Prima di tutto vorrei ringraziare Sergio Agüero. Grazie Kun per avermi risparmiato l’inizio di articolo tronfio che il momentaneo vantaggio del Bayern in inferiorità numerica mi aveva dapprima suggerito. Avrei voluto ergermi al di sopra della retorica de “la palla è rotonda”, o de “il calcio è fatto di episodi”, quelle frasi che ogni volta che le senti ti fanno prudere le mani, e celebrare il calcio come organizzazione razionale, impresa collettiva capace di generare un risultato superiore alla somma delle parti, magari infilare pure da qualche parte l’aggettivo “scientifico”, e invece no: il calcio è fatto di episodi…Non si spiega altrimenti come una squadra brutta e che gioca molto male a calcio come il City abbia vinto la partita di ieri e mantenga ottime possibilità di passare il girone.
Il fatto che sia già qualificato come primo del girone e il necessario turnover non fa cambiare di una virgola l’atteggiamento del Bayern. Non ci sono Müller e Götze dall’inizio, manca Lahm, le mezzeali nel 4-3-3 (questa volta riconoscibile da subito, non ci vogliono quei venti minuti buoni a cui ogni tanto Guardiola ti costringe per sapere come diavolo starà giocando stavolta) sono Rode e Hojbjerg, ma di rinunciare a monopolizzare il pallone e a pressare l’avversario nella sua area non se ne parla nemmeno.
Notare con quanta aggressività il Bayern si sposta in blocco nella zona della palla al momento del pressing. Ribéry, l’ala sinistra, stringe direttamente sul centrale destro avversario (Kompany), Bernat (il terzino sinistro del Bayern) sale fino alla zona del terzino destro del City (Sagna) e Boateng, centrale sinistro bavarese, non solo passa la metà campo, ma scala su Navas. Xabi Alonso davanti alla difesa equilibra e recupera il pallone.
E il City il pressing altissimo lo soffre, perché è una squadra che fatica a far uscire la palla dalla metà campo per mancanza di meccanismi adeguati e stavolta anche per l’assenza di Silva, la cui importanza risulta persino eccessiva in tale contesto (a cui va aggiunta l’assenza di Tourè). Questa difficoltà però non si traduce in una superiorità schiacciante del Bayern, che esegue lo spartito correttamente ma senza troppa incisività.
Un bel po’ si spiega, e senza nessuna intenzione di colpevolizzare, con le caratteristiche delle mezzali. Pierre-Emile Hojbjerg è un giocatore per il quale Guardiola stravede sin dal primo ritiro estivo del 2013, ma l’indispensabilità di Lahm nel far quadrare tutto a centrocampo la stagione passata, e l’acquisto di Xabi Alonso quest’anno, rimandano l’affermazione del danese nel ruolo prediletto, quello di regista davanti alla difesa. Quest’estate ha anche provato da esterno destro, mentre ieri da mezzala sinistra tradiva la fisiologica propensione ad abbassarsi molto per prendere palla, senza creare superiorità alle spalle dei centrocampisti avversari.
Le caratteristiche di Rode invece sono diverse, da cursore con movimenti e tagli più aggressivi, però, sembra difettare della qualità richiesta per dare continuità alla manovra in zone tanto avanzate.
Considerando che il City sembra più raccolto (perlomeno accumula uomini fra il pallone e Hart) di quello sfilacciato e messo in mezzo all’imbarazzante torello che fu il City-Bayern della scorsa Champions, il Bayern quindi accusa due problemi: non crea superiorità tra le linee e con Hojbjerg giustapposto a Xabi Alonso tende a ristagnare nel suo fraseggio a metà campo. L’unica possibilità reale è rappresentata dalle iniziative di un Robben del quale si intuisce un’ispirazione stavolta troppo poco valorizzata.
I tre centrocampisti del Bayern son tutti sulla stessa linea. In casi come questo il possesso palla diventa sterile ed è più difficile “girare” l’avversario verso la propria porta.
E succede anche che il City alza la testa e capisce come fare male al Bayern: nell’incapacità di fraseggio corto, cerca il Bayern alle spalle della propria difesa, colpendone probabilmente il maggior punto debole (la poca qualità dei difensori nelle cosiddette “marcature preventive” sugli attaccanti pronti a lanciare il contropiede). Bernat ha problemi di posizionamento e qualche imbarazzo nel duello con Navas, mentre Lampard, nell’occasione schierato come trequartista, se non ha le caratteristiche di Silva per prendere palla e far guadagnare metri alla squadra, ha comunque la visione di gioco per vedere l’inserimento o il lancio puntuale. Cosa che succede nell’occasione che porta al rigore, con conseguente espulsione di Benatia e vantaggio del City: Agüero evidenza il divario di talento rispetto ai difensori del Bayern e ribadisce la sua natura di attaccante mostruoso in quanto autosufficiente, capace di tirare fuori un’occasione anche da situazioni in cui il supporto del resto della squadra è praticamente inesistente.
Dopo 5-10 minuti di smarrimento post-espulsione e svantaggio, il Bayern si riprende la gara: Guardiola inserisce Dante per Rode, toglie un centrocampista per mantenere i 4 dietro e improvvisa un “doble pivote” Xabi Alonso-Hojbjerg.
Il City vede nella superiorità numerica l’occasione favorevole per provare a esercitare un pressing alto per il quale non è assolutamente portato. E questa scelta, assolutamente logica e comprensibile, porta un vantaggio al Bayern che nasce dalla differenza di organizzazione fra le due squadre. In 10 o in 11, il Bayern resta comunque una squadra con una flessibilità impressionante nei meccanismi con cui fa uscire la palla dalla propria metà campo, mentre il City rimane una squadra che fa tantissima fatica a recuperare il pallone perché disorganizzata, anche quando non ci sono le svagatezze intollerabili del Yaya Touré dell’andata.
Quindi fra un Xabi Alonso che si abbassa in mezzo ai difensori centrali e un Rafinha che compensa accentrandosi, il Bayern comincia pure a trovare i passaggi fra le linee del City che si allunga nel tentativo di pressing. Quasi si realizza il Paradosso di Liedholm, e cioè che una squadra gioca meglio in 10 che in 11 perché i suoi giocatori hanno più spazi in cui muoversi: il Ribéry che prima non veniva né liberato per l’uno contro uno esterno né poteva tagliare centralmente, tappato dall’Hojbjerg mezzala, ora ha molto più spazio per svariare (così come Robben), e proprio da una sua avventura sulla trequarti nasce la punizione del pareggio di Xabi Alonso (previa magia nel controllo a seguire di “Nureyev” Lewandowski, che costringe Kompany al fallo al limite dell’area). Una fortunosa prodezza di Lewandowski (colpisce un po’ con la spalla, però è bravissimo a guadagnare la posizione vantaggiosa rispetto a Sagna sul cross dalla trequarti di Boateng) completa la meritata rimonta.
Il controllo esercitato dal Bayern però svanisce nel secondo tempo, quando i tedeschi peccano nel far sfumare prematuramente i propri attacchi in velocità, senza prendersi il tempo adeguato per assicurare le posizioni nella metà campo avversaria. Cosa rischiosa, data la propensione dei bavaresi ad alzare sempre tanto la linea difensiva e, quindi, ad esporsi alle verticalizzazioni avversari se la transizione difensiva e il pressing non avvengono coi tempi giusti. Ciò semplifica eccessivamente il contesto tattico della gara, riducendola a un andirivieni da una metà campo all’altra alla portata di un City che, in assenza di un attacco organizzato, potrebbe ora fare affidamento sulla verticalizzazione verso Navas e Agüero.
Verticalizzazione che però a conti fatti non arriva, nonostante Pellegrini prima sposti Nasri al centro della trequarti e poi butti dentro anche Jovetić. Anzi, col passare dei minuti il Bayern recupera, ora a partire da un ripiegamento un po’ più prudente che espone le carenze della manovra del City a difesa avversaria schierata, una sensazione di controllo che sembrerebbe trovare nella vittoria la più logica conclusione, se non fosse per i famosi episodi, ovvero i clamorosi errori nel disimpegno prima di Xabi Alonso (avete letto bene) e infine di Boateng che spianano la strada ad Agüero per il 3-2 che tiene ancora tutti in gioco nel girone di ferro.