A 21 anni Federico Chiesa ha sfondato il muro delle 100 presenze con la maglia della Fiorentina e, in attesa delle convocazioni il prossimo marzo, ha già giocato più partite con la Nazionale maggiore rispetto a quelle con l’Under, con cui è arrivato a giocarsi la semifinale dell’Europeo neanche due anni fa. Da quando ha debuttato tra i professionisti, cioè due anni e mezzo fa, ci sono grandi aspettative su di lui e, diciamo fino allo scorso gennaio, ci si stava addirittura ponendo delle domande sulla sua effettiva crescita. Poi, un mese fa, è andato in rete 7 volte in 4 partite consecutive (volendo possiamo aggiungere anche un assist), compresa la tripletta nello storico 7-1 con la Roma in Coppa Italia.
Adesso possiamo dire che il rendimento di Chiesa sembra stabile, per quanto il suo stile lo permetta, e la sua capacità di lasciare il segno negli ultimi metri è aumentata notevolmente: ha segnato già più gol quest’anno (11, tra campionato e coppa) delle due stagioni precedenti sommate.
Possiamo dire, soprattutto, che Federico Chiesa è un talento diverso da qualsiasi altro giochi attualmente in Italia. In un campionato generalmente noioso, in una cultura calcistica che spesso e volentieri va fiera della propria noia, anzi, Federico Chiesa sembra un alieno oppure - con il senso dispregiativo che ha assunto questa parola negli ultimi tempi in Italia - uno straniero. E forse la vera notizia è che dopo tre anni non è cambiato di una virgola. Il suo brand, se così lo vogliamo chiamare, è un mix di elettricità e spensieratezza che non lo porterà mai all’efficienza, magari, ma che lo rende già oggi uno dei giocatori più divertenti del campionato.
Da una parte ci sono i giocatori mediocri, di cui si può prevedere quasi ogni scelta prima che la compiano. Quelli rigidi, che si muovono come mobili da ufficio sulle rotelle, che non possono permettersi un’eccessiva confidenza con la palla. Dalla parte opposta ci sono i giocatori onnipotenti, con il dono del teletrasporto, sempre al posto giusto, al momento giusto, con l’idea giusta, capaci di immaginare e fare cose che nessun altro avrebbe immaginato, o fatto, al posto loro. In mezzo tra questi due poli ci sono i calciatori come Federico Chiesa, impossibili da prevedere, ambiziosi a proprio rischio e pericolo, pronti a sfidare i limiti del proprio talento a ogni palla giocata.
Preferisce partire a destra, ma può giocare al centro dell’attacco o a sinistra. In ogni caso, Chiesa non sta mai fermo abbastanza a lungo da poterlo mettere a fuoco. Le uniche foto dove viene bene sono quelle in cui è a terra, protestando per un calcio preso davvero o no. Chiesa con le braccia larghe e gli occhi di fuori, sempre con lo sguardo stralunato di chi sta protestando contro un’ingiustizia pazzesca (mi piace pensare che per risultare credibile Chiesa pensi all’assenza di una politica condivisa che contrasti il Global Warming: da un punto di vista anagrafico avrebbe senso).
E forse per questo, perché è più facile capire Chiesa quando sta a terra, parte del pubblico italiano lo considera anzitutto un simulatore. Perché è la categoria più semplice a cui ascriverlo.
I più generosi dicono: “È tanto forte quanto scorretto”. E si obietterà che le due cose possono essere vere simultaneamente, solo che mi sembra strano che la sua mancanza di lealtà venga sottolineata ogni volta, specie quando si prova a elogiarlo in qualche modo, e che non succeda mai il contrario.
Nessuno risponde ai commenti in cui gli danno dello stuntman dicendo: “eh, però è anche fortissimo, uno dei talenti più originali e interessanti che il calcio italiano abbia prodotto negli ultimi anni”.
Foto di Gabriele Maltinti / Getty Images.
Così, dalla prima all’ultima palla che Federico Chiesa ha toccato contro l’Atalanta, domenica, è stato sommerso dai fischi del pubblico di casa. Gasperini, l’allenatore avversario, aveva rimproverato a Chiesa il rigore che si era procurato nella partita di andata (in cui effettivamente non c’è contatto con il piede del difensore) e ancora pochi giorni fa, dopo la polemica per il rigore assegnato alla Fiorentina contro l’Inter a tempo scaduto, in cui Chiesa non c’entrava niente, aveva detto che continuando così rischia di trovare “ambienti ostili”.
Perché non si può dire la verità, e cioè che molti preferirebbero non veder più giocare Federico Chiesa piuttosto che vederlo giocare e, ogni tanto, cadere a terra dopo un contatto dubbio? Che preferirebbero vederlo fallire piuttosto che eccellere solo ed esclusivamente perché se lo toccano in area cade e, a volte, cade anche se non lo toccano?
Calcisticamente parlando, Federico Chiesa è un giocatore eccezionale, forse persino unico, ma non è un fenomeno, almeno per ora. Anche se il suo stile iper-verticale, la sua continua ricerca della profondità, costringe compagni e avversari ad adattarsi alle sue decisioni, spesso queste sono sbagliate e tutto sommato non è ancora diventato il giocatore in grado di cambiare il contesto di una partita che, guardandolo, si riesce a immaginare.
Ad esempio, Federico Chiesa tira moltissimo: è l’unico in Serie A ad aver calciato verso la porta più di 100 volte, insieme a Cristiano Ronaldo ovviamente; ma CR7 ha prodotto 18,7 xG e raccolto 14 gol, mentre lui da 9,1 xG ha ricavato appena 5 gol.
Chiesa, nonostante una qualità di tiro eccezionale (ereditata dal padre) tira troppo, non solo è impreciso (ha realizzato meno gol di xG, mentre i finalizzatori d’élite invertono il rapporto) ma sceglie anche di tirare in situazioni poco convenienti, da troppo lontano (con un totale di tiri molto elevato la sua pericolosità rimane bassa). Al momento è il volume di gioco il suo forte, più che l’efficacia: la capacità stessa di procurarsi un tiro, il coraggio che ci vuole per provarci da lontano e la qualità per riuscirci abbastanza spesso da non diventare semplicemente dei mangia palloni.
Sembra il ritratto statistico di un giocatore di talento ma immaturo, che vuole cambiare la partita ogni volta che ne ha la possibilità. Ovviamente questo significa anche che i suoi margini di miglioramento sono ancora enormi.
Può esserci un’azione a partita, o più di una, in cui Chiesa diventa impossibile da fermare, ma quasi sempre significa che qualcosa di estremamente difficile gli è andata particolarmente bene. Quando un fenomeno vero e proprio comincia un’azione, ha già in mente, o in qualche modo sente, come potrebbe finirla. Un dribbling di Mbappé è la schicchera sulla prima tessera di un domino: anche se il piano per arrivare in porta non è già pronto, lui sa che potrà sfruttare l’effetto del suo primo strappo palla al piede. Federico Chiesa deve continuamente improvvisare, non solo quando deve dribblare, ma anche quando deve decidere in che direzione portare palla.
Chiesa vive momenti di grazia “minore”, in cui la sua energia diventa troppa per gli avversari, i suoi riflessi troppo rapidi. Ma è come se dovesse fare a testa o croce per decidere quale piede mettere davanti all’altro mentre cammina. E quando prende una decisione, non tiene conto né dei compagni né degli avversari. La sua forza sta nel grande lavoro in cui si spende ogni partita, nei chilometri di campo che letteralmente mangia ogni partita. È un giocatore da grandi numeri anche sui dribbling: è quello che in Serie A ne sbaglia di più (3.3), tra i giocatori con più di 500 minuti in stagione, ma è anche quello che ne prova di più (5.8) dopo Douglas Costa (6.8) e Correa (5.9).
Il che non ha solo aspetti negativi. Anzitutto, dopo anni in cui si dice che in Italia “si pensa troppo alla tattica”, o almeno ci si pensa da troppo presto, quando i calciatori dovrebbero ancora restare in contatto con la propria parte più istintiva, Chiesa gioca un tipo di calcio che sembra davvero quello che immaginiamo a dodici anni. Un susseguirsi di strappi, dribbling, tiri e cross da posizioni impossibili; azioni che durano pochi secondi, pochi passaggi, per via di quel atletismo straripante che fa sembrare il campo troppo piccolo, di quell’energia vitale che diventa urgenza, fretta, se frustrata dal tatticismo. Come se una partita di calcio fosse una compilation di highlights lunga novanta minuti.
Questo tipo di talento è secondo me anche una specie di risposta/rifiuto a un calcio dove il livello tattico è sempre più alto. Non è un caso se i migliori ventenni italiani, Barella, Zaniolo e appunto Chiesa, sono tutti talenti imprevedibili, se non proprio casinisti.
In comune, oltre a un atletismo che contrasta un po’ con la nostra tradizione calcistica (che creerebbe confusione nelle categorie etniche di Gianni Brera), hanno una forma di generosità che confina con l’autolesionismo - che per forza di cosa ci costringe a chiederci se la loro intensità e la concentrazione resteranno uguali col passare degli anni, o se in un certo senso si consumeranno prima dei giocatori “normali” - e una capacità unica di creare il caos, di rompere l’ordine della partita, magari forzando la giocata.
Sembra che giocando si ribellino alla noia del nostro calcio conservativo e prudente, in cui è sempre meglio non prenderle prima, in cui i campionati li vincono le difese, eccetera eccetera. Tutti discorsi che probabilmente hanno sentito ogni giorno mentre crescevano e a cui, con il loro stile, sia Chiesa che Barella che Zaniolo sembrano voler negare.
Al tempo stesso, c’è qualcosa di tipicamente italiano nel modo in cui Chiesa coglie, o prova a cogliere, ogni singola opportunità che gli si presenta, e nella sua arte di adattarsi e arrangiarsi per essere decisivo il più spesso possibile, sfruttando il suo equilibrio corporeo e l’esplosività che gli permettono di cambiare direzione in qualsiasi istante, o di arrivare a toccare la palla una frazione di secondo prima del suo avversario, spingendolo magari a un errore decisivo. Tipo un fallo da rigore. E forse è anche per questo che non ci pensa due volte, quando viene sfiorato o anche solo pensa che potrebbero sfiorarlo, a lasciarsi cadere.
Il suo allenatore, Pioli, lo ha dovuto difendere più di una volta: «Federico deve continuare così, fuori dal campo e soprattutto in campo. Sta diventando un giocatore fortissimo. Grazie alla sua qualità e alla sua velocità subisce tutte le partite tantissimi colpi. Non è - non è - un simulatore. Mi riferisco anche alle accuse dopo la partita di andata, dove inciampò - inciampò - e cadde per terra. Domenica ha subito un fallo non ha nemmeno protestato, quindi lasciamo stare certe cose».
Oppure, sempre Pioli: «Vi avrei fatto vedere domenica dopo la partita le caviglie e gli stinchi di Federico». Eppure, anche se è vero che Chiesa prende molti calci e alla velocità a cui gioca gli capita di cadere anche quando non è fallo, nonostante non rispetti il cliché del giovane calciatore che pensa solo ai social e ai soldi («Sul Cayenne non mi vedrete mai», ha detto una volta) comunque non riesce a stare simpatico a quella fetta di pubblico che commenta il calcio italiano come se fosse una puntata del Grande Fratello.
Siamo diventati troppo esigenti e moraleggianti, quando pensiamo ai giovani calciatori italiani? Non sarà un problema nostro se non riusciamo goderci neanche un talento come Federico Chiesa?
In cambio della nostra stima - ma diciamo pure: del nostro rispetto - chiediamo che un giovane calciatore sia abbastanza talentuoso da staccarsi dallo sfondo delle partite di calcio, che abbia cioè almeno un po’ più del talento che normalmente serve per arrivare a giocare in Serie A. Deve essere protagonista indiscusso, altrimenti viene catalogato come “mediocre” e ad ogni occasione ne verranno sottolineati i limiti (un po’ quello che è successo a gente come Cristante e De Sciglio, e persino a Verratti quando si è capito che non era un numero 10).
Ma deve anche saper resistere alle pressioni della competizione con calciatori magari più esperti e di avere sufficientemente carattere per tenere botta ad allenatori umorali e tifosi sempre più emotivi. E se non ce la fa tanto peggio, i nomi da ricordarci per conversare con gli amici sono fin troppi.
Al tempo stesso però gli chiediamo di essere umile. Deve fare cose incredibili ma, mentre le fa su base settimanale, deve anche restare con i piedi per terra e sudarsi lo stipendio (che non deve essere troppo alto, almeno non subito). Deve essere meglio di noi, in campo e fuori, non deve tirarsela troppo, né sembrare arrogante (e deve esserlo da sempre, perché altrimenti gli rinfacciamo i post di Facebook di quando aveva 11 anni).
Infine, non deve lasciare veramente nessun dubbio sul fatto che meriti il proprio successo, deve essere assolutamente senza macchia. In questo senso, deve essere migliore di una cultura calcistica in cui il risultato è tutto, e che di fatto vive di polemiche da consumare una settimana dopo l’altra. Una cultura contraddittoria, che chiede ai calciatori di pensare solo al campo ma che poi li giudica come se fossero degli attori, dei personaggi di una serie TV da amare o odiare così, a pelle.
Contro l’Atalanta, Chiesa è andato a terra due volte. La prima, dopo un controllo pazzesco con cui ha messo giù un campanile che veniva dalla difesa, e una sterzata improvvisa con cui ha bruciato il suo marcatore prima di finire contro un altro avversario (senza protestare). La seconda, quando è stato atterrato da De Roon che non poteva recuperarlo senza fare fallo (ed è stato ammonito).
Chiesa non è il primo, né sarà l’ultimo, a provare di ingannare l’arbitro o a sfruttare un contatto magari minimo (solo questa settimana si è parlato delle cadute di Piatek in Milan-Sassuolo e di Ronaldo in Napoli-Juve), e in fondo si parla di pochissimi episodi eclatanti (alcuni giudicati anche in maniera parziale: qualcuno gli rinfaccia il rigore con il Cagliari o quello con la SPAL, dove il contatto c’era).
Forse quella del pubblico italiano per Chiesa è un’antipatia più sottile e al tempo stesso più estrema, che dipende dal suo “atteggiamento”, dalle proteste teatrali. Ma che finisca spesso a terra, come detto, dipende dal suo stile di gioco: dalla velocità, dall’improvvisazione continua che lo spinge alla ricerca dello spazio in cui infilarsi, del modo assurdo e impensabile con cui prova a far passare la palla oltre l’avversario. Ma anche dalla necessità psicologica e tecnica di ingrandire il proprio volume di gioco, di provarci sempre per riuscirci qualche volta.
Foto di Gabriele Maltinti / Getty Images.
Al 40’ del primo tempo della partita con l’Atalanta, il “Cholito” Simeone lancia Chiesa in profondità, sulla linea laterale. Chiesa controlla in corsa, inseguito da Djimsiti, e riesce a orientare la corsa verso l’area di rigore, anche se il campo è quasi finito. Quando i due entrano in area la palla sta per superare la riga di fondo, ma Djmisiti decide di non correre rischi e lo carica con la spalla, allargando però anche la gamba, per spingere Chiesa fuori dal campo. Probabilmente c’è contatto e, tutto sommato, Chiesa potrebbe cadere e con una certa legittimità chiedere il rigore.
Invece resta in piedi e trova in qualche modo il contatto con la palla, di sinistro, che tiene in campo. Riesce a frenare sul posto, mentre Djimsiti sta facendo il giro largo, e a riprendere l’equilibrio anticipando l’uscita di Gollini per mettere il pallone all’indietro per un eventuale compagno, che in questo caso non c’è.
Si era sul 2-1 per l’Atalanta e la partita finirà 3-1. Chiesa proverà ad inventare un altro paio di azioni impossibili (a un certo punto, circondato da 4 avversari, sulla riga di fondo, proverà un tacco per girarsi in area) e prenderà una traversa a giro da fuori area. Prenderà dei calci, come sempre, ma starà zitto e guarderà a terra ogni volta che lo stadio Azzurri d’Italia lo sommergerà di fischi.
Chissà, magari le polemiche di queste settimane lo spingeranno a cercare di meno il fallo e per lui sarà un bene comunque, ha il talento per giocare a calcio in equilibrio su una fune e può trovare soluzioni diverse da quella quando è in difficoltà. Ma resta l’estremismo di un pubblico che non perdona nulla, che ha barattato l’amore per i propri beniamini, gratuito e assolutamente non obbligatorio, con una forma costante di ricatto.
E quindi, siete disposti a godervi il talento di Federico Chiesa o vorreste vederlo fallire?