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La solita pazza Fiorentina-Inter
23 ott 2022
L'Inter approfitta all'ultimo secondo del masochismo della Fiorentina.
(articolo)
12 min
(copertina)
Foto di CHINE NOUVELLE/SIPA
(copertina) Foto di CHINE NOUVELLE/SIPA
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All’ultimo minuto di Fiorentina-Inter Federico Chiesa converge verso il centro e scucchiaia un pallone lezioso. La palla viene deviata dal braccio di Danilo D’Ambrosio, o dal suo petto. Non siamo ancora entrati nell’epoca in cui ogni mezzo tocco di mano in area equivale a un calcio di rigore, e dunque la partita sembra poter continuare. È febbraio del 2019 e l’Inter di Spalletti sta vincendo 3-2 una partita complicata contro la Fiorentina di Pioli. L’arbitro, a sorpresa, decide di concedere il calcio di rigore anche dopo aver consultato il Var.

Veretout trasforma il rigore appena oltre il minuto 100 - per la prima volta nella storia della Serie A - e fissa il punteggio sul 3-3. Quella partita continua a infestare l’immaginario comune per due cose: quel rigore su cui ancora si continua a discutere contro ogni buon senso umano; il grado di follia che può generare una semplice partita tra Fiorentina e Inter. Qualche anno prima, nella stagione 2016/17, la Fiorentina di Paulo Sousa aveva battuto l’Inter 5-4 con gol finale di Babacar. Un’altra partita in cui, curiosamente, D’Ambrosio commise un fallo da rigore (poi sbagliato da Bernardeschi, che calciò un cucchiaio orrido).

Cambiano giocatori e allenatori, il contesto della Serie A prende forme diverse e l’ambizione delle squadre pure, eppure Fiorentina e Inter continuano a dare vita a partite dominate dal caos e dalla confusione. Partite in cui il tempo che ci vuole per segnare un gol o ribaltare risultati sulla carta compromessi si assottiglia fino a raggiungere la massima relatività. Ogni risultato può diventare il suo contrario nel giro di un paio di azioni.

Ieri, a dire il vero, non ci si aspettava una grande partita. Fiorentina e Inter ci arrivavano piene di insicurezze e con idee confuse su sé stesse. L’Inter, dopo la sconfitta contro la Roma, ha vinto 4 partite e ne ha pareggiata una, con in mezzo il doppio confronto con il Barcellona. Partite che hanno fatto sospirare a una squadra che ha sempre l’aria incerottata e da reduce, anche perché sta cercando di sopravvivere a questo periodo di fuoco senza due dei suoi migliori giocatori - Marcelo Brozovic e Romelu Lukaku. Le difficoltà della Fiorentina, invece, sono arrivate a mettere in discussione il valore di Vincenzo Italiano come allenatore, che solo pochi mesi fa sembrava troppo grande per la Fiorentina stessa. La squadra non vince in campionato dal 18 settembre, contro il Verona, e il suo gioco sembra essersi incartato sulla sua stessa intensità.

Da queste squadre fragili e piene di insicurezze è venuto fuori un 3-4 che si candida a essere una delle partite più pazze della stagione 2022/23, una di quelle partite a cui si continuerà a pensare a lungo e che rischiano di intossicare di entusiasmo e disperazione le due squadre.

L’Inter di Inzaghi, a forza di infortuni e risultati altalenanti, pare aver ridotto le proprie ambizioni tattiche. Il gioco fluido e paziente dello scorso anno, fatto di dominio del pallone e rotazioni continue, si è smagrito fino a diventare a tratti scheletrico. L’Inter ora somiglia più a certe Lazio di Simone Inzaghi, che attaccavano in modo semplice e diretto, sfruttando il talento associativo dei propri migliori talenti. È in questo contesto che è salito il rendimento di Niccolò Barella e Lautaro Martinez, che hanno confezionato il primo gol. Un gol, a dire il vero, bellissimo. L’Inter addensa il lato destro del campo facendo collassare lì la Fiorentina, per poi aggirare la pressione grazie a uno scambio tra le due punte e alla ricerca del terzo uomo, Barella, corso nel buco aperto da Martinez Quarta. Nell’occasione, ancora una volta, Lautaro fa una grande giocata da rifinitore, che stanno diventando sempre più frequenti nelle ultime partite (a fine primo tempo bisogna segnalare anche una rifinitura deliziosa per Dimarco).

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Dopo il gol la partita ha preso la forma ideale per rispettare l’identità delle due squadre. L’Inter ultimamente pare star bene anche a difendere vicino alla propria area di rigore, mentre la Fiorentina, lo sappiamo, è una squadra aggressiva fino ai limiti dell’incoscienza - figuriamoci in svantaggio. È la squadra col baricentro più alto della Serie A, quella con l’altezza media più alta degli interventi difensivi e la seconda per recuperi palla offensivi. I tre attaccanti pressavano uomo su uomo i tre difensori dell’Inter, e così facevano i centrocampisti, con Amrabat che si spingeva fino all’area avversaria per pressare Calhanoglu. Col pallone invece la Fiorentina alzava i due terzini molto in alto, con Dodò a destra che stringeva molto lasciando a Ikoné l’ampiezza (con Kouamé che restava più vicino a Cabral). La squadra però non occupa bene i corridoi e, senza linee di passaggio pulite, con un rasoterra avventato, Martinez Quarta avvia la transizione che porta al 2-0 dell’Inter. A dire il vero quando Lautaro prende palla è appena oltre il centrocampo e ha due difensori avversari davanti. Correa è rapido a tagliare per portargli via Milenkovic, mentre Dodò e Ambrabat sono lenti a tornare in raddoppio e, lasciato in uno contro uno con Quarta, Lautaro è spietato. È un attaccante umorale, ma in giornate come quella di ieri dà l’impressione di poter fare tutto. Nessuno, in giornate così, offre la sua idea di completezza. Un attaccante formidabile spalle e fronte alla porta, con la palla e senza, quando deve calciare col destro e col sinistro. Il suo gol arriva in effetti con un diagonale a incrociare col piede debole.

Dopo 14’ siamo in uno scenario incubo per la Fiorentina. Quando è in svantaggio la squadra di Italiano diventa ancora più alta, più aggressiva, quasi masochista. Cerca il gol con crescente disperazione, sbattendo di volta in volta sui propri limiti offensivi. La Fiorentina sembra organizzata in modo eccellente per arrivare nell’ultima zona di campo, laddove però smette di sapere cosa fare. A volte sembra arrivare in area troppo presto e con troppi uomini, lasciando molto peso creativo nei piedi dei due esterni offensivi. Nessun giocatore della Fiorentina - a parte forse Bonaventura e Saponara - ha letture offensive di alto livello, e la squadra si riduce spesso a prendere la scorciatoia del cross. La squadra di Italiano arrivava a questa partita con la quota astronomica di più di 200 cross tentati, quasi il doppio dell’Inter che è seconda in Serie A in questa classifica.

In ogni caso è proprio da un cross del crossatore seriale Biraghi che nasce l’occasione del rigore, che quanto meno infonde un po’ di calma e fiducia alla Fiorentina (un fallo veramente impressionante e pericoloso di Dimarco su Bonaventura).

Se nel primo tempo l’Inter riusciva a uscire dalla pressione grazie al gioco lungo di Onana e al grande lavoro di Mkhitaryan e Lautaro nel ripulire i palloni, nel secondo la squadra si lascia schiacciare dalla morsa della viola. In questo ha sofferto la scarsa capacità di Calhanoglu nel ruolo di regista. Finora non aveva giocato male in quel ruolo, ma contro una squadra più aggressiva si è lasciato coinvolgere dai ritmi alti senza riuscire a calmare il palleggio, senza smarcarsi con sufficiente intelligenza. La Fiorentina alza ulteriormente l’intensità e comincia a vincere sempre più duelli. In una delle poche occasioni in cui alza il proprio baricentro, con molti uomini sopra la linea del pallone, l'Inter viene punita. C’è una palla che esce pigramente dalla difesa e finisce su Kouamé nella propria trequarti.

L’ingresso di Kouamé tra i titolari è affascinante e indecifrabile. Lo scorso anno faticava nel campionato belga e in estate era difficile trovargli una squadra. Sin dall’inizio però ha mostrato un atletismo a cui è difficile rinunciare, in una squadra che richiede un atletismo sopra le righe. Ha già giocato a destra, a sinistra, al centro, offrendo il suo singolare mix tra generosità e mezzi tecnici modesti, pur spezzati da qualche giocata geniale e da un gioco spalle alla porta notevole.

Quando riceve quel pallone sembra francamente innocuo e l’Inter si rilassa, nessuno lo pressa, ma l’Inter è messa male, la difesa sta scappando indietro mentre Ikoné la attacca in ampiezza e profondità sulla destra. Kouamé mette giù palla e fa un lancio di quaranta metri di interno, sulla corsa del compagno, che francamente non sembrava nelle sue possibilità. Ikoné sfrutta il mismatch di velocità con Acerbi, ammonito, e fa una cosa che raramente gli riesce: calcia bene, benissimo, trovando una di quelle parabole traversa-gol da FIFA. Alla Fiorentina talvolta sembra davvero andare tutto male, e un gol del genere è quindi particolarmente sorprendente. Per una volta la cosa che sembra un’impresa cupa e sovrumana, segnare un gol, sembra facile.

Dopo un’ora di gioco Simone Inzaghi inserisce Edin Dzeko. I cambi di Inzaghi quest’anno non stanno funzionando: sono spesso confusi, più il frutto di tic e manie che di ragionamenti razionali. Dzeko raramente ha un grande impatto dalla panchina. Stavolta invece tutto funziona: offre un riferimento sicuro a una squadra che ha abbassato troppo il baricentro, vince i duelli individuali e in generale sembra incisivo e ispirato. Otto minuti dopo il suo ingresso in campo trova un filtrante stupendo per Lautaro Martinez, che fa la terza cosa decisiva della sua partita, dopo l’assist e il gol, si guadagna il rigore e poi lo trasforma con un collo pieno ad aprire rabbioso. Quel tiro, l’esultanza strillata sotto il settore ospiti con la bocca spalancata restituiscono bene la sua presenza furiosa sul campo da calcio in giornate come quella di ieri.

A quel punto la partita sembra finita. L’Inter si abbassa per difendere il proprio vantaggio. Pensa che ammassare i propri corpi davanti la porta di Onana basterà a far cuocere la Fiorentina nella propria inconcludenza. La squadra di Italiano del resto sembra spenta. Quando abbassa l’intensità pare stare in campo solo in attesa che la partita finisca.

Come sempre, però, la passività è rischiosa. Basta un dettaglio storto, o un’intuizione avversaria, per mandare tutto in fumo. È a un minuto dalla fine che una partita divertente ma sostanzialmente ordinaria, diventa una partita incomprensibile. Terzic batte un calcio d’angolo a uscire su cui Milenkovic riesce a prolungare il pallone in avanti. Jovic, forse simbolo più doloroso del momento della Fiorentina, fa una grande giocata. Usa il corpo per girare intorno a De Vrij e, senza mai guardare la porta, si coordina in acrobazia per concludere sul secondo palo. Un tipo di istinto e coordinazione da grande rettile d’area di rigore. Il tipo di giocata che Jovic aveva spesso mostrato nella sua stagione all’Eintracht, quando sembrava un piccolo Luis Suarez. Un centravanti tecnico e pieno di guizzi improvvisi nelle finalizzazioni. Poi va sotto la curva mostrando l’orecchio, in polemica con le critiche dei tifosi. D’altronde siamo nella giornata in cui gli attaccanti che finora hanno giocato malissimo se la prendono con i tifosi che li criticano, come Moise Kean dopo il gol all’Empoli (il primo in campionato).

La Fiorentina è una delle poche squadre in Serie A che contro un avversario sulla carta più forte, in situazione di parità, non si accontenta. È una delle poche squadre che pare rifiutare il dogma italiano della flessibilità, quell’utopia secondo cui le squadre possono interpretare mille stili di gioco differenti a seconda della situazione che la partita gli pone di fronte. La Fiorentina sa giocare solo alla massima velocità, e questa è la sua croce e la sua delizia. Ultimamente, e senz’altro ieri, è stata la sua croce. A dire il vero sul 3-3, nei minuti di recupero, pare voler rallentare. Terracciano allarga le braccia e aspetta il pressing avversario per raccogliere il pallone con le mani. I giocatori sembrano voler giocare in modo prudente e sicuro. Ma è come se la Fiorentina non ci riuscisse mai davvero. Così, a venti secondi dalla fine, tiene la difesa alta e sgangherata su un rinvio di Dumfries. Milenkovic va a contestare un pallone su Dzeko oltre il proprio centrocampo, ma va a vuoto.

La linea difensiva della Fiorentina a pochi secondi dal fischio finale. Siamo all’autosabotaggio.

Dzeko a quel punto lascia rimbalzare il pallone, alza la testa e vede Venuti e Martinez Quarta scappare all’indietro in preda al terrore. A destra scatta un maestro di queste situazioni, Barella. Dzeko lo serve con una qualità non banale, Barella la mette in mezzo verso Mkhitaryan su lato opposto, ma è un pallone corto. Lorenzo Venuti è in grande anticipo e non dovrebbe nemmeno avere la mente annebbiata dalla stanchezza visto che è entrato dieci minuti prima. Venuti però non è tranquillo, perché sa già di essere diventato una figura tragica. Vederlo giocare è faticoso perché sembra una persona generosa dentro un contesto troppo grande per lui, e quindi è attentissimo soprattutto a non combinare guai. Venuti sembra giocare in paranoia. Quando è arrivato quel cross di Barella, probabilmente una parte inconscia di Venuti ha pensato alla partita tra Fiorentina e Juventus di Coppa Italia della scorsa stagione. La squadra aveva giocato in modo tosto, sbagliando la solita maestosa quantità di gol, ma all’ultimo minuto Cuadrado gli aveva crossato un pallone addosso. Lui nemmeno lo ha visto arrivare, forse perché c’erano troppe persone sulla traiettoria, o forse perché ha un magnetismo particolare per la catastrofe. La palla gli rimbalza addosso ed entra; Venuti poi passerà il dopo partita a piangere: cosa c’è di peggio, da tifoso-giocatore della Fiorentina, che farsi autogol all’ultimo minuto contro la Juventus?

Quando il cross di Barella è arrivato in area di rigore Venuti era in largo anticipo, ma arrivava correndo verso la propria. Era difficile organizzare il corpo per una giocata pulita. Avrebbe dovuto spazzare, ma prendendo bene il pallone. Alle sue spalle sta correndo Mkhitaryan, assecondando una traiettoria di corsa cieca. È quello il momento in cui Venuti mette in mostra di nuovo la sua particolare predisposizione al tragico.

Il rinvio di Venuti, come sapete, colpisce Mkhitaryan, che segna il gol del 4-3 e il suo primo con la maglia dell’Inter. La giocata di Venuti è concettualmente e tecnicamente sbagliata, eppure ci è comunque voluta una bella sfortuna per far finire la palla in porta. La palla ha dovuto incrociare la corsa di Mkhitaryan con tempismo perfetto, e rimbalzare in rete sfruttando la strana precisione del rimpallo.

L’Inter vince in questo modo rocambolesco e tragico la sua terza partita consecutiva, su un campo in cui - nonostante la complicata stagione viola - altre grandi squadre hanno faticato. È difficile pareggiare l’intensità, il pressing e l’atletismo della Fiorentina, per qualunque squadra in Serie A. La squadra di Italiano pone problemi che nessun'altra squadra di Serie A pone. Eppure ha un’inclinazione masochistica che ormai pare entrata sotto pelle, e che si esaspera quando le partite si mettono male, specie in un periodo di scarsi risultati come questo. È come se la squadra assorbisse parte dell’irrequietezza velenosa che si respira allo stadio, che quest’anno è più sopra le righe del solito. Dopo lo schiaffo del tifoso a Spalletti, ieri un altro episodio, con un tifoso dell’Inter aggredito perché indossava la maglia, appunto, dell'Inter.

Il gol subito a venti secondi dalla fine, con la squadra confusa e sparsa per il campo a caso, rappresenta come nient’altro il lato oscuro della squadra creata da Vincenzo Italiano, capace di creare e distruggere tutto in qualsiasi momento. Una squadra divertente per chiunque, tranne per chi la tifa.

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