Sembra essere una costante, in Serie A, questo ritornello degli allenatori che, spalle al muro, trovano l’intuizione che gli permette di svoltare la partita decisiva e guadagnarsi la permanenza sulla propria panchina. Era toccato a Paulo Fonseca nel derby contro l’Inter, a Davide Nicola la settimana scorsa in Parma-Cagliari e ieri sera a Raffaele Palladino con la sua Fiorentina.
La scelta dei viola di puntare sull’ex allenatore del Monza come erede di Italiano sembrava avere senso. Anche Palladino, infatti, come il suo predecessore vuole controllare il gioco, seppur su direttrici diverse. E anche Palladino, come Italiano, imposta la fase difensiva con grande attenzione sull’uomo, seppur senza esasperare il pressing – il suo Monza era una delle squadre meno aggressive degli scorsi campionati.
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Da fedele discepolo della scuola di Gasperini, il tecnico napoletano aveva iniziato il nuovo corso con la difesa a tre, adattando Biraghi da centrale di sinistra: un buon compromesso per sfruttare contemporaneamente due laterali mancini come il capitano e come Gosens, ma anche un modo per garantirsi un difensore dai piedi buoni in impostazione. A centrocampo, nelle prime giornate Palladino aveva puntato su una mediana ricca di muscoli e corsa ma povera di tecnica, addirittura con Bove schierato da rifinitore.
I risultati e il gioco, però, hanno faticato ad arrivare. Una vittoria piuttosto casuale contro la Lazio non era bastata a riportare il sereno e così si è giunti al pessimo primo tempo della partita di Conference League contro i campioni di Gallesi del New Saints, dove i viola non sembravano proprio sapere che farsene della palla.
La partita contro il Milan, quindi, rappresentava un po’ uno spartiacque, perché Palladino doveva dimostrare di essere all’altezza di una piazza come Firenze e una buona prestazione contro una grande squadra era il modo migliore di riacquistare credibilità agli occhi del pubblico. Alla fine ci è riuscito, con degli aggiustamenti che, se non hanno portato direttamente ai gol, si sono rivelati comunque azzeccati.
La prima decisione ha riguardato la difesa: la retroguardia a tre, sulla carta, sembra ormai abbandonata, e nonostante il Milan giochi con due punte di ruolo Palladino ha deciso di mantenere la linea a quattro vista contro Empoli e New Saints, con Dodô e Gosens terzini e Comuzzo e Ranieri in mezzo. La vera svolta, però, è arrivata a centrocampo: trovatosi a fare i conti con l’infortunio di un titolarissimo come Mandragora, Palladino ha dovuto per forza inserire più qualità in mediana. Così, nel doble pivote accanto a Cataldi si è sistemato Adli. Sulla trequarti, con Gudmundsson schierato da rifinitore centrale e Colpani mezzapunta di destra, la novità ha riguardato lo slot di mezzapunta di sinistra: non una vera ala come Sottil, non una punta adattata come Kouamé, ma un centrocampista di quantità come Bove, a cui Palladino non vuole proprio rinunciare.
Tutte le scelte, alla fine, hanno pagato, a partire dalla prima costruzione. Su rinvio dal fondo, col Milan che cercava il pressing alto, la Fiorentina poteva sviluppare per vie esterne per cercare il passaggio lungo linea o, come è accaduto più spesso, lanciare con De Gea per poi provare a recuperare la seconda palla. I rinvii del portiere spagnolo non erano casuali, ma venivano indirizzati di proposito verso la fascia sinistra, dove la Fiorentina addensava, oltre a Kean che andava a contendere il lancio, anche Gosens e Bove, giocatori di grande impatto fisico nei duelli: loro tre, insieme a Gudmundsson, sono spesso usciti vincitori dai rimbalzi innescati dai lanci di De Gea.
Anche il gol del 2-1 è nato da un rinvio di De Gea: solo che in quel caso non c’è stato bisogno nemmeno che i giocatori viola ingaggiassero il duello, perché ci ha pensato un’uscita fuori tempo di Tomori a spalancare a Kean e a Gudmundsson la strada per la porta di Maignan.
In ogni caso, anche quando ha potuto giocare palla a terra la Fiorentina è parsa avere idee un po’ più chiare.
Quando nello sviluppo dell’azione la squadra di Palladino stabilizzava il possesso, il Milan si sistemava con un blocco medio-alto, senza intensificare il pressing. I viola, allora, si disponevano con un 3+1 per sfruttare la superiorità numerica e posizionale rispetto ai due attaccanti del Milan. L’inserimento di Adli, in questo senso, è stato decisivo. L’algerino si apriva “alla Kroos” da terzo centrale di sinistra, con Cataldi che rimaneva vertice alto del rombo di costruzione. Si potrà obiettare: la Fiorentina non avrebbe potuto sfruttare il 3 vs 2 in impostazione semplicemente scegliendo la difesa a tre? Non sarebbe stata la stessa cosa. Innanzitutto perché Adli è un regista vero, e quindi offre maggior qualità, di per sé, rispetto a un difensore. Dopodiché, Adli è destrorso, per cui dal centro sinistra, orientandosi verso l’interno, riesce a vedere tutto il campo, a differenza di un braccetto mancino che invece avrebbe avuto soluzioni più limitate. Così, da una zona più bassa, Adli poteva dare continuità al possesso per muovere il Milan, oppure cercare il filtrante in diagonale per il compagno tra le linee, di solito Gudmundsson o Colpani.
L’aggiustamento con cui la Fiorentina ha guadagnato il centro del ring, però, ha riguardato la fase difensiva: alla fine il Milan ha avuto il controllo della palla, i viola quello della partita. Nel 4-4-2 di Palladino, alla fine, il riferimento principale è rimasto l’uomo, principio dal quale il tecnico napoletano non deroga. La Fiorentina ha lasciato il possesso ai difensori del Milan, si è sistemata a cavallo della metà campo e da lì ha iniziato a mordere le caviglie di chi riceveva spalle alla porta.
I due attaccanti, Gudmundsson e Kean, schermavano il centro. Per il resto, i loro compagni dovevano uscire aggressivi sul riferimento. In particolare, è stato eccellente il lavoro di Dodô e Colpani sulla sinistra. Dei due, Colpani doveva marcare Theo; Dodô, invece, si accoppiava a Leão. Non solo hanno seguito i propri uomini con puntualità, ma quando necessario hanno saputo scambiare la marcatura, fornendosi copertura a vicenda nel momento in cui uno dei due usciva in maniera aggressiva.
Il fatto di dover seguire Theo faceva sì che delle volte Colpani si abbassasse come un vero e proprio quinto. Sul lato opposto, con Gosens e Bove ad alternarsi nella marcatura di Pulisic e Emerson, l’ex romanista prendeva l’uomo che stringeva nel corridoio intermedio, per cui rimaneva centrale: le ali del 4-2-3-1, Bove e Colpani, alla fine hanno avuto un comportamento asimmetrico che hanno portato a trasformare la struttura della Fiorentina quasi in un 5-3-2.
Più che i numeri, però, è stata la compattezza del blocco medio-basso a fare la differenza, perché ha permesso di difendere contemporaneamente ampiezza e profondità. Viste le distanze corte, anche difensori e mediani sono potuti uscire sull’uomo e Comuzzo in particolare è parso a suo agio ieri sera.
A facilitare la squadra di Palladino, l’atteggiamento del Milan in fase di possesso. Abbiamo visto, in questi anni di Serie A, quanto le squadre più ambiziose con la palla siano dovute diventare sempre più fluide per rispondere alle marcature a uomo di allenatori come Palladino. Il Milan di fluidità ne ha ben poca: gioca con due riferimenti alti e aperti e un’occupazione piuttosto statica dei corridoi centrali. In sostanza, la squadra di Fonseca non sapeva come smuovere le marcature a uomo. Alla fine, il possesso palla da risorsa si è rivelato un problema.
La Fiorentina quindi si è costruita un contesto più favorevole, anche senza un vero dominio e senza creare occasioni in maniera organica. La partita, alla fine, è stata decisa da episodi. La rimessa laterale del gol di Adli era nata da un’altra rimessa laterale, scaturita da un controfallo piuttosto comico di Fofana.
Sui rigori, poi, si è discusso già molto. È curioso comunque notare come soli tre anni fa, nel 2021, De Gea fosse stato responsabile della sconfitta in finale di Europa League del Manchester United per la sua incapacità di parare i rigori: quella lotteria, contro il Villarreal, si concluse solo all’undicesimo tiro dal dischetto e all’epoca De Gea non parava un penalty dal 2016. Da allora ne ha neutralizzati ben 5, quasi la metà dei 14 parati in carriera.
La vittoria di ieri è stata una boccata d’aria fresca, ma per Palladino e la sua Fiorentina di strada da percorrere ce n’è ancora tanta: non sempre il contesto tattico potrà essere così favorevole e nell’ultimo terzo di campo bisognerà trovare un modo di essere più produttivi.
Il Milan, invece, continua ad essere succube dei soliti problemi: le idee di Fonseca in fase di possesso sembrano cozzare con le caratteristiche dei giocatori e i margini di crescita saranno ristretti fin quando il tecnico non troverà un modo di migliorare il rendimento con la palla.
In definitiva, la vittoria del Milan nel derby così come quella della Fiorentina ieri sera dimostrano che in Serie A chi ha difficoltà deve ripartire da una buona fase difensiva. Risolvere i problemi con la palla, però, rimane sempre l’impresa più ardua.