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Dario Pergolizzi

Alla Fiorentina manca sempre l’ultimo passo

Un'altra serata frustrante per i tifosi della Viola.

Il dibattito sul bello e il brutto nel calcio è antico quanto il gioco stesso.

 

Nel corso dei decenni siamo rimasti incastrati in una retorica per cui estetica ed efficacia sono due valori che si escludono l’uno con l’altro. Non riusciremo forse mai a sciogliere questo nodo, e dopotutto può andare anche bene così: è il dibattito che tiene viva l’attenzione sul calcio, prolungando l’esperienza oltre la partita. Concordiamo tutti che non c’è un bello oggettivo. Si può preferire una fitta rete di passaggi, oppure un calcio fisico alimentato da lanci continui; sono esempi di bellezza complementare, che possono coesistere e ci restituiscono un’idea diversa di adattamento alle situazioni di gioco. Quello che però, dal mio punto di vista, è impossibile trascurare quando si parla di bellezza, di attrattività nel gioco, è il coinvolgimento emotivo.

 

Ovvio: anche questo è un parametro soggettivo e difficile da misurare. Quando però ci si ritrova a chiacchierare di una partita o di una giocata, una cosa su cui proprio non si può barare è la presenza o l’assenza dell’intensità emotiva. Cos’è, però, che genera emozioni nel calcio?

 

La finale di ieri, per chi non tifava Fiorentina, è stato uno spettacolo estenuante. Uno spettacolo lungo 120 minuti, ma su cui la tensione emotiva non è mai mancata. Un dato racconta bene esteticamente la partita, ed è quello sui lanci lunghi provati dalle due squadre: 143 la Fiorentina, 142 l’Olympiacos (dati Opta). Tra tutte le partite giocate nelle tre competizioni europee quest’anno, inclusi i gironi, questa è stata quella con la precisione dei passaggi effettuati più bassa. Parliamo di numeri, certo: Olympiacos-Fiorentina avrebbe potuto essere una partita gradevole anche in queste condizioni, e questi dati non ci danno una misura della qualità della partita in sé. Più che altro ci raccontano della strategia e dell’adattamento reciproco delle due squadre.

 

La squadra di Mendilibar e quella di Italiano, fin dai primissimi minuti di gioco, hanno dato vita a un turbine di seconde palle e duelli che nel primo tempo aveva creato un ritmo di gioco sostenuto. Entrambe si sono ritrovate sul filo del rasoio in un paio di situazioni, sul punto di tagliarsi per un isolamento pericoloso subito sull’esterno o una corsa interna non assorbita. Insomma, è stato chiaro dall’inizio che avrebbe potuto rivelarsi una partita in cui le distanze sarebbero state irregolari, le opportunità sporadiche ma comunque minacciose, e in cui gli errori di esecuzione non sarebbero stati pochi. Una partita caotica e alimentata dall’imprecisione.

 

Nel primo tempo, e poi in generale per il resto della partita, ad avere più occasioni migliori è stata la Fiorentina, che però ha pagato la difficoltà di conversione davanti alla porta avversaria. Non è certo la prima volta. Così come gli avversari, anche i Viola hanno puntato quasi tutto sull’uso del lancio lungo per arrivare nelle trequarti, ma con esiti e modalità diverse nel corso della partita. La squadra di Mendilibar sembrava in un primo momento avere poche soluzioni per scardinare la tenuta difensiva di Milenkovic e Quarta, a loro agio nei duelli anche in campo aperto. Alle loro spalle Terracciano era sempre particolarmente reattivo. Una delle dinamiche più preoccupanti per la Fiorentina a inizio partita erano le progressioni di Podence sulla fascia sinistra, con Dodò all’inizio in difficoltà nell’assorbirne i movimenti. Questo lumicino si è però affievolito col passare del tempo, tanto che la prestazione del terzino brasiliano è poi cresciuta sempre di più, soprattutto dal punto di vista difensivo. Insomma, la Fiorentina non sembrava avere grossi problemi a contenere l’Olympiacos, che però dal canto suo sembrava preparata a forzare e ad approfittare di qualche palla persa in uscita dagli uomini di Italiano, con Dodò e Arthur non perfetti nella gestione del possesso.

 

Forse è stato anche questo a spingere, col passare dei minuti, la Fiorentina a un esasperante uso della verticalizzazione lunga. È stato però un processo graduale: nella prima parte della partita giocare sul lungo serviva alla Fiorentina soprattutto per cercare di allargare rapidamente il gioco verso Kouamé e Nico Gonzalez, anche appoggiandosi in modo più paziente ai centrocampisti o facendo qualche passaggio in più sulla prima linea per scombinare in qualche modo la difesa avversaria. Col passare del tempo, invece, sono diventate più frequenti le giocate a scavalcare del tutto il centrocampo e ricercare la punta o gli esterni, già dai centrali. Come sempre, anche i lanci lunghi devono essere preparati per essere efficaci.

 

Alcuni esempi delle giocate lunghe della Fiorentina nella seconda parte della partita.

 

L’ingresso di Nzola per Belotti, poi, ha reso ancora più golosa per i Viola la tentazione di sfruttarne i duelli e sfondare più velocemente in avanti. Va detto che, in parte, questo è stato un modo anche efficace per arrivare a posizionarsi nella metà campo avversaria senza rischiare di perdere palla nella propria. Però, di contro, non è parso per niente semplice per i giocatori di Italiano riuscire a creare i presupposti per entrare in area in maniera più imprevedibile e collettiva, sfruttando sovrapposizioni interne ed esterne, invadendo l’area con tanti uomini e così via.

 

Queste situazioni non sono state del tutto assenti durante la partita, anzi. Alcune delle migliori opportunità per la Fiorentina sono arrivate proprio così.

 

 

La vena di Kouamé e Nico Gonzalez nel primo tempo sembrava essere un fattore promettente per la Fiorentina: la prima azione qui sopra per esempio nasce da una ripartenza lunga in cui Kouamé, dopo aver saltato l’uomo e attraversato metà campo, aveva allargato per l’argentino, a sua volta bravo a creare superiorità laterale e mettere la palla all’indietro, mancata da Kouamé.

 

Nelle tre azioni successive, avvenute nella parte finale della partita, possiamo vedere altre situazioni interessanti create dai giocatori di Italiano giocando a ridosso dell’area dell’Olympiacos: un altro cut-back andato a segno, questa volta di Beltran, arrivato sui piedi di Ikoné, una bella triangolazione sempre tra Ikoné e Beltran, un filtrante di Martinez Quarta per Kouamé che si era accentrato tagliando alle spalle dei difensori.

 

Alla fine è stato però l’Olympiacos a trovare il gol decisivo, a cinque minuti dal 120′. Un’azione convulsa in cui la Fiorentina si era trovata a difendere senza Dodò (che aveva perso un contrasto su un passaggio di Barak). Quarta era verso l’esterno e Ranieri al centro dell’area. El Kaabi è tornato a essere l’uomo del destino di questa coppa, segnando l’undicesimo gol nella competizione alla fine di una partita anonima. Non è frequente che un attaccante abbia due occasioni così simili a distanza di pochi secondi, quasi come se la prima fosse servita a prendere le misure. Un altro scherzo del destino per la Fiorentina.

 

È un’altra delusione per la squadra di Italiano. Allora tornano in mente le parole di Gasperini, una settimana fa, quando aveva sottolineato che aver sollevato un trofeo non lo rendeva un allenatore migliore. I trofei possono certificare relativamente la bontà di un percorso. È un discorso che vale ancor di più per la Fiorentina: questa occasione persa rende la vita più amara per i tifosi della Fiorentina, ma non dovrebbe intaccare il giudizio complessivo dell’esperienza di Italiano, che ha consolidato la competitività della squadra, soprattutto nelle coppe.

 

Al contempo, però, va detto che la Fiorentina sbatte spesso sugli stessi limiti. La squadra vista ad Atene non è stata particolarmente brillante rispetto alle sue potenzialità. Come spesso le capita, ha avuto più controllo degli avversari, ma non è riuscita a rendere tangibile quel controllo sbloccando il risultato. Qualcosa che ricorre troppo di frequente per essere un caso – Italiano parla spesso di sfortuna, ma immaginiamo possa essere un’enigma anche per lui. La Fiorentina, come altre volte, è sembrata sul punto di imporsi, a un passo dal farcela, ma alla fine non ce l’ha fatta.

 

Insomma, è stata una partita coerente con la storia recente della Fiorentina, con i suoi pregi e i suoi limiti.

 

Il ciclo di Italiano a Firenze pare concluso. A Italiano andrebbe comunque riconosciuto anche il merito di essere riuscito a mantenere una certa competitività e funzionalità nel gioco ricercato nonostante tutto, e chissà che cambiare progetto non possa portare benefici a entrambe le parti, arrivati a questo punto.

 

 

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Dario Pergolizzi, Allenatore UEFA B e video analista, vive e studia il calcio con un approccio sistemico ed ecologico, attraverso le lenti della complessità.