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Federico Chiesa ama complicarsi la vita. Cioè, non la vita in generale, anche perché non lo conosco, ma quella nel campo da calcio - se dovessi provare a giudicarlo guardando i social, in realtà, direi che è un ragazzo fin troppo normale, non sembra neanche un calciatore, non si fa le foto mentre mangia bistecche dorate, o seduto sul cofano di Lamborghini in serie limitata; si fa fotografare mentre bacia in testa il suo barboncino o seduto sul divano con una scatola contenente un Colosseo di Lego che, scrive nella caption, non riuscirà mai a finire.
In campo, però, pochissimi calciatori sono più ambiziosi di lui, vivono più al limite di lui. Se il mondo dei social è solo apparenza, Federico Chiesa è tutta sostanza. Non si dà pace e rifiuta in partenza, per principio si direbbe, la soluzione più semplice. A volte ricorre anche lui allo scarico più vicino, al passaggio all’indietro, ma diciamo che se questo tipo di cose sono il 90% del gioco di un calciatore “normale”, e il restante 10% è fatto dalle idee più complicate, per Chiesa il rapporto è invertito. Il campo da calcio sembra troppo piccolo, la partita troppo breve, perché Chiesa dia sfogo a tutta la sua energia.
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Il gol segnato all’Empoli la scorsa domenica - terza giornata della Serie A 2023/24 - è un esempio perfetto di quello che sto cercando di dire. Quaranta metri a perdifiato, con l’Empoli così sbilanciato alla ricerca del pareggio che Chiesa arriva a tu per tu con il portiere a trequarti di campo. All’inizio dell’azione in realtà, quando Chiesa da sinistra gioca di prima verso Milik e poi si lancia dietro la difesa, Walukiewicz prova a trattenerlo per una spalla, ma lui gli sfugge come sabbia tra le dita. Poi, però, una volta saltato Berisha, anche se non c’è contatto con il portiere, Chiesa cade a terra. Si capisce che se potesse resterebbe in piedi, che cioè non sta simulando, ma si ritrova a gattonare, deve trascinarsi sulle ginocchia, rialzarsi, riprendere la palla e a quel punto Walukiewicz e Berisha stanno per chiudergli lo spazio di tiro.
Alla fine la conclusione per il gol è più complicata di quel che sembrava, deve calciare vicino al primo palo con un angolo piuttosto stretto e deve farlo velocemente. Ce la fa, Chiesa calcia cadendo di faccia sul prato, a braccia e gambe larghe, immobile ad eccezione della schiena che si alza e si abbassa mentre prova a rifiatare. Chiesa passa cinque secondi con la faccia nascosta nell’erba del Castellani, prima di riemergere dai suoi pensieri.
Di Federico Chiesa si parla già dalla prima partita stagionale con l’Udinese, un po’ per le dichiarazioni in cui parlava di “calcio moderno” e citava l’arrivo dal Sassuolo di Francesco Magnanelli nello staff di Allegri come origine di «nuove tattiche», un po’ perché Allegri da parte sua ha annunciato che quest’anno Chiesa giocherà come attaccante. Anzi, che Chiesa è un attaccante. Sempre aggiungendo «secondo me», ma dato che è lui che sceglie dove poi effettivamente gioca Chiesa cambia poco. «Deve fare 14-16 gol, farlo giocare esterno è riduttivo».
Quante volte è capitato che un giocatore di ventisei anni, dopo sette stagioni in Serie A e un Europeo vinto da protagonista, cambiasse di ruolo? Come fa ad essere così sicuro Allegri? D’altra parte fissando un obiettivo così preciso (14 gol, che tra l’altro Chiesa ha segnato nella sua prima stagione in bianconero, giocando sull’esterno) sembra posticipare qualsiasi possibile discorso.
Allegri in realtà aveva detto già in passato che Chiesa «può fare il centravanti». Lo scorso febbraio per la partita con la Fiorentina lo ha fatto giocare vicino a Vlahovic con dietro Di Maria ma in quel periodo il problema sembrava essere la convivenza con Kostic. Un altro tema emerso dopo la partita con l’Udinese è stato proprio questo, visto che Kostic è rimasto in panchina perché troppo “lineare” rispetto a Cambiaso e Iling Junior (entrato a partita in corso) che dall’esterno si trovano meglio a muoversi verso zone più centrali. Kostic, cioè, rischia comunque di pestarsi i piedi con Chiesa che tende ad allargarsi. Chiesa attaccante, quindi, non risolve il problema, Allegri sembra semplicemente preferirlo come seconda punta.
Un paradosso considerando che Chiesa a inizio carriera diceva di sentirsi «un giocatore diverso» rispetto al padre: già nel 2017 Tommaso Giagni scriveva che «per quanto lo si vorrebbe aiutare a smarcarsi dal paragone, sembra sempre più il contrario» e adesso invece pare che il destino voglia proprio trasformarcelo, nel padre. Al di là delle suggestioni la domanda che viene da farsi anche solo dopo tre giornate è se sia vero che sull’esterno alcune caratteristiche di Chiesa vadano un po’ sprecate.
Federico Chiesa è anzitutto un giocatore verticale, attratto dal fondo del campo e dalla porta. È un dribblatore, ma il dribbling per lui è un mezzo per arrivare fino in fondo. È un giocatore elettrico che forza i blocchi difensivi che si trova davanti. Può farlo in fascia, uno contro uno, inscenando una micro partita di acchiapparella o di rubabandiera con il terzino avversario, ma può farlo anche nella fascia centrale del campo, facendo scorrere la palla dietro al difensore o chiedendo il filtrante al compagno, magari con un uno-due. Ed è chiaro che i pericoli maggiori arrivano dalla fascia centrale del campo, trasformare quindi una minaccia indiretta, un assist-man, in una pistola perennemente puntata direttamente contro le difese, sarebbe un bel upgrade per la Juventus.
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Un esempio di Chiesa che non fa le cose facili. Potrebbe liberarsi del pallone scaricandolo su Rabiot o McKennie e poi muoversi per riceverlo più vicino all’area di rigore, invece si accentra e pesca Vlahovic mezzo nascosto sulla linea della difesa. Diventa quasi un assist, Vlahovic sbaglia il controllo, ma se guardate come Chiesa continua il movimento sembra che in realtà avesse in mente un complicato triangolo con Vlahovic che lo avrebbe portato al tiro dal centro dell’area. Una bella idea, anche se di difficile realizzazione.
Anche se non è un trequartista e non ha le qualità per ricevere tra le linee, né l’esperienza per giocare in spazi stretti come un vero attaccante, dentro Chiesa c’è qualcosa che lo porta a voler concludere l’azione, più che a costruirla. In questo senso Allegri sembra assecondare una caratteristica che fa parte di lui e che in questo nuovo ruolo potrebbe sviluppare ulteriormente.
D’altra parte però sembra anche incentivare l'amore di Chiesa per il caso, la tendenza a fare casino, a giocare come se si trovasse in una stanza in fiamme. Non è un giocatore ordinato, né tanto meno meccanico, ma non è neanche un calciatore associativo, capace di connettersi con i compagni per più di uno scambio nello spazio. Chiesa carica a testa bassa, accelera e solo in un secondo momento alza la testa e cerca un compagno o una soluzione per continuare l’azione, consapevole di essere più veloce e soprattutto più reattivo delle difese che si trova davanti.
E poi anche se in teoria è più pericoloso al centro che in fascia, sono pochi i palloni che gli permettono di puntare i difensori frontalmente. Per ovvie ragioni non ha il gioco spalle alla porta di Morata, Vlahovic o Milik, né i loro smarcamenti tra le linee, o negli spazi intorno ai difensori, dove ricevere e penetrare in area. Con l’Empoli, poco prima del gol, è capitato che la palla gli arrivasse lateralmente (non di spalle) a pochi metri dall'area di rigore, con un solo difensore davanti, ma una volta dribblato ha concluso di poco al lato del palo. Questo perché, in ogni caso, non sappiamo neanche quale sia la sua dimensione come finalizzatore.
Nelle passate stagioni ha sempre segnato un po’ di più rispetto agli xG avuti a disposizione (nella prima stagione alla Juventus, ad esempio, quella 2020-21, ha segnato 8 gol in campionato con 6.1xG) ma questo anche perché alcuni dei suoi tiri arrivano da lontano, da posizioni angolate o con molti avversari davanti, abbassando quindi il valore degli xG. La scorsa stagione, ad esempio, i suoi tiri in media valevano 0.05 xG, un valore tanto basso da rientrare nel 9% peggiore del ruolo (ala o trequartista esterno, come giocava la passata stagione, se lo confrontassimo alla media degli attaccanti sarebbe un valore ancora peggiore).
Quella di Chiesa che segna 16 gol potrebbe essere una bella intuizione di Allegri e i gol con l’Udinese e con l’Empoli, con cui ha già pareggiato i 2 gol segnati in tutta la scorsa stagione, fanno sperare bene, ma non è supportata per ora da nessun dato né dall’osservazione delle qualità di Chiesa, tanto brillante ed eccezionale a volte quanto impreciso senza scuse apparenti in altre occasioni (tipo l’azione sopracitata con l’Empoli).
Per quanto riguarda la sua capacità di creare pericoli con i passaggi e i cross, invece, siamo piuttosto certi che si tratti di un giocatore eccezionale: la scorsa stagione è stato nel 3% di esterni ad aver assistito più xG (con 0.26 xG assistiti su azione per 90 minuti); due stagioni fa al primo anno alla Juventus era nel 4% dei migliori (0.23). In questi dati c'è la misura del rischio che si sta assumendo Allegri.
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Due esempi di come Chiesa ami complicarsi la vita. Il primo sull’esterno: fa due finte, prima di sinistro, poi di destro, prima di crossare la palla sul portiere (a volte sembra confondere persino i compagni). Il secondo esempio mostra una conduzione centrale in cui, una volta chiuso, sembra voler fare un passaggio di esterno. Una volta contrastata, però, la palla si impenna verso l’area e Chiesa ha comunque una tale energia e una tale velocità da correre all’inseguimento del pallone e creare una specie di pericolo.
Federico Chiesa sembra più che altro un giocatore solitario e forse avvicinarlo alla porta lo mette nelle condizioni di creare più pericoli col suo gioco molto diretto. Significa anche rinunciare a un assitman di alto livello che potrebbe, a ventisei anni, maturare ulteriormente in un contesto di squadra in cui gli si chieda di fare determinate cose, magari anche molte, ma non proprio tutte. Se Chiesa sembra volere più responsabilità possibile, Allegri gliele sta dando davvero, ma non avrà rete di protezione mentre proverà ad attraversare la corda che collega i due grattacieli in mezzo a cui si trova.
Non lo potrà aiutare più di tanto neanche la squadra che ha intorno, dato che, a parte lanciarlo a tutta velocità dietro la difesa, o restituirgli la palla quando chiede l’uno-due, non è ancora chiaro come valorizzarlo e Chiesa si muove seguendo l’istinto, in modo imprevedibile anche per loro. Il numero 7 della Juventus sarà quindi solo con la sua esuberanza, con la sua voglia di spaccare le difese e, insieme ad esse, il mondo intero. Magari ci riuscirà, e sarà uno spettacolo a cui saremo felici di assistere - in quel caso ci ricorderemo anche di ringraziare Allegri - ma magari finirà col sbattere su più muri di quelli che immagina, frustrando se stesso e chi in lui crede, finendo magari per perdere quella fiducia folle nei propri mezzi che lo contraddistingue fin dall’inizio.
Federico Chiesa dovrà imparare a guardarsi attorno prima che gli arrivi la palla, a cercare maggiormente i compagni, e meglio, a non usarli solo come sponde o come ciambelle di salvataggio. E dovrà anche prendere decisioni migliori, selezionando le occasioni in cui spingere sull’acceleratore e quelle in cui rallentare e conservare energia, riflettere (come faceva il padre Enrico, che pareva giocare al gatto col topo con i difensori). In poche parole dovrà semplificarsi la vita, anche se per lui, almeno dentro al campo, sembra essere la cosa più difficile di tutte.