
Per la LegaBasket Femminile la Final Four di Coppa Italia è uno degli eventi più importanti dell’anno. Da due anni si gioca negli stessi giorni della Final Eight maschile, nella splendida cornice dell’Inalpi Arena di Torino. Una contemporaneità che, in teoria, dovrebbe permettere al basket maschile e quello femminile di incontrarsi e consentire al secondo di sfruttare la maggiore visibilità del primo per provare a farsi conoscere. I presupposti per questo dialogo ci sarebbero tutti: compresenza di giocatori e giocatrici nello stesso posto per gli stessi giorni, attenzione mediatica al suo massimo e partite che in quaranta minuti decidono chi è dentro e chi fuori. Il condizionale però è d’obbligo, perché una volta create le condizioni si dovrebbe provare a favorire l’interazione, ma questa conversazione non avviene praticamente mai.
Tranne che per il giorno della finale, infatti, i programmi dei due tabelloni sono del tutto separati. La giornata interamente dedicata al femminile è il venerdì, quando si giocano le due semifinali, che quest’anno vedevano affrontarsi Umana Reyer Venezia e Autosped BCC Derthona Women prima e Famila Wuber Schio e Molisana Magnolia Campobasso poi.
Le due semifinali, sulla carta, avevano due nette favorite, Venezia e Schio, ma in campo non si è visto. Merito forse di un pubblico di quasi 7000 persone che ha spinto molto, soprattutto Derthona e Campobasso, per cui la partecipazione a questo evento era già un risultato storico. Un dato, quello del pubblico, in crescita rispetto alla scorsa edizione - ma anche molto più alto di quello medio presente in campionato, visto che molte squadre giocano in impianti che non potrebbero nemmeno contenere un numero così alto di persone - e che racconta di come ci sarebbero i margini per vendere meglio il prodotto del basket femminile, che è un prodotto di qualità.

Ciamillo-Castoria (dal sito della LBF)
Nella prima semifinale il pubblico è infatti quasi tutto dalla parte delle “giraffe” di Derthona, che sono l’unica squadra a portare alla fase finale della Coppa Italia sia la formazione maschile che quella femminile. I tifosi riempiono i vuoti dell’Inalpi Arena con cori, bandiere e tamburi dando la carica alla squadra ma non basta, perché Venezia è più solida nel finale e si qualifica alla finale con un parziale di 11-1 negli ultimi sei minuti di gioco.
Anche per Schio contro Campobasso il copione è simile. Il pubblico molisano è il più caloroso della manifestazione, e il fatto che una cinquantina di persone abbiano deciso di fare Campobasso-Torino in un venerdì di metà febbraio racconta di come nel basket femminile esistono delle comunità su cui costruire e far crescere il movimento. Il calore dei tifosi Campobasso è una delle novità più belle di questa edizione, il segno della bontà del lavoro fatto della società, la più importante tra quelle che portano il basket femminile nel sud Italia, un progetto capeggiato da tre donne che negli anni ha saputo trovare e valorizzare giocatrici che poi hanno avuto grandi carriere.
La partita è tirata e Schio deve aggrapparsi alle individualità, e a un ultimo quarto da 28 punti, per portarsi a casa la semifinale. Alla sirena le giocatrici di Campobasso vanno verso la loro tribuna, a ringraziare e scattare foto con un pubblico che le accoglie come eroine ritornate da una Coppa del Mondo nonostante la sconfitta.
SUPERCLASSICO
Da diverse stagioni Venezia e Schio sono il centro del basket italiano, basti pensare al fatto che negli ultimi cinque anni le due squadre si sono affrontate ben nove volte tra finali Scudetto, finale di Coppa Italia e Supercoppa. È un match tra due formazioni di Eurolega, tra due società con progetti solidi e ambiziosi. Schio è la regina della Coppa Italia, Venezia è campionessa italiana in carica, grazie a un netto 3-0 rifilato alle rivali nella finale dello scorso anno. È il match più atteso, la finale preannunciata, quella in cui non c’è una netta favorita: per Venezia potrebbe essere un titolo in più per testimoniare il suo ottimo percorso di crescita, per Schio la conferma di essere ancora la squadra da battere in Italia.
La partita è una gara di nervi tra due squadre contratte, un tetro spettacolo di stanchezza e tensione, soprattutto all’inizio. Non sarà mai una bella gara, se non nel finale quando Venezia proverà a riavvicinarsi, risalendo la china fino al -4 dopo che Schio aveva toccato anche il +15 nel terzo periodo.
Il sogno delle orogranata, però, dura poco meno di sessanta secondi. Schio non segnava da quattro minuti, eppure la tripla di Ivana Dojkic sul 42-46 non sfiora nemmeno il ferro: le orange tornano a +7, e da quel momento in poi non si guardano più indietro. Costanza Verona fa la differenza in attacco e in difesa, e un altro canestro di Dojkic consegna alla formazione veneta la sedicesima Coppa Italia della sua storia. Onore a Venezia, che ci ha creduto fino alla fine e che sta portando avanti un progetto e di successo a livello italiano ed europeo, ma anche stavolta a spuntarla è il club che ha saputo trasformare una cittadina industriale di quarantamila abitanti in una roccaforte del basket mondiale.
È la Coppa Italia di Ivana Dojkic, miglior marcatrice della finale e giocatrice che ha spaccato la partita con la sua freddezza, anche in semifinale. È la Coppa Italia della MVP della competizione, Olbis André, che quest’anno è tornata in Coppa Italia chiudendo la finale con 17 punti e 6 rimbalzi, diventando la quinta MVP diversa del Famila negli ultimi cinque anni. È la Coppa di Giorgia Sottana, che delle sedici vinte da Schio era presente in undici.
Se la finale non è stata una bella partita, la Coppa Italia con questa formula è una manifestazione importante nel basket, per la sua capacità di creare emozioni, di regalare partite punto a punto e ribaltoni. È la via più veloce per affezionarsi a questo sport, perché in quaranta minuti si decide tutto e infatti negli ultimi anni Torino ha risposto presente riempiendo gli spalti. Per la finale femminile, però, non c’è coro né coreografia che possa riempire l’Inalpi Arena, perché l’orario della palla a due è davvero penalizzante.
Per esigenze televisive, ovvero evitare che sul NOVE la premiazione venisse interrotta dall'inizio di Che tempo che fa, la finale maschile è stata anticipata alle 17.15 rispetto alle 18 dell'edizione passata. Questo significa che Venezia-Schio ha subito il colpo più duro, ovvero essere anticipata alle 12.30 rispetto alle 14.15 del 2024. Per un movimento che stenta a trovare una fetta di pubblico ampia, l’orario di domenica a pranzo difficilmente può portare grande visibilità. È un orario che non stimola gli eventuali casual fans a venire a palazzo e incuriosirsi e infatti la sensazione è che il pubblico sugli spalti sia solo quello fortemente legato al mondo della pallacanestro femminile. Le campionesse che sono in campo avrebbero meritato una cornice diversa, una che dia maggiore giustizia al loro talento e al loro valore, e se è vero che le motivazioni televisive sono alla base di tutto e vanno rispettate, è anche vero che in questi casi a farne le spese è sempre la controparte femminile.
GET THE WOMEN OUT OF THE WAY
La sensazione è quella di volersi togliere di dosso il “fardello” della femminile il più velocemente possibile. Catherine Whitaker, giornalista della BBC e co-presentatrice del podcast The Tennis Podcast parla spesso di come le partite di tennis femminile negli Slam vengano piazzate in orari scomodi, anche quando si tratta di match di alto livello. L’espressione per indicare le giornate con questo tipo di programmazione è ormai un marchio di fabbrica per la comunità di ascoltatori e ascoltatrici, un motto che introduce l’argomento e inquadra immediatamente il contesto: “get the women out of the way”. La domenica, la sensazione è che questa sia la situazione: la festa per le campionesse di Schio sul parquet dura poco perché bisogna già cambiare gli adesivi sul campo in vista di Trento-Milano. Nemmeno quest’anno c’è tempo per i coriandoli, ci si accontenta dei fuochi artificiali e persino gli speaker danno appuntamento al “grande evento”, ovvero la finale maschile, come se sul campo in quel momento non ci fossero campionesse che hanno calcato i più grandi parquet internazionali.
Eppure, l’idea di sfruttare la visibilità della LegaBasket Serie A sarebbe molto valida. Francesca Pan, capitana della Reyer Venezia ed ex giocatrice di college negli Stati Uniti ha raccontato che «negli USA la crescita del movimento femminile è stata aiutata tanto dal fatto che i giocatori NBA o in generale gli atleti si supportano molto. LeBron che va a vedere la partita di WNBA e mette il post su Instagram aiuta molto il movimento, mentre in Italia questo è più raro». È innegabile che rispetto allo scorso anno siano stati dei passi avanti, a livello ad esempio di contenuti social. I reel in collaborazione tra LBF e LBA sono stati di più rispetto allo scorso anno, c’è stata in generale una maggiore interazione tra i profili, che a livello di esposizione digitale ha portato sicuramente dei vantaggi. Portare le giocatrici nei feed di chi segue solo il basket maschile può rivelarsi una strategia vincente per far conoscere nomi e volti delle atlete a chi – per scelta volontaria o meno – non si è mai esposto al basket femminile.
Il contesto digitale è forse quello dove il basket maschile e quello femminile si parlano di più, eppure a volte il flusso rischia di essere monodirezionale. «Abbiamo fatto un sacco di video riguardanti la Coppa Italia, con giochi diversi. Noi abbiamo dovuto rispondere a delle domande legate anche al mondo della maschile, non credo che loro abbiamo dovuto fare niente riguardo a noi. Non pretendo che i ragazzi ci conoscano al 100%, stiamo ancora venendo fuori e penso che ci sia ancora una disparità tale che è più probabile che noi conosciamo robe su di loro che viceversa. Allo stesso tempo penso che dovremmo cercare di far fare a loro qualcosa su di noi o comunque insieme. Sarebbe bello riuscire a legare LegaBasket maschile e femminile, ad avere più comunicazione. C’è un unico evento in cui siamo sia noi che loro, cerchiamo di sfruttarlo al massimo per dare anche a noi la possibilità di emergere ancora di più» sono state le parole di Olbis André a commento di questa questione.
Quello che potrebbe essere venduto come il grande weekend di Coppa Italia maschile e femminile non viene presentato come tale, ma solo come quello maschile, e solo andando a cercare bene si scopre la presenza della femminile. Già dal logo la questione è evidente, dato che i protagonisti dell’uno contro uno in grafica sono due uomini, oltre al fatto che la scritta “Frecciarossa Final Eight” è di gran lunga maggiore rispetto a “Frecciarossa Final Four”. Jasmine Keys aveva parlato di questi aspetti sulle sue storie Instagram lo scorso anno e quest’anno ha affermato che: «Per me è la seconda partecipazione a questo evento fatto in combinata con gli uomini e forse ero un po’ più preparata. Ho vissuto malissimo il fatto che ad esempio nei cartelloni per vedere il nostro logo devi zoomare 15x. Non c’è dialogo tra LegaBasket Femminile e maschile. È bello un evento di questo genere perché nella femminile non ci sono mai state Coppe Italia organizzate così bene, l’hotel e il palazzetto sono incredibili e così anche i 7000 spettatori di venerdì. A livello di promozione però siamo ancora in alto mare».
Le atlete donne hanno poco spazio in questo contesto, anche perché si fa ancora fatica ad accettare lo sport femminile come legittimo. Con il basket la situazione è ancora più drastica perché implica un continuo contatto tra i corpi delle atlete, che spesso sono anche alte, muscolose e imponenti, distaccandosi dall’ideale di femminilità che viene continuamente riproposta a livello sociale. Ed ecco allora che a ristabilire gli equilibri con delle immagini più confortanti del corpo femminile ci pensano i timeout delle partite LBA. In quello che dovrebbe essere un momento topico, prende il via uno spettacolo grottesco, fatto da una ballerina che si esibisce in un’estemporanea pole dance senza palo. È una scena fuoriluogo, offensiva e completamente in controtendenza rispetto a quello che la circonda. E ciò che rattrista è che è stato solo uno degli esempi di una becera oggettivizzazione del corpo femminile all’interno di una competizione che avrebbe - anzi, ha - avuto tanto altro da lodare, esaltare, sottolineare. Invece, la terza edizione torinese della Final Eight, l’Evento con la E maiuscola della pallacanestro italiana, ha pensato fosse giusto puntare sul “bella”, “affascinante”, “ammaliante” Marigona Gona come “madrina della Coppa Italia”, una modella/influencer diventata famosa per una inquadratura durante Olympiacos-ASVEL del novembre scorso.
Nel comunicato stampa emesso da LBA per diffondere questo solenne incarico non si trovano i motivi di tale scelta perché, fondamentalmente, non ci sono. Gona non ha nulla a che vedere con la pallacanestro, figuriamoci quella italiana: non ci ha giocato, non la segue, non ci lavora e non è neanche tenuta a farlo. È stata premiata la sua bellezza invece di premiare il merito o almeno la passione di qualcun’altro.
Nel basket, così come nel mondo che sta fuori da quei ventotto metri, la strada da percorrere è ancora lunga. Il percorso verso il miglioramento passa in primis attraverso l’ascolto e il confronto, ma provare a togliere il male gaze che da sempre domina il mondo dello sport è un passo necessario per superare certe convinzioni e prospettive. Alla Coppa Italia di quest’anno di Torino si è visto come il processo di riduzione del gap percettivo che c’è tra il basket femminile e quello maschile sia ancora da colmare. Dall’alto della sua undicesima Coppa Italia, lo ha detto nel modo migliore Giorgia Sottana, durante i festeggiamenti per l’ennesimo storico traguardo di una società che meriterebbe un libro interamente dedicato nella storia del basket italiano: «è stato un evento bello, organizzato benissimo. Noi da donne ci sentiamo sempre un po’ ospiti e poco protagoniste. In questi due anni pian piano sta andando migliorando, però spero che nel futuro potremmo sentirci sempre più parte di quest’evento e meno ospiti».