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Marco Maioli

Quando il Fiorenzuola sognò di diventare argentino

I primi anni 2000 per la squadra piacentina sono stati surreali.

Un giorno di luglio del 2001 alcuni calciatori argentini si presentano allo stadio del Club Atlético Claypole, ventisei chilometri da Buenos Aires, per il provino più esotico della loro vita. Cosme Eugenio López de Arméntia, oscuro allenatore delle serie minori, già tecnico del Brown de Adrogué, deve infatti selezionare dieci giocatori che dovrebbero, uniti a un altro contingente di tredici uruguaiani, attraversare l’Atlantico, indossare la maglia del Fiorenzuola e affrontare una stagione in Serie C2. Le cose andranno diversamente: molti di loro finiranno, nel migliore dei casi, nei titoli di coda di un documentario uscito in poche sale di alcune città italiane alla fine di agosto del 2004.

 

La società della provincia di Piacenza viene dal decennio migliore della propria storia: lontani i tempi in cui lottava in Promozione con Gene Gnocchi a centrocampo, negli anni ’90 ha vissuto cinque stagioni consecutive in C1, con una Serie B sfumata soltanto ai rigori della finale play-off contro la Pistoiese, un paio di prestigiosi turni di Coppa Italia contro Roma e Inter trasmessi in diretta dalla RAI e il passaggio in maglia rossonera di futuri campioni del mondo come Massimo Oddo e Luca Toni. Agli inizi del nuovo millennio, però, quella storia è ormai finita: al termine della stagione 2000/01 i Valdardesi hanno perso la finale play-out con il Novara, retrocedendo in Serie D, e lo storico presidente Antonio Villa, che per un quarto di secolo, prima insieme al padre e poi da solo, ha guidato la società, è intenzionato a cedere il club.

 

A cambiare le cose, a inizio agosto, il ripescaggio del Fiorenzuola in C2. Molti giocatori della stagione precedente non ci sono più e in panchina siede temporaneamente Fabio Querin, un allenatore preso dal settore giovanile: una squadra in vendita, quindi, e da ricostruire quasi da zero, situazione ideale per una proprietà disposta a sperimentare. Tra i vari gruppi interessati all’acquisto spunta, non a caso, Alessandro Aleotti, l’editore e giornalista milanese che appena un anno prima ha fondato il Brera, sedicente terza squadra di Milano assurta a una certa fama giocando la Serie D all’Arena Civica con Walter Zenga in panchina. Non nuovo a mosse mediatiche, Aleotti, a capo di una cordata che dovrebbe comprendere, tra gli altri, i due figli dell’ex deputato democristiano Massimo De Carolis, leader della Maggioranza silenziosa gambizzato dalle Brigate Rosse, ha in mente un progetto innovativo: allestire una rosa di calciatori sudamericani, ma dotati di passaporto italiano («non bisogna pensare immediatamente a Passaportopoli: un terzo degli argentini e metà degli uruguayani hanno o possono avere la cittadinanza italiana»). «Non sono dei Batistuta né dei Recoba», mette subito in chiaro Aleotti, secondo il quale comunque «hanno giocato con Batistuta e Recoba». L’operazione è paragonata a un progetto letterario, «uno dei racconti di Soriano: una squadra tutta sudamericana trapiantata in Pianura Padana», con dei risvolti sociali («il trionfo dell’integrazione»), ma un obiettivo che è prima di tutto sportivo, conquistare la C1 e suscitare entusiasmo in città, e poi economico, valorizzare i calciatori e venderli a squadre di categorie superiori.

 

A fornire la manodopera è la Global Foot Sports, una società argentina fondata nel 1999, guidata dai procuratori Gerardo Zembrino, di origini stabiesi, e Claudio Minniti. La Global, che sostiene di avere la procura di circa cinquecento calciatori, è rappresentata in Italia dal ristoratore ligure Maurizio Montali. Ex calciatore di Serie D, già proprietario del Savona insieme al fratello Gianfranco, Montali è uomo dal multiforme ingegno: in futuro sarà direttore generale dell’Imperia, aprirà pizzerie a Loano dove ospiterà Nicole Minetti, tenterà di acquistare la Lucchese con assegni privi di copertura. Nel 2001 Montali è inoltre partner di Mediastar International, altra agenzia di procuratori, presieduta dall’agente FIFA Salvatore Trunfio, che ha, tra i suoi assistiti, niente meno che Mario Alberto Kempes, destinato a essere l’allenatore e il volto del Fiorenzuola sudamericano.

 

Chiusa la carriera da calciatore nel 1992 in Austria con la maglia del Kremser, il giocatore simbolo dei mondiali del ’78 non è mai riuscito ad allenare in patria a causa, sostiene, «di un clan che non fa entrare nessuno». Dopo un fugace ritorno, ormai quarantunenne, al calcio giocato in Cile, con il Fernández Vial, è stato proprio il ristoratore di Loano a inaugurare la seconda fase della sua vita, trovandogli un impiego come giocatore-allenatore in Indonesia, al Pelita Jaya: è la stagione 95-96, con lui ci sono anche Roger Milla e Beppe Accardi, che ricorda di essere stato accolto nel paese asiatico con un bel «Suka» (piacere di conoscerti, nell’idioma locale).

 

È l’inizio di una carriera in panchina decisamente travagliata, che fornisce ottimo materiale per un avventuroso capitolo della sua autobiografia. Nel 1996, sempre grazie a Montali, è contattato da Pëllumb Xhaferri, patron della squadra albanese Lushnja, in cerca di un tecnico straniero: l’avventura nel campionato locale però dura poco, visto lo scoppio della crisi delle piramidi, che portò al crollo finanziario e politico del Paese, con tanto di scontri armati. L’argentino se la dà a gambe: «Quando ho sentito sparare ho detto vamos». In una calda notte tropicale del 1998, quaranta gradi alle dieci di sera, in un bingo di Puerto Ordaz, città dove allena senza fortuna il Mineros de Guayana, vince trentatremila bolivar e conosce la futura moglie. Quindi vola a La Paz, vomita tutto per il mal d’altura, accetta la guida del The Strongest, fugge dallo stadio in un’auto della polizia dopo la prima sconfitta, riesce a evitare la retrocessione e a vincere il Clausura 1999, per poi andarsene a causa di stipendi non pagati. Al Blooming, altra squadra boliviana, litiga con Victor Hugo Antelo, miglior marcatore di tutti i tempi della massima serie del Paese, e non gli viene rinnovato il contratto; all’Independiente Petrolero non riesce a ottenere un manto erboso decente a causa delle larve di maggiolino. 

 

Le cose si fanno sempre più complicate, gli impieghi sempre più esotici e precari: un’offerta del Luis Ángel Firpo lo convince a viaggiare per El Salvador nel 2000, ma una volta arrivato scopre che il proprietario, a pochi giorni dal sequestro della moglie, è morto di infarto. Non resta che partire alla volta del Marocco, dove un impresario vuole affidargli la panchina di una selezione del Resto del Mondo in un’ipotetica gara contro la Nazionale marocchina. L’idea, piuttosto ingenua, è di convincere una serie di stelle del calcio mondiale a giocare la partita a titolo gratuito: convinto Maradona, anche Zidane e gli altri accetteranno. Kempes parte con il suo agente per Cuba, cena con Diego parlando di calcio fino a mezzanotte, ma gli viene impedito di incontrare il connazionale per una seconda volta: torna in Marocco senza nemmeno aver avuto il tempo di formulare la proposta, passa i suoi giorni nella suite presidenziale di un hotel di Rabat, usufruendo dei bagni decorati in oro, della piscina, dei piatti preparati dallo chef.

 

Tre mesi di esilio dorato, finiti bruscamente insieme ai soldi sulla carta di credito dell’impresario: il campione del mondo, l’autore di una doppietta nella finale del 1978, è costretto a dormire nella hall dell’albergo per un paio di notti. Le sue valigie sono ancora in Salvador, dove intanto sono state donate alle vittime di un terremoto, e la sua carriera da allenatore sembra definitivamente deragliata. Non stupisce, quindi, che nell’agosto del 2001 Kempes, tornato nella natia Bell Ville, accetti un ingaggio netto di cento milioni di lire per allenare il Fiorenzuola, dichiarando alla stampa argentina, prima di partire dall’aeroporto di Ezeiza, di «aver giudicato la proposta interessante perché, pur se la squadra non è granché, è pur sempre in Europa». Un anno più tardi dichiarerà di essere disposto ad allenare ovunque, tranne che in Afghanistan.

 

Il nome di Kempes, associato a una squadra della provincia italiana, è un notevole colpo mediatico: per gli appassionati di calcio l’argentino è non solo un grande campione, ma anche l’uomo che ha rifiutato di stringere la mano a Videla, per quanto sia lui per primo a dare poca soddisfazione ai giornalisti, negando ogni valenza politica al gesto, ricordando di non essere riuscito ad avvicinarsi ai generali, così come alla coppa, soltanto a causa della ressa. 

 

Il progetto inizia a prendere forma domenica 19 agosto, quando Kempes e diciannove calciatori sudamericani atterrano a Malpensa e raggiungono l’Hotel Due Magnolie a Pian del Borno, frazione di Piancogno in provincia di Brescia, dove dovrebbero restare in ritiro per una settimana. Esistono quindi, da questo momento, due Fiorenzuola, entrambi sperimentali e incompleti: uno ufficiale, che quella stessa domenica perde a Brescello nella seconda giornata di Coppa Italia di Serie C e che Aleotti giudica «piuttosto modesto», e uno fantasma, pronto a prendere il sopravvento, una volta completati i dettagli burocratici, mantenendo appena sette o otto giovani italiani per rispettare le regole del campionato, ma che per ora indossa le maglie del Brera gentilmente fornite dal presidente in pectore. «Ci sarà da soffrire ancora un po’, ma dalla seconda giornata ci divertiremo», proclama Aleotti, mentre i giornali mettono in bocca a Kempes, che sostiene di puntare ai play-off, dichiarazioni roboanti («Il Fiorenzuola imiterà il Chievo»). 

 

 

La data ultima per il passaggio definitivo delle quote è fissata per il 15 settembre: quasi un mese di tempo con due squadre parallele. Se da una parte si delineano progetti triennali con immediata promozione in C1, iniziative collaterali volte a creare un fenomeno attorno al Fiorenzuola e possibili collaborazioni con il Piacenza grazie a Stefano Zecchi, filosofo e ospite del Maurizio Costanzo Show (nonché amico comune di Aleotti e Collovati), dall’altra non mancano le perplessità del sindaco Flavio Antelmi, appena rieletto per una coalizione di centrosinistra, che apprezza la pubblicità fatta alla città, ma si chiede se tutti quegli stranieri non vadano a togliere opportunità a calciatori piacentini e fiorenzuolani, rendendo difficile l’identificazione con la squadra da parte del pubblico. 

 

Le opinioni dei cittadini, interpellati dal quotidiano piacentino Libertà, sono più sfumate. Se al Bar Ponte è partita una raccolta firme per chiedere al presidente Villa di restare e alcune signore si interrogano sul futuro lavorativo dei calciatori italiani, tre ragazzini in bicicletta sembrano invece convinti che sarà un Fiorenzuola più forte («con la squadra attuale ne abbiamo presi quattro dalla Reggiana») e al Bar Commercio si fa notare come l’entusiasmo dell’esperimento argentino sia necessario: «Col vecchio andazzo non si poteva più andare avanti». Proprio in quel bar, una volta sede di un club di tifosi del Fiorenzuola, ne sta per nascere uno dedicato al Piacenza molto italiano che gioca in Serie A (e che soltanto dalla stagione successiva romperà il tabù degli stranieri, schierando Matuzalem e Amauri). Di certo Aleotti, che riceve l’appoggio di una delegazione del Bar Commercio e l’incoraggiamento della signora Franca («una fiorenzuolana che sta facendo le cure termali qui vicino. Lo metta sul giornale»), deve avvertire una certa diffidenza dell’ambiente nei confronti dei suoi progetti, tanto da chiedere pubblicamente, come segnale di fiducia, di fargli trovare quegli appartamenti in affitto per i sudamericani che, a quanto pare, sono disponibili ma vengono negati: dispiacerebbe dover collocare i ragazzi a Piacenza.

 

La rosa del nuovo Fiorenzuola, i cui membri hanno firmato un contratto annuale con uno stipendio da tre milioni di lire mensili, dovrebbe essere formata, secondo quanto riportano i giornali, da ventitré calciatori, tredici argentini e dieci uruguayani: tre portieri, sette difensori, nove centrocampisti e quattro attaccanti. Le cose, però, sono più complicate di così e non è semplice, per i giornalisti, entrare a conoscenza dei nomi di tutti: sui giornali finiscono cognomi storpiati nei modi più diversi, nomi di battesimo falsi, generalità di calciatori mai passati da Fiorenzuola; la rosa è di venti o di sedici elementi a seconda delle versioni, e d’altra parte Montali spiega che «ogni giorno arrivano nuovi giocatori e vanno via quelli che non si adattano al modulo di gioco di Kempes». 

 

I sudamericani, noti esclusivamente agli appassionati di serie minori sudamericane, sono per lo più onesti mestieranti, abituati a vestire le maglie di Cipolletti, Juventud Antoniana o Atlanta, che colgono al volo l’opportunità di lasciare un’Argentina in piena crisi economica per il sogno del calcio europeo; sono nati, nella maggior parte dei casi, tra il 1975 e il 1979 e hanno quindi tra i ventidue e i ventisei anni. In comune hanno il viaggio, dalle Ande agli Appenini, in direzione contraria rispetto al racconto di Cuore: uno di loro, Tomás Gutiérrez, ha i nonni a Vezza d’Oglio, dieci chilometri dall’albergo di Piamborno.

 

Non manca, nel gruppo, qualche biografia più ragguardevole. Daniel Javier Bisogno, trequartista tascabile di venticinque anni, ha un parente illustre, lo zio Juan Alberto Schiaffino, e un inizio di carriera promettente, un Clausura 1997 vinto con la maglia del Defensor Sporting e alcune presenze in Copa CONMEBOL, antecedente della Copa Sudamericana, prima di un infortunio che lo ha costretto a ripartire dalla seconda serie uruguaiana. Pedro Santarcieri, suo connazionale e coetaneo, può addirittura vantare un gol in una competizione internazionale, una rete su punizione al Rosario Central in Copa Mercosur, messo a segno con la maglia dell’Huracán Buceo, club che ha Topo Gigio come mascotte.

 

Diego Romancikas, argentino noto come “El Polaco“, ha debuttato in patria nella massima serie con il Deportivo Español, per poi passare agli inglesi del Bristol Rovers e, dopo un provino fallito al Treviso, al Bojano, in Serie D, e come lui è passato dall’Italia anche Pablo Martin Jazgevicius, reduce da una stagione con il Sandonà. Luciano Beutler è stato compagno di squadra di Javier Saviola nelle giovanili del River Plate e ha fatto in tempo a essere lanciato in prima squadra da Ramón Díaz nel 1998, accumulando tre presenze, prima di rompersi i legamenti ed essere ceduto in prestito. Marcos Lencina, “Bombardero de Pergamino”, cresciuto nel Douglas Haig, ha giocato un paio di mesi nel campionato saudita e ha una presenza in Spagna con il Leida. Juan Pablo Suárez è apparso in due gare di Copa Libertadores con la maglia del The Strongest. Juan Gustavo Nikitiuk, detto “Niki”, è nella rosa del Botafogo campione del Brasile nel 1995, anche se, secondo i maligni, soltanto grazie alla parentela con un dirigente della Pepsi, che quell’anno piazza il marchio 7 Up sulle maglie del Fogão. 

 

L’ora fatale scocca alle 18.12 di venerdì 24 agosto 2001, quando una squadra che gli articoli di giornale, non sapendo bene come indicare, battezzano “Fiorenzuola argentino”, affronta il Brera, l’altra squadra di Aleotti, in un’amichevole da due tempi di trentacinque minuti a Cividate Camuno. Gli argentini, dopo un abbraccio rituale, vengono schierati con un 5-3-2 che tende al 3-4-3, e si fanno notare per il temperamento: mentre Kempes, come spesso nel corso di quest’avventura, appare impassibile, il portiere Oscar Colombo grida vamos muchachos e Santarcieri sprona i compagni a giocare. La grinta c’è, non manca un accenno di rissa, con tanto di promesse di vendetta in albergo (condiviso dalle due squadre), spento da un giro di sostituzioni. L’indomani la squadra lascia il ritiro, avvicinandosi a Fiorenzuola, ma senza arrivare in città: la nuova base è un agriturismo a Castione di Ponte dell’Olio, piccolo borgo della Valnure, dove i sudamericani si tengono in forma correndo tra i vigneti, mentre il nuovo campo d’allenamento è quello della Pontolliese.

 

La situazione inusuale di avere due squadre che, pur destinate a incontrarsi e fondersi, conducono esistenze parallele, ognuna con le sue partite, con i dirigenti dell’una che fanno visita all’altra, finisce per avere effetti inattesi. Di fronte alla promessa di un futuro sudamericano, l’orgoglio locale, da tempo assopito, si risveglia improvvisamente: domenica 26, in occasione della partita di Coppa Italia contro lo Spezia, alla presenza in tribuna di Aleotti e Kempes, si assiste non solo all’annunciata manifestazione del “Comitato per la salvaguarda del Fiorenzuola calcio – Antonio Villa presidente”, con striscioni che invitano il patron a restare al suo posto, ma anche all’inattesa comparsa di una cinquantina di ragazzi, muniti persino di bandiere, che decidono spontaneamente di sostenere la squadra. I calciatori rossoneri, quasi tutti nati dopo il 1980, rispondono all’entusiasmo con una bella prova, pareggiando 1-1 con i liguri allenati da Mandorlini, per poi vincere, pochi giorni dopo, in casa della Carrarese. Da tempo, si dice, non si vedeva giocare così al Comunale: i ragazzi sono bravi, ricevono complimenti da allenatori e calciatori avversari, che considerano un delitto sostituirli con gli invasori sudamericani, e nei bar si spera che Villa possa cambiare idea all’ultimo come una sposa sull’altare. 

 

Al tempo stesso, la cordata di Aleotti inizia a mostrare impazienza per le voci e i ritardi: l’affare deve concludersi quanto prima, per permettere di far arrivare i quattro extracomunitari che dovrebbero completare la rosa. Le trattative proseguono, anche se con fatica, a inizio settembre, ma è chiaro che le cose non possono andare avanti così per molto: la squadra, pur strappando applausi, ha comunque bisogno di rinforzi (nel debutto in campionato con l’Imolese sono stati schierati ben sette esordienti) e il permesso dell’allenatore Querin per sedere in panchina scade il 12 settembre. Lunedì 10 la squadra di Kempes, dopo aver affrontato e battuto l’Oltrepò in un’amichevole a Stradella, si avvicina ancora un po’, portandosi all’Hotel Cortina, a Cortina di Alseno: ed è all’interno di questo tre stelle che ancora oggi possiamo vederli grazie a un documentario, Sogni di cuoio, uscito nei cinema italiani lo stesso giorno del più fortunato Fahreneit 9/11, e alla cui distribuzione hanno contribuito anche il Lecce e l’Associazione Italiana Calciatori. 

 

Nato da un’idea del produttore Gianluca Arcopinto, nelle intenzioni dei due registi, César Augusto Meneghetti ed Elisabetta Pandimiglio, il film dovrebbe raccontare un successo, il realizzarsi dei sogni del titolo, ma finisce per essere la cronaca di un fallimento. Alternando immagini epiche dei mondiali del 1978 e altre, più prosaiche, di un gruppo di sudamericani vestiti a caso che si allenano su un campo di Lusurasco, con i trattori che passano sullo sfondo, il film mostra cosa succede quando, dopo essersi spostati di undicimila chilometri per risollevare la propria carriera, si inizia a sospettare che le cose possano finire male. I giocatori passano il tempo cantando Enganchados para bailar tutti insieme in una stanza d’albergo, sognano un appartamento a Fiorenzuola dove riunire la famiglia, telefonano e scrivono e-mail, provano nostalgia, passeggiano per le vie del centro cittadino, entrando in un negozio di acquari tropicali e in uno di articoli sportivi, bevono mate. E, soprattutto, aspettano.

 

Domenica 16 settembre vincono entrambi i Fiorenzuola: quello ufficiale raccoglie i primi punti in campionato vincendo 3-0 in casa del Sassuolo, quello sudamericano si impone per 3-1 sul campo della Pontenurese. Si tratta della prima uscita in territorio piacentino, a un quarto d’ora d’auto da Fiorenzuola, e sono numerosi i tifosi sugli spalti del Comunale a osservare la loro presunta futura squadra fare bella figura indossando un completo gialloverde. La coincidenza delle due vittorie non fa che aumentare la preoccupazione: le due squadre promettono bene, ma sembrano destinate a non incontrarsi mai. Passata la scadenza di metà settembre, si avvicina quella di fine mese, ma tra appuntamenti saltati per impegni improvvisi della vecchia dirigenza e voci di fideiussioni mancanti l’affare continua a essere rimandato. Il Fiorenzuola ufficiale pareggia in casa 0-0 con l’Alto Adige, mentre quello sudamericano fatica, ormai, a trovare avversari da affrontare nei fine settimana. 

 

Lo sconforto è evidente. Kempes, che dovrebbe essere il volto del progetto e invece nel film recita una parte da comprimario, fuma due pacchetti di sigarette al giorno e continua a ricevere giornalisti, più interessati ai suoi giorni di gloria del 1978 che al presente. A prendersi la scena, nella seconda metà di Sogni di cuoio, è il personaggio di Aldo Graziano, team manager del Fiorenzuola sudamericano, campano con radici liguri, uomo di fiducia della Global con un passato e un futuro nel calcio minore della Riviera di Ponente, che si ritrova a fare fronte alle inquietudini e alla ribellione dei sudamericani, tentando di convincerli, in una lingua che mescola l’italiano e uno spagnolo immaginario, che tutto si sistemerà e i soldi arriveranno. L’atmosfera è spettrale: inquadrature fisse su Graziano che, nella sala da pranzo dell’albergo, infila una telefonata dietro l’altra per avere notizie di qualunque tipo, scrutato dai giocatori a caccia di novità sul loro futuro, mentre attorno cala l’autunno sulla Pianura Padana e qualcuno accenna a cantare «dammi tre parole», ricordandoci che siamo nel 2001 di Valeria Rossi.

 

Con l’avvicinarsi del 30 settembre sette giocatori, provenienti da federazioni estere e non considerabili come svincolati, vengono tesserati per società amiche: poi, quando tutto sarà a posto, si potrà risolvere il contratto e firmare per il Fiorenzuola, come spiega Graziano a una sala piena di calciatori perplessi, ribadendo che la sua è una palabra de honor e non una palabra de mierda, aiutandosi con gesti volgari e bevendo sorsate di alcolici direttamente dalle bottiglie del bar.

 

Il 26 settembre è prevista un’amichevole con la Bagnolese, formazione di Serie D: i giocatori si ribellano, minacciano di non scendere in campo se non arrivano prima gli stipendi, e allora Graziano, abituato a blandire i calciatori, per poi insultarli appena si allontanano, deve bluffare e inventarsi che i soldi saranno proprio ad aspettarli a Bagnolo in Piano, provincia di Reggio Emilia, e conviene quindi andare e giocare. Arriva un’altra vittoria: è Leandro Valinotti, bomber reduce da una stagione nella Juventud Antoniana di Salta, a segnare l’unico gol della partita, l’ultimo nella storia mai cominciata del Fiorenzuola argentino (dei soldi, ovviamente, nessuna traccia). Nonostante Kempes, presente ancora una volta allo stadio per Fiorenzuola-Teramo, ostenti ottimismo mentre osserva un giovane Christian Terlizzi guidare la retroguardia degli abruzzesi, è ormai evidente che il Fiorenzuola non diventerà sudamericano e che Antonio Villa resterà alla guida, almeno per la stagione in corso. 

 

Il 1° ottobre, dopo l’ennesimo incontro davanti a un notaio di Milano, è ufficiale: l’affare non si fa, manca la copertura delle fidejussioni richiesta per il passaggio delle quote. Aleotti parla di prese in giro, di cavilli a cui la proprietà del Fiorenzuola si sarebbe aggrappata, minaccia di rivolgersi ai tribunali. Il Fiorenzuola di Kempes, comunque, non esiste più e ognuno dovrà salvarsi da solo. L’allenatore, dopo essersi recato in visita da alcuni amici dalle parti di Brescia, saluta i ragazzi per l’ultima volta e parte per l’Argentina, dove deve occuparsi di alcuni contratti pubblicitari, con l’intenzione di tornare al più presto, avendo sistemato la famiglia a Fiorenzuola e pensando forse di trovare qualche opportunità in Italia. 

 

 

È il preparatore atletico, Luca Spatafora, l’unico dell’avventura valdardese citato per nome e cognome nell’autobiografia dell’argentino, a proporgli il prossimo passo: allenare il Casarano nel girone H della Serie D. Non è una squadra a caso: Eugenio Filograna, proprietario di Postalmarket, senatore eletto con Forza Italia, poi passato a UDR e UDEUR per tentare infine l’avventura con una propria formazione (Salento Regione), ha intenzione di affidarsi alla Global, che fornisce ben undici calciatori argentini per la rosa delle Serpi. L’esperienza è breve: arrivato a inizio dicembre, con la moglie Julia e la figlia Natasha, in mezzo a una nevicata siberiana con dodici gradi sotto zero, Kempes raccoglie due pareggi, una sconfitta e una vittoria, arrivata con otto argentini in campo e un’invasione di campo per contestare la società. Quindi riceve un’offerta dalla Spagna, dal San Fernando, e se ne va a metà gennaio, lasciando comunque il segno: il direttivo della Lega Dilettanti decide di vietare gli allenatori stranieri nei propri campionati. Le sei partite nella terza serie spagnola alla guida degli Isleños saranno le ultime della sua delirante carriera da allenatore. 

 

Non va meglio al Fiorenzuola, che retrocede nuovamente in D a fine stagione, ponendo fine al periodo tra i professionisti inaugurato nel 1990: l’arrivo, a inizio febbraio, sulla panchina che avrebbe dovuto essere di Kempes, di un Massimo Ficcadenti alla prima esperienza da allenatore, non migliora la situazione. Massimo Villa venderà la società soltanto a novembre 2002 e bisognerà aspettare fino al 2021 per il ritorno in C.

 

Per i giocatori, che trascorrono ancora una malinconica settimana di ottobre a Cortina di Alseno, le opzioni sono due: trovare un’altra sistemazione in Italia o tornare in patria, che per molti è un’Argentina ormai al collasso economico e politico. In cinque svolgono un perioda di prova con il Fiorenzuola stesso, ma la Global preferisce collocare i propri assistiti altrove, in società amiche. Marcos Lencina, Daniel Bisogno e Diego Romancikas firmano per il Fanfulla e vivono il resto della loro carriera in Italia, chiudendo rispettivamente con le maglie di Lavagnese, Barisardo e Caravaggio; “el Polaco” è, in un certo senso, l’unico ad aver coronato il sogno del calciatore di successo, finendo per condividere diversi asados con gli argentini dell’Inter, alla stessa tavola di Zanetti, Crespo, Samuel e Burdisso. Juan Pablo Suárez passa al Sassuolo, di cui è il miglior marcatore nella stagione 2002/03, per poi viaggiare a lungo nelle serie minori italiane, diventare capitano del Liberty Molfetta e chiudere in patria con il Belgrano di Paraná. 

 

Qualcun altro è riuscito a togliersi soddisfazioni in Sud America, chi portando il Sarmiento in Primera B segnando un gol decisivo al Colegiales, come il Pipa Cristian Sablich, chi diventando procuratore e aiutando a forgiare il Plaza Colonia campione d’Uruguay nel 2021, come Nikitiuk. Altri, meno fortunati, hanno dovuto reinventarsi: Pablo Rotundo, passato per i toscani del Fonte Belverde, partecipa nel 2006 al Mundialito dell’Immigrazione e della Solidarietà, a Madrid, per poi trovare una sua stabilità in squadre minori dei dintorni di Cadice, città dove oggi ha un’agenzia immobiliare. Luciano Beutler sferra sette pugni a un arbitro diciannovenne durante un Unión Jiennense-Los Villares nel febbraio del 2007 e oggi è proprietario di un’azienda nel settore edilizio a Jaén. Oscar Colombo è passato dal Ragusa e, per un periodo, è stato cameriere a Barcellona.

 

Ogni tanto, qualcuno di loro, su Facebook, rievoca quel che avrebbe potuto essere e non è stato: c’è chi se la prende ancora con il sindaco e chi, come Pedro Santarcieri, conserva i ricordi di Fiorenzuola tra i più belli della sua vita.

 

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Marco Maioli nasce nel 1988. Tifa Milan, parla di calcio a Vox2Box e continua a credere in Ibrahim Ba.