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Fondamentali: Real - Barcellona
28 ott 2014
Mentre Ancelotti è sempre più maestro nel mettere assieme il puzzle di campioni a sua disposizione, i blaugrana di Luis Enrique sono ancora un cantiere in costruzione.
(articolo)
9 min
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Finalmente è arrivato il momento in cui anche il Barça può crogiolarsi con la Scusa del Prodotto Finito: celebre espressione con cui Mourinho introdusse un’eccezione (che quindi conferma la regola, mica scemo) al dogma della propria infallibilità dopo il 5-0 subito al Camp Nou nel dicembre 2010. Loro sono una squadra collaudata, quindi non vale: in questo momento, rodimenti di fegato a parte, per i tifosi del Barça è già una buona notizia di per sé che la loro squadra non sia un “prodotto finito”, che Luis Enrique stia effettivamente tentando qualcosa di diverso rispetto alla stanca routine del dopo-Guardiola. Ciò non toglie però che, voglia di fare a parte, ad oggi questo Barça è ancora pieno di difetti, praticamente in ogni zona del campo.

Il Real Madrid invece non è un prodotto finito, ma uno che attira sempre di più: gioca con la sicurezza (ancora lontana dal trasformarsi in arroganza o autocompiacimento) dei freschi campioni, e, una volta assimilati i cambiamenti estivi, sembra combinare il meglio dell’idea di calcio di Ancelotti con la preziosa eredità di Mourinho. La pazienza col pallone, l’ammirevole rispetto verso il talento dei propri giocatori e la fiducia nella loro capacità di interpretare il gioco (quanto si nota che il tecnico italiano è stato un grande giocatore vedendo le sue squadre!), che non vuol dire assolutamente dare loro le maglie e dirgli “beh, fate un po’ quello che volete”; questo senza dimenticare la versatilità tattica, la disciplina difensiva e la velocità assassina nei ribaltamenti del ciclo precedente. Il Madrid è una squadra che può allestire un torello fastoso come quello di Anfied e pochi giorni stravincere giocando un po’ più d’attesa, senza colpo ferire.

Se questo Barça è lontano anni luce da quel Barça, non cambia la capacità blaugrana di condizionare, almeno in partenza, l’atteggiamento di praticamente qualsiasi avversario. Isco, Marcelo, Kroos, James, Modrić…tutte le foche di Anfield si rimboccano le maniche e si preoccupano prima di tutto del presidio dello spazio nella propria metacampo, il 4-3-3 di partenza diventa un 4-4-2 piuttosto stretto in fase difensiva, con una visibile concentrazione di uomini nella zona centrale.

Questo perché lì si concentra tutto il potenziale del nuovo sistema di Luis Enrique, anzi il nuovo Messi-sistema. Il Barça 2014-2015 è il caso forse unico di una squadra con tre-attaccanti-centrali-tre. Non due ali e un centravanti, non due attaccanti esterni che partono larghi e poi si accentrano per tirare. No, tutti e tre partono al centro, con la differenza che Messi va un po’ dove gli pare e la maggior parte del tempo si stacca come trequartista. Il nuovo sistema è pensato per risparmiare lavoro a Messi con due attaccanti davanti a lui che impegnino i difensori avversari e gli creino lo spazio per partire più lontano senza che la squadra perda profondità.

Messi dimostra di gradire e in questo inizio di stagione sta mostrando un’ottima forma: non ha la velocità massima di prima, ma ha riacquistato mobilità. Il vantaggio e la sensazione di pericolo del Barça dei primi 25 minuti di questo Clásico sono in gran parte merito suo. La disciplina e lo spirito di sacrificio di Kroos e Modrić nella mediana madridista non arrivano dove arriva il talento dell’argentino nello smarcarsi negli spazi intermedi, attrarre avversari e disordinarne lo schema. Toco y me voy, tocco e vado via…una e l’altra volta, ronzando ai lati e alle spalle di Kroos, superato palla al piede nell’azione da cui nasce lo 0-1 di Neymar. Messi attira Marcelo, scarica su Suárez sul quale è costretto ad allargarsi Ramos…lo spostamento così accentuato verso una fascia dà tempo e spazio a Neymar sul lato opposto per ricevere e puntare a rete…tutto parte da Messi.

Il problema è che questo sistema non ha ancora trovato un equilibrio difensivo: i tre attaccanti centrali implicano uno sforzo supplementare per le mezzali, perché minimo due fra Neymar, Suárez e Messi (quest’ultimo sempre) rimangono davanti una volta persa palla, e quindi senza ali che ripiegano il centrocampista del lato dove si sta giocando la palla deve sobbarcarsi un bel po’ di metri per coprire, spesso senza risultato. Se a questo aggiungiamo che stavolta con Iniesta non gioca Rakitić ma Xavi (con una posizione di partenza più accentrata del croato e doti di corsa quasi inesistenti) il problema si aggrava.

Il Real Madrid questo lo sa fin troppo bene, e subito dopo aver incassato il gol, opta per ripetuti cambi di gioco che mettono a nudo la debolezza blaugrana. Soprattutto sulla fascia sinistra del Madrid si creano continue situazioni di superiorità: più che un Ronaldo (che, comunque, contro pochi altri avversari può trovare la ricezione fra le linee così a buon mercato) sono Isco e uno scatenato Marcelo ad affondare e a ricercare spudoratamente il cross. Spudoratamente perché sanno che il Barça gioca con centrali non di ruolo ma adattati (stavolta solo uno, Mascherano, perché Mathieu torna al suo ruolo originario, terzino sinistro, e Piqué rientra fra i titolari), portati a difendere lontano dall’area più che a sgomitarci dentro. Benzema scappa due volte a Mascherano, la prima conclusione finisce fuori di poco, la seconda doppia traversa, e poi sull’ennesima incursione di Marcelo è Piqué a compiere il fallo del rigore del pareggio.

Questa è l’azione da cui nasce il rigore dell’1-1. Marcelo riceverà il cambio di gioco e arriverà sul fondo. Guardate i centrocampisti del Barça e chiedetevi se sia umanamente possibile coprire il campo in tutta la sua ampiezza.

Il pronto vantaggio di Pepe a inizio di ripresa permette al Madrid di evidenziare ancora di più i difetti del nuovo Barça. Il primo è ereditato già dall’ultima stagione di Guardiola, ed è la drammatica incapacità di arrivare sul fondo, per carenza di dribbling sulle fasce. Difetto ulteriormente accentuato nel sistema di Luis Enrique, perché ora tutto il peso del gioco sugli esterni ricade sui terzini, e solo su di loro. Nel sistema di Guardiola le ali, prima di eventualmente accentrarsi, “bloccavano” il terzino avversario, mentre il terzino del Barça avanzando si trascinava dietro l’esterno di centrocampo, schiacciando verso la propria area l'intera squadra nemica. Ora invece, siccome Luis Enrique per guadagnare profondità le ali le ha fatte diventare attaccanti centrali, i terzini del Barça se la vedono direttamente con i terzini avversari.

Se il Barça finalizza male l’azione coi terzini (cosa avvenuta spesso sabato con Mathieu, per limiti tecnici, e Alves, per una non inusuale svagatezza), a palla persa aumentano i rischi perché alle loro spalle possono ripartire gli esterni avversari, relativamente sgravati da impegni difensivi. Luis Enrique in altre partite ha cercato di compensare con una posizione più larga, arretrata e rigida di Iniesta e Rakitić, ma anche così quello che aggiunge ai lati lo toglie al centro (Busquets rimane praticamente da solo). Nonostante il Barça arrivasse a questo Clásico con 0 gol subiti, la transizione difensiva blaugrana resta una equazione di difficile risoluzione, come hanno evidenziato i due avversari più seri finora incontrati, il PSG e il Real Madrid.

Qui Mathieu si appresta a ricevere un lancio di Mascherano. Carvajal, il terzino destro madridista scala direttamente su di lui. Nel caso perdesse palla, è chiaro che il Barça rischierebbe tantissimo.

Da quando nel 2010-2011 Esteban Vigo, allora allenatore dell’Hércules, mise in pratica il trucchetto (0-2 al Camp Nou!) molti avversari del Barça ripetono la ricetta: lasciare al Barça le fasce che tanto non fa male, e difendere la trequarti senza farsi attirare fuori posizione. Il Real Madrid esegue il compito nella ripresa in maniera più efficace del primo, anche perché Messi cala visibilmente e, altro difetto, ad oggi gran parte della manovra blaugrana si riduce proprio all’argentino.

Nemmeno il tanto celebrato centrocampo sembra più all’altezza: Xavi può offrire solo sprazzi, Iniesta comincia ad assumere contorni preoccupanti (si contano sulle dita di una mano le sue partite veramente grandi nell’ultimo anno col club) e Rakitić finora si limita al compitino. Nessuno crea superiorità a parte Leo, e con solo l’argentino a guidare la manovra (per mentalità comunque un attaccante più portato alla verticalizzazione), la squadra non riesce più a consolidare tanto il possesso-palla contro avversari che abbiano la qualità per contestarglielo (ancora gli esempi di PSG e Real Madrid).

Cala anche il movimento davanti, perché un comunque promettente Suárez (si muove su tutto il fronte ma su una linea più avanzata rispetto a Messi e Neymar, e dà profondità senza reclamare eccessivamente il pallone per sé) deve uscire prima per la propria condizione limitata, e perché Neymar senza palla si muove male (non taglia e non porta mai avversari fuori posizione, e questo sul suo lato non aiuta nemmeno il limitato Mathieu a sorprendere con gli inserimenti).

Il Real Madrid dopo il vantaggio, tutto raccolto nella propria metà campo. Mascherano può portare palla quanto vuole, conta solo negare i passaggi centrali tra le linee. E sì, quello che sta ripiegando quasi fino alla sua area è proprio Cristiano Ronaldo.

Il Madrid accentua la strategia attendista, uscendo ancora meno sul portatore di palla rispetto al primo tempo, e fra le linee di difesa e centrocampo non fa passare nulla. Con i terzini del Barça tagliati fuori dalla transizione difensiva, Ronaldo e Benzema, ora stabilmente di punta, possono proporre un revival dei tempi di Mourinho soli contro i poveri Piqué e Mascherano, portati al guinzaglio in una serie di contropiedi vertiginosi.

Nota di merito finale per la tenuta difensiva dei due esterni del 4-4-2 di Ancelotti, James e Isco, che proprio terzini aggiunti non sono. Il colombiano pur senza la stessa esuberanza dimostra un rigore tattico superiore a quello di Di María, mentre Isco è forse la notizia migliore del recente Real Madrid: la perla andalusa sta diventando grande, ma grande davvero. In questa gara colpisce favorevolmente la continuità dello sforzo in ripiegamento, suo grande limite fino all’anno scorso. Ora Isco dura tutta la partita e, almeno nelle altre partite (in cui il Madrid non si deve sacrificare tanto difensivamente) sempre più continua è anche la presenza nella manovra.

Dal talento confinato alla giocata risolutiva sulla trequarti dei tempi del Málaga ora stiamo arrivando a un vero regista avanzato capace di chiederla sempre e far progredire costantemente la manovra della propria squadra (impressionante l’ultima prestazione con l’Under 21 contro la Serbia, nonostante la sconfitta). L’abbraccio sentito con Ancelotti al momento della sostituzione e le ovazioni del Bernabeu sanciscono questo cambio di status.

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