezza e il tecnico viene esonerato. Il Chelsea lo sostituisce con Allegri, liberatosi dalla Juventus proprio dopo la cessione di Bonucci. Allegri si porta dietro Dybala. Si ricostruisce la stessa identica situazione, ma a questo punto è un problema dei tifosi del Chelsea.
8. Bonucci va al Barcellona e viene indagato dal fisco spagnolo.
9. Bonucci va al Milan, perché questo non è proprio l’anno dei tifosi milanisti sensibili.
10. Bonucci resta alla Juventus. Rugani che sperava di diventare finalmente titolare convince Dybala a mandare qualche scagnozzo strafatto di crack con un paio di pinze e una buona saldatrice a casa del difensore per riparare il torto subito. Bonucci diventa amico degli scagnozzi. Non sarà una buona stagione per Dybala.
11. Purtroppo non succede nulla (l’ipotesi più probabile oggi).
Mboula dal Barcellona al Monaco
di Daniele V. Morrone
[Giovedì 22, mattina]
Mentre il Barcellona sta cercando un esterno destro, il miglior esterno destro uscito dalla Masia ha ufficializzato il suo passaggio al Monaco. Considerata la politica del Barcellona sotto il presidente Bartomeu, che cerca i giocatori per la prima squadra fuori da casa propria, Jordi Mboula ha deciso di iniziare la sua carriera tra i professionisti fuori dalla Catalogna. Il Monaco ha speso 3 milioni per liberarlo, ma con la prospettiva di poterne incassare una plusvalenza forte nell’arco di un paio di anni. Mboula, da parte sua, conta di potersi giocare il posto da titolare lasciato vuoto da Bernardo Silva.
Jordi Mboula è nato in una città poco fuori Barcellona e ha fatto tutte le tappe delle giovanili; per capire di che giocatore stiamo parlando basta guardare questo gol segnato al Borussia Dortmund in Youth League.
Mboula si è formato calcisticamente nel solco dei princìpi del gioco di posizione. È un esterno perfetto per il tridente offensivo: è bravo a regalare ampiezza e superiorità numerica alla squadra partendo dalla linea laterale e saltando l’uomo con un’accelerazione impressionante sui primi passi. Ha un fisico asciutto, non ancora del tutto formato, e le spalle larghe che lo fanno sembrare più alto dei 183 cm.
Mboula ha una grande tecnica in conduzione e una certa creatività nell’invenzione della giocata da fermo. Il suo repertorio tecnico è vario e la prospettiva di saltare più uomini nella stessa azione raramente lo spaventa, anche se non è un dribblomane fine a sé stesso e cercare sempre di dare un senso alla superiorità numerica generata.
Abituato ad arrivare alla conclusione se vede la porta, a livello giovanile ha segnato con continuità (ha chiuso la Champions League giovanile con 8 reti segnate). C’è ancora da sistemare l’aspetto delle letture quando non riesce a saltare l’uomo, quando sembra un po’ arricciarsi su sé stesso, ma per essere un’ala di diciotto anni è molto avanti nel suo sviluppo, anche a livello mentale. Al Monaco dovrà affrontare un contesto decisamente più complicato, ma potrà partire da una base tecnica, fisica e mentale che pochi coetanei possono vantare per il ruolo.
Sicuramente con Mboula in campo cambierà il gioco sugli esterni del Monaco, che passerà dall'avere un rifinitore ad un’ala. Rispetto a Bernardo Silva parliamo di un esterno differente, meno attento alla conservazione del pallone e alla gestione dei ritmi di gioco, più offensivo e con più margini di miglioramento in area di rigore. In Jardim, però, Mboula troverà un tecnico ideale per sviluppare il suo stile di gioco.
Hector Moreno
di Fabrizio Gabrielli
[mercoledì 21, pomeriggio]
Il principale lascito di un esame in Letteratura di viaggio da 2CFU sostenuto un sacco di anni fa è che non è intellettualmente disonesto cercare di far prefigurare qualcosa di ignoto prendendo spunto da qualcos’altro di già conosciuto: lo faceva Marco Polo per illustrare al Gran Khan le meraviglie che i suoi occhi non potevano vedere, non vedo perché dovrei sentirmi in colpa io nel dire che per capire che tipo di giocatore sia Héctor Moreno, il nuovo centrale messicano arrivato alla Roma senza grandi proclami il metro di paragone più giusto da avvicinare sia quel monumento del calcio Tricolor che è Rafa Márquez.
Entrambi sono nati in regioni epicentro del narcotraffico messicano; entrambi si sono trasferiti in Europa molto giovani. Entrambi, con le dovute proporzioni, hanno vinto. Come Rafa, Héctor Moreno sembra sulla scena da sempre.
Moreno è stato uno dei cardini del Tricolor campione del mondo U17 nel 2005: a distanza di 12 anni solo altri due calciatori sono rimasti nel giro della nazionale (Gio e Vela), e un motivo deve esserci. Infatti c’è: il suo gioco si poteva già intravedere allora, tipo il gol del 2-0 della finale contro il Brasile, per esempio, che nasce da un lancio (anche se leggermente deviato) effettuato con il suo già educatissimo piede sinistro.
Dopo essere uscito dalle retrovie, appunto, à la Gran Capitán.
In Olanda, nelll’AZ allenato da Van Gaal (con il quale ha vinto la Eredivisie alla seconda stagione in Europa), ha imparato i dettami del gioco posizionale, plasmando una polifunzionalità che gli permette di giocare con disinvoltura tanto al centro della difesa - con la libertà, che si prende spesso e volentieri, di avanzare fino al cerchio di centrocampo palla al piede - quanto sulla fascia sinistra. A Barcellona, sponda Espanyol, agli ordini di Pochettino ha raffinato la sua visione di gioco, metabolizzando un concetto che gli tornerà utile immerso negli schemi di Di Francesco: l’imperativo della verticalizzazione.
Senza paura di arrischiarsi in qualcosa che non sa gestire, Moreno mostra un istinto e un’intuitività associativa rara da trovare nei difensori centrali.
Secondo l’allenatore della Nazionale messicana Osorio, Héctor è uno dei dieci migliori centrali al mondo: in effetti centrali mancini con un piede così sensibile non è usuale incontrarne, e in ogni caso la convinzione di Osorio è ben radicata, al punto da averne fatto il giocatore onnipresente da quando ha assunto il timone della Tricolor (titolare in 17 partite, e in tutte e 13 le sfide ufficiali, in cui ha recuperato 98 palloni).
In fase difensiva, la sua arma più raffinata è la capacità di posizionamento, il tempismo e la reattività degli interventi su avversari lanciati in velocità, sui quali interviene con la navigatezza e la maturità del maestro zen: un aspetto che ha messo in mostra non solo contro gli attaccanti olandesi, ma anche in Liga e ai Mondiali. Non è, insomma, un centrale ruvido che punta tutte le sue fiches sulla fisicità dell’uno contro uno: riconoscergli una presunta cattiveria nell’intervento (che lo ha reso famoso in Europa) su Luke Shaw in Champions League, dopotutto, sarebbe ingeneroso. E poi nessuno sembra essersi accorto che El Tractor, come è stato presentato in Italia, in realtà non ce lo ha mai chiamato nessuno.
Con il Brasile nei Mondiali del 2014: prima blocca l’incursione avversaria, poi palesa la sua seconda caratteristica, l’abilità nell’impostazione.
In fase di impostazione, grazie a una tecnica inusuale per un centrale, Moreno gioca molti palloni (nel primo tempo di Messico - Portogallo di Confederations Cup 36, più del fulcro conclamato del gioco Tricolor, Héctor Herrera), sbagliandone pochissimi. Nell’ultima Eredivisie è stato il sesto giocatore con la migliore percentuale di passaggi riusciti (88%), e il secondo per media passaggi per partita (70, uno in meno di Davinson Sánchez dell’Ajax che ne ricorda il ruolo): abilità che lo renderanno particolarmente utile a Di Francesco, che spesso demanda a uno dei due centrali la prima fase di creazione della manovra.
Inoltre, Héctor Moreno si affida a lunghe e precise sventagliate con una certa regolarità (7 per 90 minuti nell’ultima Eredivisie).
Preciso e mai fine a se stesso.
Non è da trascurare la sua vena ispirata in fase di finalizzazione, soprattutto grazie a un’ottima elevazione che gli permette di superare difensori anche fisicamente più alti o prestanti all’interno dell’area piccola (come qua su José Fonte o su Matteo Darmian in occasione del suo primo gol nelle competizioni europee).
Costretto a frenare la sua corsa verso la consacrazione da un brutto infortunio rimediato ai Mondiali del 2014 che lo ha tenuto lontano dal campo per sei mesi proprio quando lo stava cercando l’Arsenal, a 29 anni Héctor Moreno è nel pieno della sua maturità, ed è finalmente pronto a raccogliere l’eredità carismatica di Rafa Márquez. Monchi dice di averlo scelto anche per l’ottima predisposizione all’adattamento, tanto tattico quanto socio-culturale: a giudicare dall’ultima copertina per la quale ha posato, Héctor non avrà difficoltà a districarsi tra gli universi del boro di Roma Est e dei fasti imperiali.
L’impressione, piuttosto, è che la Roma si sia promessa di trovare in Moreno quello che non ha saputo o potuto scoprire in Vermaelen. Con in più la possibilità, tutt’affatto trascurabile, di entrare nel mercato messicano con grazia e disinvoltura; la stessa che il primo centrale messicano nella sua storia mette in campo.
Coccodrilli - Bruno Fernandes allo Sporting Lisbona
di Emanuele Atturo
[Mercoledì 21, mattina]
Dopo 5 anni in Italia, di cui 4 in Serie A, ci lascia Bruno Fernandes. Ha giocato nel Novara, nell’Udinese e nella Sampdoria. Anche se non c’è ancora l’ufficialità sembra certo il suo passaggio allo Sporting Lisbona, da concretizzarsi entro la fine degli Europei U-21, dove Bruno sta giocando abbastanza bene, titolare con la maglia numero 10 nel centrocampo del Portogallo. La notizia ha colto di sorpresa i più affezionati tifosi del trequartista portoghese, che erano riusciti ad amarlo nonostante l’incollocabilità tattica, i denti sporgenti, la faccia francamente un po’ antipatica.
Bruno Fernandes era atterrato in Serie A appena diciottenne: arrivato al Novara per 40 mila euro e adesso se ne va per (circa, sembra) 9 milioni. Quante prestazioni da 5,5 nel frattempo… quante corse generose e tiri pretenziosi… quanti dribbling stentati e cross sbagliati. Abbastanza dinamico, ma neanche troppo; abbastanza tecnico, ma senza esagerare. Da almeno 4 anni Bruno Fernandes ci poneva di fronte al dubbio amletico: è forte o no? Grande interprete dei tiri mezzi storti ma in qualche modo efficaci, indimenticabile il suo gol al 90esimo contro il Palermo e la rovega a porta vuota contro il Napoli.
Dopo 3 anni all’Udinese, quest’anno nella Sampdoria di Giampaolo aveva finalmente trovato la consacrazione nell’Olimpo dei “buoni giocatori”. Schierato vertice alto del rombo di centrocampo, e tolto puntualmente prima che scoccasse l’ora di gioco, Bruno “Cenerontola” Fernandes ha messo insieme 5 gol e 2 assist, giocando tutti i 90 minuti in solo 2 occasioni (sulle 34 presenze totali). Niente di che, ma comunque numeri apprezzabili per un giocatore senza muscoli. Partito a fari spenti rispetto alle trombe che circondavano Praet, Djuricic e Ricky Alvarez, alla fine Bruno Fernandes si è dimostrato il trequartista più affidabile, quello che si muoveva meglio tra le linee per ricevere e far avanzare il possesso della Samp. Poteva continuare a brillare - almeno ogni tanto - nel nostro campionato e invece ha preferito tornare a casa, a 23 anni, proprio quando stavamo cominciando ad affezionarci a questo suo modo di calciare approssimativo ma comunque tutto suo.
Ne conservano il ricordo moderatamente affezionato quei fantallenatori che con un suo gol estemporaneo ci hanno svoltato almeno una partita.
Bignami: Ricardo Rodriguez
di Federico Aquè
[Mercoledì 21, mattina]
Ricardo Rodríguez ha giocato l’ultima partita con la maglia del Wolfsburg da difensore centrale in una sconfitta per 6-0 contro il Bayern Monaco. L’epilogo triste di una storia a tratti entusiasmante: a un certo punto della sua carriera Rodríguez era uno dei terzini più cercati d’Europa, ma nell’ultima stagione ha rischiato di retrocedere. Il Wolfsburg è infatti passato in un anno dai quarti di Champions League ai playout per restare in Bundesliga, vinti contro l’Eintracht Braunschweig.
Rodríguez non è stato risparmiato dall’involuzione di squadra, sperimentando ruoli inediti e poco inclini alle sue caratteristiche: non solo il centrale in una difesa a 4, ma anche il centrale di sinistra in una difesa a 3. L’adattamento non è stato semplice, soprattutto perché Rodríguez non è abbastanza pesante o scaltro nell’utilizzo del proprio corpo per reggere l’impatto contro attaccanti forti fisicamente (qui ad esempio Lewandowski lo usa come una porta girevole), un limite che lo rende poco efficace in marcatura e nei duelli aerei. Il Milan gli ha però riservato un posto nel suo ruolo naturale di terzino sinistro, anche se comunque la sua duttilità può tornare utile a Montella in situazioni d’emergenza.
L’inserimento di Rodríguez aggiunge una fonte di gioco rilevante a sinistra: l’esperienza da difensore centrale ha permesso allo svizzero di affinare scelte e qualità dei passaggi in impostazione, un aspetto che Montella potrebbe sfruttare per migliorare la costruzione dal basso del Milan, ma Rodríguez può ovviamente giocare in posizione più avanzata garantendo ampiezza in zone profonde e cross.
Lo ricordiamo come un terzino di spinta dal sinistro educato, ma anche in una posizione più bloccata la sua qualità di calcio può essere utile per dare il via all’azione.
Con il Wolfsburg, il terzino svizzero ha giocato per 5 anni e mezzo collezionando 184 presenze, impreziosite da 22 gol e 27 assist. In totale Rodríguez ha contribuito a 49 gol, uno ogni 319 minuti circa (meno di 4 partite). Numeri importanti per un difensore, ottenuti soprattutto grazie ai calci piazzati. Rodríguez è infatti uno specialista delle palle inattive: al Wolfsburg batteva rigori, punizioni e calci d’angolo. Il suo arrivo promette di migliorare molto il Milan dal punto di vista offensivo, non solo per la spinta che assicura sulla sinistra, ma anche per la qualità dei suoi calci da fermo. Per rendere l’idea, ecco 5 esempi dai suoi anni in Germania.
Punizione a giro vs Lille
Rodríguez batte le punizioni a giro così bene da confinare De Bruyne, un altro specialista dei calci piazzati, in barriera per disturbare la visuale di Enyeama e fiondarsi su un’eventuale respinta. Il portiere nigeriano del Lille si tuffa con la consueta elasticità, ma il tiro di Rodríguez è troppo forte e preciso per essere raggiunto: il pallone si infila poco sotto l’incrocio dei pali. Più tardi Rodríguez segnerà anche su rigore e il Wolsfburg vincerà la partita 3-0.
Punizione vs Friburgo
Le punizioni da destra che può calciare forte a rientrare sono quelle in cui Rodríguez dà il meglio di sé. In questo caso Perisic non deve far molto, se non aspettare che la palla colpisca la sua testa allungando la traiettoria fino in porta. Ne viene fuori un gol strano: Perisic non salta nemmeno e non deve dar forza al suo colpo di testa, ma si limita ad assecondare la traiettoria del pallone calciato da Rodríguez colpendolo oltretutto mentre è girato con le spalle alla porta.
Assist da calcio d’angolo vs Schalke 04
La linea di passaggio tra Rodríguez e Klose è libera perché nessun giocatore dello Schalke capisce in anticipo lo schema, ma per calciare il pallone a mezz’aria con la forza e la traiettoria giusta per consentire la girata in porta del compagno è necessaria comunque una certa sensibilità. Essere riuscito a far segnare un gol al volo a un difensore alto, ma tecnicamente modesto come Klose è una delle migliori dimostrazioni delle qualità di calcio di Rodríguez.
Assist su punizione vs Manchester United
Alle palle inattive manca l’estemporaneità che esalta i giocatori più creativi, quelli in grado di interpretare lo schieramento avversario e di trovare il corridoio migliore per arrivare in porta. Non c’è improvvisazione invece in uno schema come questo qui sopra, studiato per sorprendere i giocatori del Manchester United, che probabilmente si aspettano una palla alta, ma la cura con cui Rodríguez calcola il lancio per incrociare la corsa di Naldo è effettivamente da numero 10. La distanza dalla porta non rappresenta un problema per il nuovo terzino del Milan.
Punizione da 40 metri vs Stoccarda
A proposito di distanza: quanti altri giocatori possono dire di aver segnato su punizione praticamente da centrocampo? L’errore del portiere è evidente ed è decisiva la finta involontaria di Naldo, che manca il colpo di testa, ma Rodríguez non ha solo calciato con la forza necessaria ad arrivare in porta, ma aveva ancora una volta trovato un compagno a centro area, che coordinandosi in ritardo non è però riuscito a deviare il pallone di testa. Non è un gol casuale: Rodríguez ne ha segnati altri due simili, ancora una volta allo Stoccarda e al Borussia Dortmund nel 2013, il primo con la maglia del Wolfsburg. I portieri della Serie A farebbero bene a studiarlo.