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La vittoria più bella di Federica Pellegrini
27 lug 2017
La medaglia d'oro al Mondiale di Budapest aggiunge un capitolo nuovo alla sua leggenda.
(articolo)
9 min
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«Goodbye Katie», con queste parole Mark Spitz, leggenda vivente del nuoto e olimpionico più medagliato della storia acquea americana prima dell’avvento di Michael Phelps, ha riassunto ai microfoni del brodcaster brasiliano SporTv l’ultima vasca di Federica Pellegrini.

Forse è stata la fatica delle molte gare disputate, la fatica delle molte gare vinte in questo Mondiale - Katie Ledecky aveva già vinto l’oro nei 400 metri, nei 1.500 metri e nella 4 per 100, prima di scendere in vasca per i 200 metri stile libero - hanno pesato sulla nuotatrice a stelle e strisce, fatto sta che gli ultimi 25 metri di infernale lucidità di Federica le hanno consentito di recuperare lo svantaggio dalle prime e vincere con un margine di 45 centesimi di secondo.

Non è stato un finale al fotofinish, ma la sublimazione di una tattica preparata e messa in pratica «in maniera perfetta» come la stessa Pellegrini ha dichiarato a caldo. Si tratta di un particolare non da poco, per un’atleta per la quale la questione psicologica è primaria e che in quasi tutte le sconfitte più cocenti della sua carriera era sembrata in confusione. Stavolta no, a Budapest è stata Katie Ledecky ad andare fuori giri dall’inizio, inseguendo l’australiana Emma McKeon e finendo la benzina proprio nelle ultime bracciate.

«Pian piano sono andata, alla virata ai 150 eravamo tutte lì e allora ho detto. Chiudo gli occhi e vado. Non pensavo di essere davanti alle ultime bracciate, perché vedevo tutta schiuma, solo schiuma. Quando ho visto il tabellone non ci credevo e non ci credo neanche adesso. Per me era importante vincere una medaglia per chiudere un ciclo perché questo sarà l’ultimo 200 stile libero della mia carriera».

Al di là delle considerazioni sul futuro, che dopo una gara del genere lasciano il tempo che trovano, le parole di Federica Pellegrini sintetizzano razionalmente quanto avvenuto nella corsia 6 del palazzetto del nuoto di Budapest.

Vasca dopo vasca

Pellegrini, stando alla cronaca del cronometro, nuota la prima frazione in 27’’22: lo stesso tempo di Ledecky, peggio fanno solo la russa Popova e Leah Smith. Davanti, l’australiana McKeon (che le strappò il bronzo e un pezzo di cuore alle Olimpiadi di Rio 2016) impone un ritmo terrificante innanzitutto a sé stessa, volando in 26’’75 (cioè, 59 centesimi sotto il record mondiale proprio di Pellegrini), seguita da Katinka Hosszú, idolo del pubblico ungherese, e dalla francese Charlotte Bonnet, entrambe intorno ai 27’’ netti e che concluderanno la gara agli ultimi due posti, particolare non trascurabile.

I primi 50 metri che hanno fatto tornare i fantasmi brasiliani.

La seconda vasca è quella fondamentale: Ledecky strappa e in 28’’87 si riporta in scia di McKeon. Nella prima metà della terza vasca compie il massimo sforzo, virando a un solo centesimo di distanza dall’australiana prima degli ultimi 50 metri. In questo modo, però, Ledecky modifica radicalmente i suoi piani di progressione, e soprattutto mostra una bracciata piuttosto scomposta come non siamo stati abituati a vedere a metà gara.

Per quanto riguarda Pellegrini: il 29’’19 della seconda frazione la porta a un buon 56’’41 sui 100 metri e a un discreto 1’25’’91 (29’’50 di parziale) ai 150 alla fine della terza vasca. A quel punto la distanza con McKeon è già diminuita e sarebbe stato già un ottimo segnale per chi credeva di star facendo la gara per l’argento.

Anche la distribuzione delle corsie ha avuto un’influenza sull’andamento della gara, perché se Pellegrini dalla sesta postazione non vedeva Ledecky (e si è rivelato un bene perché ha potuto “chiudere gli occhi” e andare), dalla corsia numero quattro neanche l’americana poteva vedere l’italiana, impallata dalla lunga australiana.

Così, la “nostra” Pellegrini (quando vince completamente “nostra”, quando perde o c’è qualche polemica extra-vasca un po’ meno completamente) chiude una clamorosa quarta frazione in 28’’82, nuotando fino all’ultimo metro distesa, mentre le due davanti scoppiano letteralmente negli ultimi venti metri, con bracciate che non sono più incisive, più lente di quasi un secondo rispetto a quelle precedenti vasche (29’’75 l’ultima frazione di Ledecky e 29’’76 McKeon), a dimostrazione di quanto si siano affossate a vicenda con una condotta di gara scriteriata. Insomma, avevano fatto i conti senza Federica Pellegrini.

Resta, in ogni caso, una gara straordinaria da parte di Federica Pellegrini, che a pochi giorni dal suo ventinovesimo compleanno (il prossimo 5 agosto) conquista la settima medaglia consecutiva a un Mondiale, sulla “sua” distanza, quella che l’ha resa unica: l’americano Ryan Lochte non è andato oltre le sei medaglie d’oro nei 200 misti, così come il sudafricano Cameron van der Burgh che ha conquistato la sua sesta medaglia proprio ieri, nei 50 rana.

Una gara tanto più straordinaria se pensiamo che è stata la sua finale più veloce dai tempi, inarrivabili, dei super costumi di Roma. Il tempo di 1’54’’73 è il suo secondo migliore in una finale importante, più basso di nove centesimi rispetto all’oro olimpico di Pechino.

A Pechino, dominio assoluto.

Battere Ledecky

Anche per Katie Ledecky si tratta di una gara a suo modo storica, infatti è la prima finale individuale persa dopo dodici vittorie consecutive tra Olimpiadi, Mondiali e giochi PanPacifici.

Una sconfitta giunta dopo aver nuotato in 1’54’’69 in semifinale, senza poi riuscire a confermarsi quando contava davvero. Per lei si tratta del solo secondo argento (per la cronaca il primo è stato con la steffetta 4x100 a Rio) a fronte di 22 ori, se sommiamo anche le Olimpiadi. Un’atleta che a soli venti anni ha già riscritto la storia dello stile libero, ma che proprio non riesce a chiudere il capitolo intitolato Federica Pellegrini, che oltretutto continua a detenere il record del mondo sui 200 metri, unico record non di Ledecky nella velocità prolungata. Ieri si è dovuta inchinare anche nello scontro diretto in vasca. Più di un sopracciglio si è alzato chiedendosi come è potuto accadere.

Swimming World ha provato a spiegarlo attraverso un’analisi rigorosa delle statistiche. Innanzitutto Pellegrini e Ledecky hanno usato una tattica fatta di bracciate più brevi in rapida successione, al contrario di McKeon, ma anche di Hosszú e Bonnet che, come visto, alla lunga sono finite alla deriva. Veronika Popova, giunta quarta, ha optato invece per una via di mezzo tra forza e velocità di bracciata.

La scelta di McKeon e Hosszú le ha portate a generare una velocità media maggiore nella prima vasca e anche una distanza media per bracciata più ampia delle altre, con un guadagno di circa 20 centimetri a colpo (30 centimetri addirittura per l’ungherese) su Pellegrini e Ledecky, che viaggiavano sullo stesso tempo compensando la maggior potenza della bracciata dell’italiana con una subacquea più lunga dell’americana.

Nella seconda vasca si nota come Ledecky abbia aumentato sensibilmente la sua velocità media, mentre Hosszú e Bonnet cominciano a pagare la scelta di un “rapporto lungo”, per usare il gergo del ciclismo. Pellegrini, dal canto suo, rimane indietro, ma aumenta la produttività dei suoi colpi nell’acqua, diminuendone la frequenza.

Nella terza vasca anche i dati elaborati mostrano ciò che l’occhio aveva notato: e cioè che Ledecky si scompone e perde ritmo rispetto alle altre che aumentano il numero di bracciate.

L’apoteosi romana.

Gli ultimi 50 metri vivono di due momenti ben distinti: all’inizio Ledecky e McKeon perdono terreno, la prima scoppiando di colpo sotto tutti gli aspetti parametrici e la seconda proseguendo in una progressiva perdita di potenza iniziata dopo la virata ai 100 metri, senza riuscire a dare maggior frequenza. Poi ci sono gli ultimi 25 metri, in cui Federica aumenta la velocità di 0,04 metri al secondo, accorciando la bracciata e aumentandone il ritmo, così da riuscire ancora a sprigionare potenza e vincendo per distacco il suo terzo titolo iridato dopo Roma 2009 e Shangai 2011.

La ciliegina sulla torta

Si cementa così un rapporto di profondo amore tra Federica Pellegrini e i campionati del mondo, iniziato a Montreal 2005 dove ai blocchetti di partenza si presentava poco più che adolescente, ma già con la pressione addosso della medaglia olimpica conquistata ad Atene da perfetta sconosciuta. Una storia d’amore conclusasi in gloria a Budapest, nonostante le cocenti sconfitte sotto i cinque cerchi (dopo Pechino, le Olimpiadi le hanno dato solo amarezze).

A dirla tutta, Pellegrini ai Mondiali ci era già stata nel 2003, quando a Barcellona era aggregata alla staffetta 4x100, ma nessuno la conosceva. Dodici mesi dopo invece era diventata la più giovane italiana a salire sul podio nella storia olimpica. Tanto che l’argento mondiale in Canada venne accolto dalla diciassettenne veneta con lacrime di delusione, per quella che sembrava una sconfitta subita.

Ad Atene fu argento solo per una questione di visuale.

Due anni dopo in Australia era stata un’altra francese, Laure Manaudou, a toglierle la gioia del primo posto, dopo che in semifinale Pellegrini aveva ritoccato il record mondiale. Delusione doppia, perché Federica arriva terza, battuta anche dalla tedesca Annika Lurz. Da quel momento, però, inizia il regno della Pellegrini, che vince le Olimpiadi a Pechino 2008 e poi il doppio titolo Mondiale al Foro Italico su 200 e 400 con annessi record mondiali in successione. Il titolo sui 200 viene bissato a Shanghai 2011.

Sembra una felicità assoluta e invece come un macigno arriva il quinto posto di Londra 2012. Le Olimpiadi cominciano a diventare stregate e “la Divina”, come ormai viene chiamata, non piace più come una volta al pubblico, complice la poco sportiva rinuncia a fare da portabandiera all’inaugurazione dei Giochi.

Segue un anno sabbatico e il ritorno ai Mondiali, di nuovo Barcellona come da bambina e di nuovo un argento, che ha tutt’altro sapore rispetto a quello di otto anni prima, stavolta Federica è felice di essere tornata a nuotare davvero. A Kazan, nel 2015, conquista nuovamente il secondo posto: per la prima volta conosce la velocità di una diciottenne di nome Katie Ledecky, che in quella campagna di Russia porta a casa cinque ori.

Mai in gara a Londra 2012.

Altri quattro ori, Ledecky li conquista ai Giochi di Rio, dove Federica riceve la seconda coltellata in un’Olimpiade. Stavolta la mano a sopravanzarla è quella di Emma McKeon, con Pellegrini che chiude col tempo di 1’55’’18. Lo stesso tempo che ieri ha inchiodato sia Ledecky che McKeon sul secondo gradino del podio: corsi e ricorsi storici e cronometrici.

Sul primo gradino, lontanissima e raggiante, c’è finita nuovamente lei, che può addirittura dire: «Non sono mai andata via». Subito dopo, però, Federica ha aggiunto che è stato l’ultimo 200 della sua carriera e che per il futuro vuol fare «la bella vita della velocità». Dopo ancora, pensando a Tokyo 2020, le è scappato che, insomma, mai dire mai quando e se rimane la salute…

Il futuro è una terra straniera e quello che possiamo dire oggi è che Federica Pellegrini ha aggiunto un nuovo tassello al suo mito, forse il più bello, di certo quello più lucido.

Lei stessa ha dichiarato di essere, solamente adesso, in pace.

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