Bayern Monaco – Borussia Dortmund
di Emiliano Battazzi (@e_batta)
L’ammirazione di Tuchel nei confronti di Guardiola è talmente grande che, nella conferenza stampa precedente alla partita, l’allenatore tedesco aveva riempito di elogi il collega catalano.
Oltre al dispiacere per la sconfitta molto larga nel punteggio, il tecnico del Borussia Dortmund deve quindi aver vissuto questa partita anche con un fondo di sadico piacere: non si riceve tutti i giorni una lezione dal migliore.
Contro i campioni in carica, però, anche l’allenatore dei gialloneri ha pensato di metterci del suo, rivoluzionando la squadra in modo sorprendente: il centrocampista Bender difensore centrale al posto di Sokratis, schierato terzino destro; Reus in panchina, con Castro mezzala destra per formare un centrocampo a tre; in avanti, una sorta di tridente con Aubameyang punta centrale e Kagawa e Mhkitaryan ai suoi lati, leggermente più arretrati. Per la prima volta Tuchel ha pensato più agli avversari che alla propria squadra, per paura di farsi schiacciare e di rimanere in inferiorità numerica a centrocampo.
Dall’altra parte, Guardiola ha risposto con un 3-4-3 cruijffiano, con Javi Martínez centrale di difesa e Thomas Müller a cercare spazio tra le linee dietro al tridente. In realtà parlare di moduli nel Bayern ormai è persino poco informativo: la fluidità dello schieramento è garantita dall’abbassamento di Xabi Alonso per aiutare l’inizio azione, da Lahm a scalare terzino destro per aiutare contro la densità del Dortmund sulla fascia, dai movimenti di Müller in profondità e in generale ad attaccare qualunque spazio libero.
Il piano del Bayern si basava come al solito sull’allargamento della linea difensiva avversaria: grazie all’ampiezza regalata dalle due ali, Götze e Douglas Costa, le due punte Müller e Lewandowski si trovavano spesso 1 vs. 1 contro i centrali avversari, sempre in grande difficoltà. A questa dimensione, Guardiola ne ha aggiunta un’altra: la verticalità.
A inizio partita il Borussia sembrava riuscire a contenere l’inizio azione del Bayern, schermando soprattutto la zona centrale del campo, con Aubameyang spesso sulla destra per mantenere Alaba bloccato.
In particolare Javi Martínez soffriva nel trovare linee di passaggio, limitandosi ad appoggi piuttosto facili: è per questo che dopo circa 20 minuti di gioco Guardiola ha deciso di spostare Boateng in posizione centrale, così da sfruttarne il lancio lungo.
Da dove nasce il primo gol: il Bayern svuota il centrocampo per creare l’ampiezza massima e nel momento in cui Boateng sta calciando, sta per nascere il rebus della giornata di Tuchel: come difendere contemporaneamente in ampiezza e profondità? Da notare che la linea difensiva del Dortmund è praticamente in 1 vs. 1 con gli attaccanti del Bayern.
In una specie di teoria del caos guardiolesca, per cui un battito di scarpino di un giocatore al posto giusto può scatenare una reazione devastante dall’altra parte del campo, la partita si sbloccava immediatamente: proprio un lancio lungo di Boateng pescava Müller, bravissimo ad attaccare la profondità. La linea difensiva del Borussia si faceva sorprendere, con i centrali incapaci di coprire la profondità.
Il Bayern ha poi continuato a stupire utilizzando una serie di risorse che non sono tra le più comuni e amate dal proprio allenatore: il rigore del secondo gol nasce da un contropiede veloce e intelligente, in cui ancora una volta si costringe il Borussia prima a coprire (male) la profondità e poi ancora peggio l’ampiezza.
Dopo il doppio svantaggio, e considerate anche le grandi difficoltà a rendersi pericolosi, Tuchel decideva di tornare ai principi di base: 4-4-1-1, con Aubameyang punta centrale, Castro sulla destra e Mhkytarian sulla sinistra, anche per dare più ampiezza alla propria squadra e coprire quella avversaria. A dimostrazione che questa partita è stata anche una splendida battaglia tattica tra allenatori, il cambiamento produceva immediatamente un gol: Kagawa e Mkhitaryan combinavano bene tra le linee, scarico su Castro, che nella nuova posizione di esterno destro serviva uno splendido assist per Aubameyang sul secondo palo (decimo gol in 8 partite).
Tuchel risistema la squadra e colpisce l’unico punto debole bavarese, lo spazio dietro Alonso: qui Kagawa e Mkhitaryan si fanno trovare alle spalle dello spagnolo, mentre sulla destra fuori inquadratura c’è Castro, pronto a ricevere da ala.
Neppure questo gol è bastato al Borussia Dortmund per cambiare l’inerzia della partita: alla prima azione del secondo tempo, ancora Boateng lanciava lungo (stavolta di sinistro) per Lewandowski. La linea difensiva non è riuscita a leggere una giocata a palla scoperta. In aggiunta c’è anche l’errore concettuale del portiere Bürki: in una squadra che gioca così alta, il portiere deve farsi trovare più avanti.
L’errore più grande però è quello iniziale di Tuchel: la prestazione di Bender da difensore centrale è stata semplicemente disastrosa. Il centravanti polacco ha ringraziato e poi si è ripetuto pochi minuti dopo, a conclusione di un’azione perfetta dei bavaresi: uscita limpida del pallone dalla difesa con tocchi veloci a superare il pressing avversario; verticalità immediata dal centrocampo in su; l’ala Götze sulla linea laterale costringeva Hummels a uscire e così aumentare le distanze dal suo compagno di difesa, che veniva di nuovo superato da Lewandowski: cross splendido di prima di Götze, sinistro al volo del polacco, al suo dodicesimo gol in tredici giorni (4 partite).
A definire la partita sul 5-1 ci ha pensato Götze, in un’azione che nasce da Neuer: dopo aver bloccato il pallone, il portiere lo rilanciava immediatamente con un lancio preciso per Douglas Costa solo a centrocampo.
In questo sistema fantastico che è il Bayern di Guardiola, si può essere attaccanti pur essendo portieri o difensori centrali e si possono interpretare momenti di partita con schieramenti totalmente diversi e posizioni cambiate in continuazione senza perdere la bussola, anzi trovando nuove risorse. In questo momento i bavaresi giocano il miglior calcio in Europa.
Tuchel invece non ha saputo aggiustare i problemi della sua squadra durante la partita: è sembrata sorprendente la difficoltà dei gialloneri nel difendere le verticalizzazioni dalla difesa del Bayern. Il suo idolo Guardiola gli ha rifilato una lezione da ricordare a lungo e che può servire per il campionato: nonostante il risultato, il Dortmund ha dimostrato di avere risorse tecniche e tattiche di grande livello.
Arsenal - Manchester United
di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)
Prima del calcio d’inizio, la sovraimpressione del broadcaster ha indugiato per più di qualche secondo sulle posizioni di Matteo Darmian e Ashley Young. Proprio i due che hanno deciso, loro malgrado, l’andamento del confronto a favore dell’Arsenal, in appena 7 minuti.
La grafica aveva anche previsto che entrambe le squadre si sarebbero confrontate adottando lo stesso modulo. Del 4-2-3-1 però non se vista l’ombra in campo. Van Gaal, ad esempio, ha schierato i suoi con il 4-1-4-1: Rooney abbandonava la sua posizione di trequartista per affiancarsi a Bastian Schweinsteiger nel tentativo di pressare i costruttori di gioco avversari, Cazorla e Coquelin; dietro di loro, Carrick avrebbe dovuto agire da libero tra le linee.
Il tentativo di sistemare un controllore nella zona di campo dove l’Arsenal si rende più pericoloso, i venti metri davanti alla lunetta, è miseramente fallito in poche mosse. Rooney e Schweini si sono ritrovati immediatamente in inferiorità numerica, grazie al solito accentramento di Aaron Ramsey, un movimento non letto da Depay. Carrick è stato costretto a uscire dalla propria posizione per prendere in seconda battuta l’uomo che sfuggiva ai due che aveva davanti. Soprattutto dal lato di Rooney che, da attaccante, non ha l’attitudine mentale per seguire un avversario a tutto campo. Alle spalle di Carrick si sono aperte voragini puntualmente attaccate da quelli dell’Arsenal.
A questo punto la sciagurata prestazione dei due terzini dello United ha fatto la differenza. Sul primo gol, Young si fa attrarre da Bellerín fuori posizione e lascia un canale libero tra sé e il centrale Blind, che Özil non manca di infilare. Darmian si fa superare da Sánchez nella rincorsa al primo palo e per il turco-tedesco è semplicissimo servire l’assist sul taglio del compagno.
A proposito di terzini, la prestazione dello spagnolo dei Gunners è stata degna di nota. Bellerín ha fornito l’ampiezza alla manovra della sua squadra che era mancata nei precedenti confronti. Infatti sia Özil che Ramsey sono soliti accentrarsi, lasciando scoperta la fascia destra e finendo per pestarsi i piedi non di rado. In pratica l’Arsenal usa attaccare solo da un lato, in uno schieramento totalmente asimmetrico.
Bellerín da solo è bastato a tenere Young in apprensione, con Ramsey che copriva le sue avanzate agendo da falso terzino. Il nazionale inglese dello United, tanto bravo a interpretare il ruolo di esterno a tutta fascia nel 5-2-3 visto nella scorsa stagione, si è rivelato totalmente inadatto a ricoprire i compiti del terzino sinistro in una linea a quattro. Young entra anche nell’azione del secondo gol, quando si perde Özil, che poi finalizzerà l’azione, scappando all’indietro sull’attacco di Walcott.
La partita, dopo soli sei minuti, è già chiusa. Il siluro di Sánchez al diciannovesimo, sfuggito a Darmian una volta entrato in mezzo al campo dalla sinistra, ne costituisce il sigillo ufficiale.
La reazione dello United praticamente non c’è stata. Il possesso palla che gli uomini di van Gaal hanno praticato nel primo tempo è stato un atto più difensivo che offensivo. La circolazione della palla dei Red Devils è stata incredibilmente lenta e neanche così precisa. Infatti all’Arsenal è bastato restare compatto, sistemato in un 4-4-2 con Walcott e Özil di punta, per approfittare della minima sbavatura nel palleggio degli avversari per reimpossessarsi del pallone.
All’intervallo, van Gaal ha provato a rivoltare il suo United, estromettendo dalla partita un Darmian ormai in stato confusionale e un evanescente Depay. L’atteggiamento della squadra è rimasto però lo stesso e alla fine il Manchester ha chiuso con un 62% di sterile possesso palla. Solo il neoentrato Valencia, sulla fascia destra, ha provato a dare qualcosa in più alla fase di possesso. L’Arsenal è rimasto basso a protezione dell’area di rigore, è bastato loro dare solo l’idea della pericolosità che avrebbero potuto generare scattando in verticale, per evitare che l’avversario potesse solo pensare di osare di più.
Nel primo scontro diretto con una Top 4, van Gaal e il suo United escono fortemente ridimensionati nelle loro ambizioni. Durante la sosta, a Carrington dovranno provare ad analizzare la prestazione della squadra al di là del condizionamento psicologico dei due gol subiti in avvio.
Wenger ha ritrovato Mesut Özil, il giocatore che sembra pensare calcio come se vedesse il campo dall’altezza di una gru. A volte sembra non avere passione o interesse per quello che fa: probabilmente, con un po’ di fuoco in più, Özil avrebbe potuto essere un fuoriclasse senza tempo.
Atlético Madrid – Real Madrid
di Daniele V. Morrone (@DanVMor)
Nonostante il suo passaggio in Italia possa far pensare il contrario, Benítez è riconosciuto all’estero come un tecnico estremamente attento e pragmatico. Alla prima vera partita importante della stagione il tecnico madrileno ha deciso fin da subito di lasciare il suo segno di identità e ha impostato una gara su pochi rischi.
Dimostrando grande rispetto per l’avversario, al Real Madrid viene chiesto un gioco pragmatico, che non disdegna i rilanci lunghi per sfuggire alla pressione degli attaccanti dell’Atlético. In fase di possesso ai blancos viene chiesta una gestione semplice e pulita, che lasci a Modric la libertà di dettare i tempi.
Si intuisce come Benítez abbia studiato a fondo gli scontri recenti tra le due squadre. I meccanismi di uscita dalla pressione come quelli del rilancio immediato del portiere Keylor Navas nascono proprio per correggere i difetti passati della squadra (saranno 20 i suoi rilanci a fine partita), che la scorsa stagione perse con un brutto 4-0 in casa dei rivali, soprattutto a causa delle difficoltà di gestione della pressione.
Anche la scelta di partire con il mediano Casemiro come schermo davanti alla difesa riflette il piano di Benítez, che con il brasiliano a contendere i duelli aerei nella propria trequarti cerca di contrastare un altro punto di forza dell’Atlético del recente passato.
La partita di Casemiro sarà tatticamente fondamentale, anche alla luce della presenza contemporanea al centro del campo dei due giocatori più creativi dell’Atlético Madrid: la stella Griezmann e il talento Correa. L’ottima prestazione del mediano renderà giustizia al piano di Benítez.
Casemiro non solo deve contendere i duelli aerei, togliendo quindi all’Atlético il vantaggio sulle seconde palle, ma deve anche agire in copertura alle spalle di Kroos e Modric per impedire ai rivali di combinare palla a terra. Il 4-3-3 scelto da Simeone, con Torres come unica punta, porta i due talenti ad agire alle sue spalle, in quello che a tutti gli effetti diventa un 4-3-2-1.
Il piano di Benítez prevede quindi zero rischi e un palleggio che sfrutti tutta l’ampiezza del campo per trovare la falla nello schieramento avversario su cui poi insistere. La falla viene trovata dopo pochi minuti nella fascia sinistra dell’Atlético, con Carvajal e Isco che possono dominare la propria zona di competenza senza essere impensieriti da un Correa troppo centrale per poter chiudere su di loro, dall’innocuo interno Óliver Torres e dal decisamente poco ispirato Filipe Luís. Con un possesso ampio, gestito magistralmente dalla fascia sinistra di Modric e Marcelo, il Real Madrid ha in mano la chiave per vincere la partita.
L’attacco formato da Benzema libero di svariare come preferisce, Ronaldo che si muove tra le linee per poi posizionarsi in area all’uscita del francese e Isco, che fagocita una zona di campo amplissima, mantiene la difesa avversaria sempre al limite della propria area, impedendo quindi un sistema di recupero del pallone coordinato.
Il Real Madrid sfrutta tutta l’ampiezza del campo e facendo circolare bene il pallone trova la zona dove far male all’Atlético. Dalla fascia destra arriva il cross per il gol di Benzema.
I meccanismi di uscita dal pressing avversario del Madrid sono ben calibrati e le transizioni difensive della squadra sono finalmente di livello. Anche una volta conquistato il pallone, l’Atlético riesce a essere pericoloso solo quando la manovra passa per i piedi di uno tra Correa e Griezmann. Il centrocampo è capace al massimo di gestire una circolazione elementare del pallone, mentre Fernando Torres, pur impegnandosi molto, manca di reattività e di precisione nella giocata.
La scelta di una manovra solo verticale e per vie centrali (e che fa a meno di ali) finisce per imbottigliare la formazione di Simeone, e a non aiutare neanche la stella della squadra: Griezmann sembra aver aggiunto al proprio repertorio anche una capacità associativa finissima, assente nella passata stagione. Per sfruttarla in pieno, però, al francese viene chiesto di giocare troppo lontano dall’area, la zona di campo dove è solito fare la differenza. Il suo errore dal dischetto infine sembra mandare definitivamente la partita nelle mani di Benítez.
Nel secondo tempo il Real entra in campo deciso a esasperare l’idea di rischiare pochissimo e arretra il proprio baricentro fino a lasciarsi come unica arma offensiva i contropiedi puri, un’arma sopravvalutata se a gestirli sono giocatori da attacco posizionale come l’attuale Ronaldo, Isco e Benzema. Per almeno tre volte la squadra ha spazio e pallone per fare male, ma non riesce a gestire l’occasione.
I cambi di Simeone nel secondo tempo sistemano solo parzialmente i problemi offensivi e di gestione del pallone. Ferrerira Carrasco, rispetto a Óliver, porta velocità ma poca precisione; Jackson Martínez non cambia di molto la proposta offensiva di Torres; Luciano Vietto, che rispetto a Correa porta movimenti intelligenti, toglie la creatività col pallone. C’è un motivo, però, per cui viene chiamato Lucky Luciano: quando il cross di Jackson viene impattato male con il tacco da parte di Griezmann, la palla finisce tra i piedi di Vietto, che pareggia l’incontro con il suo primo gol rojiblanco.
Il forcing nervoso dell’Atlético rischia addirittura di ribaltare completamente il risultato, con Martínez che in pieno recupero si vede negare da Navas il gol vittoria. L’Atlético, ancora in pieni lavori in corso, ottiene il massimo da una partita che nei primi 45 minuti sembrava decisamente segnata. La cosa deve far riflettere Benítez, a cui non basta una perfetta lettura della partita per vincere la prima sfida importante della stagione.