Un gol di Boateng tanto bello quanto estemporaneo nella sua dinamica decide il deludentissimo incontro fra le favorite del girone più difficile della Champions League. Favorite che, se non si stagliano presto al di sopra del livello mostrato ieri, rischiano di essere un bel po’ meno favorite.
Da una parte un Bayern che rimane il solito vulcano di idee che ancora stentano a trovare completa realizzazione; dall’altra un Manchester City che all’immaginazione rinuncia del tutto, appiattendosi su un conservatorismo pigro e stantio. Gli inglesi danno la sensazione di essere la tipica squadra che per qualità, personalità dei giocatori e tendenza a prendersi comunque pochi rischi può riuscire a vincere parecchie partite giocando anche male, ma per il momento si limita solo a giocare male.
Occorre un po’ di sincerità nell’ammettere che nessuno ci ha ancora capito nulla del Bayern targato Guardiola 2014-2015. Una girandola di cambi (favorita anche dalla necessità di sperimentare dopo la partenza pesantissima di Kroos, dall’acquisto tardivo di Xabi Alonso, dagli infortuni e dalla disponibilità solo recente dei nazionali tedeschi reduci dal mondiale), di uomini e di modulo, di partita in partita, e più volte all’interno della stessa partita nella quale si fatica a trovare un filo conduttore, a parte l’idea-base di avanzare in blocco coi passaggi necessari a mantenere le distanze ideali per recuperare eventualmente palla prima ancora di rischiare la verticalizzazione. Idea che non ha trovato un’applicazione del tutto convincente né col tentativo dei “falsi terzini” la stagione passata, né con il 4-3-3 classico con Lahm centrocampista e che ora cerca di affermarsi attraverso una difesa a 5 in cui Alaba fa il centrale sinistro (Lahm e Götze mezzeali, Müller e un Lewandowski ancora deludente di punta).
Il superfluo 5-3-2 di inizio partita del Bayern.
Idea che si pensava volta ad ovviare alla partenza di Kroos cercando di spostare l’elaborazione della manovra maggiormente dal centrocampo alla difesa, contando proprio su un uomo in più come l’austriaco, teoricamente (dato l’uomo in più a coprirgli le spalle) abilitato a uscire con maggior sicurezza dalla linea difensiva e far valere la sua esuberanza atletica sia per portare palla che per pressare sino alla trequarti avversaria.
Risultati finora tutt’altro che convincenti, Alaba rimane lì, limitato nel suo raggio d’azione, e più che altro il Bayern sembra regalare un uomo in altre zone del campo quando l’avversario, come il City ieri sera, non si scopre per andare a pressare alto i difensori bavaresi. Tanto più che l’arrivo di Xabi Alonso, ovvero uno dei pochi giocatori capaci di dare davvero un senso alla moda talvolta irritante della salida lavolpiana (il basco sembra giochi già da qualche anno con la sua nuova squadra) rende ancora più superfluo il difensore in più in fase di impostazione.
Tarderà poco Guardiola, circa 20 minuti, ad accorgersi dell’inutilità di una difesa a a 5 che non faceva altro che togliere continuità di manovra ai padroni di casa. Ai 10 minuti iniziali di arrembaggio bavarese seguono infatti 10 minuti successivi di marca skyblue. Dopo aver sofferto il pressing altissimo del Bayern (2 contro 2 sia delle punte con i centrali inglesi sia di Lahm e Götze contro Fernandinho e Yaya Touré) il City con un semplice passaggio laterale verso i terzini costringe il Bayern ad arretrare di parecchi metri, perché i tedeschi hanno un solo uomo di fascia che se non fa a tempo a scalare sul terzino inglese deve rimanere basso a difendere su Nasri o Navas. Quando il terzino ha preso posizione nella metacampo avversaria poi il City può liberare Silva o Nasri sulla trequarti (i moduli non si giudicano mai astrattamente, ma questa potenziale inferiorità fra fasce e trequarti è un rischio intrinseco di ogni difesa a 5).
Il 5-3-2 del Bayern opposto al 4-2-3-1 del Manchester City vede un potenziale 2 contro 1 a favore del City. Rafinha non può marcare contemporaneamente Clichy e Nasri, quindi deve ripiegare e attendere. Ciò però ritarda il recupero del pallone bavarese. Guardiola equilibrerà tornando al 4-3-3 e due uomini per fascia.
Il City peraltro si limita a qualche passaggio in più per abbassare il ritmo, e rompe l’insipida monotonia del suo gioco solo quando Yaya Touré si lancia palla al piede alla sua maniera o quando Silva si inventa qualcosa. Silva che sembra caricarsi addosso una responsabilità eccessiva nella manovra di una squadra che fatica a far uscire la palla coi tempi giusti da una coppia di centrocampisti centrali individualmente ottimi ma apparentemente di difficile amalgama: nessuno dei due fra Fernandinho e Yaya Touré ha nelle corde il sostare davanti alla difesa, offrirsi e valorizzare il primo passaggio ricevuto dai difensori: il confronto con la lectio magistralis di Xabi Alonso dall’altra parte fa sinceramente arrossire, per quanto il mercato estivo abbia assicurato al City un elemento di grandissimo spessore come Fernando, ieri assente.
L’iniziativa offensiva su basi puramente individuali, l’atteggiamento conservatore del City ieri dovrebbe servire peraltro a chiarire ulteriormente le differenze nella concezione del gioco fra due allenatori come Guardiola e Pellegrini, spesso confusamente accomunati in una immaginaria compagnia di poeti dell’altrettanto immaginario tiki-taka.
Comunque la fase di possesso narcotico del City basta a preoccupare un Bayern il cui 52% scarso di possesso-palla a metà primo tempo dice molto sulla sua mancanza di controllo del gioco (dire che il possesso-palla nel calcio non conta nulla, e magari dirlo con compiaciuto cinismo, è insensato esattamente come dire che il possesso-palla è tutto: dipende dalla squadra…) dei padroni di casa, alla quale Guardiola ovvia con l’avanzamento di Alaba a centrocampo, ora mezzala sinistra in un 4-3-3 (Götze, prestazione trasparente la sua, avanza sulla sinistra del tridente, con Müller a destra: ora il sistema di gioco ricalca quello dell’ultima di Bundesliga con lo Stoccarda).
Tutta la squadra fa un passo avanti, e trova con una certa facilità la ricezione alle spalle della coppia Yaya Touré-Fernandinho, tatticamente discutibilissima anche sul piano difensivo (soprattutto l’ivoriano), e la connessione Xabi Alonso-Alaba dà buoni frutti. L’austriaco si scatena in un paio di sassate respinte da Hart e di passaggi filtranti, e le ricezioni tra le linee danno anche la possibilità di attirare difensori centralmente e scaricare sulla fasce per una serie di cross pericolosi. A questo proposito, bene Bernat, anche se inevitabilmente suscita dubbi non per il suo potenziale (ottimo), ma perché toglie di fatto il posto al terzino sinistro potenzialmente migliore al mondo, lo stesso Alaba, che per essere valorizzato al massimo dovrebbe avere più campo possibile a disposizione, quindi possibilmente partire da lontano e con la possibilità di alternare sovrapposizioni esterne e interne. Perciò quella di terzino resta la posizione ideale, anche se il diretto interessato predilige il centrocampo come nella nazionale austriaca.
La scarsa tenuta difensiva dei due mediani del City e la connessione Xabi Alonso-Alaba dopo il passaggio al 4-3-3 (qui bene anche Lewandowski che blocca i due difensori centrali avversari e libera Alaba)
È la fase migliore del Bayern, che però si spegne nel secondo tempo: sia Lahm che Alaba, adattati a centrocampo, danno qualità e (specie nel caso del tedesco) una lettura tattica superiore, ma al Bayern continua a mancare un controllo che dia più volume al gioco al di là di buone folate. In un secondo tempo veramente brutto, nel quale gli attacchi del Bayern perdono progressivamente ritmo e convinzione, si ha la sensazione che il City potrebbe giocare lo scherzetto: sistema il centrocampo con Milner (esce Nasri) accanto a Fernandinho e Touré avanzato sulla trequarti (Silva a sinistra), inserisce Agüero e con Navas potrebbe colpire in contropiede, ma l’atteggiamento rinunciatario rimane e reprime anche l’andaluso.
Nel grigiore del loro incontro, rimangono comunque squadre dalle prospettive diverse: un Bayern finora confusionario e deludente conserva margini di miglioramento notevoli proprio là dove ha più bisogno, nel controllo del centrocampo: i ritorni di Schweinsteiger e, ancora di più, Thiago Alcantara (deve essere la sua stagione) si candidano dare al possesso-palla la consistenza desiderata. Dall’altra parte invece, preoccupa vedere come il City di stagione in stagione (da Mancini a Pellegrini in campo europeo sembra ancora essere cambiato poco) fatichi non solo a fare risultati, ma prima di tutto ad affermare una propria identità. La squadra vista ieri non si sa ancora a cosa giochi.