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La guerra della Francia alle atlete musulmane
24 lug 2024
Il Paese transalpino vieta loro di indossare l'hijab a dispetto di ogni norma internazionale.
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«Sono stata squalificata dalle competizioni a gennaio 2023 e da allora non gioco più. È evidente che questo regolamento sia più che discriminatorio», ci racconta Salimata Sylla, giocatrice di basket francese, riferendosi al divieto di indossare l’hijab durante le competizioni imposto dalla Federazione francese alle cestiste. La decisione è stata presa dalla ministra della Gioventù, dello Sport e dei Giochi olimpici e Paralimpici, Amélie Oudéa-Castéra, che nel settembre del 2023 ha annunciato di estendere il divieto a tutte le atlete francesi anche durante le Olimpiadi, che si terranno tra pochi giorni a Parigi.


Secondo le parole della ministra, «la Francia è impegnata in un rigoroso regime di laicità», che implica «il divieto di ogni forma di proselitismo». Questa scelta arriva nonostante il Comitato olimpico internazionale (CIO) non limiti nessuna atleta a indossare l’hijab o un qualsiasi altro abbigliamento religioso o culturale. Oudéa-Castéra è pienamente consapevole e ha riconosciuto pubblicamente che la posizione francese non è in linea con quella del CIO, che considera «l’uso del velo non come un fattore religioso, ma come un fattore culturale». Il risultato è quindi che alle prossime Olimpiadi estive ci sarà una discrepanza tra le atlete straniere, che potranno giocare indossando il velo, in linea con le normative del CIO, e le atlete francesi, che non potranno portarlo.



Perché no?
La scelta di Oudéa-Castéra non è estemporanea e ha le sue radici nelle politiche francesi sull’hijab e più in generale sull’abbigliamento indossato da molte donne musulmane. Nell’agosto del 2023 l’allora ministro dell’Educazione nazionale e della Gioventù della Francia, Gabriel Attal (oggi primo ministro), aveva negato alle studentesse di fede islamica tra i 6 e i 18 anni di indossare l’abaya, una tradizionale tunica utilizzata da alcune donne musulmane. Poche settimane prima, il 29 giugno 2023, una decisione simile era stata presa dal Consiglio di Stato (organo con funzioni consultive nei confronti del governo e giurisdizionali in ambito amministrativo), che aveva confermato il divieto di indossare il velo nelle partite organizzate dalla federazione calcistica francese, come voluto dalla federazione stessa.


In quell’occasione il Consiglio ha ribadito che, a livello sportivo, il potere di regolamentare l’utilizzo del velo durante le competizione rimane nelle mani delle singole federazioni. Oltre a quella calcistica, anche la federazione di basket (FFBB) lo vieta da più di un anno; è per questo motivo che Salimata Sylla è stata esclusa dalle partite. La decisione della federazioni ha portato con sé conseguenze importanti.


«L’8 gennaio 2023 avevamo una partita a Escaudain, nel nord della Francia», ci dice Salimata Sylla, ex giocatrice della squadra di terza divisione Aubervilliers. «Come al solito sono scesa in campo con il mio velo omologato. Quel giorno ero anche capitana, avevo un ruolo importante». Sylla si sofferma sulla dinamica, spiegando che qualche minuto prima dell’inizio del match aveva avuto una conversazione con il suo allenatore: «L’arbitro gli aveva detto che non avrei potuto giocare con il velo. Così ci sono andata a parlare in prima persona per spiegargli che era dall’inizio della stagione che ci giocavo senza problemi». Il direttore di gara le ha spiegato che il regolamento era cambiato e da quel momento in poi tutti gli accessori che coprono la testa sarebbero considerati inappropriati. «Non hanno fatto nessuna comunicazione esterna, ne hanno solo parlato internamente. Da allora non ho più giocato». Nel dicembre 2022, la FFBB ha infatti introdotto l'articolo 9.3 nel regolamento sportivo generale, che vieta espressamente di “indossare qualsiasi equipaggiamento con connotazioni religiose o politiche [...] durante tutte le competizioni”.


Secondo il nuovo articolo, l’arbitro ha il dovere di impedire lo svolgimento della competizione nel caso in cui sia presente in campo una giocatrice che porti l’hijab o un qualsiasi altro indumento o riferimento religioso. Il mancato rispetto di questa regola può comportare un procedimento disciplinare nei confronti del/la giocatore/trice e di coloro che hanno permesso lo svolgimento della competizione. «È una vera caccia alle streghe», dice Salimata Sylla.



La decisione di impedire alle giocatrici di basket di portare il velo è in disaccordo con le regole della Federazione internazionale di basket (FIBA), che dal 2017 permette alle atlete di indossarlo. La decisione della FIBA è stata raggiunta in seguito a una campagna di sensibilizzazione e di raccolta firme lanciata nel 2014 dalla giocatrice bosniaca-americana, Indira Kaljo, e dall’imprenditore indiano sikh RPS Kohli. «Non mi sorprende che ci sia questo contrasto normativo tra federazione internazionale e quella francese», ci ha detto Silvio Bogliari, avvocato esperto in diritto sportivo, dal momento che «gli ordinamenti sportivi hanno propri principi e propri diritti». Questo perché, spiega l’avvocato, «il diritto sportivo è un diritto a sé stante e anche le federazioni sportive hanno un’ampia autonomia nell’adottare le proprie norme».


Nonostante la federazione internazionale abbia adottato delle proprie regole e raccomandazioni che le singole Federazioni dovrebbero seguire, la scelta ricade comunque nelle mani degli ordinamenti nazionali. La stessa dinamica si può raccontare anche per il calcio. La federazione francese di calcio (FFF) vieta l’uso del velo, mentre quella internazionale (FIFA) lo permette. «L’autonomia è la regola che vige nell’ordinamento sportivo», aggiunge Bogliari. «Pertanto, sebbene le federazioni nazionali dovrebbero sottostare a quanto stabilito dalle federazioni internazionali, nella pratica possono decidere di adottare norme interne che entrano in contrasto con i principi generali delle norme internazionali».


La decisione di vietare l’hijab stride però con quanto affermato in altre due normative importanti: la carta etica del basket e il Codice dello Sport. Nella prima, redatta dalla FFBB, viene sancito che “il libero accesso alle attività sportive è un principio generale del diritto” e che “tutte le persone devono avere la possibilità di praticare basket". Sulla stessa lunghezza d’onda, anche l’articolo L100-1 del Codice dello Sport promuove “un accesso uguale alle attività fisiche e sportive, senza discriminazione fondata sul sesso, identità di genere [..] l’appartenenza a una nazione, etnia, religione”. Ma, spiega ancora l’avvocato Bogliari, «benché dipendente dall’ordinamento giuridico nazionale, l’ordinamento sportivo è un ordinamento autonomo». La scelta presa dalla FFBB, per quanto in contrasto con le norme internazionali e i codici di comportamento, può essere irremovibile.


La mobilitazione delle atlete e dei club
«Quattro anni fa ho iniziato a portare il velo nella vita di tutti i giorni e quello omologato in campo», dice Salimata Sylla «Prima di essere esclusa non c’era stato alcun problema proprio perché il velo era omologato: rispetta cioè le condizioni di igiene e di sicurezza». A portarlo non sono solo le donne musulmane per motivi religiosi e scelte personali, ma anche persone che, ad esempio, hanno problemi medici legati alla sudorazione. In questo secondo caso, con una richiesta del medico, il velo è ancora concesso. «Il problema non è l’accessorio», continua la giocatrice, in Francia «Il problema è che io sia visibilmente musulmana».


Quanto subìto da Sylla è successo anche a un’altra giocatrice di basket di 22 anni, Hélène, a cui la Federazione non ha concesso di giocare indossando il velo sportivo. L’atleta, a ottobre del 2023, ha così lanciato la petizione Basket per Tutte per denunciare la decisione della federazione. L’obiettivo era attirare l’attenzione sul fatto che “tale divieto costituisce una violazione della libertà di coscienza e di religione e del principio di parità di accesso allo sport, in quanto, oggettivamente, non è necessario, proporzionato o giustificato da esigenze di igiene, sicurezza o ordine pubblico”.


Nello stesso mese di ottobre, anche Amnesty International aveva attirato l’attenzione della federazione francese di pallacanestro e del ministero francese della Gioventù, dello Sport, dei Giochi olimpici e paralimpici, chiedendo di garantire che “le norme relative all'uso di copricapi sportivi nelle competizioni siano conformi al diritto internazionale sui diritti umani e non discriminino e violino i diritti delle giocatrici musulmane che indossano copricapi in Francia”. Prima della mobilitazione delle giocatrici di basket e di Amnesty erano arrivate le dichiarazioni dell’ONU, che a settembre si era detta fortemente contraria al divieto imposto alle atlete francesi di portare l’hijab durante i Giochi olimpici. «Come regola generale, l'Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani ritiene che nessuno debba imporre a una donna cosa debba o non debba indossare», ha dichiarato la portavoce dell’Ufficio, Marta Hurtado, in merito alle dichiarazioni rilasciate da Amélie Oudéa-Castéra. «Secondo le norme internazionali sui diritti umani, le restrizioni all'espressione delle religioni o delle credenze, come la scelta dell'abbigliamento, sono accettabili solo in circostanze molto specifiche che rispondono in modo proporzionato e necessario a legittime preoccupazioni di sicurezza pubblica, ordine pubblico, salute pubblica o moralità», ha continuato Hurtado.


Nonostante molte atlete e associazioni abbiano preso parola, il regolamento non è cambiato. Oggi le giocatrici che portano il velo vengono squalificate e i club che permettono loro di giocare rischiano di essere sanzionati. L’ex giocatrice Salimata Sylla è rimasta stupita da questa decisione. «Se la legge e la Federazione internazionale autorizzano il velo e se ci sono degli accessori che non mettono in pericolo nessuno, non capisco perché non mi debba essere permesso di giocare», dice. «Da quando ne ho parlato pubblicamente non ho ricevuto nessuna risposta o spiegazione del motivo di questa regola. Ed è strano, considerando che alle Olimpiadi altre atlete straniere potranno giocare con il velo».


Ball Her e Les Hijabeuses: lo sport inclusivo
I divieti imposti dalle Federazioni hanno spinto le atlete a creare delle realtà sportive più inclusive. È il caso del collettivo Les Hijabeuses, creato per difendere il diritto delle atlete di giocare a calcio indossando il velo. Nato nel 2020, il collettivo organizza partite e tornei aperti anche ad atlete con l’hijab o con altri abbigliamenti religiosi o culturali.


A giugno il collettivo ha organizzato un evento su larga scala, le Olimpiadi delle Hijabeuses, che consiste in una serie di competizioni diverse, aperte e accessibili a tutte le amatrici. “Vogliamo riaccendere la fiamma dello spirito olimpico, in un contesto di continue divisioni”, si legge sul sito dell’evento.


Un’altra realtà nata dai divieti delle federazioni sportive è quella di Ball Her, lega di basket creata proprio da Salimata Sylla e attiva nell’Ile-de-France, la regione di Parigi. «L’idea è di aprire degli spazi sicuri per tutte le donne e ragazze che hanno voglia di giocare a basket», dice Sylla. «Ball Her è un bisogno. Io non ho deciso di smettere di giocare a basket, quindi non vedo perché dovrei farlo».


Seguendo lo slogan di “basket per tutti”, Salimata Sylla spiega che Ball Her serve anche per dare visibilità alle atlete con l’hijab. «Per mostrare che non è inappropriato giocare con il velo», ci dice lei.

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