Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'ennesima stagione tormentata della Fiorentina
26 mar 2021
Dopo le dimissioni di Prandelli tocca di nuovo a Iachini provare a risolvere i problemi.
(articolo)
17 min
Dark mode
(ON)

Il secondo ciclo di Prandelli alla Fiorentina si è chiuso nel giro di quattro mesi. Nel pomeriggio di martedì l’ex commissario tecnico della Nazionale ha comunicato le sue dimissioni da allenatore della prima squadra attraverso una lettera aperta pubblicata sul sito della Fiorentina. «Mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono», ha confessato Prandelli. «Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro». Prandelli ha anche aggiunto che il “troppo amore per la città” gli aveva impedito di prendere coscienza di questi segnali di malessere, che non vuole che condizioni la squadra.

Una scelta indubbiamente forte, da cui trasuda tutta la sua sofferenza, unita a un’onestà intellettuale che non gli ha mai fatto difetto. Già a inizio gennaio Prandelli aveva manifestato pubblicamente la sua mancanza di serenità. «Ogni tanto dovrei essere più lucido e meno coinvolto. A volte mi sembra di essere ancora un tifoso in tribuna. Invece sono il tecnico, devo essere più razionale e capire quando intervenire se necessario». Dopo la vittoria a Benevento, l’ultima da allenatore della Fiorentina, Prandelli si era detto «stanco e vuoto dentro», prima del silenzio stampa dopo la partita con il Milan di domenica, in cui forse stava già meditando l’addio.

La passione per questi colori lo ha spinto a tornare a guidare la Fiorentina a dieci anni dalla precedente esperienza, ma in pochi mesi lo ha logorato, come in un beffardo contrappasso dantesco. «Negli ultimi 15 anni ho sempre avuto il pensiero per la Fiorentina, penso di essere stato l’unico allenatore a fare per due anni l’abbonamento», aveva raccontato durante la presentazione in novembre, quando era stato chiamato al posto di Iachini per dare una sterzata a un’altra stagione in cui il club di Commisso si stava appiattendo sulla mediocrità, un’altra annata che ha costretto la società a rivedere le ambizioni al ribasso e pensare innanzitutto alla salvezza.

Oltre a voler rilanciare una carriera ferma alla salvezza stentata ottenuta con il Genoa nel 2019, l’obiettivo di Prandelli doveva essere quello di restituire entusiasmo all’ambiente e allontanare la squadra dalla lotta per la retrocessione. Una situazione per certi versi simile a quella dell’estate del 2005, quando però fu capace di plasmare una delle realtà più moderne e divertenti di quel periodo, culminato con una semifinale di Coppa Uefa persa ai rigori e due qualificazioni in Champions League tra il 2008 e il 2009.

Una crisi perenne

Davvero un’altra era, che stride con la storia presente di una squadra che, dopo il biennio con Paulo Sousa e il primo anno con Pioli (2017-18), chiuso a ridosso della zona Europa League, sembra entrata in un buco nero, che impedisce ai viola di guardare oltre la salvezza. «Siamo tutti sulla stessa barca, ma non da pochi mesi, da tre anni: allora bisogna capire cosa è successo e rivedere il modo di programmare», il commento disilluso di Prandelli risalente a qualche settimana fa, in una stagione che invece doveva rappresentare il punto di svolta dell’ambizioso presidente Commisso. A maggior ragione dopo un mercato che aveva portato a Firenze diversi nomi interessanti e lasciava presagire ben altri scenari di classifica, tra opportunità a costo zero, come gli svincolati Bonaventura e Callejon, cavalli di ritorno come Biraghi e il mai dimenticato Borja Valero, e in particolare giocatori che si erano già messi in mostra in Italia come Amrabat e Kouamé (acquistato a gennaio del 2020, ma di fatto disponibile solo nelle ultime partite del post lockdown), a cui la Viola chiedeva di imporsi anche in una realtà più probante.

Un roster sulla carta interessante, ma forse poco funzionale come assortimento: da una parte ci sono due mediani come Pulgar e Amrabat, più adatti a un centrocampo a 2, dall’altro delle mezzali da centrocampo a 3 come Castrovilli, Bonaventura e Duncan, mentre in attacco Ribery e Vlahovic avrebbero bisogno di un compagno vicino. Giocare con due punte e cinque difensori (considerato che Milenkovic e Pezzella sembrano adatti più alla difesa a 5 che a quella a 4) significa però tagliare fuori almeno due tra Vlahovic, Kouamé e Cutrone (che verrà ceduto in gennaio), ma soprattutto un’ala come Callejon, che ha costruito la sua carriera attaccando la fascia destra nel 4-3-3.

Dinanzi a queste difficoltà nell’assemblare un undici lineare, Giuseppe Iachini – l’allenatore fino all’ottava giornata - non poteva far altro che scendere a compromessi, e ha preferito ripartire dal 3-5-2 con cui aveva chiuso la scorsa stagione, provando a lavorare su Amrabat come mediano con due interni ai suoi fianchi, Chiesa quinto a destra e Kouamè come punta centrale. Ma dopo le due prime uscite positive contro Torino (vittoria per 1-0) e Inter (sconfitta per 3-4), la Fiorentina si è arenata, manifestando problemi che si sarebbe trascinata nel resto del campionato: senza Chiesa, ceduto alla Juve nelle ultime ore di mercato senza un vero sostituto, la squadra ha perso imprevedibilità e la fase offensiva è stata affidata in toto a Ribery, ormai una sorta di stampella a cui appoggiarsi in tutte le azioni, anche solo per far uscire la palla dalla difesa. Una stortura che si somma alla lentezza generale nella trasmissione della palla, alla ritrosia a passare dal centro e nel cercare la profondità, considerato che Kouamé si muove più incontro che oltre la linea difensiva.

Nella heat map stagionale di Ribery ci sono più punti rossi nella sua metà campo che nell’area avversaria. Un’immagine eloquente del suo 2020/21.

Dopo lo scialbo 0-0 di Parma, in cui i viola hanno evidenziato tutta l’impotenza della loro fase offensiva, la società, che evidentemente ama particolarmente i grandi ritorni, dopo aver già fatto tornare Montella nel 2019, si è affidata a Prandelli. Nelle prime settimane l’allenatore bresciano ha proposto delle formazioni più offensive, con un difensore in meno e un attaccante in più, Callejon, optando sia per il 4-2-3-1 sia per il 4-3-3, ma dopo quattro partite senza vittorie è tornato al 3-5-2. Perché con una classifica sempre più preoccupante (in dicembre la Viola si è ritrovata ad appena tre lunghezze dalla zona retrocessione) la priorità secondo Prandelli era restituire certezze alla fase difensiva e minimizzare i rischi. «La situazione in cui siamo ci impone di non vergognarci di lottare e difendere. È la cosa saggia da fare adesso. Dobbiamo rendercene conto, lavorare per non prendere gol e poi pensare di far qualcosa in avanti», ha dichiarato alla vigilia del match contro il Sassuolo di metà dicembre.

Un cambio di sistema dettato dalla volontà di assecondare l’aggressività dei suoi difensori, ma anche alla luce delle difficoltà nelle gare con il 4-2-3-1 o il 4-3-3 nel ripiegare sotto la linea della palla e accompagnare un Vlahovic altrimenti troppo isolato.

A San Siro la Fiorentina scende in campo con il 4-3-3 e gioca pure un primo tempo discreto, ma evidenzia dei problemi di competenze a livello difensivo: qui ad esempio Caceres e Milenkovic scalano a destra (il primo per coprire Amrabat e contrastare quindi Tonali, il secondo si fa portare fuori posizione da Rebic), mentre Pezzella non scivola sul lato palla e rimane su Brahim Diaz, il suo uomo. Il che significa che né il difensore argentino, né Amrabat, che compensa a sua volta l’uscita di Caceres assorbendo il movimento di Theo, prendono Calhanoglu, libero di ricevere nello spazio tra i due centrali difensivi e calciare.

L’aggressività dei centrali difensivi

La fase difensiva di questo 3-5-2 sembra strutturata proprio per esaltare i difensori centrali e permettere loro di difendere in avanti con maggior disinvoltura. A palla persa, la Fiorentina non cerca il recupero immediato e tende a ripiegare sotto la linea della palla con un 5-3-2, ma già dal finale della precedente stagione aveva iniziato a portare il pressing in maniera mirata sull’inizio azione avversario. Un pressing che non scatta immediatamente sulla rimessa dal fondo, ma sul ricircolo del possesso: solitamente quando il pallone per la seconda volta finisce in fascia, ecco che il quinto (o la mezzala) sul lato palla esce sul giocatore in possesso. La squadra fa densità sul lato forte per impedire al portatore di cercare i centrocampisti e costringerlo al lancio o a tornare dai centrali difensivi, su cui si orientano le due punte.

Il passaggio a Barba è il trigger che attiva il pressing: il quinto, Caceres, esce su di lui e il difensore del Benevento a quel punto decide di scaricare su Glik, il quale viene attaccato da Vlahovic e la calcia lunga.

La Viola non cerca tanto il recupero diretto sulla trequarti, quanto di sporcare la costruzione bassa e forzare il lancio, su cui i centrali difensivi possono far leva sulla loro abilità nel gioco aereo. Se invece l’avversario riesce a far uscire la palla dalla difesa, la squadra si abbassa, le linee si stringono e, quando il pallone arriva agli attaccanti, è il centrale che lo marca a uscire per andare a contrastarlo. Sia Pezzella, ma anche e soprattutto Milenkovic e Martinez Quarta, in effetti sono più inclini a orientarsi sull’uomo e abbandonare la posizione che a lavorare sulle letture o di reparto.

Dei tre Milenkovic è il più solido nei duelli individuali, anche se la sua è un’interpretazione più fisica che tecnica: il serbo ha buona forza e progressione, che gli consente di recuperare l’uomo su un eventuale dribbling subito. Pure Pezzella, il centrale nella difesa a 3, abbandona spesso la posizione per seguire il suo uomo, con cui cerca il contatto, in realtà più per disturbarlo ed evitare che riceva vicino alla porta, che per ingaggiare l’uno contro uno. Il capitano viola però sta attraversando una stagione decisamente complicata, in cui pare aver perso il suo vigore atletico e non di rado si lascia aggirare con una certa semplicità. Pezzella per visione di gioco non è troppo adatto a dare copertura ai due “braccetti”, tuttavia giocare qualche metro più basso e a fianco di due compagni così esuberanti lo aiuta a mascherare questa minore reattività. Come centrale di sinistra Martinez Quarta nel 2021 ha superato Igor nelle gerarchie, giocando 10 partite da titolare presumibilmente perché più consistente a livello difensivo. Dei tre centrali, l’ex River Plate, una delle poche note positive in questa stagione, è il più impulsivo e quindi il più propenso ad abbandonare la posizione. La sua capacità decisionale è ancora acerba ma è parzialmente compensata da un buon timing nei contrasti.

Un’altra situazione direttamente dal 4-1 al Benevento: i tre centrali hanno abbandonato la loro posizione per seguire l’uomo, in più Martinez Quarta, che viene coperto da Venuti, rompe la marcatura su Ionita per uscire su Hetemaj.

Nonostante il PPDA nel corso dei mesi si sia alzato (secondo i dati di Alfredo Giacobbe con Iachini si attestava sui 13,1, con Prandelli invece è salito a 17,8), la Fiorentina non va intesa come una formazione prettamente passiva in fase di non possesso. Anzi, i toscani soffrono maggiormente quelle situazioni in cui devono abbassarsi e difendersi in posizione, dove il riferimento diventa il compagno e bisogna applicarsi nelle letture senza palla. A destra pesa l’assenza di un laterale puro in grado di giocare a tutta fascia (Caceres, Venuti e l’acquisto di gennaio Malcuit rappresentano delle soluzioni di ripiego), ma più in generale la Fiorentina sconta l’assenza di un difensore in grado di guidare il reparto e dare copertura ai marcatori. I tre centrali titolari hanno caratteristiche molto simili, quasi ridondanti, e tendono a essere portati fuori posizione con una certa facilità, disordinando così la struttura difensiva.

Al netto dei 45 gol subiti finora (a fronte di 41 xG concessi), i numeri della fase di non possesso sono comunque discreti: la viola è nona per tiri concessi in open play per 90 minuti (8,6), meglio del Milan e appena peggio della Juve, ed è nona per tiri in porta subiti (3,75), numeri comparabili allo stesso Milan (3,68) e alla Lazio (3.81). Si è rivelato determinante in questo senso l’inserimento nell’undici titolare di Pulgar: più che in distribuzione, il cileno è diventato un fattore nella capacità di tagliare le linee di passaggio e compensare le uscite dei difensori. Tra l’altro l’ex Bologna è il giocatore in rosa con più recuperi p90 (11,9), meglio di un giocatore ben più dinamico come Amrabat, fermo a 9,95, ma molto più irruento e caotico nelle spaziature.

Prandelli comunque ha dimostrato di saper apportare anche delle variazioni in fase difensiva: in queste due immagini si possono vedere i piani gara ad hoc con Roma e Milan al ritorno. Contro i giallorossi la Fiorentina è scesa in campo con un 3-4-2-1 e marcature a uomo a tutto campo, contro l’ex Pioli ha schierato un 4-4-2 più orientato sulla zona. In entrambi i casi ha scelto una disposizione a specchio rispetto all’avversario.

I problemi della fase offensiva

Il vero limite della Fiorentina risiede però nella fase offensiva, dove sconta un’assenza di qualità diffusa. Una formazione che tira solo 10,3 volte a partita (quindicesima prestazione in A), di cui 3,25 in porta, ma che comunque produce conclusioni di buona qualità (0,14xG per ogni tiro, quarta in questa graduatoria).

La viola comprensibilmente si appoggia al talento di Ribery per risalire il campo, il problema è che lo coinvolge anche nelle prime fasi del gioco: in assenza di un regista difensivo il suo arretramento è ormai necessario per far uscire la palla dalla difesa, anche perché Igor, il centrale più tecnico, come detto è stato sostituito da Martinez Quarta, meno portato alla gestione palla ma che soprattutto, essendo un destro spostato sul centro-sinistra, ha la tendenza ad accentrarsi e orientarsi con il corpo verso destra precludendosi così lo spazio alla sua sinistra.

Nella prima parte del campionato Amrabat è stato schierato come mediano, un ruolo che ne ha messo in luce i limiti nella gestione palla: qualche commentatore l’ha rimproverato di essere “troppo innamorato della palla”, in realtà il suo tempo di rilascio del pallone è lento perché è macchinoso negli spostamenti palla al piede e nello scansionare lo spazio attorno a lui. Il centrocampista marocchino si è imposto a Verona in un contesto a lui congeniale, dove doveva marcare a uomo, difendere in avanti e accompagnare l’azione; i compiti in regia uniti all’assenza di ritmo di questa formazione ne stanno penalizzando l’inserimento a Firenze. Lo stesso Pulgar non riesce a influenzare l’azione con la necessaria continuità, in quanto sconta una scarsa mobilità che lo penalizza negli smarcamenti.

La struttura posizionale tipica della Fiorentina in fase di possesso: Ribery riceve a 50 metri dalla porta, Castrovilli si alza sulla stessa linea di Vlahovic per prendere il posto del francese e i due esterni si alzano contemporaneamente per dare ampiezza.

La Fiorentina cerca dunque di sfruttare il suo lato sinistro (il 42% degli attacchi si sviluppano su questo lato) formato dai giocatori di maggior qualità, Ribery, Castrovilli e Biraghi, per creare superiorità e rifinire il gioco: l’ex Bayern si abbassa per gestire il possesso, mentre il centrocampista si alza al suo posto (o in alternativa si allarga) e Biraghi si alza lungo la fascia in modo da fornire al francese due linee di passaggio. Teoricamente Ribery dovrebbe triangolare con Castrovilli per penetrare il blocco e arrivare nell’ultimo quarto di campo, in pratica la maggior parte delle volte viene circondato dagli avversari ed è costretto a mettersi in proprio.

Queste responsabilità mettono ancora più in evidenza il suo fisiologico declino a livello atletico: Ribery, ormai prossimo ai 38 anni, anche se conserva quel talento minimale che gli permette di nascondere la palla e resistere ai contrasti, non può più contare sull’esplosività e la leggerezza dei giorni migliori. Pure la sua continuità ne sta risentendo – per quanto non abbia mai sbagliato finora i match contro le grandi – così come i suoi numeri offensivi: i passaggi chiave sono scesi dai 2,36 del 2019/20 agli attuali 1,22, i dribbling da 3,69 a 2,79, ma soprattutto ha segnato due soli gol in campionato a fronte di circa un tiro per 90 minuti, un valore comparabile a quello di un difensore come Martinez Quarta (0,91).

Il francese del resto è costretto a ricevere anche nei primi 50-60 metri, mentre Castrovilli deve giocare spalle alla porta. Una contingenza che finisce per penalizzare entrambi (Castrovilli si esalta nel portare palla o in situazioni dinamiche, invece gioca principalmente senza palla per compensare i movimenti di Ribery), ma che diventa quasi inevitabile per consolidare l’azione o più banalmente per mancanza di sbocchi offensivi alternativi. Bonaventura nelle ultime settimane si è ripreso sì il posto da titolare grazie alle sue doti di palleggio nello stretto e in potenza rappresenterebbe un hub sul centro-destra per la progressione del pallone, ma a sua volta è vittima dell’assenza di compagni con cui dialogare e pure lui è costretto a iniziative individuali.

Un’azione sviluppata sul lato sinistro tanto bella quanto estemporanea.

La sensazione che trasmette la Fiorentina è quella di una squadra rigida, che ha problemi a prendere campo e giocare fuori dalle posizioni per la lentezza negli smarcamenti come nel muovere palla. Una formazione che difficilmente azzarda un passaggio in verticale per timore di perdere palla con la squadra aperta, si rifugia in giocate conservative ed esaspera la ricerca dei cross, soprattutto a sinistra, visto che a destra non c’è un vero quinto capace di dare ampiezza e andare sul fondo. I toscani sono secondi solo alla Juve nella classifica dei cross tentati a partita (13,5), con Biraghi, il giocatore con più passaggi chiave in rosa (1,79), che da solo ne esegue 5,6.

Con una simile difficoltà nell’arrivare al tiro, è quasi incredibile che Vlahovic sia riuscito ad arrivare a 12 gol. Non è ancora chiara la profondità del talento dell’attaccante serbo, che ha problemi a giocare spalle alla porta con l’uomo vicino come a raccordare il gioco, però se ha la possibilità di dare sfogo alla sua falcata e prepararsi lo spazio per il tiro, anche dalla media distanza, può davvero fare la differenza. Finora il suo rendimento realizzativo è al di sotto delle attese (ha segnato 9 gol, senza contare i rigori, a fronte di 10,3 xG), però negli ultimi tre mesi il suo score è letteralmente esploso, con 11 centri nelle ultime 17 giornate. Tutto questo per dire che parliamo sì di un giocatore con dei pregi e dei difetti piuttosto marcati, ma che ha pur sempre 21 anni ed è alla seconda stagione in prima squadra.

Oltre a Vlahovic, un’altra arma importante in fase offensiva è costituita dai calci da fermo, da cui nascono 0,4 xG a partita (sesta migliore prestazione in A) e che finora hanno fruttato 6 reti, a cui aggiungere 3 rigori. Su palla inattiva la Fiorentina porta non più di 5-6 uomini a saltare in area con una disposizione standard: Vlahovic si posiziona appena fuori dall’area piccola all’altezza del primo palo, una mezzala, Eysseric o Castrovilli, attacca il secondo palo, invece i tre centrali difensivi, Milenkovic, Pezzella e Martinez Quarta, partono in fila o in riga dalla lunetta dell’area con l’obiettivo di andare ad attaccare la palla. A questi si può aggiungere un altro saltatore come Caceres, che sceglie indifferentemente il primo come il secondo palo. Come in fase difensiva, pure sui calci piazzati gli uomini di Prandelli si affidano alla fisicità e alla caparbietà nel gioco aereo dei difensori. Tra l’altro Milenkovic ha prodotto complessivamente 2,5 xG, praticamente gli stessi di Castrovilli (2,7) e Ribery (2,6).

La disposizione tipo della Fiorentina sui calci da fermo. Da notare su questo calcio d’angolo il trenino formato dai tre centrali difensivi per liberare uno di loro.

Prandelli ha cercato di cucire il gioco sugli uomini di maggior talento, in particolare la fase offensiva, ma i vari Ribery, Castrovilli e Vlahovic avrebbero bisogno di un contesto meno rigido e stagnante per esprimere appieno il loro valore. Oltretutto il tecnico dimissionario non è riuscito a inserire Callejon e Kouamé, ma almeno ha ridato un senso a Eysseric,mai così centrale in questi quattro anni a Firenze.

In questi mesi Prandelli aveva invitato i suoi giocatori a indossare «l’abito da operaio», che fuor di metafora significa calarsi nell’ordine di idee di dover lottare per la salvezza. In realtà i suoi uomini sembrano fin troppo consapevoli della situazione che stanno attraversando e in campo palesano tutta questa tensione, soprattutto quando hanno la palla. Sono terrorizzati dall’idea di sbagliare e cercano di minimizzare i rischi, anche se questo può significare difendere un risultato favorevole rinunciando al possesso e portarsi gli avversari in area, una situazione in realtà non troppo congeniale alla Fiorentina.

Prandelli deve essere il primo a soffrire per questa inerzia apparentemente ineluttabile, e quando si è reso conto di non essere più adatto ad allenare la squadra, la sua squadra del cuore, ha rassegnato le dimissioni. «Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita non fa più per me e non mi ci riconosco più», ha scritto con una sincerità quasi brutale.

I toscani ripartiranno da Iachini, a cui si chiede soltanto di limitare i danni, centrare la salvezza il prima possibile (il margine sulla terzultima è di sette punti) e dare un minimo di stabilità al gruppo. Poi in estate la Fiorentina dovrà ancora una volta tirare una riga e capire come rilanciare le sue ambizioni.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura