Il 9 marzo del 2010 la Fiorentina batte il Bayern Monaco 3-2 nel ritorno degli ottavi della Champions League, ma viene comunque eliminata dalla competizione per la regola dei gol in trasferta (in aggregato lo scontro era finito 4-4). Dopo quella convincente eliminazione, se così si può dire, in pochi si sarebbero mai immaginati che la Fiorentina non sarebbe più tornata in Champions League, ma ancora più sorprendente è che 11 anni dopo due dei principali protagonisti di quell’ottavo di finale, e cioè Ribery e Prandelli, sarebbero stati allenatore e giocatore dei viola. Il francese è il leader tecnico da ormai un anno della nuova proprietà Commisso, che sta provando (con enormi difficoltà) a ridare slancio a una squadra che nell’ultimo periodo si è appiattita sulla mediocrità. Per dare una sterzata a un’altra stagione anonima, in cui la Fiorentina è più vicina alla zona retrocessione che alla zona Europa League, il presidente italo americano ha puntato nuovamente su un altro ex in panchina – dopo che con Montella era andata male – Cesare Prandelli. Un arrivo ancora più impronosticabile di quello del francese, che sembra denotare una mancanza di fantasia da parte dei quadri dirigenziali e un feticismo per i grandi ritorni. Prandelli, infatti, sembrava aver imboccato ormai un binario morto della sua carriera dopo i fallimenti con l’Italia ai Mondiali del 2014 e le esperienze negative con Galatasaray, Valencia e Genoa che avevano portato l’allenatore di Orzinuovi a rimanere fermo per più di un anno (dal giugno del 2019).
In un momento non proprio felicissimo della sua carriera, insomma, a Prandelli è stato conferito un incarico piuttosto prestigioso e soprattutto con un forte carico emotivo. Nella conferenza stampa di presentazione di inizio novembre, infatti, Prandelli si è detto tifoso della Fiorentina, al punto da aver sottoscritto per due volte l’abbonamento negli anni precedenti. Evidentemente la voglia di tornare ad allenare ha prevalso sul timore di macchiare il ricordo legato al quinquennio 2005-2010, in cui aveva preso in mano una società tornata in A da un anno fino a portarla costantemente tra le prime 4 del campionato (al netto delle penalizzazioni) e giocarsi una semifinale di Coppa UEFA persa contro i Rangers ai rigori nel 2008. L’apice di quell’avventura però sarà il cammino in Champions League nel 2009/10, impreziosita dal primo posto in un girone con Liverpool, Lione e Debrecen e un’eliminazione agli ottavi contro i tedeschi (che in quell’edizione perderanno la finale con l’Inter) viziata dal gol in fuorigioco di Klose all’andata. «Non incontro Ribery da quella partita, voglio sentire se si ricorda qualcosa di quel furto», ha ricordato Prandelli con un sorriso amaro.
Il paradosso di quel risultato è che si trattava di una squadra che aveva imboccato la parabola discendente, i cui perni avevano già lasciato o superato il loro prime: il terzino destro Ujfalusi era passato all’Atletico Madrid nel 2008 (su quella fascia si alterneranno Comotto e De Silvestri con risultati altalenanti); la coppia centrale Dainelli-Gamberini perderà la titolarità nel corso della stagione (il primo, capitano di quel periodo storico, a gennaio viene ceduto al Genoa, il secondo gioca appena 21 partite per via degli infortuni) in favore di Kroldrup, Natali e Felipe (comprato in gennaio); Kuzmanovic nell’estate del 2009 si trasferisce allo Stoccarda; mentre il giocatore di maggior talento, Adrian Mutu, finirà la sua stagione il 24 gennaio 2010 per via di una squalifica per doping. Quell’annata rappresenterà l’avvicendamento tra il romeno e Stevan Jovetic come fulcro creativo della viola: il montenegrino era arrivato nel 2008, ma troverà più spazio proprio in quel 2009/10. A centrocampo se n’era andato dopo un solo anno pure Felipe Melo, destinazione Juventus, da cui arriveranno Marchionni e Zanetti.
Al di là dei giovani presi nel mercato invernale dall’impatto trascurabile (Keirrison, Bolatti e Seferovic) ad eccezione di Ljajic, ne consegue una Fiorentina più essenziale nella fase offensiva e meno dinamica, che rinuncerà al controllo della palla e perderà parte di quell’imprevedibilità che l’aveva resa una delle realtà più moderne della seconda metà degli anni 2000. A maggior ragione in Champions League, dove inevitabilmente affronta avversari di livello superiore, a cui non è in grado di contestare il possesso.
La formazione tipo di quel 2009/10.
La fase difensiva
Dopo l’eliminazione ai gironi del 2009 e la conseguente retrocessione in Coppa UEFA, la stagione successiva la Fiorentina si qualifica per il secondo anno consecutivo alla CL passando dai preliminari, venendo sorteggiata in un gruppo in realtà molto simile a quello dell’anno prima nonostante fosse stata promossa dalla quarta alla terza fascia: sempre una big (nel 2009 il Bayern Monaco, ora il Liverpool), nuovamente il Lione, contro cui nel 2008/09 aveva ottenuto appena un punto, oltre ai agli ungheresi del Debrecen nel 2009. Sulla carta "la Viola" si sarebbe dovuta giocare il passaggio del turno con l’OL, anche se il cammino sembra subito complicarsi con la sconfitta in Francia alla prima giornata (0-1), in cui gli uomini di Prandelli disputano il secondo tempo in 10 in seguito all’espulsione di Gilardino.
La seconda giornata in casa contro il Liverpool, la favorita per il primo posto, diventa quindi subito decisiva. Una gara in cui è possibile riconoscere i principali concetti di gioco di quella formazione, specialmente in fase difensiva: la viola accetta lunghe fasi di difesa posizionale con un baricentro molto basso, al punto che nel 442 le punte si posizionano più indietro dei mediani avversari.
Mutu e Jovetic lasciano palleggiare i centrali di centrocampo del Liverpool, Lucas Leiva e per l’occasione Fabio Aurelio, solitamente terzino sinistro.
Mutu e Jovetic difficilmente si alzano sui centrali di centrocampo, il loro obiettivo è schermare la trequarti e spingere la circolazione in fascia, dove eventualmente escono gli esterni, o in alternativa stringono la loro posizione quando il Liverpool arriva negli ultimi 40 metri, invitandolo al cross. Al di là della gara interna con il Lione, in cui i mediani escono a turno in pressione sui centrali difensivi per sporcare la prima costruzione avversaria, gli uomini di Prandelli adottano un approccio conservativo con due linee basse e strette, il cui obiettivo rimane quello di fare densità in area e difendere i palloni alti. Una situazione che si riproporrà anche nelle altre partite, che esalta le caratteristiche dei centrali difensivi, molto bravi nel gioco aereo. Quando poi il terzino si allarga sul lato palla, il centrale di centrocampo sul lato di riferimento si abbassa per compensare l’uscita del compagno.
Nel 4-3 in casa del Debrecen, Zanetti prima si abbassa per coprire Pasqual, poi esce per respingere il tiro di Varga.
Sia Dainelli e Gamberini, ma anche Natali e Kroldrup, sono dei difensori molto fisici e piuttosto macchinosi negli spostamenti, che però non rinunciano a rompere la linea per seguire l’uomo e contrastarlo il prima possibile, proprio per evitare di essere puntati in campo aperto. Contro il Bayern, ad esempio, Natali e soprattutto Kroldrup giocano un ottavo di finale quasi commovente per l’applicazione mentale, intensità e la pulizia tecnica espressa in diversi recuperi disperati o interventi rischiosi senza temporeggiare contro i vari Muller, Gomez e Klose. L’idea di fondo è colmare l’inferiorità tecnica e fisica nei duelli individuali con il collettivo, avvicinando i giocatori in modo da ridurre gli spazi da coprire e recuperare a un eventuale errore di un compagno.
La difesa posizionale si rivelerà una delle peculiarità dei toscani, ma anche una necessità contro formazioni più talentuose, a cui è difficile contendere il possesso. Una strategia dispendiosa a livello mentale, che costringe la squadra a uno sforzo in apnea prolungato e che la espone fisiologicamente a dei rischi (la Fiorentina subirà 11 reti in 8 partite e 13,3 tiri ogni 90’). I limiti della difesa della Fiorentina saranno evidenti soprattutto quando non riuscirà a difendere il centro, situazioni che metteranno in evidenza la scarsa esplosività del blocco formato dai difensori centrali e i mediani.
Nel segno di Jovetic
Nonostante i limiti, comunque, la Fiorentina supera a sorpresa il Liverpool grazie alla tenuta della fase di non possesso e alla doppietta di Jovetic, che segna due reti da cui trasuda tutto il suo senso del gol. Nonostante avesse ancora poco più di vent'anni, quella Champions League, in cui sigla anche un’altra doppietta al Bayern nel ritorno degli ottavi, è forse uno dei momenti più luminosi del suo talento. Una sorta di teaser di ciò che sarà tra il 2011 e il 2013, quando tornerà dall’infortunio al crociato che gli farà saltare tutto il 2010/11. Mai dopo quelle stagioni che gli avevano permesso di affermarsi come uno dei giocatori più decisivi del campionato italiano tornerà più a toccare quei picchi, né al Manchester City né all’Inter.
Nella Champions League 2009/10 scende in campo in sole 4 occasioni, di cui 3 da titolare, l’andata con gli inglesi e il doppio confronto con il Bayern, con Mutu ormai indisponibile: il montenegrino ha soli 20 anni e non è ancora il punto di riferimento della squadra, ma in poche partite diventa insostituibile grazie alla dolcezza con cui porta palla e aiuta a far rifiatare la squadra, prendendo falli (3,8 quelli subiti ogni 90’) ma facendone altrettanti (3,1). Neanche negli anni a seguire si imporrà comunque come un regista a tutto tondo, semmai come un giocatore dal tocco morbido e i colpi estemporanei, dotato di quella grazia e quell’astuzia tipica di chi non ha bisogno di ricorrere alla potenza per superare il portiere o disegnare una linea di passaggio: a Jovetic in fondo era sufficiente la precisione per prevalere.
Oltre che per i problemi fisici, “Jojo” forse non ha fatto il salto di qualità anche perché è un profilo difficile da definire e collocare in campo, un po’ numero 9 e un po’ numero 10, probabilmente più vicino al concetto di seconda punta degli anni ’90, a suo agio nell’ultimo quarto di campo nel dettare l’ultimo passaggio e chiudere l’azione, ma poco continuo all’interno della partita e poco incline a legare i reparti, nonostante nei campionati successivi sia arrivato a superare i 40 passaggi tentati e i 2 key pass per 90 minuti. Di quel giocatore che è appassito precocemente fino all’attuale anonimato nel Monaco, più propenso a servirsi dei movimenti dei compagni per prendersi lo spazio per la conclusione che per assecondarli, oggi ricordiamo la buona varietà di soluzioni a livello realizzativo (da dentro l’area come dalla media distanza) e la postura eretta mentre guidava la palla, che trasmetteva una delicatezza ai limiti della fragilità, come se si reggesse su dei bastoncini. In quei frangenti sembrava quasi aspettasse che l’avversario si sbilanciasse per dribblarlo senza aumentare la frequenza della sua corsa.
Primo posto nel girone
Nel doppio confronto con il Debrecen la squadra di Prandelli non lascia punti per la strada e, con 9 gol tra andata e ritorno (4-3 in Ungheria, 5-2 al Franchi), sale in seconda posizione, a quota 9 punti in 4 giornate, addirittura 5 in più del Liverpool. Il match del 24 novembre con il Lione capolista diventa già il primo match point per la qualificazione alle fasi finali, che la Fiorentina conquista grazie a un rigore di Vargas. L’1-0 permette così di superare i francesi e andare a Liverpool a giocarsi il primo posto in casa di un avversario praticamente eliminato, che viene sconfitto grazie al gol al 93’ di Gilardino. Se il 2-1 ad Anfield Road entra giustamente nella storia del club, la vittoria contro i francesi rappresenta la prestazione più brillante di quella campagna europea.
Quella contro il Lione, infatti, è una delle gare più propositive assieme alle due sfide con il Debrecen, in cui grazie alla rapidità nella trasmissione palla in spazi stretti la squadra di Prandelli crea superiorità negli ultimi due terzi di campo. Quella Fiorentina non ha le qualità per costruire dal basso e riesce a organizzare un attacco manovrato solo passando dai mediani, considerato poi che il difensore con il calcio più pulito, Pasqual, in quell’edizione gioca solo 3 partite da titolare a causa delle difficoltà nel tenere la linea e difendere l’1 vs 1. Tra l’altro dopo l’espulsione di Gobbi subita a Monaco di Baviera, nel ritorno degli ottavi a Pasqual verrà preferito addirittura un centrale come Felipe, probabilmente per cercare di marcare Robben sull'esterno.
Tornando alla fase offensiva, oggi è strano vedere i vari Frey, Gamberini, Natali e Kroldrup così a disagio nel gestire la palla e lanciarla puntualmente lunga, tuttavia è un atteggiamento in linea con i canoni dell’epoca, in cui Guardiola, al secondo anno al Barcellona, costituisce ancora un unicum. La formazione di Prandelli la gioca lunga (69 lanci a partita, la quinta squadra della competizione) per sbarazzarsi velocemente della pressione avversaria cercando di non perdere il possesso in zone basse.
Nelle rare volte in cui la squadra di Prandelli riusciva a servire in maniera pulita i centrocampisti, quest'ultimi riuscivano a giocare vicini tra loro, riuscendo a combinare con una certa facilità e liberando il terzo uomo che attaccava la profondità. L’obiettivo è muovere la palla, se possibile in verticale: palla avanti, palla indietro e palla nello spazio, dove il primo passaggio è innescato solitamente da uno tra Montolivo e Zanetti (o Donadel), che con un filtrante cerca una punta. L’attaccante scarica sullo stesso centrocampista o un altro compagno, il quale a sua volta libera un uomo tra le linee.
Nel 2-0 al Liverpool, Zanetti di prima verticalizza su Jovetic, che serve l’accorrente Marchionni. Con due tocchi la Fiorentina buca il centrocampo inglese.
Fondamentale da questo punto di vista la predisposizione dei due centrocampisti ad accorciare in zona palla, soprattutto di Zanetti che, nonostante sia stato martoriato dagli infortuni nel corso dell’intera carriera, si è distinto in quella Champions League per la qualità nel gioco corto e lungo, e per l’intelligenza nei posizionamenti in entrambe le fasi. Zanetti sarà infatti il giocatore della rosa con più passaggi tentati p90’, 55,1, da aggiungere ai 3,3 intercetti e ai 5,3 tackle completati su 7,1 per 90 minuti.
La Fiorentina utilizza lo stesso meccanismo pure per generare superiorità in fascia: un mediano si allarga per ricevere lo scarico di un laterale e libera il terzo uomo con una verticalizzazione sulla corsa dell’altro esterno sul lato forte. Se però la squadra aveva consolidato il possesso in zona centrale, gli esterni, Vargas a sinistra e Marchionni (o Santana) a destra, stringono in modo da aumentare la densità nella zona di rifinitura e quindi la possibilità di associarsi tra loro.
La batteria dei trequartisti racchiusa in 20 metri: contro il Lione, Santana gioca eccezionalmente al centro e in quest’azione si scambia con Marchionni, mentre Vargas si posiziona tra centrale e terzino destro.
Un gioco molto diretto, che ovviamente si sviluppa meglio in campo corto, determinato dai problemi nel gestire i ritmi dell’azione, dall’assenza di dribblatori puri e dalla capacità di rendersi pericolosa solo quando è in grado di aumentare la frequenza e la velocità degli scambi. Come in fase difensiva, la Fiorentina colma il gap individuale avvicinando gli uomini. Se in Serie A la squadra di Prandelli segna soprattutto passando per gli esterni, in Europa arriva alla conclusione grazie al gioco centrale, sfruttando le sponde degli attaccanti per portare fuori posizione i difensori e favorire gli inserimenti dei centrocampisti. Il gol più bello dell’anno lo realizza Marchionni nel 5-2 al Debrecen, frutto proprio di un attacco centrale insistito: l’ala destra si appoggia a Mutu, che scarica su Montolivo e con un movimento a mezzaluna si porta dietro il marcatore. Il mediano verticalizza per l’altro riferimento centrale, Gilardino, che con una sponda premia il movimento di Marchionni nello spazio liberato dal romeno e lo mette davanti al portiere, che il numero 32 supera con uno scavino.
Intermezzo: c’era una volta il "loco" Vargas
In una formazione che muove la palla rapidamente, gli unici che hanno la tendenza a portarla sono le ali, Marchionni e Vargas, con uno stile agli antipodi. Il primo la tocca tante volte con una frequenza compulsiva e delle movenze paragonabili a quella di un robottino con la carica a molla che compie un passettino alla volta, il secondo invece ha una falcata più ampia, caratterizzata da una forza e una resistenza ai contrasti che sembra quasi respingere gli avversari. Uno degli ultimi esterni alti a non giocare a piede invertito, Vargas a Firenze è stato spostato alzato rispetto al precedente ruolo da terzino soprattutto per sfruttare la violenza del suo sinistro e per nascondere le lacune in fase difensiva.
Ogni volta che calcia, Vargas sembra far ricorso a tutta la potenza che ha in corpo, ma la cosa ancora più impressionante è il fatto che riesca a imprimere forza alla sfera anche quando non prende slancio, tirando anzi con il corpo in arretramento. L'ex Catania sa calciare al volo ma anche portando palla, battendo delle tracce interne che gli consentono di usare l’esterno collo, la parte del piede più sensibile. Nei primi 3 anni in Toscana si è rivelato un glitch, quasi un animale esotico in Serie A per queste caratteristiche – il ruolo di ala classico e il tiro dalla medio-lunga distanza - riconducibili forse più agli anni ’90/primi anni 2000 che non agli anni ’10.
Vargas calcia di prima di collo esterno come se fosse un gesto banale, quasi logico. Da notare poi come in quest’azione ci fossero 7 giocatori davanti alla porta.
Oltre alla potenza, il peruviano è in possesso di una coordinazione e una precisione fuori dall’ordinario, grazie a cui riesce a trovare la porta anche con angoli di tiro ridotto, come nel ritorno degli ottavi contro il Bayern. Purtroppo il suo rendimento cala abbastanza precocemente e nel 2012, all’età di 29 anni, viene girato in prestito al Genoa. Tornerà l’anno successivo con alcuni lampi dei suoi, ma senza ritrovare brillantezza e continuità.
Gli ottavi contro il Bayern Monaco
Il 9 dicembre la "Viola" vince a Liverpool e certifica il primo posto nel gruppo E contro ogni previsione, mentre in campionato dopo 15 giornate è quinta a un solo punto dalla zona Champions. Paradossalmente però nei mesi invernali in cui non gioca in Champions League si blocca e con 6 sconfitte tra dicembre e febbraio abbandona ogni velleità di classifica, chiudendo la Serie A in undicesima posizione. L’obiettivo in inverno era diventato a maggior ragione quello di continuare ad alimentare questa impresa, provando ad arrivare almeno tra le prime 8 in Europa, visto che la seconda fascia racchiude più di una squadra abbordabile. Tolte le italiane (Milan e Inter) e il Lione già affrontato nella prima fase, rimangono Olympiakos, CSKA Mosca, Porto, Stoccarda e Bayern Monaco. Peccato che l’urna riservi alla Fiorentina proprio il Bayern, l’avversario peggiore. Che tra l’altro aveva già incrociato la stagione precedente ai gironi, perdendo 0-3 in trasferta e pareggiando 0-0 a Firenze. In Baviera i toscani hanno giocato una gara coraggiosa, dove hanno creato e sprecato diverse occasioni insistendo sulle combinazioni tra terzino, mezzala ed esterno alto tipiche del 433. Una sfida in cui hanno però pagato la difficoltà nel recuperare le posizioni a palla persa e nel difendere in campo lungo.
Forse memore di quella partita, o più probabilmente perché la Fiorentina 2009/10 è cambiata in maniera significativa rispetto all’annata passata – trasformandosi in una squadra più conservativa e meno brillante - e perché si trattava di un confronto a eliminazione diretta con l’andata in trasferta, Prandelli decide di impostare una partita più speculativa. Nello specifico passa dal 4231 al 433 in modo che le mezzali, Montolivo a destra e Vargas a sinistra, possano raddoppiare Robben e Ribery, la principale fonte di gioco del Bayern, senza scoprire il centro.
A Monaco giocano Vargas e Montolivo ai lati di Bolatti, mentre Marchionni e Jovetic partono più larghi. Soliti uomini, ma diversa interpretazione della partita.
Con un baricentro sempre più basso – la Fiorentina non attacca mai con più di 4-5 uomini, spesso lontani tra loro – la squadra sprecherà più di una ripartenza corta e soprattutto la prestazione sontuosa di Gilardino, che da solo domina contro Demichelis e Van Buyten, il quale verrà sostituito a fine primo tempo. L’allora attaccante della Nazionale è la valvola di sfogo che consente alla viola di alleggerire la pressione e nonostante la Fiorentina giochi pochi palloni nella metà campo avversaria, fa registrare 45 tocchi (secondo miglior dato della sua squadra dopo Marchionni) e 29 passaggi, di cui 3 chiave.
La Fiorentina, almeno fino all’espulsione di Gobbi al 73’, copre senza problemi gli spazi tra le linee (anche perché i tedeschi difficilmente passano dal centro) e scivola molto bene sul lato palla, difendendo l’1-1 in maniera eroica contro giocatori nettamente più rapidi. Robben inizia a sfondare solo nell’ultimo quarto d’ora grazie alla superiorità numerica e all’ingresso di Pasqual, che senza aiuti non è in grado di contenere l’olandese. I tedeschi segnano il 2-1 e sfiorano il 3-1, che verrà sventato da alcune parate superlative di Frey. Il portiere francese si è rivelato uno dei capisaldi di quel ciclo e più in generale uno dei portieri più efficaci di quel decennio in Serie A.
Un giocatore elastico ed esplosivo malgrado una struttura pesante, bravo in allungamento come nel respingere i tiri vicini alla figura, decisamente scenografico da veder giocare. Fa strano vedere quella partita e pensare che Frey non sia poi diventato un portiere di primissima fascia. Forse ha contato la sua scarsa propensione a uscire, soprattutto sulle palle alte, o forse più probabilmente hanno pesato ancora di più l'infortunio al ginocchio del 2007 che lo ha condizionato nei contrasti e nelle uscite come ammesso da lui stesso.
Al ritorno Prandelli passa nuovamente al 4231, rimettendo Jovetic e Vargas nelle loro posizioni proprio per sfruttarne appieno il potenziale. La "Viola" non ha la forza necessaria per conservare il possesso e alzare il baricentro, delegando semmai ai giocatori sulla trequarti la fase offensiva, senza intaccare l’equilibrio collettivo né disordinare troppo la struttura di partenza.
La priorità rimane comunque contenere le ali del Bayern. Tanto che se i 4 offensivi del Bayern si alzano sulla terza linea della Fiorentina, i due esterni si schiacciano, andando a formare una sorta di 622.
I toscani chiudono il primo tempo in vantaggio per 1-0, poi nella ripresa le squadre segnano due gol per parte in 11 minuti: Jovetic sigla un’altra doppietta dopo quella al Liverpool, su doppio assist di Gilardino. Il primo un colpo di tacco quasi casuale su un cross basso di De Silvestri che mette il montenegrino davanti al portiere, la seconda un’azione diretta e finalizzata da "Jojo", che scambiando due volte la palla con Vargas dalla sua metà campo fa fuori la fascia destra del Bayern fino ad arrivare negli ultimi 25 metri. Da lì grazie a un triangolo con Gilardino - autore di una sponda al buio, un colpo di testa in avvitamento sulla corsa del compagno che però non può vedere prima dello stacco - Jovetic supera prima Van Buyten, poi Butt con un tocco di sinistro. È il minuto 63 ed è la rete del 3-1 che varrebbe un’incredibile qualificazione ai quarti. Nel giro di 74 secondi, però, l'illusione svanisce: Robben si inventa uno dei più bei gol alla Robben della sua carriera, ricevendo sulla destra e tagliando il campo in orizzontale per liberarsi di Vargas e Zanetti, prima di scagliare dai 35 metri un sinistro sul secondo palo che brucia Frey sul tempo.
È la seconda giocata sensazionale della "Robbery", che mostra la distanza tra gli ottimi giocatori e i fuoriclasse, dopo che sul 2-0 Ribery con un’accelerazione sulla sinistra e una frenata sul posto si era sbarazzato di Natali, Montolivo e De Silvestri, servendo a Van Bommel il pallone del 2-1. Anche in una serata in cui nel complesso gli avversari erano riusciti in qualche modo a limitare le ali del Bayern, Robben e Ribery riescono anche solo per un’azione a testa a camminare sulle acque e inclinare il confronto dalla loro parte.
Gli uomini di Prandelli accusano il colpo e non hanno la forza di organizzare una reazione, anche perché, non riuscendo a consolidare l’azione con il centrocampo, non sembrano avere altre soluzioni alla palla lunga per Vargas o Gilardino, che in una partita condizionata da un forte vento non riescono a mettere giù palla e aiutare la squadra ad accorciare. La "Viola" paga i suoi limiti strutturali e la scarsa profondità della rosa, che permetteranno al Bayern di controllare agevolmente gli ultimi 25 minuti.
Già al triplice fischio la sensazione è quella della fine di un ciclo: i rapporti tra la società e Prandelli si incrinano proprio in quei mesi e l’allenatore bergamasco alla fine di quella stagione rescinderà il contratto in scadenza nel 2011. Negli anni successivi la Fiorentina tornerà a essere una delle realtà più interessanti in Italia con Montella prima e Paulo Sousa poi, ma non giocherà più la Champions League. Anche per questo il ricordo di questo ottavo a Firenze è ancora vivo e bruciante, pure a distanza di più di dieci anni.