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La storia d'amore tra Federica Pellegrini e i 200 sl
20 apr 2021
Le lacrime e i record in una disciplina che ha sempre definito "casa".
(articolo)
9 min
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«Scusatemi, non è stato un periodo semplice». Per un attimo, Federica Pellegrini scompare dall'inquadratura delle telecamere RAI. Si abbassa, portandosi le mani agli occhi per coprire le lacrime che le scendono in maniera naturale ma anche inaspettata, sul suo volto ancora bagnato dall'acqua della piscina. È il 2 aprile 2021 e ha appena vinto i 200 stile libero ai Campionati Italiani Assoluti per la trentesima volta in carriera, diciannove anni dopo la prima, nell'ormai lontano 2002. Si è appena qualificata ufficialmente per la sua quinta Olimpiade, diciassette anni dopo la prima volta, che fu ad Atene 2004. Ha nuotato la quarta prestazione mondiale dell'anno, 1'56"69, un crono per lei abbastanza normale, tanto che in carriera ha fatto meglio in altre quarantacinque occasioni. Nonostante ciò, non riesce a trattenere la commozione. Il giorno precedente, aveva mancato la qualificazione nei 100 stile libero, distanza che fa da contorno alla sua preparazione, per un decimo di secondo: «Avrei preferito fare il tempo ieri e togliermi il peso, ma forse è stato più bello così, qualificarmi nella mia gara». In quel momento, quando ha realizzato che il sogno olimpico era ormai realtà, è scoppiata a piangere.

In realtà la sua convocazione nella squadra olimpica di nuoto non è stata mai in discussione. A differenza di Stati Uniti e Australia, dove la partecipazione ai Giochi passa necessariamente dal posizionamento nei primi due ai trials - anche un campione del mondo in carica può arrivare terzo e non qualificarsi -, in Italia la qualificazione è regolata in maniera più elastica. La Federazione individua alcuni eventi principali, solitamente i Campionati Nazionali e il Trofeo Settecolli, e stabilisce dei tempi limite da effettuare in queste occasioni, ma al Direttore Tecnico resta una certa discrezionalità e la possibilità di scegliere anche a seconda delle situazioni particolari. Lo scorso autunno, per esempio, il d.t. Cesare Butini ha deciso di qualificare d’ufficio, in accordo con la FIN, alcuni atleti di caratura mondiale - come per esempio Gabriele Detti - che hanno avuto intoppi nella preparazione a causa del Covid-19. In questa lista c’era anche Federica Pellegrini, che però ha declinato l’offerta facendo sapere di volersi «guadagnare la convocazione in acqua, come sempre». È successo poi che ai Campionati Invernali di dicembre, prima finestra utile per ottenere il tempo limite, la sua preparazione fosse ancora imperfetta, rimandando così il discorso agli Assoluti di aprile. Nessuno però ha mai nemmeno lontanamente pensato che l’Italia, anche in caso di una prestazione sottotono, potesse lasciare a casa la sua nuotatrice più forte e rappresentativa, campionessa del mondo in carica nei 200 stile e probabile protagonista anche in chiave olimpica. Ma allora perché quelle lacrime? Perché tanta tensione per un risultato che, tutto sommato, non era nemmeno così richiesto?

Non si tratta soltanto di una ricerca della prestazione in sé e della conferma di aver lavorato nella maniera giusta. La risposta va cercata anche nel rapporto che Federica Pellegrini ha con il nuoto e, più in particolare, con i 200 stile libero. Nonostante all'apparenza possa sembrare una macchina perfetta da prestazione, il suo legame con l’acqua va molto al di là dei numeri. C’è qualcosa di più viscerale, intimo e profondo, che la lega alle quattro vasche a stile libero, qualcosa che la emoziona e per forza emoziona anche noi.

Scegliere le parole giuste

Nelle dichiarazioni dopo le gare Federica Pellegrini non nasconde mai le sue emozioni. Il suo volto e le sue espressioni sono familiari anche a chi la conosce poco, è semplice intuirne gli stati d’animo, anche quando forse avrebbe voluto nasconderli. Ha iniziato nel 2004, ad Atene, dopo l’argento olimpico che l’ha lanciata: “Sono contenta” ha dichiarato stingendosi tra le spalle in un gesto di timidezza giovanile, ma lo sguardo tenuto basso durante tutta l’intervista ci ha fatto capire che quei pochi centesimi che le avevano negato l’oro non le erano andati totalmente giù.

Pellegrini sceglie sempre le parole con estrema cura, per provare a essere più onesta e aderente possibile a quello che sta vivendo. Per descrivere i 200 stile libero, ha spesso usato la parola “casa”. «La mia testa è programmata per adattarmi a qualsiasi situazione», ha detto dopo aver vinto (prima nella storia) il secondo oro mondiale consecutivo a Shanghai nel 2011, «oggi l’unica cosa importante era che nessuno entrasse in casa mia». «Questi per me saranno gli ultimi 200 stile libero, chiudo casa» ha detto dopo la stupefacente vittoria a Budapest 2017, quando ha deciso di sorprendere tutti annunciando un addio al quale, col senno di poi, nemmeno lei credeva fino in fondo. Oppure, la sua dichiarazione forse più famosa di tutte, nel 2019 a Gwangju: «Questa medaglia la chiamo Amore, amore per il nuoto e per i 200 stile libero».

Un collante fondamentale delle sue imprese nei 200 stile sono le lacrime, trattenute e versate. «Dieci anni fa piangevo di rabbia, oggi è la prima volta in vita mia che piango di gioia» ha detto con un sorriso raggiante dopo l’argento mondiale di Kazan 2015, ricordando l’amarezza del secondo posto di Montreal 2005. «È il mio ultimo mondiale, non piango di tristezza, ma di gioia”» ha dichiarato dopo la medaglia d’oro in Corea del Sud nel 2019, quando le sue lacrime in realtà celavano anche un tocco di malinconia. «Mi sembra di vivere in un piccolo incubo» ha detto dopo il quarto posto a Rio 2016, mentre il suo volto si allungava in uno straziante magone coperto a stento da alcune risatine nervose. A Pechino 2008, le lacrime sono arrivate in acqua appena dopo aver vinto l’oro olimpico, mentre ai microfoni la soddisfazione lasciava spazio al sollievo liberatorio per aver riscattato la deludente prova di qualche giorno prima, nei 400 «Ho vinto… ho seguito il mio istinto ed ho vinto!».

Lacrime ed emozioni contrastanti anche quando tutto è andato bene, anzi benissimo: «Ho pianto un quarto d’ora prima di fare la gara, mi sentivo stanca e debole» ha dichiarato con il magone, dopo aver vinto i Mondiali di Roma 2009 davanti al pubblico in delirio del Foro Italico, «ma un tempo così non me lo aspettavo». Il crono in questione, effettuato secondo quanto da lei dichiarato «in maniera totalmente inattesa» è ancora record del mondo, 1’52”98.

Il nuoto è uno sport nel quale si raggiunge il picco di prestazione in un'età solitamente molto più vicina ai venti che ai trenta, e il ricambio generazionale è costante, soprattutto ad altissimi livelli. Federica Pellegrini compirà trentatré anni il 5 agosto, pochi giorni dopo il termine delle Olimpiadi di Tokyo, un'età nella quale è abbastanza inusuale essere ancora nuotatrici professioniste. Nella sua carriera, è stata la più giovane medagliata olimpica dello sport italiano (ad Atene 2004) e ha poi scalato diverse classifiche di longevità sportiva. Ma il record, nel suo caso, non è solo una questione di "quanto", ma soprattutto di "come". Ciò che rende la sua striscia incredibile è la qualità altissima che è riuscita a mantenere, nel corso degli anni, nelle sue prestazioni in acqua.

Per esempio, è l'unica nuotatrice ad aver vinto otto medaglie consecutive ai Campionati Mondiali nella stessa specialità, che significa che ogni due anni, dal 2005 al 2019, è stata tra le prime tre al mondo nei 200 stile libero. Ha nuotato il suo miglior tempo di sempre con costume di tessuto a Gwangju 2019, nella finale che le ha dato il quarto oro mondiale, all’età di trentun anni, dieci anni esatti dopo aver stabilito - con costume in poliuretano - quello che è ancora oggi il primato mondiale. Passando poi alla notizia più recente, ci sono altri dieci nuotatori che hanno preso parte a cinque Olimpiadi nella stessa gara, ma l'unico che ha sempre disputato la finale è Michael Phelps, nei 200 farfalla, dal 2000 al 2016. Se Pellegrini dovesse contrare la finale ai Giochi di Tokyo, sarebbe la prima donna a riuscirci nella storia del nuoto.

Il tutto dopo aver vissuto un biennio di alti e bassi. Nel luglio del 2019, con l’oro mondiale al collo, la notizia che continuasse a nuotare per un altro anno era apparsa scontata, e si pensava che Tokyo 2020 sarebbe stato l’evento perfetto per chiudere il suo percorso. La pandemia l’ha costretta a prolungare la già lunga carriera per un’altra stagione, nel tentativo di raggiungere nuovamente il sogno olimpico. Nella primavera del 2020, intervistata sull'argomento, aveva detto che «un anno ancora resisto, di più non lo so». A settembre, poi, ha contratto il coronavirus e si è sfogata in lacrime su Instagram, in un’uscita che ha suscitato molte polemiche ma che ha dipinto perfettamente il quadro della situazione. Nello sconforto della malattia, ha per un attimo intravisto la possibilità di non poter terminare a modo suo, di finire dando e dandosi un’ultima grande emozione prima di chiudere casa definitivamente. Ecco quindi il tassello finale che spiega le lacrime dopo l’ottenuta qualificazione.

Tokyo

Ora che il biglietto per Tokyo è prenotato, c’è una tabella di marcia da rispettare, rodata negli ultimi anni insieme al suo tecnico Matteo Giunta, che ha dato dei frutti molto interessanti come le vittorie ai Mondiali 2017 e 2019. Pellegrini continuerà la preparazione a Verona, poi effettuerà il classico ritiro in altura a Livigno circa un mese prima dei Giochi, parteciperà al Trofeo Settecolli a fine giugno, ultimo test preolimpico, e poi volerà in Giappone. I fatti recenti dimostrano che, se tutto va nel verso giusto, Pellegrini è capace di affinare la sua forma fisica e mentale alla perfezione, fino ad arrivare alla gara più importante in uno stato quasi di grazia. La sua testa, intesa come determinazione ed approccio agonistico, resta probabilmente la migliore del parterre, ma il suo fisico è pur sempre meno giovane e più logoro di tutte le avversarie. Anche un minimo intoppo potrebbe essere determinante.

Ai Giochi Olimpici troverà una concorrenza probabilmente mai così agguerrita. Ci sarà la campionessa di Rio 2016, Katie Ledecky, che è attesa a un’Olimpiade potenzialmente da quattro medaglie d’oro individuali (200, 400, 800 e 1500 stile). Ci saranno Siobhan Haughey, Junxuan Yang, Ariarne Titmus ed Emma McKeon, atlete che vanno dai diciannove a ventisei anni, tutte in crescita e autrici di tempi migliori del suo nell’ultimo biennio. Ci potranno essere altre nuotatrici che si migliorano dalle retrovie, possibili sorprese che siamo abituati a vedere alle Olimpiadi. Tutte guarderanno Federica Pellegrini, la più forte di sempre nei 200 stile, con un sentimento misto tra timore reverenziale e voglia di detronizzarla. La vasca di Tokyo dovrebbe davvero essere il teatro dell’ultimo grande atto di Federica Pellegrini nei 200 stile; anche se all’orizzonte ci sono i Campionati Europei di Roma 2022. Quale sarà il modo migliore per “chiudere casa”?

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