League of Legends è il titolo esports più giocato e seguito al mondo, l’unico che è finora riuscito a unire il mondo occidentale e quello orientale - danesi, spagnoli, cinesi, coreani, giapponesi, sudamericani e nordamericani sono tutti legati e collegati dal videogioco creato da Riot Games. Un universo di videogiocatori che conta 8 milioni di utenti unici al giorno.
I Mondiali sono iniziati il 2 ottobre e sono proseguiti per più di un mese tra fase preliminare, gironi e partite a eliminazione diretta. Un percorso che ha attraversato l’Europa da Berlino a Madrid per chiudersi definitivamente in Francia, a Parigi. Per l’evento nella capitale francese ci sono più di 200 giornalisti e reporter da tutto il mondo con le principali testate internazionali: CNN, ESPN, SKY Sport, O Globo, oltre alle innumerevoli rappresentative dei più importanti siti specializzati in informazione sull’esports. Tra i giornalisti, la storia più curiosa è quella di Tyler "Fionn" Erzberger, cronista di ESPN esports che è in viaggio da 43 giorni: partito dagli Stati Uniti a fine settembre, ha seguito l’intera competizione dal vivo fin dalle prime fasi, riportando non solo i risultati ma anche le storie dei giocatori e delle squadre.
Io invece arrivo solo per la finale, che si tiene a Parigi. Nulla di comparabile a quello che ha fatto Tyler Erzberger, ma anche io passo attraverso un lungo viaggio: una sveglia alle tre del mattino, 45 minuti di macchina per raggiungere l’aeroporto di Catania, due voli consecutivi per raggiungere l’aeroporto Charles de Gaulle, e infine altri cinquanta minuti fra treno e metro per arrivare nel quartiere di Bercy entro mezzogiorno.
Il gioco vale la candela. Di fronte ci sono i G2 esports, team europeo, e i FunPlus Phoenix, cinesi - è una sfida che in un certo senso è più di una finale, come si dice di solito. La prima edizione del mondiale di League of Legends risale infatti al 2011, anno in cui a sfidarsi realmente erano solo le squadre occidentali per il semplice motivo tecnico che il gioco, lanciato appena due anni prima, non era disponibile in tutti i paesi. Accanto alle squadre del Nord America e dell’Europa ai Worlds del 2011 c’erano così solo due rappresentative orientali: il team Xan di Singapore e i Pacific esports delle Filippine, ancora troppo deboli per poter competere con le corazzate dell’ovest. A vincere furono i Fnatic, squadra europea che attualmente è una delle rappresentati storiche del settore esports nel mondo.
Eppure le cose sono cambiate velocemente dopo quel primo anno. Le edizioni successive al 2011 hanno infatti sempre consegnato la coppa a una formazione orientale, di cui cinque volte consecutive a una rappresentante di Seul. Solo nel 2018 la Summoners Cup ha finalmente cambiato nazione, approdando in Cina per mano degli Invictus Gaming. A Incheon avevano sconfitto i Fnatic, distruggendo il primo tentativo dell’Europa di riportare la coppa a casa. La finale di quest’anno, quindi, aveva acquisito un’aura speciale perché per la prima volta da quella prima edizione del 2011 una squadra europea sembrava potesse essere favorita per la vittoria finale, e riportare quindi il trofeo nel Vecchio Continente.
Foto Riot Esports
Nel 2019, infatti, i G2, organizzazione di origine spagnola con base anche in Germania, hanno vinto qualsiasi trofeo a cui abbiano partecipato, ovvero i due split continentali della League of Legends European Championship e il Mid-Season Invitational (MSI), il primo evento internazionale dell’anno che si disputa a metà stagione. La vittoria dei G2 è la prima all’MSI per una squadra europea, un trofeo finora diviso tra Cina e Corea del Sud.
L’attesa intorno ai G2 è evidente anche a Parigi, quando mi dirigo verso l’Accor Hotels Arena, un palazzetto da 20.700 posti che ospiterà la finale. Quando esco dalla metro, in Place du Bataillon du Pacifique, ci sono migliaia di ragazzi e ragazze in attesa, e molti indossano la maglia da competizione dei G2, rappresentato da una maschera da samurai.
Nei giorni precedenti alla finale sui social molti avevano scritto “Bring it home”: riportatela a casa. O “Is it coming home?”: sta per tornare a casa? Sono preghiere che sembrano risuonare anche all’Accor Hotels Arena, in cui si avverte quasi fisicamente la fiducia che questo sarà finalmente l’anno buono. Lungo il cammino dalla sala stampa all’entrata dell’arena distinguo nelle voci dei passanti sensazioni di ottimismo e un entusiasmo palpabile. Alcuni paventano addirittura un 3-0 secco nella finale che sarà disputata alla meglio delle cinque. E anche quelli più cauti, secondo cui invece sarà una partita difficile, hanno pochi dubbi su chi alzerà la coppa al cielo.
Foto di Alain Jocard / AFP
I tifosi cinesi sembrano quasi non esistere, totalmente assorbiti dalle innumerevoli maglie nere o bianche dei tifosi avversari. Eppure sono lì, in piccoli gruppetti, quasi intimoriti dalla loro stessa flebile presenza numerica. Di cori cinesi, anche di singole urla di incitamento, nemmeno l’eco lontana. Gli occhi orientali sono presenti, si nota qualche bandiera e qualche maglia dei FunPlus Phoenix, ma nessuna voce da registrare. La differenza diventa ancora più marcata appena varcata la soglia dell’arena che si sta rapidamente riempiendo a mezz’ora dall’inizio della cerimonia d’apertura. Nello stadio risuona il coro “Let's go G2”.
Sul palco, ancora orfano dei giocatori che si sfideranno per il trofeo, è già attivo Romain Bigeard. Ufficialmente membro del team di sviluppo del business della già citata LEC, la lega europea, in realtà è quello che potremmo definire “l’animatore della festa”. Una sorta di “hype-man” che spinge il pubblico alla partecipazione attiva vestendosi spesso come uno dei personaggi del gioco. Per l’occasione, in terra francese, ha scelto di utilizzare Pantheon, un campione di League of Legends dal chiaro stile spartano, con una particolarità: la tipica punta della lancia è sostituita dall’incontro tra una briosche e una baguette.
Foto Riot Esports
Il pubblico risponde alle richieste ogni richiesta di Romain: l’arena rimbomba a ogni ovazione. In quasi 20.000 urlano ancora “Let's go G2”. E quando parte la ola da un settore l’intera arena segue l’onda coreografica. Nemmeno i commentatori francesi riescono a mantenere quell’imparzialità che teoricamente l’etichetta gli imporrebbe. Chiamano più volte il coro “Let's go G2!” e conquistando così l’affetto degli spalti.
Poi, finalmente, il rimbombo dell’arena diventa assordante al momento dell’inizio del conto alla rovescia per la cerimonia d’apertura. L’attesa è anche per lo spettacolo che precederà la partita: un’abitudine mutuata da eventi come il Super-Bowl e mirata a creare un’atmosfera vibrante in vista della partita.
Foto Riot Esports
Per gli ultimi dieci secondi l’intera arena urla i numeri. Al centro il palco sopraelevato diventa buio. I vari commentatori, posizionati su una struttura sulla parte laterale dell’arena, aspettano trepidamente l’inizio della cerimonia. Tra loro anche la spedizione italiana di PG esports, unico broadcast partner locale presente all’evento per raccontare dal vivo la finale. Allo scoccare dello zero i protagonisti dello spettacolo diventano i teli per la realtà aumentata distribuiti lungo il perimetro rettangolare del palco. Ci sono anche dei piccoli concerti: Valerie Broussard, Cailin Russo e Christy Costanza si alternano sul palco fino all’esordio dei True Damage: un gruppo creato da Riot Games appositamente per l’occasione con la collaborazione di esponenti del movimento hip-pop, pop e k-pop. Ne fanno parte Becky G, Keke Palmer, Soyeon delle G-Idle, Duckwrth e Thutmose.
La differenza, rispetto alle tradizionali cerimonie d’inaugurazione sportive, è che tutto è pensato per rimanere all’interno dell’universo del videogioco. Per dire: le canzoni che vengono suonate non sono state pensate per essere trasmesse in radio o vendute in album, ma sono state prodotte esclusivamente per League of Legends e per promuovere i nuovi contenuti estetici all’interno del negozio del gioco. True Damage, ad esempio, è il nome del danno inflitto da alcuni campioni all’interno del gioco. Anche i testi non sono da meno e, in questo caso particolare, sembrano quasi celebrare Riot Games, che ha prodotto la canzone, in un circolo che si autoalimenta: “Guidiamo questo mondo, ne alimentiamo la spinta, viviamo come i giganti, siamo più grandi dei giganti”. Parole che si possono interpretare anche come una dedica a tutti coloro che hanno reso famoso League of Legends nei suoi dieci anni di vita.
La cerimonia d’apertura.
Anche il pubblico sembra un elemento dello spettacolo, comportandosi in perfetta armonia con ciò che succede sul palco. Gli spettatori cantano su ogni rima, urlano a ogni effetto speciale, esplodono di gioia quando al centro del palco si materializza la valigetta firmata Louis Vuitton che, aprendosi, svela al suo interno la Summoners Cup, il trofeo che l’Europa sogna di riportare a casa.
In questo contesto, anche i colpi di scena sono studiati a tavolino. Improvvisamente ai lati del palco si accendono le luci sulle due formazioni pronte a scendere in campo: G2 esports, vanto del Vecchio Continente, a destra; FunPlus Phoenix, campioni di Cina, a sinistra. I giocatori dei G2 rispondono all’entusiasmo dello stadio, salutando energicamente e sorridendo a quello che sembra solo il preludio di una vittoria attesa.
Il più sorridente è il danese Rasmus “Caps” Winther, sempre seguito dal padre in ogni singolo evento e ormai da tutti conosciuto come “Capsdad” o "Caps". Per Caps è la seconda volta in due anni: era presente esattamente un anno prima con i Fnatic nella finale persa in Corea contro gli Invictus Gaming.
Luka “Perkz” Perkovic, croato, porta invece sulle spalle la bandiera della sua nazione. Per lui è la prima finale dei Worlds. Nel 2018 si era fermato un gradino prima, in semifinale, perdendo contro i futuri campioni del mondo, sempre gli Invictus Gaming. A distanza di un anno la differenza è che ha cambiato ruolo, passando dalla corsia centrale a quella inferiore per fare spazio proprio a Caps. Insieme al croato, in quel disastroso 0-3 di un anno prima, c’erano anche Martin "Wunder" Nordahl Hansen, danese, e Marcin “Jankos” Jankowski, polacco. Rimasti, nonostante le numerose offerte, per tornare al mondiale e vincerlo.
Foto Riot Esports
L’entusiasmo per i G2 si contrappone all’accoglienza tiepida che accoglie invece i FunPlus Phoenix (FPX). Quest’ultimi non sono infatti uno dei nomi storici della scena competitiva cinese, dominata negli anni da squadre come Royal Never Give Up, EDward Gaming e Invictus. Gli FPX si sono fatti un nome solo in questo 2019, conquistando il terzo posto nella stagione primaverile dell’LPL, il campionato cinese, e vincendo il titolo in quella estiva. Alla viglia dei Mondiali, tuttavia, quasi nessuno aveva dato i Phoenix come possibili finalisti, men che meno come vincitori, ritenuti privi dell’esperienza necessaria per arrivare in fondo a una competizione così lunga e snervante come il Mondiale.
Alla presentazione sul palco sembrano estremamente concentrati. Occhi fissi, preparati, nessun segno di nervosismo o tentennamento. Ma nemmeno sorrisi o saluti eccessivi. Nella squadra cinese giocano anche due coreani, entrambi di nome Kim: Kim “GimGoon” Han-saem e Kim “Doinb” Tae-sang.
Le cinque migliori azioni degli FPX nella finale mondiale.
Doinb è forse la sineddoche perfetta del suo team. Emigrato dalla Corea in Cina per emergere nel super competitivo panorama competitivo sud-coreano, Kim Tae-sang aveva addirittura deciso di annunciare il proprio ritiro ai microfoni di ESPN a fine 2018, dopo anni di competizioni concluse senza risultati nonostante l’innegabile talento. E solo gli FPX, dopo diversi tentativi, sono riusciti a convincerlo a ripensarci.
Doinb è stata la chiave del successo dei FPX in finale. Il suo stile aggressivo e il suo umore divertito, così diverso da quel rigore orientale che immaginiamo, hanno inclinato fin da subito il piano mentale della finale. Inoltre, la sua scelta di puntare su un campione atipico per il ruolo che ricopre in corsia centrale (Nautilus) ha scombinato le carte dei G2, costringendoli a snaturare la loro composizione strategica.
E fin dalle prime fasi della partita gli FPX si mostrano più reattivi, più pronti alle variabili situazionali dei primi scontri. E questo nonostante il tifo sempre più forte per i G2. Gao “Tian” Tian-Liang, il jungler del team, nella conferenza stampa post-partita dichiarerà: «Il fatto che il pubblico fosse per la quasi totalità a nostro sfavore è stata per noi una forte motivazione e non un aspetto negativo. Ci ha dato la spinta per fornire una prestazione di altissimo livello».
Un altro giocatore chiave per la vittoria dei FPX è stato Tian, eletto miglior giocatore del torneo, che ha saputo eseguire alla perfezione la strategia preparata a tavolino dallo staff tecnico.
Più in generale, quella dei FPX è stata una prestazione corale che non ha lasciato nessuno indietro: nemmeno la corsia inferiore della coppia Lin “LWX” Wei-Xiang, che alla vittoria aggiungerà il record di essere il primo giocatore a non essere mai morto in una finale mondiale, e Liu “Crisp” Qing-Song. Il quintetto si muove come un’unica entità sulla mappa con spostamenti semplici ma razionali, mirati a fare sempre male ai G2. Ogni scontro volge a loro favore in ogni zona della mappa ma è soprattutto sull’imprevedibilità che giocano le loro chance di vittoria: il Lee Sin di Tian, giocato per tutti e tre i game, scompare e ricompare dalla visione dei G2 senza che gli europei riescano mai a comprenderne i movimenti sulla mappa.
In questo modo, più il game procede più anche il pubblico si rende conto che la vittoria dei beniamini di casa non è poi così scontata. E quando il tabellone segna 1-0 per la Cina l’arena inizia ad ammutolirsi.
Foto Riot Esports
I successivi due game segnano inevitabilmente la disfatta dei G2 esports. Nonostante riescano a mettersi nelle condizioni favorevoli di applicare la propria strategia, nel secondo game la musica non cambia. Subiscono un colpo dopo l’altro e, quasi in uno stato d’osmosi, o di entanglement quantistico, lo stesso accade al pubblico. Sugli spalti cala lentamente ma in modo ineluttabile un silenzio progressivo: il tifo inzia a frazionarsi, le urla a essere sempre più rare, l’incitamento è ormai affidato a qualche sparuto gruppetto di irriducibili.
Al momento dello 0-2 sul tabellone lo sconforto è massimo. Nessuno, nella storia dei mondiali, è mai riuscito a ribaltare uno 0-2 e vincere. Non solo nelle finali ma in tutte le partite a eliminazione diretta disputate in otto anni di competizione. Eppure in molti sembrano ancora crederci. Ad esempio Andy “Vedius” Day, commentatore e analyst per Riot Games, intervistato subito dopo la fine del secondo game, ha dichiarato: «Dobbiamo crederci. Sono la speranza della nostra Europa ma soprattutto l’unica squadra al mondo che realmente è capace di farlo. Non abbandoniamoli». Anche gli stessi G2 sembrano non essersi persi d’animo: dopo il secondo game perso scendono dal palco ancora sorridenti.
Per la prima volta, all’inizio del terzo game, iniziano a sentirsi anche gli incitamenti dei pochi tifosi cinesi. Un chiaro segnale che il pubblico europeo fatica a credere ancora alla rimonta, soprattutto avendo visto quanto successo nei due game precedenti. La foga iniziale della tifoseria si è piano piano trasformata in un rumorio, fino ad annullarsi totalmente. A nulla vale il tentativo di Ovilee May, presentatrice per la lega americana, di rianimare la tifoseria europea indossando la bandiera dei G2 Esports e correndo lungo gli spalti. È in un’atmosfera quasi surreale, silenziosa, supportata solo dai suoni del palco e della regia, e dalle isolate urla cinesi.
In questa specie di deserto emotivo i FunPlus Phoenix distruggono per l’ultimo volta il Nexus nemico e conquistano il titolo mondiale. Finalmente anche loro esultano e si lasciano andare alle emozioni trattenute per tre ore di fila, troppo concentrati sull’obiettivo per pensare a eventuali distrazioni.
Foto Riot Esports
Dall’altro lato la delusione è evidente. Perkz trattiene a stento le lacrime durante il giro di campo finale per salutare e ringraziare tutti i loro tifosi accorsi, prima di farsi confortare dalla propria famiglia, rinunciando alla conferenza stampa post-match. Una conferenza atipica: ci si aspettava di vederli sorridenti da trionfatori invece che sconfitti e coi visi tirati. A prendersi carico della responsabilità della partita sono stati il proprietario e fondatore, Carlos Rodriguez, e l’head coach, Fabian “Grabbz” Lohmann, lasciando ai giocatori le domande meno spinose: «Ci hanno battuto sulla preparazione tattica. Noi avevamo preparato un certo approccio che non siamo poi riusciti a eseguire. Ancora peggio non siamo mai riusciti ad adattarci al loro stile e alle loro decisione strategiche nell’arco di tre game. Motivo per cui oggi non siamo nemmeno lontanamente riusciti a giocare al nostro consueto livello».
Dopo la fine della conferenza vago per i corridoi ormai semideserti, mentre il pubblico si incammina verso l’uscita, in maniera silenziosa ma senza far trasparire tristezza per la sconfitta. In molti sembrano comunque felici di aver vissuto uno spettacolo per molti versi unico e nuovo, per quanto è lontano da quanto siamo abituati con gli sport tradizionali. E se pensiamo che stiamo parlando di competizioni che hanno al massimo una decina di anni di vita, in pochi al mondo possono davvero dire di averlo mai sperimentato dal vivo.