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Fontecchio ha scelto la strada più difficile
20 lug 2022
Cominciare la propria carriera negli Utah Jazz non sarà semplice.
(articolo)
9 min
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Nel bel mezzo delle Olimpiadi di Tokyo, dopo la qualificazione ai quarti di finale della Nazionale italiana, il reporter di Associated Press Tim Reynolds ha posto un quesito sul suo profilo Twitter: “Sto cercando di capire perché Simone Fontecchio non è nella NBA”.

https://twitter.com/ByTimReynolds/status/1421352305153085442

In effetti è una domanda che si sono posti in molti la scorsa estate, specialmente dopo le eccellenti prestazioni di Fontecchio in maglia azzurra. Sin dal torneo di qualificazione in Serbia e successivamente nel torneo olimpico giapponese Fontecchio è stato nettamente il miglior giocatore della nostra squadra, nonché probabilmente il migliore in assoluto tra quelli che non giocano o non hanno mai giocato in NBA. Ad un’età, 25 anni, che permette di decidere del proprio futuro senza vincoli di Draft, il suo sbarco negli Stati Uniti sembrava solo una questione di tempo.

Dopo il torneo olimpico Fontecchio ha scelto di rimanere in Europa mantenendo fede all’impegno preso con Baskonia, trasferendosi in Spagna dopo un’eccellente stagione in Germania all’Alba Berlino che lo ha messo sui radar di mezza Europa. L’accordo con la squadra di Vitoria prevedeva però un’uscita in caso di chiamata dalla NBA e Fontecchio ha potuto scegliere: secondo quanto scritto dalla Gazzetta dello Sport, l’azzurro aveva da sempre in testa l’idea di provarci negli Stati Uniti ma solo alle sue condizioni, che evidentemente sono state soddisfatte dagli Utah Jazz, che lo hanno messo sotto contratto per i prossimi due anni rendendolo il terzo italiano in NBA insieme a Danilo Gallinari e Paolo Banchero, il 14° a farlo tra i giocatori con il passaporto del nostro paese (in attesa di Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, scelti al secondo giro dell’ultimo Draft).

Cosa può dare Fontecchio agli Utah Jazz

La notizia di Fontecchio ai Jazz è arrivata a metà di una giornata cominciata al mattino con la voce della Prealpina, che aveva parlato di un accordo possibile con i Los Angeles Lakers, e che invece ha trovato conferme con la franchigia di Salt Lake City dopo l’anticipazione di Eurodevotion. Esattamente come successo nel corso della sua carriera, Fontecchio ha scelto l’opzione che gli dava maggiori garanzie dal punto di vista del minutaggio: dopo aver faticato a esplodere nel nostro paese, passando dalla Virtus Bologna a Milano nel 2016 con un paio di prestiti alla Vanoli Cremona e alla Pallacanestro Reggiana, l’azzurro è dovuto emigrare in Germania prima e in Spagna poi per trovare il minutaggio e le responsabilità che voleva per la sua carriera, sfruttandole al meglio.

Considerando che nel giro di tre anni è passato dal giocare sporadicamente per l’Olimpia a essere titolare in Eurolega, per la Nazionale alle Olimpiadi e ora in NBA, il suo percorso è indiscutibilmente di successo. Fontecchio è esploso relativamente tardi ma è esploso bene, migliorando aspetti del suo gioco che fanno estremamente gola a ogni latitudine e che lo hanno portato a essere definito come “il miglior prospetto tra le ali piccole a livello internazionale”, per usare le parole di Jonathan Givony di ESPN. Si parte innanzitutto dalle sue capacità fisico/atletiche: Fontecchio supera facilmente i due metri di altezza e ha stazza per la posizione di 3 anche a livello NBA, sfruttando le sue gambe forti che gli permettono di essere sempre in equilibrio e un tronco da giocatore fatto e finito. Già solo queste doti gli permetterebbero di avere diritto di cittadinanza su un campo NBA, specialmente nella metà campo difensiva dove in ogni caso sarà chiamato a guadagnarsi minuti e fiducia da parte dello staff tecnico — perché in un mondo spietato come quello della NBA, se non dimostri di poter “tenere il campo” in difesa puoi anche scordarti di avere ampio minutaggio.

Nella metà campo offensiva invece il suo appeal principale è dato dalla precisione al tiro da tre punti. Da quando è passato a Milano la sua percentuale dall’arco non è mai stata inferiore al 38% su un volume considerevole di tiri, tirando con il 39% in Eurolega a Berlino e con il 40% nella stagione a Baskonia (sia Liga ACB che Eurolega). Dal punto di vista meccanico Fontecchio ha un tiro solido e ripetibile: non ha bisogno di abbassare la palla quando la riceve per cominciare il movimento e sale con grande equilibrio, facendo sempre pensare che ogni sua conclusione possa trovare il fondo della retina. Fontecchio però non è “solo un tiratore”: le sue conclusioni preferite, anzi, sono quelle che può prendersi dopo aver messo palla per terra, con soluzioni in pull-up dopo uno o due palleggi dalla media distanza.

Qui Fontecchio spara uno dei suoi tiri in pull-up in faccia nientemeno che a Rudy Gobert, dimostrando capacità di adattamento alzando la parabola a dismisura per evitare le braccia di uno dei migliori difensori del mondo.

Mettendo assieme i pezzi, Fontecchio ha tutte le caratteristiche giuste per calarsi nel ruolo di 3&D così richiesto nella NBA contemporanea: ha le dimensioni giuste per poter marcare più ruoli in difesa (anche scalando da 4 se necessario, anche se ovviamente avrà problemi a marcare i migliori esterni della lega… ma chi non li ha?) e ha doti balistiche per tenere alte percentuali da tre punti quando chiamato in causa, con un solido gioco per mettere palla per terra e battere i closeout che le difese organizzeranno contro di lui per togliergli le soluzioni in catch-and-shoot. Su di lui individualmente, insomma, ci sono pochi dubbi: ha già dimostrato di poter valere la NBA negli ultimi due anni. I dubbi, semmai, possono essere legati al contesto di squadra nel quale verrà calato.

La strana estate degli Utah Jazz

Se la firma di Fontecchio con i Jazz fosse arrivata un anno fa, probabilmente ne parleremmo in altri termini: i Jazz erano reduci da una regular season da primo posto a Ovest con 52 vittorie e 20 sconfitte e, nonostante la delusione per come si erano conclusi i playoff con l’eliminazione al secondo turno per mano degli L.A. Clippers privi di Kawhi Leonard sembravano avere le carte in regola per provarci di nuovo. Invece nell’ultimo anno i Jazz sono implosi nelle loro contraddizioni caratteriali prima ancora che tecniche, dando la netta impressione di non sopportarsi più e di non vedere l’ora di mettere fine alla loro convivenza, come apparso evidente nell’eliminazione al primo turno contro i Dallas Mavericks privi di Luka Doncic per tutta la prima parte della serie.

L’estate ha portato poi agli addii dell’allenatore Quin Snyder dopo otto stagioni alla guida dei Jazz e, soprattutto, al sorprendente scambio di Rudy Gobert ai Minnesota Timberwolves, che ha ufficialmente aperto una nuova fase nella storia dei Jazz. Anche il terzo pilastro attorno al quale è stata costruita la squadra negli ultimi anni, vale a dire Donovan Mitchell, è sul mercato ormai da diverso tempo, come hanno fatto ampiamente capire i capi della dirigenza: una situazione talmente ingarbugliata che in questo momento è anche difficile immaginarsi una possibile rotazione dei Jazz, visto che tutti i membri della squadra sono sul mercato — per il giusto prezzo, s’intende.

Paradossalmente Fontecchio è l’unico di essere sicuro di poter cominciare la prossima stagione in maglia Jazz insieme forse a Walker Kessler, scelta numero 25 dell’ultimo Draft in uscita da Auburn e già scambiata dai T’Wolves nella trade per Gobert. Tutti gli altri possono essere ceduti a fronte di un’offerta congrua, e non si parla solo di Mitchell: nel solo reparto guardie ora come ora ci sono Mike Conley, Jordan Clarkson, Patrick Beverley, Malik Beasley, Nickeil-Alexander Walker, Leandro Bolmaro, Jared Butler e Trent Forrest. Un sovraffollamento esagerato per i soli due posti a disposizione, ammesso e non concesso che Mitchell rimanga a Salt Lake City.

Se anche non dovesse muoversi nessuno all’interno di questo roster ingolfato, però, i Jazz non sembrano in grado di poter competere in una Western Conference in cui il livello medio si è alzato. Rudy Gobert, pur con tutti i suoi difetti, rappresentava l’anima tecnica della squadra, il giocatore attorno al quale era stata modellata l’idea tattica di come i Jazz volevano giocare e che, almeno in regular season, aveva dato grandi risultati. Senza più il loro totem verso il quale convogliare gli attacchi avversari, i Jazz devono reinventarsi da zero — ma si ritrovano in una conference che non ha alcuna intenzione di aspettarli, visto che numerose squadre sembrano essere più attrezzate di loro.

Phoenix, Memphis, Golden State e Dallas hanno chiuso ai primi quattro posti lo scorso anno e non sono peggiorate così tanto in estate da finire sotto questi Jazz; Denver e LA Clippers ritroveranno i loro infortunati di lungo corso e hanno legittime ambizioni da titolo; Minnesota e New Orleans sono in forte ascesa e, al completo, possono giocarsela con tutti. Lasciando un attimo da parte i Lakers che fanno discorso a parte, anche Sacramento e Portland si sono mosse sul mercato per provare a vincere ora e non pensando al domani come fanno invece Spurs, Thunder e Rockets, le uniche tre squadre che ai blocchi di partenza partono certamente dietro ai Jazz. Per come sono messi ora, a Salt Lake City potrebbero ritenere difficile arrivare anche solo al torneo play-in.

L’addio di Snyder e la cessione di Gobert ed eventualmente Mitchell potrebbe rappresentare il momento giusto per i Jazz per ricostruire partendo dal Draft, approfittando della presenza di un giocatore generazionale come Victor Wembanyama nella classe del 2023 per “tankare” e giocarsi le proprie chance di ricostruire attorno al francese. La distanza per poter competere a Ovest in questo momento è semplicemente troppo ampia per poter essere colmata con un qualsiasi movimento di mercato.

In questo contesto Fontecchio può sicuramente avere spazio e minutaggio: i Jazz hanno ceduto il titolare nel ruolo di 3, Royce O’Neale, e non hanno chissà quali alternative nel suo ruolo da sviluppare, visto che anche Bojan Bogdanovic (con il quale comunque può tranquillamente coesistere) è sulla lista dei partenti. Il dubbio semmai è che nel caso in cui parta Mitchell non ci sia più quel creatore di gioco di cui Fontecchio avrebbe bisogno per poter avere impatto da subito: se gli viene chiesto di “finire” un’azione costruita da altri, l’azzurro è un giocatore NBA dal primo giorno; ma se gli viene chiesto di essere lui quello che “crea” per gli altri, o se i creatori di gioco sono il 35enne Mike Conley e un Jordan Clarkson a briglie sciolte, allora può diventare problematico anche per uno bravo come lui a muoversi senza palla.

Pur trattandosi di una squadra in evidente ricostruzione, la presenza nella dirigenza di uno come Danny Ainge assicura che non si vada sotto un certo livello di rispettabilità. Pressioni di dover vincere subito, considerato che in panchina ci sarà un debuttante come Will Hardy, non ce ne saranno. E la nuova proprietà ha dimostrato che, se necessario, non ha problemi a spendere, come dimostrano i rinnovi al massimo salariale sia per Gobert che per Mitchell.

Riassumendo, Simone Fontecchio potrebbe essere il giocatore giusto nel contesto sbagliato: ai Jazz avrà tutte le possibilità di dimostrare il suo valore e il contratto è abbastanza corto (due anni a 6.25 milioni di dollari complessivi) per poter capitalizzare su una buona stagione senza doversi giocare tutto e subito al primo anno negli States. Ma non sarà una sfida semplice per tutto quello che lo circonda, anche se a questo punto della sua carriera era il treno giusto da prendere.

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