Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Stiamo sottovalutando Federico Dimarco?
16 ott 2024
16 ott 2024
Un terzino diverso da tutti gli altri.
(articolo)
15 min
(copertina)
IMAGO / Giuseppe Maffia
(copertina) IMAGO / Giuseppe Maffia
Dark mode
(ON)

Prendiamo due azioni simili. La prima è quella che porta al rigore del primo gol italiano contro Israele. Tonali, momentaneamente largo a destra, manda sul fondo Cambiaso, che ha il tempo di alzare la testa, guardare i movimenti in area di rigore e crossare. Cambiaso mette dentro una palla tesa, sostanzialmente corretta, giusta, che però sfila dietro a Retegui e davanti a Di Lorenzo. Respinta poi da un difensore, ci arriverà sopra Tonali su cui avverrà il fallo da rigore.

La seconda azione, invece, è quella che porta al gol di Frattesi nel secondo tempo di quella stessa partita. Calafiori controlla di coscia un campanile che si è alzato a ridosso della trequarti e, di prima intenzione, con il piatto sinistro, serve Dimarco sulla corsa in fascia. Dimarco non si aggiusta neanche la palla, gli basta una rapida occhiata per vedere Frattesi a rimorchio di Retegui al limite dell’area. Taglia leggermente la traiettoria del pallone, accelera la giocata e quasi di controbalzo lo colpisce dandogli una traiettoria leggermente all’indietro. È una palla rasoterra forte e tesa, che Frattesi calcia di sinistro bene quanto basta per sorprendere il portiere.

Sono la visione di gioco e la precisione di Dimarco a fare la differenza tra la seconda e la prima azione presa in esame. Ho scelto proprio queste due perché sono successe a mezz’ora di distanza l’una dall’altra, non certo per fare un confronto tra due giocatori molto diversi come Cambiaso e Dimarco. Ma il confronto con Dimarco sarebbe difficile per qualsiasi altro esterno di fascia, destro o sinistro. Quella precisione e quella visione in teoria sono a disposizione di ogni calciatore di alto livello, sono la base del loro talento, parte delle condizioni richieste per accedere al calcio d’élite, eppure sono qualità molto difficili da mettere in pratica, anche nel calcio della Nations League.

Cambiaso non vede, o non riesce a servire Di Lorenzo a pochi passi, né riesce a calciare su Retegui in corsa; Dimarco invece mette la palla in un corridoio stretto e lungo una ventina di metri, e affretta la giocata perché quella finestra si sta per chiudere, per via di un avversario a pochi passi che oltretutto gli ostruiva parte della visuale nella direzione di Frattesi.

Le due partite di Nations League sembrano essere state giocate apposta per ricordarci delle qualità eccezionali di Federico Dimarco. Ancora più incredibile è la palla che crossa, proprio per il gol di Cambiaso, contro il Belgio. Da una posizione più centrale stavolta, dalla zona di rifinitura che affaccia sull’area di rigore, Dimarco infila il pallone sotto le gambe di Faes con una traiettoria che poi passa tra il portiere e il resto della difesa. Cambiaso è bravissimo in questo caso a fiondarsi sul pallone mettendo il piede davanti al terzino opposto che stava scivolando.

Come la descriviamo questa occasione? Un cross da quinto a quinto, come si dice di solito? Sì, certo, in teoria, Cambiaso e Dimarco sono i due esterni del 3-5-2 italiano, ma è davvero difficile e riduttivo definire la palla di Dimarco un semplice cross.

La qualità di Dimarco è più vicina a quella dei giocatori di bowling, in grado di colpire il birillo 7 con l’angolo giusto per farlo schizzare sul birillo 10 (uno dei colpi più difficili nel bowling, anche se non il più difficile statisticamente), o a quella di un golfista che mette una palla minuscola in una buca minuscola da decine e decine di metri di distanza, piuttosto che a quella di un normale terzino o di un altro esterno a tutta fascia.

Ci sembra di conoscere ormai la qualità di Dimarco, ci siamo abituati e diamo un po’ per scontato il suo sinistro da trequartista. Abbiamo dimenticato quando, appena tre stagioni fa (2021-22), Simone Inzaghi lo faceva giocare anche come terzo nel pacchetto di difensori centrali, con Perisic sull’esterno. Non si sapeva, allora, se le qualità di Dimarco fossero più utili in costruzione o in zone più avanzate di campo.

Oggi invece c’è chi considera quasi “un trucco” la sua posizione in campo. Come se bastasse esentare dai compiti difensivi un qualsiasi terzino offensivo per far venire fuori questa qualità, oppure come se Dimarco fosse un trequartista mascherato, che non gioca direttamente trequartista solo per ragioni ideologiche di Inzaghi che non rinuncerebbe mai al 3-5-2.

In realtà, il punto è proprio che Dimarco non avrebbe un’influenza simile a quella che ha adesso in altre zone di campo. Non sarebbe lo stesso se partisse più avanti, o più indietro, e neppure se giocasse più accentrato come playmaker davanti alla difesa. È una questione che ricorda per certi versi l’utilizzo in nazionale di Trent-Alexander Arnold, forse l’unico giocatore paragonabile a Dimarco per ruolo, qualità e funzioni. Considerando come predominante la qualità nei passaggi di TAA, da un certo punto in poi e fino allo scorso Europeo, Gareth Southgate lo ha spostato a centrocampo per sfruttarlo con più frequenza e in zone di campo più delicate, con risultati deludenti. Se è così abile nel playmaking da terzino, se la sua visione e la sua capacità di calcio è al livello di de Bruyne - tanto che Jurgen Klopp ha confessato di guardare gli highlights dei suoi passaggi per rilassarsi - perché non può giocare nel ruolo di de Bruyne?

Delle due variabili citate sopra, visione e precisione, solo la prima può variare in funzione della posizione. Più nello specifico, a cambiare è la visuale. Certo, anche con più pressione, a centrocampo, e la necessità di effettuare controlli più scomodi, un po’ di precisione viene meno, ma toccando molti più palloni dovrebbe compensarsi con l’aumento di qualità nella zona più importante di tutte.

A questo punto dobbiamo fare uno sforzo per adattare il nostro punto di vista solitamente esterno a quello dall’interno, dei giocatori. Dal centro del campo le linee avversarie, attacco centrocampo e difesa, sono piatte, la visuale è schiacciata. L’opzione verticale è quella solitamente resa più difficile da chi difende: si pressa in verticale e per mandare la palla sui lati. Da qui l’importanza della diagonalità, che portava ad esempio Toni Kroos a ricevere palla in costruzione nella posizione lasciata dal terzino sinistro.

Adesso, se immaginiamo (in modo astratto, mi rendo conto) che la compattezza della squadra avversaria sia sempre la stessa, con la palla al centro lo spazio ai lati sarà diviso più o meno equamente, a destra e a sinistra. Con la palla su una delle fasce, invece, la squadra avversaria scivolerà dal lato della palla e non solo si vedrà meglio lo spazio tra lo linee, ma il campo libero ai lati sarà tutto su quello opposto a dove si trova la palla. Ci sarà sempre più campo libero per il cambio di gioco che per un filtrante tra le linee.

Per giocatori con la capacità di calcio di Dimarco, poi, in grado di far viaggiare il pallone per cinquanta o sessanta metri tenendolo teso e veloce, calciare da zone più difensive di campo - ad esempio: dalla linea di metà campo anziché dal limite dell’area - significa avere a disposizione più campo, più profondità.

Un confronto: nella prima immagine Dimarco apre il campo come se avesse la zip, per Cambiaso che porterà palla fino a calciare dal limite dell’area, e sul cui tiro ribattuto arriverà Retegui per segnare il 2-0 contro il Belgio; nella seconda TAA ha uno spazio molto ridotto in larghezza (circa la metà) per servire il compagno a destra, e infatti rinuncerà al lancio e giocherà sul corto.

Con la stessa qualità a disposizione, quindi, cambiano le cose che si possono fare. Con Trent-Alexander Arnold a centrocampo l’Inghilterra perdeva i suoi cambi di gioco in favore di maggiore controllo (neanche troppo, dato che i suoi controlli sotto pressione non sono all’altezza dei playmaker specialisti) e della sua qualità nei filtranti. Perché in effetti TAA ha un’ottima visione anche nel gioco verticale e su distanze più brevi, nei filtranti, dove è richiesta precisione ma anche sensibilità nel tocco.

Dimarco ha un calcio più potente e brutale, più definitivo. I suoi cross sono forti, mirano al piede del compagno per sbatterci sopra come una sponda, come un angolo. La sua qualità è ancora più da rifinitore rispetto a TAA, da giocatore che gioca l’ultimo passaggio. Oppure, appunto, utile nei cambi di gioco, fondamentali nella squadra di Inzaghi che, è risaputo, dribbla pochissimo. Anche Dimarco non è un dribblatore e restringendogli lo spazio intorno rischierebbero di venire fuori problemi nella resistenza del pressing o nel gioco in spazi stretti.

Per ora se la cava benissimo anche nell’ultimo terzo, arrivandoci da dietro e sempre con un punto di vista laterale: lo spazio tra difesa e portiere è più difficile da difendere rispetto alla profondità verticale, perché lo spazio può essere molto più stretto e più attaccanti possono intercettare il pallone. Il cross forte e teso è pericoloso anche quando ci arriva per primo il difensore, che deve difendere a pochi passi dalla propria porta correndoci incontro, col rischio di farsi autogol e con un attaccante che può anticiparlo o sfilargli alle spalle.

Sono pochissimi in Europa, tra gli esterni, ma anche tra i rifinitori, ad avere i suoi numeri in tutte le statistiche che provano a misurare la qualità e l’efficienza dei passaggi nell’ultimo terzo di campo. Sia negli assist, negli “open play xA” (expected assist su azione), passaggi che portano al tiro un compagno, passaggi effettuati in area di rigore, passaggi nell’ultimo terzo e cross riusciti. E nei tiri, anche.

Qui un confronto con alcuni dei migliori playmaker offensivi del campionato nella scorsa stagione - più Trent-Alexander Arnold. I dati di Dimarco si riferiscono a questo inizio di stagione (cambiano pochissimo, comunque rispetto a quelli complessivi dello scorso anno), anche quelli di Yildiz che lo scorso anno ha giocato pochissimo.

Quante squadre hanno un rifinitore di questo tipo sull’esterno? E come cambia la struttura della squadra avere un giocatore così peculiare? L’Inter trae da Dimarco un vantaggio difficile da quantificare. Sappiamo che è molto importante per il gioco nerazzurro la ricezione centrale delle punte, e anche che rischierebbe di essere prevedibile se non avesse alternative alla verticalità.

Dimarco fa da regista offensivo, toglie compiti al terzetto di centrocampo dando uno sbocco sicuro alla circolazione del pallone in zone medie di campo. Il suo gioco è molto conservativo e prudente in fase di costruzione, con il piede sinistro è naturalmente portato a giocare all’indietro, il che però significa che quando la squadra si alza è Bastoni a gestire il pallone con una visuale diagonale verso la trequarti, e anche Bastoni ha ottime qualità nel cross.

Dimarco è un acceleratore di gioco quando l’Inter ha spazio, sia in transizione che nelle situazione più statiche in cui, però, vede la possibilità di servire l’ultimo passaggio. Inoltre con i suoi movimenti senza palla partecipa alla fluidità complessiva interista, sganciandosi dalla fascia e correndo in zone più centrali di campo, dove i controlli (anche con il destro), la visione di gioco e la pericolosità nel tiro lo rendono comunque una minaccia superiore a quella che rappresenterebbe un qualsiasi altro terzino.

Un altro esempio della visione di gioco e della precisione fenomenale di Dimarco.

Per capire l’eccezionalità di Dimarco basta ricordare quanti terzini vanno in difficoltà quando gli vengono dati compiti più creativi facendoli partire qualche metro più avanti. Quanti terzini offensivi in una difesa a quattro, anche i più tecnici, sembrano devitalizzati e mostrano i propri limiti quando la squadra passa a cinque. Magari dribblano e crossano bene come farebbe un esterno alto, ma non hanno la visione, o la capacità di calcio, per fare davvero da regista offensivo.

Il modo in cui l’Inter usa Dimarco ci dice anche di un piccolo rinnovamento culturale nell’uso dei terzini. Fino a qualche anno fa l’avanguardia del ruolo era rappresentata da terzini playmaker, in grado di venire dentro al campo per partecipare alla costruzione, riempire lo spazio lasciato libero da un centrocampista o aggiungendosi a loro. Dai falsi terzini di Guardiola sperimentati nel 2013 siamo arrivati a una specie di nuova normalità in cui parecchie squadre chiedono, occasionalmente o più stabilmente, al proprio terzino più qualitativo di venire dentro al campo. Fino, appunto, a Trent-Alexander Arnold a cui è stato proprio cambiato di ruolo.

Anche per ragioni culturali, quindi, c’è voluto un po’ di tempo per capire esattamente cosa fare con Dimarco. L’Inter, come anche l’Italia di Spalletti post-Europeo, usano la fluidità per costruire, preferendo lasciarlo nella zona di campo dove gioca meglio, qualche metro dietro la metà campo e poi fino al limite dell’area, come un centrocampista.

Dimarco ha spostato l’eccellenza del ruolo nell’ultimo terzo di campo sfruttando qualità atipiche per il gioco in fascia: invece di corsa e al dribbling lui fa la differenza con la visione di gioco e la tecnica nei passaggi e lanci. Siamo così passati dai terzini-playmaker a un terzino-rifinitore. Per una volta un esempio di eccellenza tecnica, e tattica, nel calcio europeo viene dalla Serie A, da un giocatore italiano. Forse dovremmo celebrarlo un pochino di più.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura