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Federica Pellegrini è infinita
25 lug 2019
La donna più forte di sempre nei 200 stile libero.
(articolo)
10 min
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«Questa medaglia la chiamo amore, amore per questo sport e per questa gara», ha detto Federica Pellegrini per commentare la sua vittoria nei 200 stile libero ai Campionati Mondiali di Gwangju, in Corea del Sud, l’ultima delle grandi imprese della nuotatrice italiana più forte e vincente di sempre. Nel corso degli ultimi 15 anni, assistere a un 200 stile libero di Federica Pellegrini è diventata un’esperienza di condivisione unica: a notte fonda, in pausa pranzo o nel pomeriggio, la campionessa veneta ha saputo - tanto nelle vittorie quanto nelle sconfitte - elevare il nuoto da sport di nicchia a un momento di emozione popolare. Un richiamo nazionale che forse solo Alberto Tomba, nello sci, aveva saputo fare prima di lei. Questa è stata la sua quarta medaglia d’oro iridata nei 200 stile libero, la seconda consecutiva. Pellegrini ora è l’unica ad essere salita sul podio mondiale per otto edizioni consecutive nella stessa distanza.

Quindi, anzitutto, nessuno si è mai spinto a un livello di longevità tale. Ha disputato la sua prima finale mondiale a Montreal 2005, dove ha vinto l'argento, e da allora non è mai andata più giù del terzo posto, passando attraverso tre generazioni di nuotatrici, rimanendo il punto di riferimento assoluto nella specialità. Proviamo a creare un metro di paragone. Ai Mondiali di nuoto Michael Phelps è l’atleta che ha vinto più ori (24 tra individuali e staffette) ma ha limitato la sua partecipazione a sei edizioni, mentre tra le donne, l'atleta che più le si avvicina, è Katie Ledecky, che è al suo quarto mondiale, ma che a Gwangju non si è presentata ai blocchi dei 200 stile libero, dopo aver perso malamente la finale dei 400 nei quali era imbattuta.

Foto di Maddie Meyer / Getty Images.

Un anno veloce

D'altra parte le defezioni hanno caratterizzato la vigilia ai Mondiali coreani di questa gara, privata fin dal primo turno di tre probabili protagoniste: Katie Ledecky, appunto, campionessa olimpica e ufficialmente alle prese con un virus , oltre a Emma McKeon e Taylor Ruck, tutte autrici di prestazioni di spessore in stagione. Se teniamo conto anche della pessima batteria nuotata da Katinka Hosszú, mai a suo agio con la distanza, esclusa addirittura dalla semifinale, a competere con Federica Pellegrini rimanevano Sarah Sjöström ed Ariarne Titmus, che nel recente periodo hanno avuto tempi migliori del suo. «Fino al Trofeo Settecolli (che si è svolto a giugno a Roma nda) non avevo ancora deciso se nuotare o meno i 200» ha dichiarato dopo la batteria, nella quale si è qualificata con il quinto tempo, «ora sono qui e faccio un passo alla volta».

La cautela poteva sembrare scaramantica, ma era giustificata dal fatto che l’ultimo grande 200 stile nuotato dalla Pellegrini risaliva alla miracolosa vittoria di Budapest 2017, quando, dopo aver battuto proprio Katie Ledecky, Pellegrini aveva annunciato l’addio alla sua gara più rappresentativa. «Chiudo casa, mi sembra un finale perfetto» aveva detto, lasciandosi però scappare anche un «nel nuoto, mai dire mai». Già allora, al terzo titolo totale e settimo podio mondiale consecutivo, si parlava di una striscia difficilmente migliorabile e la nuotatrice aveva colto l’occasione per annunciare al mondo che «da ora in poi mi concentrerò solo sui 100 metri, una distanza che facevo da ragazza e che ora voglio preparare ad alti livelli».

Ma dopo un solo anno di lontananza e complici i risultati non eccelsi ottenuti nella velocità, la sua decisione di ritornare a nuotare i 200 era sembrata naturale, anche in vista di un’ultima grande apparizione ai Giochi di Tokyo 2020, che saranno il palcoscenico finale della sua carriera.

È stato un anno importante però. Proprio la stagione trascorsa ad allenare le gare più corte ha lasciato in dote a Federica la capacità di accelerare il passaggio nella prima metà gara: una qualità che le è servita per rilanciare la propria carriera e che, aggiunta alla sua incredibile resistenza nell’ultima vasca, le ha permesso di tornare a vincere il Mondiale quest’anno. Escludendo le prestazioni ottenute con i costumi in poliuretano (tra il 2008 ed il 2010), mai Federica Pellegrini aveva nuotato così velocemente il primo 50 (27”05 a Gwangju) e mai era passata così velocemente a metà gara (56”10) in una finale mondiale.

Per le sue avversarie, che solitamente puntano a staccarla nella prima parte per non averla accanto nello sprint finale, è stato il colpo di grazia. Sia nella semifinale che nella finale, Federica ha impostato una gara perfetta, nuotando «esattamente come volevo e quando volevo», e chiudendo l’ultimo 50 in 28”90, appena 8 centesimi in più della spettacolare chiusura di due anni fa a Budapest. Il tempo finale di ieri (1’54”22) è la sua migliore prestazione di sempre in tessuto, ottenuta poco prima di compiere, il prossimo 5 agosto, 31 anni.

Una carriera infinita

«Questa volta sono proprio gli ultimi 200 che nuoto ai Mondiali, ma non potevo chiedere un finale migliore». Le lacrime della Pellegrini davanti alle telecamere Rai chiudono una storia lunghissima iniziata il 27 luglio 2005 a Montreal, con un secondo posto per 13 centesimi che l’aveva fatta piangere per la delusione; giusto un anno dopo essersi fatta conoscere, neanche sedicenne, ad Atene 2004, con al collo l’argento olimpico più giovane della storia. Da quel giorno, ogni due anni, Federica si è presentata alla rassegna iridata senza mai scendere dal podio. Per dare un’altra misura della sua competitività: tenendo conto anche delle delusioni olimpiche, Pellegrini non è mai scesa sotto al quinto posto.

Dopo il bronzo del 2007, nel periodo d’oro della sua grande rivale Laure Manaudou, per Federica è arrivato il biennio 2008-2009, caratterizzato dalla tecnologia dei super costumi che è coinciso con il suo prime e con le grandi vittorie condite dai record del mondo, uno dei quali - 1’52”98 nei 200 stile ai mondiali di Roma 2009 - resiste tutt’ora. Con l’abolizione dei costumoni, che facilitavano il galleggiamento e di conseguenza gli atleti dai fisici più massicci, tutta una generazione di nuotatori ha lasciato spazio a un’altra, con poche eccezioni, tra le quali ovviamente Federica Pellegrini.

Dal 2011 in poi, i suoi podi mondiali sono caratterizzati, oltre che dalle grandi prestazioni, anche dalla costante di essere sempre l’atleta meno giovane tra le medagliate. Se a Shanghai 2011 ha vinto battendo delle nuotatrici quasi coetanee, a Barcellona 2013 ed a Kazan 2015 è arrivata seconda davanti a ragazze più giovani, e dietro a Missy Franklin e Katie Ledecky, rispettivamente classe 1995 e 1997. Nel trionfo di due anni fa, sul podio con Federica c’erano Ledecky e McKeon, la prima di nove anni più giovane, quindi, la seconda di sei; mentre quest’anno ha battuto Ariarne Titmus e Sarah Sjöström, delle quali è più vecchia di 12 e cinque anni.

Nell’arco delle stagioni ha visto passarle accanto (e qualche volta davanti) moltissime nuotatrici talentuose, esplose spesso in giovane età per poi arenarsi col passare del tempo. Alcune si sono reinventate opinioniste televisive, altre si sono date al mondo dello spettacolo, altre ancora si sono ritirate a causa della depressione, ma la maggioranza di loro ha semplicemente peggiorato la condizione ed i risultati, non resistendo al rigido ricambio generazionale che il nuoto impone, soprattutto in campo femminile.

«Tutto il lavoro fatto con Matteo (Giunta, il suo tecnico nda) è stato perfetto» ha detto dopo aver cantato l’inno di Mameli per l’ennesima volta, «Mi piace quello che faccio, mi piace faticare e allenarmi». Proprio questa dedizione quotidiana al lavoro, la voglia di scendere in vasca o entrare in palestra e chiedere al proprio fisico il massimo dello sforzo finalizzato ad un risultato è stata la «la chiave di tutto, non una formula magica ma la mia strada verso il successo».

Un successo, va detto, costruito anche su alcune delusioni: quinta a Londra 2012 e quarta a Rio 2016. Fallimenti che avrebbero fatto vacillare chiunque ma che non hanno intaccato la voglia di Pellegrini di misurarsi con sé stessa e con la sua gara. Per essere così incredibilmente continua ad altissimi livelli, Pellegrini ha dovuto abbinare alla preparazione fisica anche la ricerca, attorno a sé, delle condizioni ideali per rendere al meglio, raggiunte a volte con decisioni improvvise e all’apparenza drastiche, seppure molto coerenti. La scelta di promuovere Matteo Giunta, che in precedenza la seguiva nella preparazione “a secco”, a suo allenatore capo è stata proprio una di queste.

Dopo Max Di Mito, il tecnico che l’ha scoperta e lanciata ai primi successi in giovane età, ed Alberto Castagnetti, CT della nazionale che l’ha guidata negli anni d’oro prima di scomparire prematuramente nel 2009, Pellegrini ha faticato a trovare una stabilità tecnica. In realtà era solo alla ricerca dell’allenatore in grado non solo di proporle sfiancanti sedute in vasca (senza le quali comunque non sarebbe ancora a questi livelli), ma anche una preparazione più consona alle sue caratteristiche e soprattutto alla sua età. Il tutto completato da un lavoro di qualità in palestra che ha spesso dichiarato di apprezzare.

Giunta ha ottenuto risultati che, francamente, sembravano impensabili dopo Rio 2016. Il connubio sportivo tra i due, che dura dalla fine del 2013, e la scelta di trasferirsi definitivamente a Verona hanno creato le condizioni giuste per quello che, a livello natatorio, può considerarsi un vero e proprio miracolo. Federica Pellegrini è sembrata più matura anche dal punto di vista mentale.

Foto di Paolo Bruno / Getty Images.

Avvicinarsi al gran finale

Proprio nel momento in cui in pochi la davano tra le favorite, Federica Pellegrini è tornata di prepotenza ad essere tra i nomi più papabili per la vittoria olimpica a Tokyo 2020. Ai Giochi non arriverà, come quest’anno, a fari spenti, ma con i favori del pronostico e gli occhi di tutte le avversarie puntati addosso. In una situazione più simile a quella vissuta a Londra 2012, forse la peggior gara della sua carriera, alla quale si presentava da imbattuta nel quadriennio precedente. Oggi come oggi, considerando anche la prestazione appena effettuata, non si vedono rivali in grado di impensierirla né a livello tecnico né a livello mentale.

Disputare una finale dei 200 stile libero con Federica Pellegrini accanto è un rebus che, in 15 anni, pochissime atlete sono riuscite a risolvere. Pellegrini sembra circondata da una specie di aura magica, alimentata da una personalità forte e da un’innata cattiveria agonistica, che le permettono se non di vincere le gare prima del via sicuramente di incutere una sorta di timore reverenziale nella testa delle sue rivali. Se molti lati del suo carattere o sono stati smussati dal tempo e dalla maturità, il suo sguardo pre-gara, la sua routine gestuale e il suo approccio alle competizioni continuano ad essere un valore aggiunto, un fattore che sposta gli equilibri a suo favore.

Ma la finale Olimpica è il momento che rinchiude in sé la più alta tensione nello sport, perché l’oro ai Giochi rappresenta il coronamento della carriera di qualsiasi atleta, il titolo più importante che si possa vincere e quello per il quale si lavora più duramente. E siccome questo alloro, eccezion fatta per Pechino 2008, le è sempre sfuggito, probabilmente Federica sentirà su di sé un peso diverso, dovuto anche al fatto che sarà davvero la sua ultima volta nei 200 stile libero.

«Quando guardavo le altre fare i 200 senza di me mi faceva male, quando smetterò mi mancherà tutto questo». Federica, come sempre, non ha lasciato nulla al caso e sa già che il nuoto, quando non ci sarà più, lascerà una voragine nella sua vita. È anche per questo che ha deciso di fare esperienze extra sportive, come quelle nella moda e nella televisione, prima di ritirarsi definitivamente, cercando di testare varie possibilità e tenersi aperte diverse strade per riempire questo buco che, per alcuni atleti, è sembrato incolmabile.

Ma non è ancora arrivato il momento di dire addio alle vasche, la voglia non si è ancora spenta: «Oggi me la sono fatta sotto come e più delle altre volte» ha raccontato dopo la premiazione a Gwangju, «Forse questa tensione snervante sarà l’unica cosa che non mi mancherà».

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