
Per la Fiorentina c’è un prima e un dopo quel minuto 17 del primo dicembre 2024, quando la partita casalinga contro l’Inter è stata sospesa per il malore di Edoardo Bove. È uno spartiacque emotivo, ovviamente, ma anche tattico - di fatto una fratture tra due stagioni diverse.
Fino a quel momento la squadra di Palladino stava galleggiando su un equilibrio fragile ma che stava garantendo risultati superiori alle aspettative. Grazie a quel 4411 asimmetrico, con Bove finto esterno a sinistra, i toscani avevano trovato una struttura posizionale che le permetteva di risalire il campo lungo il lato sinistro, con Adli ad abbassarsi vicino al centrale di sinistra e l’ex centrocampista della Roma a tagliare dentro il campo, smarcandosi nel mezzo spazio di sinistra.

Uno dei pattern della Fiorentina di inizio stagione.
Una struttura che garantiva una buona solidità difensiva anche a costo di sacrificare qualcosa in fase di possesso. Anche durante la striscia da 8 vittorie consecutive, tra il 6 ottobre e l'8 dicembre, la Fiorentina non è mai stata in grado di palleggiare con continuità, anzi è sempre apparsa molto diretta ed estemporanea nella sua fase offensiva. Eppure la squadra di Palladino riusciva a esprimere una specie di controllo passivo sulla gara, specie quando andava in vantaggio presto e poteva “lasciare” la palla all’altra squadra, difendendosi con un blocco medio-basso e muovendo palla nel suo terzo per alleggerire la pressione avversaria.
Senza Bove, però, questo meccanismo si è incagliato: il 442 con un’ala più disordinata come Sottil o una punta come Beltran si è dimostrato insostenibile per una squadra più prevedibile in fase di possesso, che oltretutto si allungava con una facilità preoccupante, costringendo la coppia di centrocampo Cataldi-Adli a coprire tanto campo in orizzontale a palla persa.
Da quella sfida rinviata (e poi vinta), la Fiorentina ha raccolto 17 punti in 14 giornate, perdendo 7 volte. L’annata si è retta sull’exploit sorprendente della coppia centrale Comuzzo-Ranieri, oltre che sulle due grandi sorprese del campionato: da una parte il 34enne De Gea, commovente nella sua reattività nel parare i tiri vicino al corpo; dall’altra un Moise Kean devastante, alla miglior stagione della carriera.
Mancando però un raccordo tra difesa e attacco – in particolare sulla trequarti - la società ha deciso di intervenire sul mercato. Aumentando la qualità e la profondità della rosa, ma anche aggiungendo nuove incognite con buona pace di Palladino che si è ritrovato costretto a trovare una nuova quadra.
Il mese di febbraio è stato particolarmente critico per una formazione che ha perso fiducia e coraggio con la palla, e che non sa più come creare superiorità numerica alle spalle delle linee di pressione o uscire dalla zona della palla.
Dopo le tre sconfitte di fila con Inter, Como e Verona si era iniziato a discutere con una certa insistenza sull’esonero di Palladino (nulla di nuovo in un ambiente piuttosto isterico come quello di Firenze) e per i quotidiani quella contro il Lecce era diventata la “gara chiave anche per lo stesso allenatore”. Alla fine la Fiorentina ha vinto, ma l’1-0 ha confermato il momento precario e Palladino in conferenza stampa ha ammesso che «è giusto che i tifosi chiedano di più dal punto di vista del gioco».
I QUESITI POSTI DAL MERCATO
Per sostituire Bove, Daniele Pradè ha pensato a un’altra mezzala di corsa come Michael Folorunsho, che però ha caratteristiche molto diverse. L’ex Verona e Napoli è sì un giocatore che sa portare palla, ma è un uomo da strappi, un incursore che accompagna l’azione per arrivare alla conclusione. Pur avendo un'intensità fuori scala, non ha le letture difensive di Bove, la sua capacità di cucire i numerosi strappi che si aprono nell'architettura tattica della Fiorentina. Folorunsho si è anche impegnato molto in questa nuova veste, ma schierato sull'esterno è apparso depotenziato. Spuntato nelle sue caratteristiche offensive e non del tutto a suo agio nelle sue nuove mansioni difensive.
Un saggio della fisicità di Folorunsho: sul lancio di Pongracic, controlla palla e tiene alle spalle Luca Pellegrini, prima di chiamare la sovrapposizione di Dodò.
Il direttore sportivo ha poi proseguito la rivoluzione iniziata nel mercato estivo, vendendo giocatori simbolo della Fiorentina di Italiano, come Martinez Quarta e capitan Biraghi, e smantellando il parco ali (via Sottil, Ikonè e Kouamè) che in questi anni ha fornito un contributo deludente. Come lo scorso agosto, l’impressione è che la società si sia mossa più per opportunità che per necessità, andando a pescare giocatori di talento da lanciare o rilanciare, come Ndour, Fagioli e Zaniolo, a prescindere dalla loro effettiva funzionalità. Il problema di questa strategia è che poi dare una forma alla rosa che viene fuori è difficile, la squadra risulta ridondante in alcune zone del campo e scoperta in altre, e infatti Palladino continua a fare fatica.
L’ex allenatore del Monza sta continuando a proporre il 442 degli ultimi mesi, pur non avendo più ali pure da schierare: a destra ci sarebbe Colpani, che però ha saltato le ultime 5 gare per infortunio, o Zaniolo, un altro giocatore però che come Folorunsho avrebbe bisogno di ricevere e portare palla in zone più interne. A sinistra invece le alternative si chiamano di nuovo Folorunsho e Beltran, che esterni proprio non sono. Più in generale, Palladino dovrà finire l’anno con appena cinque giocatori offensivi (Kean, Beltran, Zaniolo, Gudmunsson e Colpani), a cui è stato aggiunto un attaccante della Primavera, il classe 2006 Caprini.
Se sulla trequarti la coperta è corta, l’allenatore si ritrova invece ben 7 centrali di centrocampo: Adli, Cataldi, Mandragora, Richardson, Ndour, Fagioli e teoricamente anche lo stesso Folorunsho. Anche qui la composizione del reparto è rivedibile, visto che si tratta di mediani con scarso dinamismo, più propensi alla gestione palla che al recupero. Con un’abbondanza del genere nella zona centrale si potrebbe pensare anche a un passaggio al centrocampo a 3, che però il tecnico campano ha proposto solo in situazioni particolari, tipo il doppio confronto di campionato con l’Inter, o l’ultimo match contro il Lecce.
Non avendo a disposizione Colpani e Folorunsho, avendo appena recuperato Gudmunsson e dovendo schierare Zaniolo in attacco al posto di Kean (che contro il Verona è uscito a causa di un trauma cranico), contro i salentini Palladino è stato quasi costretto a schierare una formazione più difensiva, un 532 con un difensore centrale in più. A Verona invece le contingenze avevano portato l’allenatore a chiudere il match con un improvvisato 433, con Zaniolo e Ndour (!) ai lati di Beltran.
Una confusione che non aiuta una squadra che, al netto dell'ultima vittoria di campionato e dell'ottima classifica, sembra ormai in fase di involuzione tattica, soprattutto nella gestione della palla.
I PROBLEMI IN FASE OFFENSIVA
Oltre al prezioso lavoro di ricezione e conduzione palla sulla trequarti di Bove, l’allenatore ha dovuto rinunciare nelle ultime 5 giornate anche ad Adli, l’altro giocatore decisivo nella progressione del pallone. Il centrocampista francese, che si è infortunato alla caviglia prima del recupero con l’Inter, è bravo a spartirsi gli spazi con Cataldi – i due sono abbastanza mobili e non è raro che si scambino di posizione sullo sviluppo dell’azione – e ha una capacità unica in questa squadra nell’assorbire la pressione e creare dei vantaggi nella zona della palla. Lo fa con i suoi dribbling difensivi ma anche con la precisione nella distribuzione.
Un saggio delle doti di Adli: contro la Lazio triangola con Gudmunsson e si apre il campo, portando la palla dal terzo difensivo a quello offensivo.
Senza l’ex Milan la fase di possesso si è fatta ancora più scheletrica, anche perché i due grandi investimenti sulla trequarti, Colpani e Gudmunsson, stanno disputando un’annata ben al di sotto delle attese. L’ex Monza, nonostante un lavoro apprezzabile in fase difensiva, con la palla è molto timido e poco incisivo negli ultimi metri (i passaggi chiave sono scesi dagli 1.82 per 90 minuti di un anno fa agli attuali 1.03, mentre i dribbling tentati da 2.21 a 1.52 per 90 minuti: dati Hudl StatsBomb).
L’islandese invece, dopo un impatto folgorante nelle partite casalinghe con Lazio e Milan, sia per i gol sia per la qualità nel moltiplicare le linee di passaggio, non si è più ripreso dalla ricaduta muscolare subita a Lecce e oggi pare avulso dal gioco, distante dal ruolo di leader tecnico che si pensava potesse recitare.
Anche a causa di tutte queste defezioni, i toscani vogliono prendersi sempre meno rischi con la palla. La Fiorentina cerca di arrivare subito a Kean, che si sta rivelando un target man eccezionale, capace di mettere giù palla e proteggerla, o eventualmente di sfruttare la fisicità di due colpitori come Zaniolo e Folorunsho sulle prime e sulle seconde palle. A inizio azione i quattro difensori si allargano, in modo da occupare tutto il campo in ampiezza. Non forzando il passaggio sul centrale di centrocampo, la palla è facile che finisca in fascia, dove una corsa dentro al campo di Dodò può aprire degli spazi per un attacco diretto alla profondità.
La Fiorentina delle ultime settimane, però, è una squadra che è sempre più restia ad affrontare il pressing avversario - anche perché il portatore di palla ha poco sostegno – e, se la manovra si incanala sulla fascia, preferisce concludere con un lancione di alleggerimento o in alternativa tornare dai centrali. Ranieri e Comuzzo, se non sono chiusi, preferiscono coinvolgere De Gea: il portiere spagnolo sale tra i due centrali, che rimangono aperti in modo da dilatare la fase difensiva avversaria, e prova a rinviare su uno dei riferimenti offensivi.
Rinvio di De Gea, tre colpi di testa prima di recapitare palla a Zaniolo, che subisce fallo. Un’azione dal sapore di trincea.
I dati confermano questa tendenza: De Gea è quinto in Serie A per numero di lanci lunghi per 90 minuti (8.07 per 90 minuti) e settimo per lunghezza media dei passaggi (41.68 metri). Se è vero che già al Manchester United il portiere spagnolo era poco propenso a giocare sul corto, di sicuro il gioco della Fiorentina non sta aiutando. La squadra di Palladino è piuttosto precipitosa sull’inizio azione, poco incline a resistere alla pressione avversaria, e non riesce sempre a preparare adeguatamente la palla in profondità.
Palladino, forse a causa delle sconfitte contro Bologna e Udinese in cui la Fiorentina ha avuto molte difficoltà a ripiegare sotto la linea della palla, sembra però più preoccupato a non subire le transizioni che a disordinare gli avversari con il pallone. Non che non abbia le sue ragioni. Con l’inserimento di Mandragora o Richardson nell’undici titolare – due giocatori più statici e meno preposti nel correre all’indietro - in sostituzione di Cataldi o Adli, il centrocampo infatti tende ad aprirsi con maggior facilità e sta facendo più fatica a schermare la difesa. Forse per la stessa ragione la Fiorentina nell’ultimo periodo sembra molto più rigida nel 4231 di partenza quando muove palla nei primi 30-40 metri.

Fotografia plastica della situazione attuale: tutti i giocatori in maglia bianca ancorati alle rispettive posizioni.
Questa rigidità con la palla si riflette in una povertà di soluzioni offensive: i toscani sembrano non avere grandi meccanismi per arrivare al tiro, e fanno fatica a risalire il campo e ad accompagnare l’azione, se non tramite qualche conduzione dei terzini. Con un gioco così diretto è anche difficile creare connessioni spontanee tra i giocatori offensivi, il che in parte è comprensibile considerati i diversi arrivi del mercato invernale da integrare.

Qui ad esempio Zaniolo è bravo a entrare dentro al campo, grazie anche ai movimenti di Dodò e Beltran che gli portano via due avversari. L’ex Atalanta, però, non ha compagni vicino con cui associarsi e finisce per scaricare su Mandragora.
La Fiorentina dell’ultimo mese non sembra in grado di pensare un’azione in funzione del terzo uomo e contro il Como si è vista tutta la differenza con una squadra capace di palleggiare e coprire la palla come quella di Fabregas. Per certi versi, la successiva prestazione contro il blocco basso del Verona è stata ancora più preoccupante, soprattutto per la difficoltà nell’assemblare una trequarti senza un vero playmaker o degli esterni di ruolo (al Bentegodi hanno giocato Zaniolo, Beltran e Folorunsho alle spalle di Kean).
I numeri dicono che nelle 10 partite di campionato del 2025 la formazione di Palladino ha prodotto 0,75 xG a partita (ad esclusione dei rigori), meglio solo di Monza, Venezia, Parma e Lecce. Nelle prime 15 (cioè fino all'ultima partita della già citata striscia di otto vittorie consecutive) erano stati 1,16, peggio solo di Inter, Atalanta, Lazio e Milan.
Insomma, la squadra di Palladino sembra aver smarrito gli strumenti per “giocare dentro” la pressione, e ormai è più a suo agio quando non ha la palla e si può difendere in basso. Non è un caso che nelle vittorie con Lazio, Genoa e Inter, dopo essere andata in vantaggio più o meno rapidamente, la “Viola” abbia rinunciato quasi del tutto al controllo della palla, schiacciando il centrocampo sulla difesa e difendendosi in area.
Dopo essere stata a ridosso della vetta della classifica fino ai primi di dicembre, la Fiorentina adesso è ai margini dalla zona Europa, e ha solo due e quattro punti di distacco rispettivamente da Roma e Milan, che inseguono (allo stesso modo va detto che è anche detto che è a soli due punti dal sesto posto occupato al momento dal Bologna, che sarebbe comunque un ottimo risultato).
Nel dopo partita del Bentegodi, Palladino ha parlato espressamente della pressione che la società sta mettendo sulla squadra, e delle ambizioni del club testimoniate dal mercato. Ma a prescindere dagli obiettivi di classifica e dal cammino in Conference League (giovedì la Fiorentina giocherà in casa del Panathinaikos l’andata degli ottavi), per la Fiorentina sarà importante ritrovare una struttura offensiva più efficace e una convinzione nel proprio gioco diversa. Il talento a disposizione ci sarebbe, rimane da capire come amalgamarlo.